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|PN
.986
P577
STANFORD
UBRARIES
BIBLIOTECA
TRADIZIONI POPOLARI SICILIAIVS
VOL. XVIII.
r
FIABE E LEGGENDE
POPOLARI SICILIANE
RACCOLTI! ED ILLIBTRATE
GIDSEFPE FITRE
VOLUME UNICO
PALEKMO
LDIGI PEDONE LAURIEI,, Eouobiì,
' J
Tipografia del GiornaU di HieUia.
j
AL PROFESSORE
THOMAS FREDERICK CRANE
DELLE
NOVELLE POPOLARI D' ITALIA
ILLUSTRATORE E TRADUTTORE ESPERTISSIMO
QUESTA NUOVA RACCOLTA
DI PIARE E LEGGENDE
DI UN POPOLO
DA LUI AMOROSAMENTE STUDIATO
IN SEGNO DI ALTA STIMA
GIUSEPPE PITRÉ
OFFRE.
i
I
AVVERTENZA.
Quando vennero fuori le mie Fiabe, Novelle e Bac-
eonti popolari siciliani (1875) pareva che poco rimanesse
tuttavia da raccogliere in Sicilia ; ma ecco, dopo tre-
dici anni , un nuovo volume di Fiabe e Leggende po-
polari inedite.
Questo volume contiene cencinquantotto racconti
tradizionali ' nel dialetti e nelle pariate di quarantun
comune dell' isola, oltre a venticinque varianti , parte
per esteso in dialetto, parte riassunte in italiano. Tutte
le province siciliane vi sono ben rappresentate, ma la più
largamente quella di Palermo , la quale io , palermi-
tano, ho potuto meglio ricercare e conoscere. Essa sola
offre qui centotrè racconti, lasciandosi molto addietro
le province di Siracusa con ventisei , di Girgenti con
sedici , di Messina con quindici , di Galtanìssetta con
otto, di Catania con sei , di Trapani con cinque. Se
non che, la indicazione topografica non indica già che
il racconto esista solo in quel dato luogo (essendo ,
com'è noto, diffuso in tutta la Sicilia), ma bensì che in
quel dato luogo venne raccolto.
Dialetti non mai tìn qui scritti compariscono ora per
la prima volta. Qualcuno tra essi avrà dello strano e
' Come 8i vedrà, il n. XLVIO, per errore di stampa, è duplicato.
vili AWERTENS^
del poco intelligìbile a prima giunta; ma nella appa-
rente stranezza e difficoltà d' intelligenza darà argo-
mento a indagini molto giovevoli alla storia sicula.
Sotto il quale aspetto la presente raccolta, al pari del-
l'altra precedente, vuol riuscire di qualche utilità agli
studiosi delle lingue e dei dialetti romanzi non meno
che ai cultori delle cose siciliane; mentre, d'altro lato,
riuscirà forse non superflua ai raccoglitori di novelle
popolari ed ai ricercatori delle fonti e della parentela
di esse nei diversi popoli e nelle differenti letterature.
Chi legge poi per semplice diletto troverà in questo
libro una di quelle letture che richiamano alle incante-
voli fiabe della infanzia ed alle facezie dell'età adulti.
Il titolo di Fiabe e Leggende è legato ai due generi
prevalenti nel volume : quello, cioè, delle novelline fan-
tastiche a base di maraviglioso e di soprannaturale,
le quali con un nome ora comunemente inteso tutti
chiamiamo Fiabe in Italia {Mdrchen in Germania, Contes
in Francia, ecc.), e l'altro dei racconti leggendari rela-
tivi a personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento
(veri evangeli apocrifi del popolino siciliano), a santi,
a devoti, a simulacri di Madonne, ad origini e vicende
della Sicilia e di Palermo, e poi di grotte, montagne,
chiese. Sono fiabe i racconti della I* serie ed anche
della V», tutta di vere favole e paramiti; sono leg-
gende quelli della II* e della IV*, se pur non vogliano
comprendervisi anche quelli spiritosi e piacevoli della
III*, che si aggirano sopra tipi leggendari in ogni let-
teratura tradizionale , e parte degli altri della VI* ed
ultima, dove proverbi e modi proverbiali si fanno ori-
ginare dalle tale o tal' altra storiella.
AVVERTENZA IX
Fedele al metodo da me tenuto nelle varie raccolte
della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, ho ri-
stretto le note comparative {Varianti e Siscontrì) di
ciascuna novella alle tradizioni edite d'Italia; ma sono
ben lontano dal crederle, specialmente per le pie tra-
dizioni iconografiche e per alcune profane della III'
serie, complete. Non v'è sacra immagine , infatti, che
non riconosca una provenienza simile o analoga a quella
del gruppo LXII-LXIV , per il quale io stesso ho po-
tuto qui mettere insieme non meno di sedici riscontri
della sola Sicilia.
Nella spiegazione del testo mi son |jmitato alle note
meramente necessarie a fame intendere il senso let-
terale, traducendo con fedeltà tutt' altro che elegante
frasi e parole siciliane , ed aggiungendo tra parentisi
frasi e parole italiane in che quello siano da tradurre,
e parole sottintese nel testo, sempre elhttico, sempre
figurato. Di nove racconti di Ragusa, Pietraperzia, No-
vara, Nicosia, S. Fratello, Palermo ho dato intere ver-
sioni ad literam, che potranno agevolare la intelligenza
di altri racconti noi medesimi dialetti o in dialetti del
medesimo gruppo.
E qui mi sia lecito di tornare un' ultima volta sulla
etema questione della grafia.
Raccoglitori egregi di tradizioni, con l'intendimento
dì riferire nella genuina parlata novelle e canti popo-
lari, propendono per una grafia che ritragga la narra-
zione quale esce dalla bocca di chi racconta; e però a-
feresi, protesi, agglutinamenti d'ogni maniera. Questa
fedeltà fonografica può sino a certo punto interessare
X AVVERTENZA
i glottologi di buona volontà e di grandissima pazienza,
ma non risponderà mai allo scopo del folklorista che
vuol recare dei documenti alla mitologia ed alla novelli-
stica popolare. Una distinzione tra il parlare plebeo ed
il parlare comune d'un paese c'è, come c'è tra il par-
lare familiare e domestico ed il raccontare; né mi è ac-
caduto mai di sentire da una donna che novella tutti
gli smozzicamenti ed i guasti che essa medesima fa
parlando in famiglia, come non mi è accaduto mai di
sentire una canzone che in bocca del popolano tenga
le medeshne accidentalità fonetiche della novella. E
poiché non v'è raccontatore o novellala che non s'ac-
conci naturalmeifte a codeste maniere, così ogni buon
raccoglitore di testi dialettali ad uso de' folkloristi do-
vrebbe alla volta sua acconciarvisi. A me pare, ed è
sempre parso, opera rispondente al fine il ritrarre fedel-
mente non pur le voci speciali ma anche le forme ca-
ratteristiche d' un dialetto o d' una parlata, lasciando
scorgere in che esse dalle comuni d'un dialetto si dif-
feriscano : voci e forme, le quali, perchè ristrette in una
data cerchia, o estendentisi per una data zona, costi-
tuiscono fatti etnici della più grande importanza. Nel
mio non breve Saggio di una Crrammatica del dialetto
e delle parlate siciliane {Fiabe, Nov, e Race, v. I, pp.
GXLIX-CGXXX) furono segnate le prime linee morfo-
logiche dei nostri dialetti e sotto-dialetti ; altre ne se-
gnarono per la provincia di Siracusa 1' Avolio * ed il
Guastella ^ dotti e benemeriti entrambi; e tutte messe
1 Canti popolari di Noto, pp. 3-31. Noto, 1875.
* Canti popolari del Circondario di Modica, pp. VIII-XXIV. M'
dica, 1876.
AWEHTEKZA XI
ftii&io, con molta intelligenza ma con poco rispetto
'alti'ui proprietà, dal D.' Fr. Wentrup ', che già pri-
i, ne! 185y, avea pubblicato in Braunschweig un
lon esempio di * Contributi alla conoscenza del dia-
lio siciliano " ,,
Orbene: la grafia da me seguita non si scosta da
ìlle linee; lo ricalca anzi con vera scrupolosità, so-
lo ne' testi di Ragusa Inforiore, i quali, fornitimi
amici intelligenti, a me non è lecito di discutere o
idiiìcare altro che per ijuaiito concerne la unìfor-
ità del metodo da me tenuto nella trascrizione di pa-
frasi comuni. Ho creduto di non dover rinunziare
d originale nelle voci; di, dare, tiomuni, dolcfi, donna
.simili, che suol passare in bocca a quasi tutti i Sici-
in una mezza r (ri, rari, rumavi, ruci, ronna);
tuendola soltanto in quei casi in cui la r si raf-
'za potontenienle come nel v. vìrriri, vedere. Pari-
lenti ho conservato, secondo i casi, la ff alle voci </r(iii-
de, gamba, garofano, ecc., dove spesso non si sente,
('ranni 'amma, 'alofaru) e, quando sì e quando no, ho
mantenuto quelle forme che adottai specialmente nei
cannati quattro volumi di Fiabe.
Qualche lieve differenza che qua e là potrà riscon-
trarsi nella grafìa dei testi d'un medesimo dialetto ri-
> Beitrdge sur Kenniniss des sicUianiscìien Dialectes, nel Pro-
gramm der Kloste-schen Kostleben, einer Stiftung der Fami-
Ùe von Wiuieben. Halle, 1880.
* Beitrdge zur Kenntniss der sicUianisclwii Hundart, iicU'Ar-
cMv. fùr das Studium des neueren Hprachen und Litcraluren,
V. XXV, fase. 1^, pp. 1S3-16(5
XII AVVERTENZA
vela essa stessa la instabilità dì pronunzia de' vari rac-
contatori e la incertezza nella (juale noi poveri racco-
glitori ci a^^iriamo trascrivendo il nostro parlare na-
tivo. Se avesse considerato queste circostanze,non avreb-
be il prof. E. Bohnier commesso la debolezza di ma-
ravigliarsi delle differenti maniere onde un medesimo
suono giungeva al suo orecchio di tedesco non adusato
alla nostra pronunzia, secondo che uscisse dalle labbra
d'un uomo o d*un altro \ nei pochissimi giorni ch'egli
stette in Palermo ^ Non tenendo conto della differenza
che passa tra la pronunzia delle persone di lettere e la
pronunzia delle persone del volgo, tra uomini e donne,
tra uno nato nel rione della Kalsa ed un altro cre-
sciuto nel rione dell' Albergheria , il bravo romanista
cadde in un deplorevole equivoco.
E tornando a' racconti noterò che cento e più di essi
sono stati raccolti personalmente da me; e questi si pos-
sono vedere alla nessuna indicazione di nome dopo quello
del novellatore o della novellatrice, che io ho sempre
fatto conoscere. I quìndici dì Ragusa Interiore li devo al
mio affettuoso e dotto amico prof. Carlo Simiani, il quale,
coadiuvato dal D.'' Raffaele Solarino, si proponeva di
pubblicare un libro di novelle popolari di quel comune.
Egli, sapendomi occupato in una nuova raccolta, rinun-
ziò al suo' disegno e liberalmente e generosamente mi
* Ziir sizilischen AusspracJie , 165-167 dei liomanische Studien,
fase. X, I del voi. III. Strassburg, X;378.
* "^eW Hotel de France, dove non bazzicano altro che forestieri, e
dove il chiaro romanista volle accertarsi di alcuni suoni dalla bocca
di persone di studio, tra le quaU lo scrittore di queste i)agine.
AVVERTENZA Zni
fece dono delle tradizioni che avea messe insieme: altre
Inedite per la Sicilia, — e son quelle che vedono qui la
luce, — altre varianti, che io metterò quandochcssia a
profitto. Le otto di Ghiaramonte e di Modica mi son
venate dalla gentilezza del Barone Seralino A. 6ua-
stella, sempre sollecito nel favorire le mio ricerche di
cose popolali; le sette di Frizzi dagli egregi giovani si-
gnori Salvatore Tortorici e Tommaso Mercadante-Car-
rara; le tre di Milazzo dall'avv. Pasquale Prestambur-
go; quelle dì Boi^etto dal Salomone-Marino, quelle dì
Nossoria e Nicosia dal sig. Mariano La Via-BonoUi. I
nomi di questi gentili cooperatori si leggono alta fine
di ciascun racconto.
Farmi superfluo l'avvertire che i miei narratori e nar-
ratrici sono " vei^ini d'istruzione ,,per servirmi d'una
frase del Montaigne; e non v'è luogo a dubitare né della
jmjremenza, né della forma schiettamente popolare
delle loro novelle. Alcune novellatricì, come la Fran-
cesca Amato e la Messia, l'una e l'altra morte di re-
cente, e la Rosa Brusca cieca, non riusciranno ignote ai
lettori della precedente raccolta.
Mi astengo da qualunque accenno sul valore delle
norellìne in generale, perchè nessuno oramai lo disco-
nosce. Io stesso, dopo quello che ne scrissi nel 1875 ,
e ne occupava testé nel mio volume di Novelle po-
; polari toscane, dove le ultime teorie dei più illustri mi-
; ioixygie delle principali scuole sono modestamente espo-
Palermo, 19 Mano 1888.
Giuseppe Pitrè,
FIABE E LEGGENDE
SPIEGAZIONE DI ALCUNE VOCI DI DIFFERENTE SIGNIFICATO NEL PRESENTE T3LUMS
A, a; *a la; d, alla.
DdUy quello; ddu\ due.
Ca , che (pron. e congiuri.) ; ca,
perchè, poiché.
Cd, gli, ne, le, lo, li, loro, a lui,
vi, noi, ce.
Cu, ccu, con; cu" chi, a chi.
Fora, fuori; fóra,fórra, sarebbe,
fosse.
Ha, ha, è; ha\ hai, sei.
He, ho; e, ai, agli, alle.
'J, i, li, le; i' io.
Jè (Pietraperzia), è; (Roccapalum-
ba) io.
Jfa, ma; ma\ mai; ma', madre.
Me, mio, mia; ìne\ miei, mie.
*N, in, un, uno; (Ragusa e S. Lu-
cia), non; 'n' una.
*Na, *nna, una; nna^ in, da.
iVnt, da, in ; ed è anche riempi-
tivo.
6 al; in Ragusa: d^ó, del; o, o,
ossia.
Pò, può; pò* p!)i, puoi; |M)* poi.
Siddu, se; s'iddu, se egli.
Si, se; 5Ì, si; 5i' sei (verbo); sei,
sei (numero).
So, suo, sua; 5o\ suoi, sue.
Sta, questa; 5^0, sta (verbo); sta*
stai; *stà, estate.
Su\ io sono, essi sono; su^ se.
Tò, tuo, tua; to\ tuoi, tue.
C7n, un, uno; *un, non.
Fa, va (verbo), via, su via; va*
vai, va.
Vó' vuoi; i?ò*, vuole; voi, bue.
Foto , volta (nome) ; vJta , volta
(verbo).
SERIE P^RTMj^
[.
La Rigginedda chi s'avia a maritari. '
'Na vota cc'era 'na %gliia di Re : sta figgliia di Re,
essennu a l'età di nuiritàrisi, so patri cci vulia dari un
iìgghiu di re, ma idda \m si valìa iiiarìtari si prima 'uu
cci java imu c/un 'nnimiim dificiirtusu, e idda 'un l'ad-
diminava: e allura .si maritava, o si pigghiava a chiddu
chi cci avia purtatu stu 'uniiniim, e si hi pigghiava di
quahmqui cetu fnssi *.
Lu patri siiitennu la viilìiiità di so flgghia misi Tav-
visu: *• Ckii porta toi 'unì mìni' (JlficKrf/fsu a me fifjfjhia,
li idda 'un lu sapi tiddunliufrl, Iddu surra .so inaritu '^ „,
A st' avvisu cinisidirati (jiianlii j^onti cimcturreru a
purtàricci iinimhii! ma la JilL'iriuiaMa " qiiaìitu coi nni
' Inteiuli che In i)riiu"ijK:ss.i v«*al..' ììvi'vMh.; sposato colui <li cui non-
avre!»l)c saputo scioLrIiorc riiuìoviucllo.
* Cu* jtort'f. e<;«'. Chi porta (proijouc; uu iiidovinoUo diUìcile (a scio-
iilùm) a mia liirlia , <■<! (Ola noi saprà iiidovinai-c (sciogliere), sarà
marito di lei.
'• lti{f'fuì('ild'i , in -raii parte della prov. di raN-riiio, UiggltìOtta
2 FIABE E LEGGENDE
purtàvanu, tanti nn* acldiiiiinava. Sta nutizia si sparsi
pi li paisi, e va a rarifchia d'un viddanu. Stu viddanu
si misi 'il testa di jirir:fri iddn, cu la *utinzioni, ca ar-
rivanini uni la fila rlj lu Ha , a la ll^^^hia cci avia a
fari addiniinari tuttu ciiiddu chi cci succidia strata
5trata principianuu di la so partenza 'nsina a Tarrivu.
Partennu si purtò cu iddu lu pani , ca si chiamava
Fitta^ e lu cani, ca si chiamava Masi, e uni furmò lu
primu 'nniminu: Mi partivi ^ di lu rasa ch Pitta e Masi.
Lu pani chi s'avia purtiilu era mila bonu e mità 'mmi-
linatU. Passannu 'napocu di jorna di Cciminu, lu pani
bonu cci vinni a mancari, e perciò cci parsi giustu di
dàricci un pizzuddu di pani 'mmilinatu ò cahi; lu cani
subbitu muriu. Secunnu 'nniminu: Pitta ammazza a
Masi, Facennu 'n'atra pocu di camiim fu assartatu di
setti latri; sti latri lu vulianu spug{<hiari cridènnusi ca
avia dinari, ma iddu cci fici canusciri ca 'un avia nenti,
e pi cuntintalli e sarbàrisi la vita cci fìci avvìdiri lu
pani -; e comu li latri eraim morti di fami, vidennu lu
pani s' accurdaru, cu lu pattu ca iddu cci avia a dari
'Aapocu di ddu pani ; e accussì fici. Ma lu viddanu
fàusu penza di giustu di dàricci a li latri tuttu ddu pani
'mmilinatu ; li latri 'un sapennu nenti, si lu pigghiaru,
e si nni jeni cuntanti cuntanti *. Fattu 'napocu di ca-
i) Itif/:/inuzza noi Catanesc, noi Mossimwti ecc., 8igniflca figlia di
re, ])rincipos.sa reale, giovane regina.
1 Mi partii.
' K iMjr contentarli e siilvarsi la vita focAì loro vedere il pane.
' E si uni jeru , e se ne andarono difilato . Cuntanti cuntanti^
prontamente.
U RIGGINEDDA CHI s'aTU A HARITARI 3
minu, lu viddanu si vota pi Tidiri la funzioni chi fa-
clann li latri Li latri jenDUsinni dunn'iddu * sì misiru
a manciari ddu pani, ma comu si lu manciaru mureru
tutti setti 'nt 'òn bottu. Terzu 'nniminu di lu viddanu:
PiUa ammazza a Setttmu.
Vidènnuli 'n terra morti, riturnò uni li latri, pigghìa
lu cohiù paccariatu, e cci leva la scupetta e 'napocu
di carti scritti e stampati. Quartu 'nniminu: Di Settimu
nni piggiavi la cckiìt mìnuri; e si uni iju.
Sicutannu a jiri avanti, vitti 'n aceddu grossu grossu,
e siccomu 'un avia chi manciari, s'appruflttò di la scu-
petta chi cci avia livatu ó latru ; pigghìò e ed sparò;
e l'aceddu cadiu; ma comu lu iju pi pigghiari, allocu di
truvari 'n aceddu grossu comu avia vistu, truvò 'n acid-
duzzu nicu nìcu. Quintu 'imiminu : Spara a cu" vitti <
'tizerta a cui nun vitti. Nicu com'era, lu spimiò, pigghiò
tutti ddi carti chi cci avia pigghiatu ò latru, l'amistìu
e si lu mancìò. Di ddocu fìci 'n àutru 'nniminu : Man-
tiavi carni cotta cu palori,
Eccu ca stu viddanu si misi 'n caminu arreri ; ca-
minu facennu, cci capita un ciumi, e nun putennu fà-
rinni di menu di passailu, cci parsi di giustu di liva-
risi li scarpi, li quatetti, li causi, s'aìsa la cammisa, lu
cileccu, lu cilìccuni , e accusa lu passò. Dì ddocu nni
fici 'n àutru 'nniminu : Passavi un dumi né nudu né
vistutu; (e su' sei, mi pari) '.
1 I ladri an<I&ndoscne (allontanandosi) da lui.
' E son sei, ini pare (gl'indovinelli che il villano avea formati du-
rante il viaggio).
Queste parole in parentesi sono del contatore, che vuote assicu-
rarli (Iella esattezza del numero degl'indovinelli.
"matmmmmt
4 FIABE E LEGGENDE
Arrivannu vicinu la cita di lu Re ch'avia sta flgghia,
'ncontra un recchiu crèpitu \ chi paria un mortu ni-
sciutu di la nnicchia ^ ca a guardallu facia scantari; e
'n coddu purtava un* picciuttunazzu quantu 'na ban-
nera ^, ca facia maravigghia a guardallu. Dici : " Chistu
è 'n àutru : Vitti lu mortu, chi purtava lu vivu.
AlPurtimu arriva a la cita, si prisenta a lu Re e cci
dici:—" Maistà, staju vinennu di tanta via luntanu, pic-
chi haju 'ntisu ca So Maistà misi 'n avvisu: ca cu' cci
porta un 'nniminu a So figghia, e idda 'un lu sapi ad-
diminari, cci la duna pi mugghieri. Ora io vogghiu es-
siri prisintatu a So figghia pi vìdiri si m' addimina li
'nnimini chi cci portù io, e si nun l'addimina, So Maistà
mi rhavi a dari pi mugghieri. ^ Lu Re, a tinuri Tav-
visu, 'un si potti tirari 'nnarreri *, e perciò cci fici pas-
sari la 'mmasciata a so figghia. Idda lu fici tràsiri, e
vidennu a stu viddanu cci dici: — ** Chi vuliti ? „ Iddu
cci arrispunni: — * Io vinni a purtari un 'nniminu, giù-
stu Tavvisu chi misi vostru patri; e si nun Taddiminati,
vui aviti a essiri me mugghieri. ^ — " 'Nca parrati ; «
cci dici la Rigginedda.
— •* Mi partivi di la casa cu PiUa e Masi.
Pitia ammazza a Masi.
Pitta ammazza a Settimu.
^ Crèpitu, per dicrepitu, decrepito.
* Che parca un morto uscito dalla nicchia (uscito di sepoltura).
» K *n coddu, e in collo (addosso) portava un giovanone (alto)
quanto una bandiera.
Qui vuoisi anche intendere che quel giovane era pur robusto.
♦ Il re, a tenore dell'avviso, (stando al bando) non si potè tirare in-
il>«tro.
La RICQINEDDA CHI S A7U A HARITARI 5
Di Sèttimu nni pigghiavi la ccbiù minuri..
Spara a cu' vitti,
E 'nzerta a cu' nun vRlt.
Mancìavi carni eotta cu palorì.
Passavi un cium! né nudu né vistutu.
Vitti lu mortu, chi purtava lu vivu ,.
La Rig^nedda a stu 'nniminu stonau , e 'un sappi
«hi rispunniri, Quannu vitti ca propria propria 'un nni
sburdia nudda ', cci dumannò ottu jorna di tempu dàn-
nucci a lu viddanu alloggiu e manàari franm. Lu vid-
danu cci l'accurdò; idda p' 'un si scurdarì li palori di
lu 'nniminu, pigghiò carta, pinna e calamaru e si li
scriviu. Ma cu tuttu lu so studiari, all' ottu jorna 'un
nni potti capiri 'na mmaliditta, e s'appi a dari pi vinta.
Lu Re cci dissi altura : — " Fibbia mia, giacchi 'un hai
pututu addiminari lu 'nniminu, 'un pò jiri la me pa-
lora e la tua nn'arreri. Pigghiati a ss'omu pi maritu, ,
La fì^hia vulia fari sturtUli ', ma 'un appi chi fari, ed
appi a catari la testa. Accusai pigghiaru li pòlisì a
bannu *, e 'n terapu ottu jorna si marìtaru; lu viddanu
addivintò jènnaru di Re e
Tutti fOru fUici e contenti,
E nuàtrì semu ccà senza nenti.
Palermo *,
< Quannu uitti ecc. Quando vide ohe proprio proprio noD riiuciva.
a trovare il aotao degli indovina.
■ Volea BOflaticare, cavillare, trovar pretetti e ragioni BtraDe.
' Palisi a bannu, polizze di bando, sono ì prodanii che ii (ìinno
al inuDÌcipio poi matrimonio civile. V. i miei U»i, v. Il, p. 51.
' Raccontata da Giovanni Krrone, calzolaio del rione del Borgo in
Palermo.
6 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCOxNTRl
La Caooiaturi.
Un caeciaturi parlfu di la casa pri jiri a caccia cu Pitta,
eh'era 'na pupa di pani, 'ntra la sacchetta, e cu Masa, ch'era
la cani Lu pani era 'nvihnatu : si lu manciau la cani e nni
muriu. La cani morta si la manciaru cincu corva, e mòrsiru
tutti. Setti latri chi caminavanu 'n campagna, e murevanu di
la fami, vittiru ddi corva, Tarrusteru e si li manciaru. Siccomu
eranu 'nvilinati, sti latri mòrsiru puru.
Lu caeciaturi sparau ad una gurpi e 'nzirtau un oceddu chi
si truvau a passari. E siccomu era mortu di fami, prìcchì la
cani cci manciau la pupa, trasfu 'ntra 'na chiesa 'n campagna
e pri la siti si vippì Tacqua di 'ntra la lampa *. Poi capita un
missali, lu strazza, e cu li vampi di dda carta arrustfu Toceddu
e si lu manciau.
Niscennu di la chiesa s'addunau chi 'na guttera chi stizziava
davanti la porta avia pirciatu 'na petra *. E, caminannu cami-
nannu , vitti ca 'napocu di furmìculi si carriavanu un arvulu
a pizzuddu a pizzuddu. Allura lu caeciaturi nni furmò stu 'nni-
minu:
Mi partivu ' di la casa,
Ed avia a Pitta e Masa.
^ Notisi Taso di molte chiese di riempire le lampade in parte d
aoqua e di aggiungervi da ultimo queir olio che basti per un dato
numero di ore.
* Usoendo dalla chiesa (il cacciatore) s'accorse che mia goccio
(guttera, guttena, guttara, guttana, latinamente ffutta\ che stilk
«ul davanti della porta, avea cavato (jpirciatu, dal francese per
una pietra.
» Mi partivu, mi partii.
LA RIGGINEDDA CHI S'AVU A HARITARl
Pitta ammazza a Masa.
Cincu ammazza a aetU.
Tiravu a cu" vitti,
E! picavu a cui nun vitti.
Ifandavu ' carni cotta cu paroli.
Vippi acqoa né lU 'a oelu uè di 'n twra.
Vitti lu moddu pirdari lu diiru.
Vitti lu nicu purtarl lu gramii. fpritiij
In un'altra variaate non si tratterebbe di pane (Pinta), ma
dì altra cosa da mangiare; i ladri sarebbero stati venti e non
sette; lo schioppo si chiama mirma. Una lepre uccisa sarebbe-
Btata gravida, ed il cacciatore ne avrebbe arrostito e mangiato
i feti; la carogna sarebbe stata di cavallo, beccata da uccelli^
però l'indovinello sarebbe questo :
Nésciu cu Pinta e Maaa.
I^Dta ammazza & Masa.
Pinta ammazza a vìaU.
Sparu a cu' v^u
E 'nzertu a cu' nun viju.
Afanciu carni nata ctk' 'un è nata.
Viju lu raortu chi tira lu vivu.
Viju lu moddu chi pèrda lu duru. flSonrealeJ
Una variante della Basilicata ne ha il CoHPARErri nelle No^
véUine popolari itatiane, n. XXVl, col titolo: Fortuna; una to-
scana il De Gubebnatis, Novelline di S. Stefano, num. XXIV;
L'indovinello e gli animali riconoscenti; un'altra di Montale il
NERUca, Sessanta Novelle montalesi , n. XEX: /{ figliuolo del
Mercante di Milano; un'altra di Pratovecchio (Toscana) io nelle
mie Novelle pop. tose. n. XVI : Soldatino; una eorsa I'Ortou,
Contea populaires de l'Ue de Corse, parte I, n. XVTll : La bète
à sept tètes; una abruzzese Ìl De Nino, Novelle pop. abruzz.,
n, XXXIII; ArvUcheme lu latine; una bolognese la Cobohedi-
' Tiravu, tirai; picavu, colpii; manciavu, mangiai.
8 FIABE E LEGGENDE
Berti. Xor. pop. holor/npi^i 2* odiz., n. XV: La fola d' i hidomi.
Il Bernoni, Indovinelli pop. veneziani, n. 62, racconta : * Un
cazziator che, tirando a dei oselet, al gà invece copà 'na pie-
gora che la giera gravia, el diseva ste parole qua, magnando l'a-
gnelin che la piegora portava, cusinà a forza de carta scrita:
Trago a chi vedo,
E colpisse chi non credo;
Magno carne creata e non nata,
E a forza de parole cucinata ».
Nel libretto: // Laberinto intrigato, ossia lo spassa pensiero
de' malinconici^ dove si udiranno diversi indovinelli ed enigmi
onesti e curiosi dati alla luce da me Giuseppe Sambo detto Ar-
lecchino, dedicato a chi spende in comprarli (Bassano) p. 8, si
legge: ** Un cacciatore avendo tirato ad un cervo, colpì una scrofa
selvatica, gravida, e sventratala, mangiò il porcello che portava,
e per mancanza di fuoco la finì di cuocere con carta scritta :
Tirai a chi vidi,
Colsi chi non vidi.
Mangiai carne creata
Che ancor non ora nata;
E finita di cuocer con parole ».
L'indovinello montalese è questo:
Pizzio ammazzò Bello
E Bello salvò me;
Molle passò Duro
E morto porta me.
Il toscano di Pratovecchio :
Stiaccia ammazzò Paola.
Il morvido consuma il sodo
Tirai a chi viddi.
Chiappai chi non viddi.
Mangiai carne creata e non nata,
Cotta a fumo di parole.
IL
Ln latra.
Cc'era 'na vota un Re e 'na Riggina ; stu Re e sta
Riggina avianu tri fìgghì fìmmini : una ai chiamaTa
Rosa, una Mariannina e 'n'àutra Pìppina.
Un jornu lu Re chiama a Pìppina e cci dici: — " Pìp-
pina, cercami la testa. , La Pippina s' assetta a l' uc-
chìddu dì lu suH e cci metti a circari la testa a so pa-
tri ', Gircannu circannu, eccu ca cci attrova (parrannu
cu rispettu) un pidocchiu. Lu pi^hia e si metti p'am-
mazzallu; ma so patri 'un vosi, e si lu fìci pusarì su-
pra la chianta di la manu ", e lu misi a cuntimplari.
Cci parsi curiusu , e chi pensa di fari? lusarva 'nta
'na gran bumia ' dì grassu pi fallu 'ngrassarì e vidìri
quantu addìvintava.
Stu pidocchiu 'nta sta bumia mahciava e 'ngrussava,
manciaTa e 'ngmssava, e nuddu nni sapia nenti, pirchi
lu Re 'un l'avia dlttu a nuddu , e si 1' aria scurdatu.
Passatu 'napocu d'anni, lu Re, trasennu 'nta 'na càm-
mara di lu palazzu, s'adduna di sta burnìa. " Oh ! dici,
comu mi lu scurdai!... Quantu viju chi si nni fici , *.
' La Peppina ai eiede all'occliietlo del sole (in luogo dove era un
bel raggio di sole) e si mette a ftugare pel capo del padre (per ve-
dere se avesse qualche insetto).
' Sulla palma della mano.
' Bumia, bocciono, vaso a cor^io.
■ Oli! dice, coma me ne dimenticaU Voglio un po' vedere dia «a
ne fece (che ne avvenne del pidocchio).
10 FIABE E LEGGENDE
Ha scummigghiatu la bumia e vidi un pidocchiu grossu,
grossu , ma accussi grossa ca 'un si nn' hannu vistu
mai. Maravigghiatu, fa pigghiari stu pidocchiu, e lu fa
scurciari, e la peddi la fa appizzari davanti lu purtuni
di lu palazzu; jetta un bannu : ** Cu' addimina chi peddi
è chista, 8Ì pigghia pi mugghieri a la Rigginedda, „
Li genti jàvanu a litania ^ a vidiri sta peddi , ma
nuddu appi Tabbilità d'addiminarì chi peddi era chista.
(Si lu putevanu figurari mai un pidocchiu di sta sorti
di manera!).
Va chistu , va chiddu , guardanu , osservanu, fannu
passari la 'mmasciata a lu Re, ma comu lu Re vidia
ea sgarravanu, cci facia tagghiari la testa, senza pietà.
Puvireddi, cci avianu appizzatu la vita 'napocu di giù-
vini '.
Un jomu si prisenta a palazzu un giuvini , vistutu
galanti, ca pareva un cavaleri. Stu giuvini purtava di
supra 'na testa di magàra, ca cci faceva addiminai'i
tutti cosi : e iddu era un latruni di passu '. Gei fa pas-
sari la 'mmasciata a lu Re e trasi. Comu fu a la pri-
senza di lu Re, senza tanti chiacchiari cci spiega ca
chidda era peddi di pidocchiu. Lu Re *un appi chi cci
rispunniri: cci detti pi mugghieri la figghia granni,
Rosa \ Cuntintuna, la Rigginedda si licenzia di so
^ Li genti, le genti (il popolo, le persone tutte) andavano in frotta.
• Poveretti, molti C^fpocii) giovani ci aveano perduto la vita (per
voler indovinare che pelle fosse quella).
' Un IcUruni di passu, un gran ladrone, stradaiuolo.
* Oli diede per moglie la figliuola maggiore, Rosa.
Si noti che il complemento oggetto di persona dei verbi transitivi è
preceduto dal segno del dativo, come fVi avvertito a p. CCXXVI, § 3 de)
voi. I delle mie Fiabe siciliane.
lU LATRU 11
patri, di li so' sora e parti cu so maritu. Camina, ca-
mina, arrivanu 'nta 'na campagna sulitarìa, unni cc'era
un palazzuni spavintusu \ 'Nta stu palazzu 'un si vidìa
a nuddu, 'un si sintia mancu 'na musca; ma fratantu
si tnivava la tavula cunzata, li piatta chi jàvanu e vì-
nianu suli. Lu cavaleri nesci la testa, la 3Ìtùa 'nta la
so càramara, e cci dici a la mugghìeri : — " Rosa, io 'un
sugnu un cavaleri; io sugnu un ìatru, e ora he pàrtirì
pi li fatti mei. Bada a sapìriti rigulari ,. Parti, e lassa
sula a sta povira picciotta. Sula , eh' avia di fari t sì
'nchiuj 'nta la so càmmara e si metti a chìanciri la
so mala sorti. Passati tri joma, veni so maritu; dritta
tiratu va nni la testa di ma^àra, e idda cci cunta pani
pani , vinu vinu, zoccu avia dittu so mu^hieri *. Lu
latru tira 'na sciabbula e cci ta^hia la testa, e la jetta
'nt'òn cammarinu, unni ce' eranu cintìnara di testi dì
tant' àutri lìiiimini chi s' avia pigghiatù pi mugghìeri;
e finiu.
Ddoppu 'napocu di jorna parti e va nni lu Re so
so^iru : — " Maistà, Rosa è pigghìata di malancunìa,
cà si vidi sula; vurrissì a una di li so' som *. , Lu Re ha
chiamatu a Mariannina e cci l'ha datu.
Camina, camina, arrivanu 'nta dda campagna suli-
taria , e tràsinu 'nta lu palazzu. Lu latru , comu trà-
sinu, cci dici : — " Mariannina, io 'un sugnu un cavaleri;
io sugnu un latru; e tò soru ha mortu pirchì 'un si sappi
< Dov'era un palazzo grandissimo (spaointusu).
* Ed essa (la testa) gli racconta per filo e per segno cpiel che aven
detto (nell'assenTa di lui) la moglie.
' Vorrebbe una delle sue sorelle.
12 FIABE E LEGGENDE
rìgulari. Io ora partu ; tu resti 'nta sta càmmara , e
bada a fatti toL „
Povira picciotta, figuràmunni lu spaventu! Si metti
a 'n'agnuni e si metti a chianeiri a chiantu ruttu, pin*
zannu a la so mala sorti; e pi tri joma e tri notti 'un
liei àutru chi chianeiri e lamintàrisi. A li tri joma, ppùF-
fiti lu latru \ Senza mancu salutalla, va nni la testa di
magàra e cei spija zoccu aria fattu la picciotta; e la
testa cci cunta una di tuttu. Senza pipitari, pigghia la
«ciabbula e cci fa satarì la testa a Marìannina, e Par-
ròzzula 'nta lu cammarinu.
Ddoppu 'na picchidda di joma *, torna nni lu Re.
— * Maistà, li picciotti su' cuntenti , ma vurrìssim cu
iddi a so som la nica • ». Lu Re fa chiamari a Pippina,
e cci la duna: e Pippina partiu pi jiri a tmvari a li
soru.
Gamina, camina, arrivanu a lu palazzu di stu latm.
Comu arrivanu, lu latru cci la lu solitu discursu: —
*" Pippina, io 'un sugnu un cavaleri; io sugnu un latm;
e li to' soru su' morti tuttidui , piccU hannu parratu
mali di mia, e 'un s'hannu suputu rigulari. Io ora partu;
tu bada a fatti toi ».
Pippina, a sentiri stu discursu, fici la morti chi s'havi
a fari *■ ; ma 'un pipitò. Lu latm parti , e Pippina cci
* Ai tre giorni toma iinprowisaiueate il ladro.
* Dopo un pò* di giorni.
* Li piccioli ^ le ragazze (le figliuole di V. M.) son contente, ma
vorrebbero la loro sorella minore.
*.Fiei la morti ecc. Intendi che la Peppina, a sentire quella di-
chiarazione, fU per provare la morte che tutti dobbiamo avere.
LU latri; 13
misi a fari tanti mtllàfìi ' a la testa di maicàra; quaiiiiu
cci par^I ad idda, va a 'dduma 'na eareàra di focu, af-
Terra la testa, la j'elta 'iita ddn focii o l'abbracia. Orimi
sì cmisumù la tfsta, miii-iti, niiui .-i triivava, in lafru.
-Siibbitu gl'api Ih cainniai'iuii, pì;.f^fliia un viLsittiiiii l'iiii
niigucntu chi ce' era ddà dintra, unta li tfsti fli li "-i'
som, poi li ter-ti di tutti 1 aiitri, n cniau li java iintanini,
jàvaiiu arrivisd-'iiini. Sì pì^Iji.-|[iii li jrran dinari ciii c'''-
ranu ammassati 'nta 'na càmniara di in palazzi] <• tur-
ìianu niii so patri. l,n patri asi';ntiri li (filai tli'aviaiiri
passata li fìj,'iili! si mr-^i a cliiariTÌri ': -ii ral^braxKiVii e
rasava aamìi puliiisi saiiziari liiai.
I/Mi ari;
sUni lì!i<'i
;:iiiili.-i;lr.
j li 'l'-tlli.
VAIil.WII K ({l-jf:0.\TIfI
Cfr. pi.'t^.iii. !:!,■ <-.,\ iì -;-;■ .-r.r:i. .m,Yk. ■'.-.■ ■' ■-■■ -
i\>\ tnill. :! <l.rlU ^;.,i-,n!i \ .'A r,^:,^. -.^ ^ ':■
l'iillo si;in'lr;,ynr, 'j;'::; ..1 rir . -,_ -- -■
1h;I1ìi. N'iliior.., ;., ■■ . ■ .-:„.'"■ -
i;!te -luM'-tU: ivC-z :■....■■. . :.-.■■- ~-^
: \<-iv
' .l/(7W/ti ,, „„■■-.
l'bUKU S. 'A;ii
14 FIABE fi LEGGENDE
WéUschtirol dello Schneller : Die Frau dea Teufels, ecc., con
una novella del Doni, che parla anche del capriccio d* un re
di volere sposare la propria figlia a chi indovinerebbe che
pelle fosse quella delP enorme pidocchio da lui fatta mettere
in mostra ; con Mammaduco del De Gubeiixatis, Novelline,
n. XXVIU, ecc.
Per qualche circostanza secondaria vedi Lu apunzaliziu di
^na Riggina c^un latru, n. XXI delle mie Fiabe, Nov, e Race,
(▼. I, p. 191) e le note relative a p. 196, del v. I.
lU.
Li tri cani.
Sì cunta e s'arriccunta un billiasimu cuntu,
E chi ' non sàccìu raccuntATJ,
VTatri Signuri m'aviti a scuaarì '.
Gc' era 'na vota un patri, e avia ddu' fìgghi: un mà-
sculu e 'na fimmina. Stu màiculu ija criscennu; si miai
grannuzzu *, e comu lu patri avia ddu' pìcureddi, cci
dici a stu fìgghiu: — " Sa' eh' ha' a fari ? portitilli nn' è
ampagni pi falli manciarì ,. *
'N jornu camìna, camina; mentri caminava 'ntra
6n boscu, Titti un hellu giardinuj e ddà ce' era frutti '
fora tempu. Talia, talia; non bidi a nuddu *; trasi 'nt'd
giardinu , 'nchiana 'nta l'arbuh e scuminciòi a man-
' Chi per si, partic. candMonale, se.
' E se noi 80 raccontare, voialtri aignori (che mi state a sentire) mi
dovete auiisaro, (vogliate avorinì per isuusata).
Questa formola è comune a chi racconta novelle ngUUlazzese.
' Si misi, per si fici, del dialetto: divenne grandiceno.
' Portitilli ecc, pòrtatele (mena queste peoareUé) nelle iampagnéS.
per farle mangiare. ' ^
' Notisi la tendenza di questa parlata a sopprimere ìm r ia mezzo
aUe parole O ad assimilarla: pultari per parlari , futti jag frutti, ,
giaddina per giardimi, tunnari per turnari, Juonnu per jiwftm^
$upa per supra, fisca per friseu, sotta per sorta, cettu per certu. •
Ho conservato però questa r, perchè la narratrice il più delle volte la
bceva sentire: ciò che confermala variabilità e la labìliUdij)ToiuiDzia.
• Talia ecc, guarda, guarda; non vede nesauno.
16 FIABE E LEGGENDE
ciari ^ Nni manciòi quanta nni vosi; si jinchi lu pettu
di frutti, e si nni scinnL Toma a casa, senza eh' a so
patri mi * cci dici nienti. Lu 'ndumani fici la stissa cosa:
iju 'nta lu giardinu, si eogghi li frutti, si ijnchi lu pettu
e si nni turnòi a casa. E sta cosa la fìci pi 'na para di
Yoti *.
'N jornu 'n cci bastòi ca manciòi iddu : fici tràsiri
punì li picureddi, (cà ce' era 'na bell'erba frisca). Mi si
trasi, si nni 'nehiana* supra l'arbuli, e mandava, e li
picureddi manciàvunu 'n terra. Cci 'ccumpari 'n bellu
giuvani, 'n giaganti; dici : " A tia, chi fai ddocu assu-
pra ? „ •. Chiddu non appi lu cori di mi cci rispunni *,
cà avia lu tortu. Lu giaganti 'Uonga la manu, e lu pig-
ghia, a Peppi (cà si chiamava Peppi), e lu «cinni *n
terra e cci dici: — ** Vatindi! » e non lu tuccòi, no lu mmi-
scòi *, 'n cci fici nenti. Lu picciottu si misi a ciànciri
comu nisciu di ddà. — ** Chi hai ca cianci ? ' cci diss i
lu giaganti. Veni ccà. Te', ca ti dugnu sti tri cani: unu
si chiama Spezza-ferru , unu Spezza-muntagnl e unu
* Sale sull'albero e incominciò a mangiare. La terza pers. del passato
rimoto ne' verbi della prima coniugazione esce ordinariamente in oi:
scumindòi, cominciò; manciòi^ mangiò; turnòi, tornò; bastài, bastò;
^Utccòi, toccò; chiamòi chiamò; lassai, lasciò; si *nnamuròi, sMnnamo-
rò; appurM, appurò. Vedi le mie Fiabe, v. I, p. OCXVn, § 6.
* Su questo mi nella prov. di Messina vedi Fiabe, v. 1, p. CCX, § 5.
» Per un paio di volte.
* Entrila Baie.
s C9ie foi costassù?
* Cokd (il giovane) non ebbe il cuore di rispondergli.
^ VaHndi, vattene ! e noi toccò, liol percosse.
* CiàncUH per chiànciri, piangere, è di alcune parlate, la catanese,
p. e., la messinese* eoe.
LI TRI CANI 17
Passa-tuttu. Zo chi hai bisogna , dillu a iddi , ed hai
tHttu. ,
Nesd fora arreri Peppi, e si metti a ciàncirì arreri
pinzannu a li picureddi ca avianu arristatu ddà intra:
" E me patri chi dici , ca cci vaju senza pecuri P , e
ciancia. Lu giaganti, cci parsi piatuni \ e lu chiamòi ar-
reri; dici: — "Te' oca sin fiscalettu: chiddu chi ti pò suc-
cèdiri, soni, e vidi chi ti cmnpari. Ma averti: chi tu ha'
a girari lu munnu, sulu, e cu tia 'un ha' a purtari a
nuddu unni vai *. Li cani non l'ha' a 'bbandunari mai:
unni vai tu, hannu a vèniri li cani, „
Peppi si nni va; e si menti a caminari. Gamina, ca-
mina, quannu cci parsi ad iddu, chiama: — " A tia, Spez-
za-femi, a tia, Spezza-muntagni,a tia,Passa-tuttu,purt»-
timi dinari pi tri voti dì quantu vàlinu H picureddi! * ,
Li cani cci spiriem tutti tri ; comu cci apiriscinu, biè-
ninu, ft cci portunu 'na cascittina 'n bucca *, Peppi s' 'a
pigghia e si nni va nni so patri. So patri comu lu vitti
spuntarì, dici: ' E li picureddi unni 1' ha' ? ,. Dici: — 'Mi
li vinnìi e mi dèsinu sti dinari. „ '
Lu patri, cu sti dinari, già era riceu, e penza mi si
'ccatta ' carrozzi, cavalh e tuttu. Lu fl^hiu 'un cci vosi
ristari 'n casa; e vosi pàrtiri : — " Patri, datimi la vostra
■ Al gigante parve pietoso Q.I gigante ebbe pietà di Peppc).
' E con t« non deri portare (condurre) nessuno- ovunque tu vada.
'■ Portatami del denaro Ire volte tanto quanto valgono le peconlle
* I cani ecc. I cani gli iparìrono tutti e tn j appena gli apw^
scono , vengmo fiyièninu^ , e gli portano una scafete (per ano) la
= Me li vendetti, e mi diedero questi danari.
• E pensa di comprarsi.
PiTRÈ. — Fial'C e legende, 8
18 FIABE E LEGGENDE
binidizioni , cà io vogghiu pàrtiri, mi nn' he jiri ,. —
Ma picchi ? Ora ca 'un avemu bisogna, mi parti ?„ ^ —
" Patri, no nni pozzu fari di menu; fici Yutu m' he gi-
rari lu munnu. „ Lu patri cci desi la binidizioni, e flniu.
La soru aliura cci dissi: — * Nói *, non ha' a pàrtirì,
non ti nn' ha' a jiri ; io vogghiu vèniri cu tia. , —
* Nói , io vogghiu caminari sulu. „ — * Si tu non ti
porti a mia, tu non parti. » E lu Peppi, cci parsi pia-
tusa, e si la purtói a so soru •. Gei baciaru la manu
a so patri e parteru.
Camina, camina, arrivunu 'nt' ón boscu e vìttunu
un bellu palazzu; tràsinu, e trovunu tuttu chiddu chi
drcavunu : lettu , manciari , tuttu ; ma non cci stava
nuddu , cà era sulu, stu palazzu. Ddà ce' era la scu-
petta, e Peppi penza mi si nni va iddu a caccia *. La
matina, comu abbrisci, si pigghia la seupetta e si nni
va a caccia, e la soru la lassói intra. La sira turnòi e
purtói ^ U belli oceddi, cunigghia, e di dda caccia man-
ciaru. E accussì si sustinèvunu ogni giornu (cà pò*
manciari non nn' àppiru echini 'nta lu palazzu).
'N jomu, mentri Peppi caminava pi caccia, vitti un
mulinu, e ddà ce' era un mulinaru. — * Dicitimi : 'nta
sin palazzu cu' è lu patruni ?„ e cci parrava di lu pa-
^ Ma perchè ? Adesso che non abbiamo bisogno, paHi ?
« Nói, no.
* Se tu non ti porti me (se non mi conduci teco), tu non parti (par*
tirai). £ Peppey.parve a lui pietosa (e Peppe, facendogli essa compas*
Alone), e condusse con se la sorella.
* E Peppe pensa d'andarsene a caccia.
5 La sera tornò e portò.
LI TRI ilAXl 19
lazza unni stava iddu cn so som. — *" Di cu' è ? di nuddu
(dici). Un jornu ddocu cci stavunu li fati ^ li fati si nni
jerU; e lu palazzu non è di nuddu. „ — " Ora io havi 'na-
pocu di jorna chi sugnu ddocu, e sugnu sulu, e non haju
vistu a nuddu. „ — " E sulu siti? „ — " Gei haju 'na som. „
— " Gei vogghiu vòniri u vidillu stu palazzu „, dici lu
niulinaru. „ — " 'Nca picchi nói !... quannu vuliti vèniri
vinili. „ E si nni jem 'nzerai.
Lu mulinaru cci va, vidi lu palazzu, ccipiac fu; e taliava
taliava; jamuninni chi taiiannu taliannu lu mulinaru si
'nnamuròi di la som, e idda si 'nnamuròi d' iddu; tutti
dui si 'nnamuram di 'mia parti a 'n' àutra. Si.licin-
ziaru , fim'u. Lu 'ndumani , chiddu chi fici ? appuròì
quannu lu frati 'un ce' era , e cci iju a vìdiri la soru
di Peppi, picchi sapia chi iddu ogni gìornu si nni jia
a caccia. Faceva un jornu lu zitu cu la zita ^: — * Go-
mu facemu a fari mòriri a tò frati ? „ Rispunni idda:
— "Io clii sàcciu!...» Lu umUnaru penza, penza, apuoi
cci dici: — " Varda chi facemu: ora io mi nni yaju a
casa, e ti mannu dui buttigghi. Tu li metti supra la ta-
vula di manciari; ma varda: tu no nni mbìviri, sinnò tu
mori ^. Quannu tò frati voli biviri, tu cci fa' biviri dì
zo chi ce' è 'nta li buttigghi. „
Eccu chi si nni andòi ^ cci purtòi li dui buttigghi , cci
^JDl cu' è? Di chi ò? di im*s*?ujio (tlice). Un giorno costi abitavano
le fate.
* Un j^iorno lo amante (il mugnaio) diceva alTamata.
' Tu (le bottiglie) le metti sul tavolo da mangiare, ma guarda, tu
nou ne Iwre, se no tu muori (guarda di non beme, altrimenti
morrai).
i
20 FIABE E LEGGENDE
li mittiu supra la tavula ; apuoi veni lu frati ; avant?
chi trasi iddu, traseru li cani intra; 'nchianaru supra
la tavula, e jèttunu li buttigghi 'n terra e li rumpunu.
Lu frati si siddia e torna a nèscriri arreri, a caccia. Ve-
ni lu mulinaru nna la soru; dici: — " Chi facisti cu li but-
tigghi? „ — " Chi fici? Havi tri cani chi sunu tri.diavulir
avanti chi trasi iddu, trasinu li cani, 'nchiànunu 'nta la
tavula, e rumpunu li buttigghi ^ Iddu si siddiòi e s' at-
torna a caccia. „ — * Varda chi facemu, cci dissi lu muli-
naru: Ti dugnu 'na buttigghiedda d'acqua; ti unci tutta,
e usci *; veni tò frati, e tu ti finci tutta malata , ti la-
mentf, ca sf 'nta sta casa, ca si* tutta usciata: Mi piirta-
sti 'nta sta casa .'.... E lu manni nni mia pi guacchi sorta
di midicamentu • pi tariti stari bona; iddu veni ddà; io
mi fazzu lassari li cani, e cci dugnu 'na certa acqua
ca a tia non ti pò fari mali. Tu ti lavi,' e finta chi tu
stai bona. Comu toma, e ti vidi bona, tu cci dici: —
* Sai ! io stesi bona; ora cummeni mi cci jemu nn' 6
mulinaru, mi cci facemu ringraziu „. * E si nni andòi.
Veni lu frati, e sì fa truvari tutta usciata idda; dici:
— * Mi purtasli ccà intra 'nta sta casa ùmita; vidi: u-
^ Chi fici t Che cbea feci io ? (risponde la sorella di Peppe al mu-
gnaio suo fidanzato. Egli, mio fratello) ha tre cani che sono tre dia-
voli : prima che entri lui, entrano i cani, salgono sul tavolo, e rom-
pono le bottiglie.
* Ti unci, ti ungi tutta« e gonfi (gonfierai). Usci, gonfi, da tisciari
gonfiare.
> E lo mandi da me per qu|lche sorta di medicamento (per una
medicina.
« Sai ! io sono guarita: adesso conviene (è giusto) che si vada dal
jnugnaio e gli facciamo ringraziamento.
U TRI CANI 21
sciai tutta. Vacci unni tu mulinarli, si havi guacchi mi-
dicatuentu; forsi pozzu stari bona., — ' Ora cci vaju. ,
Si nni va Peppì, va nna lu mulinarli: — " Pò essiri aviti
quacchi midicamentu... Me som è usciata tutta; cci pu-
temu dari quacchi riparu?,.., — " Sì, 1' haju;ma cu pattu
mi ha' a dari li cani, (cà iddu prima cci dicia di vui, e
poi coi dicia di tu, picchi avianu trasutu 'n cuntidenza),
— " Cani, nenti ! , cci dissi Peppi.— " E tò soni pò mò-
riri quannu voli, cà io non cci dugnu nenti. , — " 'Nca
allura, cci dissi Peppi, ti nni dugnu unitta , \ — " Mai *,
mi r ha' a dari lutti tri. , — " Mai ! non pò dessiri. ,
— ' Àllura ti nni di^^u duittl '. , — ' Mai ! tutti tri mi
i' ha' a dari; chi * mi li duni tutti tri, mi ti dugnu lu mi-
dicamentu. , Peppi, tuttu custrittu, dici: — "Ha a mò-
riri me som ■* ? ti li dugnu tutti tri li cani , : e cci li
desi. Lu mulinaru pìgghiòi, e cci desi lu midicamentu.
La som, mentri lu frati era nni lu mulinaru, si lavòi,
e stesi bona *. Apuoi 'rriva lu frati e cci poria lu midi-
camentu; idda fìnta chi si lu p^ghia, e finta mi sta bona,
— " Ora, dici idda, nni cummeni mi cci facemu lu rin-
grazia ó mulinaru, mi stesi bona '. ,— ' Sì, jèmucci ,,
lu frati cci rispunnL Cci jeru e cci fìciru lu ringrazio.
> UniUa, uà solo (dti cani).
* Mai, ia mdliano è aw. di negazione, e vale no.
' Duitti, due.
* Chi, por «, se. Vedi la nota 1. di C|uerts novella a p. 1.
' Ha s (Devo io laadar) morire mia sorella (per il terzo cane)f
* Si lacòi, ai lavò e guari.
' Adeaao, dice tei, è giusto che si l'ingrazii il mugnaio d'asiermi i»
guarita (d'avermi egli guarita).
22 FIABE K LK<;<i'KNDE
a lu mulinaru. Gei rispunniii In fuulinaru : — ** Ebbira,
obbiva! Ora chi siti ccà, vi inostru lu me palazzu. „ —
** Sì, haju placiri di vidìrilu ., rei dici Peppi. 'Nchiànunu
'ntra lu palazzu , e lu mulinaru cci mostra càmmiri
billissimi: — * Vi piaci ? ^ - - Sì, facia P«ppi, belli as-
sai ! „ Ddoppu chi cci mustròi tutti li càmmiri, cci mu-
stròi l'urtima, e ddà intra ce' erunu tutti sorti di V ar-
mi \ scupetti, pistoli , pugnali , cutedda , lanzi. — "" Vi
piacinu ? „ — * Sì, assai; e poi 'nta stu palazzu st'armi
Taviti di bisognu. „ Votasi lu mulinaru: — " Ora chi ti
piacinu, m' ha' a diri di quali vói essiri 'mmazzatu. ,
Peppi stuiìòi.— ''Ma picchi ? dici: chi mah haju fattu chi
m' aviti a 'mmazzari ? „ - - ** Senza tanti chiacchiri mf
lia* a diri di quali armi vò' es:siri 'mmazzatu. ,, Iddu li
vardòi tutti, e mi vitti 'na scnpetta ruggiata *. . — "Di
cliidda, dici, ma ó pattu chi ini l'aviti a pulizzari tutta. „
— "Sì, 'nca picchi no ! „ — e la soru a la spadda d' 'u
mulinai'u. Si pigghia la scupetta e si mi scinni jusu lu
mulinaru cu la soru, e lu poviru Peppi ristòi chiusu
nni dda càmmira di Tarmi , e si mittia a ciànciri pin-
^annu a stu tradimentu di stu mulinaru. Pinzòi : *'Ep-
puru lu giaganti mi desi stu fiscalettu (chi V avia 'nta
lu birzottu d' 'u gileccu) '. lo a chiddu chi mi succedi
r haju a fiscari; mortu pi mortu, ora lu sonu. „ Sona lu
* Tutti sorliy ogni sorta di armi.
• Egli, Poppe, lo guardò tutte (qi ielle ai*mi) e vide uno schioppo
tutto arrugginito.
• *Nta lu birzottu^ nella taschettina del panciotto.
* Io, a quel che mi succede (arciidu quel che vuole accadere) l'ha
a sonare; morto per morto, adesco Io suonoV
U TRI CANI 23
fiscalettu e cci cumparinu li tri cani: — ' 0 canuzzi mei,
viàtri mi ariti a dari ajutu! , 'Nta stu mentri 'nchiana ^
lu mulìnaru cu la scupetta , e la som la lassa jusu .
* S' appuntu ? * B cci dissi lu mulinarli. — ' Fermiti t
cci dissi Peppi. A tia, Spezza-ferru, a tia, Spezsa-munta-
gni, a tia, Passa-tuttu, sbramativillu ! ' , e spùntinu stì.
tri cani arraggiati e si mancianu lu mulinaru.
Peppi pif^hia e bÌ nni scimi jusu. Comu arriva jusu, .
cci dici la som: — ' Lu 'mmazzastiP ,^" Sì, lu 'mmaz-
zsài e ora ti 'nmiazzu pum a tia, ca stavi facennu 'ramaz-
zari a mia ! , e 'ramazaòi a so som; e si nni va.
Camina , camina, arriva 'nta 'na cita ; a ce' era uà
bellu palazzu tuttu ginatu di niru; 'ncontra tanti genti
e cci spija a unu :— " Picchi stu palazzu tuttu gìrìatu
di nini ? „ — "Picchi, quantu genti tràsinu 'nta etu pa-
lazzu, tutti 'bbriseinu morti. , — 'Ma ijnd' è lu patmni
di stu palazzu ? , — ' Figghiu, megghiu no mi duman-
nati; lu megghiu cuns^ghtu chi vi pozzu dari è chi vi
nni jiti, picchi chi trasiti ddocu intra, non niiciti cchiù *. ,
— ' Non vi nni 'ncarricati: mustratimi lu patmni undr
stài *. , Gei mostrano lu patmni; Peppi cci andòi e cci
dici : — "Mi faciti !u favurì di farimi dormiri *na sira
nni stu vostm palazzu ? , — " Oh ! figghiu , e vui chi
' In questo mentre saliace. Intendi che Peppe lascia abbasso la so-
reUa.
' Sappuntttt per sC apuittutad tu al punto proprio....? sei ti»
pronto (a venire ad un duello con me)!
* Sbramati per granari, eln^mare.
' Perchè se entrate costi dentro, non ne usdrete mai più.
■ Stài, della parlata, per rio, abita.
^ FIABE E LEGGENDE
yulìti mòriri ? £ non i^apiti chi quantu nni tràsinu ^ 'nti
stu palazzu tanti nni mòrinu. Picchi aviti a mòriri a
la strania ? , — "* Ma facitimillu stu favuri, grapitimillu,
a non vi nni 'nearricati „. — * Io, dici, v' 'u pozza ^v-
virtiri, apuoi V aviti a vidiri vui ». Lu purtòi 'nti stu
palazzu, cci fici vidiri tutti li cànuniri, la cucina, tuttu
a pi tuttu. * — * Sapiti chi/ vi dicu ? stanotti tìnitili aperti
. tutti Tapìrturi; accussì si vi succedi cosa, vi nni nisciti,
'mmenu. „ — " Bonu ! * m' aviti a fari 'n piaciri: m' aviti
a purtari 'n pocu di pasta, 'n pocu di carni, pani, e
un mazzittinu di sucarri * ,. — *• Tuttu chiddu chi vuliti
aviti ccà; pi chissu non manca. „ Si|nni va à casa, lu
patruni, e cci manna sti cosi cu la fimmina ^ La firn-
mina si scantava mi trasia ddà intra; cci purghi dì fora
sti cosi, e si nni iju \
Chiddu si chiusi tutti cosi, e lì cani cu iddu , chi lì
cani 'n li muddava; ferma e si mentì a spassìari càm-
miri càmmiri. A 'na cert' ura 'dduma lu focu pi la
spisa ^ si fa la carni, si fa la pasta, si conza la tavula
ben pulita , tutti cosi. Quannu avia la pasta cotta,
3intia un trimurtu, comu si fussi chi tutta la casa si
1 E non sapete che quanti entrano.
• Tuttu, lutto per tutto.
« * Mmenu, almeno. Jìonul va bene.
• Un pìccolo mazzo di sigari.
^ Il padrone (del palazzo) se ne va (rientra) in casa, e gli manda
(a Poppe) codeste cose (che egli avea domandato) con la donna di
servizio.
• La fimmina ecc. la donna avea ])aura di entrar là dentro ; gli
porse dal di Aiori queste cose (da mangiare) o se ne andò.
^ Accende il Aioco per far da mangiare.
U TRI CANI 25
avissi sdimipatu '. Quanta senti diri, 'na voci:— " Ah
chi mi jettu !... , Dici : — ' Aspetta un pocu , quanta
scinnu la pasta ,. Non cci lassiòi 'llèstiri la pasta , e
si jittòi UDU ddà davanti d' iddu. Iddu pigghia e lu
'minza cu li pedi cchiù ddavia '-, sì minestra la pasta
e la porta a tavula. Si menti a manciari: li cani di latu *.
'Nta 'na vota senti un trimurtu cchiù forti d' 'u primu
comu si fussì chi la casa si. adìmipava. Iddu però non
si scantava propia, chi avia li cani chi cci davanu ajutu,
e cci cumparì una vistuta di bianeu e si cci piantau da-
vanti la tavula. — ' Bonuuegna! (cci dici iddu). La me
signurina mi voli fari cumpagnia? Oca ce' è spisa! , e
cci 'mmitava * tuttu. £ idda lu vardava soda soda 'ntra
l'occhi senza parrari e senza muvirisì nenti.
A lu capu di 'n'àutr'uia, 'n àutru trimurtu cchiù forti
di li primi, e cci cumpari 'n'àutra vistata di russo, e si
cci menti assittata davanti. Iddu:—" Bommegna! La me
signurina mi voli fari cumpagnia? ccà ce' è spiga!, e
cci 'mmitava tuttu ; e idda lu vardava soda soda 'nta
t'occhi, e cu r àutra vistuta di bianca si cci misiru pi
piantoni davanti e non cci parravunu.
A lu capu di 'n' àutr' ura cci mi fu 'n àutru trimurtu
e cci cimipariu 'n'àutra vistuta di niru. Iddu senza mi
si scanta: — " Bommegna! La me signorina mi voli fari
* Sente un tumulto (un gran ITacasso) come se tutta la c^isa croi*
■ Non gli lasciò allestire la pasta, e un tate si buttò davanti a luL
Egli Io spinge coi piedi più in là (dal focolaio dove coceva la pasta).
* [ cani (gli stavano) daccanto.
' Le offeriva.
26 FIABE E LEGGENDE
cumpagnia ? ccà ce' è spisa... „ e idda In Tardava senza
diri bìzzi *. Tutti tri lu vardavinu 'nta Tocchi, senza mi
coi parravunu. Iddu coi 'mmitava manciari,sucarri, seggi
ini s' assittavanu, ma iddi sempri muti. Stèsinu, stè-
sinu un pezzu, all' urtimu cci dissiru ■: — • Pigghia stu
lumi „. — " Io non pigghiu lumi ; vi lu pigghiati viàtri
e io vi fazzu cumpagnia ». — * T' haju dittu, mi pigglù
stu lumi „. — • V haju dittu vi lu putiti pigghiari: io vi
fazzu cumpagnia „. Iddi, vidennu ccussì, pigghiaru e ccj
'stutaru lu lumi. Iddu, prontu, pigghia li cirina e 'dduma
atoma. E sicutavunu la stessa canzuna: — "T' he dittu
mi pigghi stu lumi ! „ Vittunu ccussi, pigghinu lu lumi
un pizzu Tunu • e caminanu tutti tri. Camina camina,
e cci mustravunu càmmiri chi iddu mancu sapia,
— ** Japri sta pori:a (cci dissiru chiddi) ». — * Va japriti;
mi putiti 'mmazzari, io non vi japru ! „ Pigghiaru e si
la japreru iddi. Sta càmmira era bella ma china di
fuiinii. Jennu avanti ce' era 'n' àutra porta, e ficinu la
stissa cosa; e àppiru a ghiàpriri iddi; chiddu non cci ja-
prìu. 'Ntra lu menzu di la càmmira ce' era 'na balata.
— " Surgi sta balata * !» cci dissiru. — * Io chi surgiu sta
balata ! giustu stu pinzeri haju ! Vi la surgiti vui. » —
^ Ah chi ti 'mmazzu ! » — ** Mi putiti 'mmazzari, io non
^ E idda, e lei lo guaiolava senza parlare afifbtto (senza neanco
fiatare).
• Tutti tri, tutti e tre lo guardavano (fiso) negli occhi, senza par-
largli. E^lì offeriva 1cn>o (da) mangiare, sigari, sedie per sedersi, ma
esse sempre mute. Stettero, stettero un pèzzo; aU^ultimo |fli dissero.
» TJn po' p^*^ ima (di Ioto).
* Surgi, alza questa lastra!
I.I TRI ^'A-Vf 27
vi la sùri^iu ^. Lii puiitani \ iiui itldu non vosi suiyirì
^a balata. Iddi pig<rliiaru, cu In jìditu nicu, o si la sur-
geru iddi. Surgennu, truvaru 'na srnla: scinneru. Jusu
ce' era 'n'àutra bella càmmira, e ddà tri casci. Gomu
tbru davanti sti casci s' abbrazzaru e si baciaru a Peppi.
— " Non ti scantari cchiù; noi semu vivi pir tia; chi nui
eramu 'ncantati pir tia; e si non era pi lu tò curaggiu,
non putevamu nèsciri. Quantu nn* hannu trasutu ccà
intra, tanti nn' hannu murutu. Ccà ce' è tri casci: una
è china di brillanti, una di munita e d' oru, e una di
pezza e ddùdici *; chidda di brillanti èni la tua; chidda
di munita d'oru è di lu patruni d' 'a casa. Iddu fa sdir-
rupari stu palazzu, fa vèniri un parrinu e lu fa bini-
diciri , e poi cei havi a fabbricari 'na matri chesia. E
chista di li pezza é ddùdici sunnu tutti pill'arma di cui
li lassòi *. Ora ti pòi curcari, cà 'un cc'è cchiù scantu.„
Tutta la nuttata Peppi avia scummattutu cu diddi *;
a li matinati non si scantava, ma stava cu dubbiu.
Agghiurnòi; vinni lu patruni d' 'a casa pi scassari la
porta e cei iju cu lu catalettu e li parrini. Comu mi
scassa, si surgi Peppi, e cei va a ghiapri la porta; comu
cei japriu , lu patruni cei dumannòi scusa ca cei avia
jutu cu lu catalettu ; e lu Peppi cei cuntòi tuttu lu pas-
satu. Peppi la càscia sua non la vosi, cei la lassòi a lu
^ Lu puntaru. Io minacciarono, con le armi appuntate su di lui.
* Ufìa, una (delle tre casse) è piena di brillanti, una di monete di
oro, e una. di pezzi da dodici (tari).
Il dodici tari dell'antica moneta siciliana equivale a L. 5, 10 della
moneta attuale.
' E questa dei pezzi da 12 sono per Tanima di chi li lasciò.
* Tutta la notte Peppe avea combattuto (contrastato) con essi.
FIABE £ LEGGENDE
patruni di la casa pi li poviri; e si niii iju. Chiddu cci
vulia darì 'na figghia di, li soi , ma Peppi non la vosi
dicennu ca avia fattu vutu di girari lu munnu. E si
nni iju.
Camina, camina, arriva 'nta 'n àutru'paisi; e senti un
chiantu, ca tutti ciancìvanu. — ** Chi è stu ciànciri ? „
— *" Ce' è un 'nimali, ca ogni giomu s' havi a manciari
^un crìstianu, e sta jurnata cci tocca a la figghia di lu
Re.„ — " Mi lu 'ssignati stu 'nimali und'è? » — ** Oh fig-
ghiu, jitivinni, chi vi mancia puru a vui, cà chistu è lu
puntu di nèsciri iddu ». — * Non vi scantati, cà io lu
vogghiu vìdiri. » Chiddu cci lu 'ssignòi di luntanu cu la
manu.
Peppi pigghiòi e cci iju ddà. Comu 'rriva ddà, cci
era la figghia di lu Re. „ Surgiti ! „ cci dici Peppi. — ** Jiti-
vinni , no ^ vi mancia puru a vui stu 'nimali „ (cci ri-
spunni idda). Iddu cci leva lu velu, e si la fa mèntiri
a la so spadda. Nesci lu 'nimali d' intra lu mari, e
stu *nimali rizzia; dici: — " Ebbiva lu Re ! Mi manna cum-
primenti sta jurnata! pitanza duppia; no bastava la Rig-
ginuzza : macàri li cani, e 'n àutru. Ebbiva! , Rispunni
Peppi: — ** Basta: a tiaj, Spezza-muntagni, a tia, Spezza-
ferru, a tia, Passa-tuttu, sbramativillu ! , E li cani si lu
jeru a sbramari ó 'nimali.
Jemuninni chi lu 'nimali li putia li cani •; iddi si bat-
tianu;.iddi cci scippavunu li testi, e iddu si li *ppizzava
torna. — ** Oh Diu ! avissi un saccu, 'mmenu li pig-
ghiassi e li mintissi 'nt' ó saccu; ccussì iddu non si li
* Andatevene, altrimenti. — No per sinnò^ se no.
* Andiamo che Tanimale) li potea i cani (avea il di sopra).
k«*^^Ma«^^ ^^
u TRI CAm S9
torna a 'ppizza 1 , * E ddocu cci cumparì un sacca; Peppi
comu li cani cci levinu li testi a sta 'nimali li pig^hia
e li menti 'nta lu saccu. Nni sarbói sei; lu 'nimali cci
dumandòi riposa. — " Ti sia cuncessu ! , cci dissi Peppi.
'Nta ddu mentri, cci duna a manciarì è cani ; e ddoppu
riposatu: — ' Avanti ! „ Li cani si batteru 'n àutni pezza
e cci lìvaru la mastra-testa : era la testa grossa. La
{Hgghia e la menti 'nt' 6 saccu iddu; lu corpu iddu stissu
lu 'bbuciòi a mari.
Peppi pi^hia li setti testi e li ddivaca 'n terra; li japriu
tutti setti, e cci scippòi li lingui; pi^hiòi un pezzu di
carta, e si li 'mmugghiòì ddà intra'. — * Siii^tì ora, Rig-
^nuzza, non ti scantari, chi lu 'nimali muriu., — "Ora
a' me maritu ! " cci dissi idda. — " Nói ! io flci vutu di
^rari tuttu 1« munnu ,. — " 'Nca te' ccà, , cci dissi idda.
S leva lu domanti di lu jldìtu, cu lu so nnomu e d^no-
mn, e cci lu menti pi rigórditu ; iddu si leva lu sài, cu lu
so nnomu e ci^nomu, e cci lu menti a idda. — ' Si tu
mi v6ì 'spittari, m' ha' a 'spittari un annu, un misi e
un jomu ,, — " Io mi ti 'spettu quantu vói. Tu ha' a des-
tri me maritu „. Peppi l'accumpagnòì un pezzu di strata
e poi si licinziani.
Jamuninni chi di li facciati ce' era un carbunaru chi
si vìdia a chistu *. Comu Peppi si nni iju, pij^hia li testi,
li menti 'nta lu saccu, e va a 'gghiunci la Rigginuzzaf
— ' Sentì... tu ceì ha' a diri a lu Re chi lu sirpenti lu
* E eofà ceso ^'animale) non te le toma bA EittaDcare (le teste).
• Peppe piglia le sette teste, e le riversa per terra ; le aprì tutte e
•ette e cavò od esse] te lingue; preac un pezzo di carta, e le arvolae.
' Andiamo die li di tonte c'era un carboniùo ohe vedea cootui.
30 FIABE E LEGGENDE
'mmazzai io». — " Mai, chistu non coi lu pozzu diri! ,.
— - ** Nói ?!.. e allura ti' mmazzu a tia „. Iddu scautata
dici: — " 'Nca cci lu dica „; e lu carbunaru la liei giurar
supra la curuna di so papà.
'Rrivaru nni lu Re; lu Re, flguràmunni la gioia, ca cci
avia vinutu la figghia! e subbitu 'ddumaiiiia:— * Cu' lu
'mmazzòi lu 'nimali ? — ** Papà, cliistu „ cci dissi la Rig-
ginuzza; ma 'un cci lu dissi cu tuttu lu cori. So papà
si stava livannu la curuna, e ini cci 'a nienti ad iddu.
— ** Noy papà. Comora non pò dessiri; quannu nni nia-
ritaniu va beni „. — " Ma non v'aviti a maritari ora? »
cci dissi lu Re. — ** Nói; io he fattu vutu di stari un annu,
un misi e un jornu „. — " Ti sia cimcessa ! „ E lu car-
bunaru ristói dintra cu diddi.
Passói r annu, lu misi e lu jornu, s' avvicinòi Pepp*
a lu paisi; si menti 'ntra 'na Incanna 'n facci lu palazzu.
Gei vulia 'n àutri tri gorna mi si maritanu; e tinniru tri
gorna di fistinu e pranzu, mi si marita la iìggliia \ Li
cochi sonanu la campanedda pi la tavula. Spiòi Peppi,
e la Incannerà cci cuntòi tutti cosi. Peppi mandòi 'n
cani: — " A tia, Spezza-ferru, va' pigghia lu piuttu di la
Rigginuzza, e m' 'u porti ccà ! „ Si parti Spezza-ferru e
cci porta lu piattu di la Rigginuzza. A tavula stunaru
di sta cosa; e àppinu a fari lu piattu di novu. Pjsppi,
comu 'ntisi la campanedda, manda arreri un cani: —
**A tia, Spezza-muntagni, pigghimi lu piattu di la Rig-
ginuzza m' 'u porti ccà ! " e Spezza-muntagni cci va a
pigghia lu piattu di la Rigginuzza e cci lu porta a Peppi
* Ci voleano (mancavano) altri tre giorni a spo3ai*ai, e tennero tr«
giorni di festa e pmnzo al maritarsi della figlia.
LI TRI CA.NI 31
Stanati, flcìnu torna la sjMBa, torna a sònanu la cam-
panedda ', e Peppi chiama a l'àutri cani; — "A tia, Pas-
satuttUjVa pi^himi la tavula,e portamilla ccà!, L" cani
Ta ddà, si 'mmutta la tavola ' e s' 'a porta a la lucanna.
Peppi dici a I' àutri cani : —'' Jiti m' ajutati a [Hirtari
la tavula a Pasaa-tuttu ? ' , Lu Re, di li piatti si nni pas-
sòi, ma di la tavola, nói. — 'Cu' si 1' ha pigghiatu la
tavula? , Rispunninu li cammareri: — * Maìstà, ccà vi-
cinu, a la lucanna, dici ca ce' è 'n furasteri cu tri cani,
ed è iddu chi manna a pigghiarì la spisa.
Lu Re cfHua appura sta cosa manna 'na truppa di
surdati nni la Incannerà pi fari vèniri a stu furasteri
cu sti canL Peppi rispunni : — " Gei dieiti a lu Re chi
quannu iddu Tenì di luttu e fàrimi visita a mia, tannu
cci vaju io nn' iddu ,. — " Jiti e 'rristatilu!„ cci dici lu
Re. Jeru li surdati, e Peppi li fici 'mmazzari a tutti., Lu
Re vitti ccus^, e cci iju di luttu a la lucanna, e si cci
mustròi amicu.'Cà si scantava; e lu 'mmitòi a tavula
cu diddu. Peppi si vesti ben pulitu, e si nni va 'n eum-
pagnia cu diddu, e li cani sempri appressu.
Gomu 'rrivòi ddà, la Rig^inuzza lu conusciu.— " Ah!
dici idda, ora cci aemu ! , e iddù si 'ssittòi a la spadda
d'idda. Lu carbunaru 'na cosa ca si gilusìava. Mentri
chi manciavuna, Peppi dici: — " Ora averau a cuntari
un cunlu l'unu a la flnuta,.— ' Si si, tantu piaciri!»
dissiru tutti E lu primu lu cuntòi lu carbunaru, e cel
1 Stunati, storditi, fecero di nuovo il tnangiaro; suona di nuovo il
campanello.
' Si eui« il tavolo addosao.
' Andato ad aiutaro Pasaa-tutto a portar la tavola .
32 FIABE E LEGGENDE
cuntòi tuttu lu passata d' 'u 'nimali, ca V avia 'mmaz-
zatu iddu. Peppi dici: — " Sì sì, e Taviti ssi testi ?„ —
" Sì, r haju sarbati anzi ,.
Pigghiòi sti testi e li ddivacòi supra la tavula * ,. —
** Piaciri! dici Peppi; aviri 'mmazzatu stu 'nimali a setti
testi. — Ma comu! dici poi, senza lingui eninu sti testi ? ,,
(cà cci japriu li vucchi). E lu carbunaru scumincòi a
trimari. — * Forsi no nn' avia lingui „, dici lu carbunaru.
— " Mai, io non cci crìju (dissi Peppi). Non ce' è testi
senza lingui. Non pò dessiri! „
Ddoppu chi virificaru la cosa, Peppi nesci lu fazzu-
letta e cci nesci li lingui. Chisti su' lingui d' 'u 'ni-
mali a , e cci cuntòi la cosa, ca Pavia 'mmazzatu iddu.
La Rigginuzza cci cunfirmòi tutti cosi, e cci mustròi
Taneddu; e Peppi cci mustròi lu sòi.
—"Chi pinitenza cci damu a stu birbanti<^„ dumanna
allura lu Re a Peppi — " Havi a essiri 'mpiciatu 'nta
'na quadara di pici! „ rispunni Peppi; e lu 'mpiciaru;
-e Peppi e la Rigginuzza si maritaru.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
E io senza nenti.
S. Lucia di Mela *.
VARIANTI E RISCONTRI
Gfr. con The magician of the Seven heads di Fucecchio del
De Gubernatis, Zoologicàl Mythology, v. II, p. 36; con I tre
fratelli e coni^ Peseaiore, nn. XVII e XVIII delle Novelline di S.
Stefano del De Gubernatis (per la seconda metà delle novelle);
con Itre cani di Siena nelle mie Novelle popolari toscane, n. IL;
^ Prese (il carbonaio) le teste e le riversò sulla tavola (sulle mense).
* Raccontata da Maria Scoglio di uni 2^, contadina.
LI TRI CANI 33
con Der Konigssohn mit den \drei Hunden di Livorno di
Knust ; con La favtUlétte de le tré ccane di Chieti , n. LIX
delle Tradizioni pop. abruzzesi, v. I : NoveUe'y p. II', del Fina-
hore; con Tavoleone, n. XXXVI delle Fiabe abruzzesi del De
Nino; con lire cani maravigliosiy n. 15 delle Fiabe mantovane
del VisENTiNi; con La bestia delle sete teste, n. X delle Muibe
pop. venez. del Bernoni; con la prima parte del Draehentddtery
n. 8 dei Volksmàrchen aus VenMen di Widter e Wolf; con
la fav. 3 della X delle Tredici piac. Notti dello Straparola ,
ove si tratta di un leone, di un orso e di un lupo invece che
di tre cani; con Die drei Fischersohne dei Màrchen und Sagen
aus Wàlschtirol dello Schneller, n. 28, e in parte con la V.
delle Novelline Albanesi di Sicilia delle mie Fiabe : Di mez-
zomerat fatarm, e con La magay n. I della cit. raccolta toscana.
Questa parte di riscontro è il combattimento e la uccisione dèi
drago a sette teste, il quale dovea divorare la principessa;,
e richiama al mito di Perseo combattente il drago.
Questo stesso motivo, e lo strappamento delle lingue, con
quel che segue , ha riscontri nei 40 e 44 de* SicU. Mdrchen
della Gonzenbach: Von den zwei Briidem e Von dem, der den
Lindwurm mit sieben Kopfen tódtete ; nella Bete à sept tétes
dell' Ortoli, Contea pop. de Vile de Corse, par. I, n. XVIII, prima
metà; nel Serpente a sette teste del De Nino, Fiabe abr. n. LXV;
in Der Sohn Eselin (Al fiUomusso) dello Schneller, n. 39; nel
Drago rosso, p. 289, di G. Gausa, I Racconti delle fate, e nella
nota del Kòhler al num. 40* de' Sicil. Mdrchen. Un combat-
timento per la liberazione della figlia del re destinata a pascolo
del dragone è nel Re Stella d'oro pubblicato da R. La Guar-
dia nel Libro delle Fate (Roma, Ferino, 1887), par. II, n. XI.
In Venezia i cani si chiamano ora Sbrana-fero, Ciapa-tuti,
Questo è il tempo che ti me agiuti (Bernoni), ora Forte, Po-
tente , Ingegnoso (Widter-Wolf) ; in Mantova Corri come
PiTRÈ. — Fiabe e Leggende. 3
34 FIABE E LEGGENDE
U vento, Sbrana-tutti, Rempi-porte-e-catene; in Livorno Rosica''
ferro, Roska-acciaio, Rosica-bronzo; in Siena Ferro, Acciaio.
Più forte di tutti (Pitrè); negli Abruzzi dove Spezza-ferro^
Spezza-acciarOy 11 piò forte di tutti (De Nino);; dove Spezza^
ferro, Spezzacciaro, Il-piu-forzoso-che si trovi nel mondo (Pi-
nahore), ecc. n KòHLER raffronta questa fiaba con altre tede-
sche, albanesi, boeme, tiroliesi, svedesi, danesi, valacche , alle
pp. 132-134 del voi. V1I| del Jahrbuch f. rom. u. engL Lite-
ratur di Lipsia. Aggiungi per la circostanza dei cani che gua-
stano le mense reali la novellina di Sora nel Napoletano edita
dal Kòm.ER stesso [col titolo : Die drei BrOder und die drei
befreiten Konigatochter, nel medesimo Jahrbuch^ Vili, 3, p.241;
e per altre circostanze la Panzanega d* on Re, in dialetto di
Crenna, ed. dall'iMBRiANi (Roma, M.DGGG.LXXVI) , e Sa pa-
rUthoria 'e Daglia-ferru di Bessude, n. VI', del Primo Sag-
gio di novelle pop, sarde del Guarnerio, nell' Archivio détte
trad. pop. V. II, p. 188.
Li dui palumml 'nfatati.
Gc'era 'na vota un Rignantì ; stu Rignanti era ma-
ritatu, ma 'un avia fi^hi; prigannu sempri a Ddiu di
fari nèsciri gravita a so nicchi, lu Signuri cei fici la
grazia, e la Risina nisciu gravita; e comu nisciu gra-
vita, a lu stissu jomu nesci gravita 'na Dama di Curti,
affiatata ' cu la Risina.
Chiamaru un astròlacu, e l'astròlacu dissi ca tantu
idda, quantu la Dama avianu a fari un fìgghiu mà-
sculu l'unu.
■ Li misi passanu, lu cuntu 'un porta tempu; vennu li
co^hi a la Ri^na, e fa un fi^hiu màsculu; vennu
li dogghi -a la Dama di Curti, f^hia e fa puru un tig-
ghiu màsculu. A lu fìgghiu di la Riggina cci misiru Pip-
pinu '; a lu figghiu di la Dama di Curti cci misiru Gai-
taninu.
Ora la Dama manna nnì la Rìggina e cci dici : —
" La Principissa nun voli ca a lu Riuzzu lu dassi a
nurrizza '; la Principissa lu voli nutricarì idda: comu
nni nutrica unu , nni nutrica duf. , La Riggina, tutta
(luntenti di sta prupusizioni, cci l'accittò,
Criseìanu stì dui picciriddi, e criscianu comu li frati;
' Amica intima della Regina,
* Gli (licleTO per nome l'eppino.
* Ij» principessa (la Dama dì Corte) non vuole che il bamlnno di
Siin Maestà la Regina venga dato ad mia nutrice.
36 FIABE E LEGGENDE
si vulianu beni quanta Tocchi soì. Criscìanu, ed eraniz
tattidui cu lu stissu aju; ed avianu tatta chiddu chi
havi 'na pirsuna rlali. A li stadii , tattidui aguaii ; la
stissu maistru; si 'mparavanu li stissi lingui, facianit
lu stissu carattari \ e addivintam dui valenti cavaleri.
Gei dici lu principi ■ 'na jurnata a so figghiu: — * Gai-
taninu, ora nun cummeni cchiù ca tu a lu Riuzzu coi
dici dì tu, pirchì iddu è figghiu di rignanti e tu si' fig*
ghiu di principi. Tu cci ha' a parrari cu rispettu : cci
ha' a diri Artizza RialL „ Lu figghiu, obbidienti , cu*
minciò a parràricci cu rispettu : Artizza Riali ccà, Ar-
tizza Riali ddà. Lu Riuzzu 'nsa chi cci parsi sta nu-
vità ^ e 'un vulia affattu ca sta cosa java avanti. 'Un
ostanti chistu, lu picciottu sicutava * e tuttidui eranu
dui corpi 'nt' ón' arma : tutti cosi facìanu 'nzèmmula;
unni java unu, java l'àutru; e zoccu vulìa l'unu, l'àutru
'un s'oppunia mai.
A l'età di sidici anni, scupetta tuttidui : a caccia! \^
Cuminzaru a jiri 'n campagna. Un jomu si 'nvuscaru
'nta un voscu •; caccia di ccà, caccia di ddà, lu Riuzzu
» Si noti come nel concetto popolare l'apprendimento delle lingue
e della calligrafìa {lu carattari) sia indispensabile a chi voglia riu-
scire un uomo dotto. Le lingue, secondo il popolo, sono sette, e un
emù chi sapi li setti lingui non ha più che sapere.
* Il principe, il marito della Dama di Orte.
' Al principe reale paiTe strana ('w5a=non si sa, chi cci parsi) co
desta novità.
* Sicutaoa, seguitava a parlargli con rispetto e a dargli ùeUr Al-
tezza Reale.
* All'età di 16 anni presero entrambi uno schieppoper un<^.eapK
darono a caccia.
f Si imboscarono (si misero) in un bosco.
MMMm«^
LI DUI PALUMMI 'NfATATI 37
si sintia stancu; si jetta 'n terra, a li pedi di lu cavailu,
e s'addummisci. Lu Glaitaninu però 'un s'addummisciu;
stava vigilanti a guardati a lu Riuzzu. 'Nta mentri
rennu, e vennu dui palummi, una di lu Livanti e i^a
di lu Punenti. — ' Gummari, comu siti ? „ dici 'na pa-
lumma. — ' Bona ', e vui? „ — ' Bona. , — ' E a la
vostra casa su' boni ? „ — " Tutti boni. „ — " Ma lu sa-
pìti chi vi dica ? {dici 'na palumma all' àutra). Ghistu
chi dormi è lu Riuzzu , e stu Riuzzu havi a mòriri. „
— "E pirchì ? „ — " Pirelli ora comu s'arruspigghia va
nni so patri, e voli fattu un spatinu cu la guardia tutta
di brillanti e petri priziusi, Purtànnucci stu spatinu,
iddu si lu 'nsaja ; e comu si lu 'nsaja , cadi e mori *;
E cui lu senti e lu cuntirà
Tutti! di raarmu addivintirà. ,
— * Ma nun cc'è rimèddiu? * , — " Nenti, cummari, havi
a mòriri pirchì havi a mòriri. ,
S'arruspigghia lu Riuzzu: — " Gaitaninu, jamu a pa-
lazzu, ca mi livai c'un pinseri. Gei he diri a me patri *
ca m' havi a fari fari un spatinu accussì bellu ca lu
pam 'un s'ha vistu mai a lu munnu, , — ' Ah ah! È ccà
iddu ! , (dici Gaitaninu); e parteru pi palazzu. Vannu
' Essiri bonu, ordinariamente vale star bene in salute. Stari donw,
vale andie guarii'e.
' Ptirtànrtìicci ecc. Portandogli (appena l'armaiuolo gli avrà por-
tato) questo spadino , egli (il Rìutzo) se lo prova (se lo proverà) , e-
appena se lo prova, cade (pei' terra) e muore.
» Ma non v'è rimedio? (ma non v'è mcMO per impedii* che ci4
Avvenga? — lAiede l'altra colomba).
' Ho a dire a mio padre.
38 FIABE E LEGGENDE
a palazzu, e lu flgghiu voli fattu lu spatinu ^ Veni lu
primu mastru armeri di lu regnu, e cci fa un spatinu
galanti e maistusu, ca cci vulianu occhi pi taliallu *.
Ora Gaitaninu nun lu lassava pi curtu a Pippinu *♦.
Comu stu spatinu fu a palazzu, Gaitaninu cci dumanna
lu pirmissu a Pippinu di pruvarisillu iddu prima. —
" Sì, „ cci dici lu Riuzzu. Lu Gaitaninu si lu prova, e
cci veni 'na pittura *. Comu iddu si.lu prova, la fata-
ciumi già cci avia passatu a lu spatinu; si lu prova lu
Riuzzu, e di marmu 'un cci addivintò.
Sicutaru li so' belli divertimenti, e lu Gaitaninu pipa ^
senza diricci nenti a lu Riuzzu,
Ddoppu se' misi, chi cci veni 'n testa a lu Riuzzu ? di
jirisìnni propria a lu stissu voscu di la prima vota. Gai-
taninu, ca nun hi sapia cuntradiri; e si nni jeru ^ Es-
sennu a lu stissu voscu, stancu di lu tantu Cacciari, lu
Riuzzu unni si va a jetta ? a lu stissu locu di se' misi
'nnarreri '; e lu Gaitaninu chi ® facia la guardia, pir-
* Vanno a palazzo (reale), ed il Aglio (il Riuzzo) vuole fatto uno
spadino.
* Uno spadino cosi galante (elegante) e maestoso (magnifico) che
ci voleano occhi per guardarlo. j
' Ora G. non lasciava un istante Peppino. ]
* Se lo prova e gli viene una pittura (gli assetta cosi bene che gli
pare dipinto addosso).
' Continuarono i loro bei divertimenti , e G. non fiatava. Pipa ^
silenzio, acqua in bocca.
8 Questo ca=che vuoisi considerare come un ripieno e non già co-
me un pron. relativo ; e però bisogna leggere cosi ; E non sapendo
Gaetanino fargli osservazione di sorta, tutti e due se ne andarono.
' Dove va a gettarsi (a riposarsi) il Riuzzo? al medesimo posto
di sei mesi innanzi (*nnarreri, addietro).
« Chi 0 ca, che, ripieno come sopra.
U DUI PALUHHI TIFt-TATl 39
chi s'aspittava quarchi cosa comu la prima vota. Pas-
siannu ^, vennu li dui palummi, una di Livanti e una dì
Punenti. — ' Guminari, chi sì dici ? „ — " E chi s'havi
a diri ! stu picciottu havi a mòriri, , — " Ma riiaèddlu
'un cci nn'è ? „ — " Nenti, cummari; havi a mòriri pir-
chl havi a mòriri. Ora ìddu s'arruspigghia e va nni so
patri, e voli fattu l'àbbitu cchiù galanti chi cci pò es-
sh-i; comu si 'nsaja st'àbbìtu, cadi 'n terra e mori;
E cu' lu senti e lu cuntirà
Tuttu di marmu addivintirà. *
S'arraspigghia lu Riuzzu e parti subbitu pi lu palazzu
cu la firnieia ' 'n testa di vuliri un àbbitu lu cchiù ga-
lanti chi mai si pozza tnivari. Va nni so patri:—" Papà,
subbitu : lu primu custureri chi cc'è 'nta lu regnu, cà
vogghiu un àbbitu accussì e accussi. ,
Veni lu primu custureri di lu regnu e cci fa st'àbbitu,
ch'era 'na vera galantaria *. Gaitininu, ca nun lu las-
sava pi curtu : — " Àrtizza Riali , pirmittiti ca mi lu
'nsaju anticchia io, quantu viju comu mi veni ? * „ Cu
lu pirmissu di lu Riuzzu si 'nsaja st'àbbitu, e comu si
lu 'nsaja, la fataciumi cci finisci *. Si lu metti lu Riuzzu
e di marmu 'un cci addivintò.
A li se' misi, cci veni arreri lu sfilu di la caccia , e
• Fimicìa, grave cara, pensiero fisso, sollecitudine.
• Quest'abito che era una vera eleganza.
' A]tez7.a Reale , permettete che (quesf abito) me lo provi un po-
cliino fanAcchiaJ io pei' vedere come mi viene (assetta}?
• E comu, e appena se lo prova (quest'abito), la fetagione gli fi-
nisce (intendi che l'abito, già stato fatato, perde la stagione).
*
40 FIABE E LEGGENDE
unni ? ddà, imn*avia jutu Tàutri voti ^ Vannu * a cac-
cia: curri ccà, curri, ddà, stancu mortu, si iju a jittari
a lu solitu lucali. Mentri lu Riuzzu durmia, venziu li
palummi , una di Livanti , una di Punenti. — ** Gum-
mari, chi si dici ?» — ** Chi si dici ? Pi dui voti si Tha
scapulatu; ma a la terza havi a mòriri pircM havi a
mòriri. Gomu lu Riuzzu s'arruspigghia, va nni so patri,
e voli mugghieri. So patri cci dici di sì, cci pricura la
zita; a la prima sira chi si curcanu, nesci un sirpenti di
sutta lu lettu e si mancia a tuttidui. „ — ** Ma nuddu ri-
mèddiu cc'è pi scansari sta disgrazia?» — ** Ce' è, ma iddu
havi a mòriri. » — " E quaPè stu rimèddiu ? » — " È ca
cci voli un grann'amicu fidata, ca quannu vidi spun-
tari stu sirpenti, cu 'na gran badda di chiummu, supra
un cantàru, prontu a scacciàricci la testa *; e accussì
mori lu sirpenti;
E cu' lu senti e lu cuntirà,
Tuttu di marmu addivintirà. »
S'arruspigghia lu Riuzzu, e voli jiri subbitu a palazzu
cu lu pinseri di jmsi a maritari. Gomu di fatti , va a
palazzu e cci parrà a so patri. Lu Re, ca 'un cci sapia
nigari nenti, manna pi li ritratti una lu Re di Partu-
^ A li se* misi. Passati sei mesi, gli viene di nuovo la voglia della
caccia, e dove? là dov' era andato le altre volte.
* Vannu, vanno (tutti e due).
* È ca cci voli ecc. (Il mezzo per impedire che il Riuzzo muoia)
é che ci vuole (che ci sia) un grande amico fedele, il quale quando
vede apparire il serpente, con una palla di piombo, grande più d'uà
quintale (sia) pronto a schiacciargli la testa.
\
LI DUI PALUMMI 'nFATATI 41
-gallu ; la piceiotta cci piaciu , si cunchiusi lu matri-
moniu ^
Veni sta Rigginedda, si fici la gran festa \ Pippinu
irillava , ma Gaitaninu , mortu *. Si priparò la gran
badda di chlunimu, e si iju a 'mmucciari * sutta lu lettu
di Pippinu. Si jeru a curcari li ziti, e 'nta lu raegghiu
spunta lu sirpenti ; Gaitaninu all' erta , scàrrica dda
badda, e ammazza tu sirpenti, ca jittò un strepitu di ■
fari spavintari.
A lu gran rumuri cu' curri ? un Granni di Curii, unu
ca tinia di fitta a Gaitaninu, ca nn'avia 'mmidia di la
gran cunfidenza chi avia cu lu Riuzzu. Va a jisa la pi-
dagna di lu lettu, e vidi a Gaitaninu "*. — " Bravu, bra-
va t „ e si nni va nna lu Re e cci canta ca Gaitaninu,
l'amica fidata, appastata satta lu lettu, vulia ammaz-
zarl a lu fìiuzzu, pi pigghiàrisi iddu a la Rigginedda e
' Lu Re, il Re, die non sapea negargli nulla , manda pei ritratti
dal Re di Portogallo (intendi, che sapendo avere il Re del Portogallo
una figlia, mandò a cercarne i ntratti per vedere se la ragazza pia
cesse al figliuolo). I^ ragazza gli piacque (al Riuzzo), ai concbiusero
le norae.
* Viene questa renella, si fo la gran festa.
Notisi rapidità di racconto e di passaggi deDa narratrice.
' Peppino triliaoa (era lietissimo, splendeva dalla gioia), ma Ose-
tajiino (era più) morto (che vìvo, pensando al pelicelo dell'amico),
* E si iju, e s'andò a nasiiondere.
* A lu gran rumuri ecc. Al grande rumore (prodotto dalla palla
scagliata da Gaetano sul serpente) chi corre? un Grande di Corte,
un tale che tenea di fittu (stava sempre dietro a) Qaetanino (per co-
gliergli cagione addosso) , perchè avea invidia della grande confi-
denza che G. avea col Riuzao. Va ad aliare il gìraletto, e vede Oae-
tanino (sotto).
■Tiir ÉX
42 FIABE E LEGGENDE
arristari re iddu. Gunsidirati a lu Re sintennu stu di-
scursu ! — ** Subbitu, chi sia pigghiatu, stu sciliratu di
Gaitaninu, e sia 'nfurcatu !.. „ Poviru picciottu fu misu
'n cappella, e avia a jiri a la morti.
A lu terzu jomu , Gaitaninu dumannò pi grazia di
diri *na parola a lu Re e a lu Riuzzu. La grazia fu
cuncessa , e tuttidui cci jeru. Arrivati ddà , lu Gaita-
ninu cci dici a Pippinu: — ** Artizza, cci pinsati ca un
annu 'nnarreri vulìstivu jiri a caccia, e v'addummiscì-
stivu ? AUura la morti avia a essiri pi vui, e 'nveci ora
la morti è pi mia; pirchì vìnniru dui palummi, e dis-
siru accussì „ (e cci cuntò tuttu lu passaggiu, e fìniu
cu li paroli:
E cu' lu senti e lu cuntirà,
TuUu di marma addivintirà „.
Dicennu chistu Gaitaninu addivintò di marmu di li ped-
sina a li dinocchia. Lu Riuzzu sintennu sta cosa e vi-
dènnulu addivintari di marmu, vitti la virità, e vosi ca
iddu 'un parrà va cchiù. ^ — " Ma no, (Gaitaninu dici) la
cosa rhaju a cuntari tutta! „ e sicutò. Gomu arrivò a
lu fattu di Tàbbitu, e dissi h paroli E cu' lu senti, adi
divintò di marmu finù a lu pettu. Lu Riuzzu : — ** Pi
carità, nun sicutari, Gaitaninu ! „ — ** Ma nenti, megghiu
di marmu, ca mòri ri cu la tàccia di tradituri ! „ e si-
cutò lu discursu fina a lu passaggiu di lu matrimoniu.
Lu Riuzzu a prigallu e straprigallu di nun jiri avanti;
ma Gaitaninu, ostinatu, cci cuntò sinu air urtima pa-
rola; e comu fìniu lu discursu, addivintò tuttu un pezzu
di marmu.
^E vosi, e volle che lui (Gaetanino) non parlasse più.
i.j DUI PALrHHi 'sfatati 43
A stu puntu lu Pippinu si misi a dari la testa a li
mura ' pinsannu a st'amicu fidili ch'avia pirdutu. Af-
frittu e scunsulata, si 'nchiuj 'nta la so càmmara e 'un
vosi vidiri cchìù a nuddu, cliiancennu sempri, A li sei
misi, chi pensa di fari ? nèsciri p'allìanàrisi; e unni si
nni va ? a la stissa banna antica di li palummi. Stancu,
sì va a curca sutta lu chiuppu ", ma 'un si vosi adduin-
misciri, Eecu ca vennu li palummi: — " Cummari, chi
si dici ? , — " Chi si dici ?.. Iddu si sarvò ; 1' amicu lu
prillò, e arrislò di marmu, pirchi parrò ". „ — ' Ma
nuddu riméddiu cc'è ? „ — " Sicuru ca cc'è lu rimèddiu.
A sta puntu cci voli unu chi nni spara a tuttidui 'nta
un corpu * ; lu nostni sangu lu unci supra lu Gaita-
ninu, e Gaitaninu torna di carni. „ Nni vulistivu cchiù?
Pippinu sàta comu uà tappa di màscuiu ', afferra la
scupetta, jetta un corpu *, e aramazza a tuttidui palum-
mi. Pi^hia sti dui palummi, si 1' ammògghia e toma
a palazzn. Cu lu sangu d'iddi va a unta la statua, e la
statua addiventa di carni,
Gaitaninu arrivisciu , e cci fu 'na gran festa a pa-
lazzu, ca Pippinu stava niscennu foddi pi la cuntintizza
di vidiri arrivìsciri st' amicu fidiH. Allura Gaitaninu
' Peppino Bi diede alla disperazione.
' Stanco, va a, coricarsi sotto il pioppo.
' Iddu ecc. Egil, (il priacipe ereditario) si salvò, e l'amico ifìae'U-
miio)\o guarentt (pringiò o pìiffgiò), e rimase di marmo, perchè parlò,
' Astu puitlu. A questo punto ci vuole uno che ci spari tutte e due
(nm colombe) in un colpo.
' Pippinu ecc. Lcttei'almentc: < Peppino salta come tappo (carica)
dì mortaretto; » cioè: salta subito e ixa Iona..
* Jetta un corpu, tira un colpo, ima schioppettata.
44 FIABE E LEGGENDE
cUntò ca sti 'mpusturi cci Pavia niisu lu Granili di Curii,
ma 'un vosi ca lu Re lu mannassi a morti, pirchì Gai-
taninu avia un cori d'ancilu. E di ddu JQrnu *n poi stet-
tiru, comu lu passatu, 'nsèmmula, e la Rigginedda appi
a Gaitaninu comu un frati.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
E nuàtri sema ccà senza nenti.
Palermo
VARIANTI E RISCONTRI.
n dialogo delle due colombe fatate è il medesimo motivo
del dialogo di draghi, demoni, fate nel Petru lu Massariotu,
ne Li Palli magichi e ne Li dui cumpari, nn. XXVI, XXXVIII
e LXV delle Fiabe siciliane , (dove pure altri se ne citano a
p. 349 del V. I e a p. 428 del v. IV), nel Fa-bene e Fa-male,
n. XXIII delle mie Novelle pop. toscane, ne Le du cumbare
e Le serpucce, nn. XIV e XXI delle Novelle abruzzesi del
FmAMORE, p. I, e ne Lu Cumbare, n. XCV della p. IL» dello
Stesso, nel Canto d^ 'e duie cumpare di S. Felice a Cancello
del Correrà (Napoli , 1884), in Die zwei Reiter; Die kranke
Prinzessin e Der Blinde, nn 9, 10, 11 ^ei Mdrchen und Sagen
dello SCHNELLER.
* Raccontata da Agatuzza Messia il 4 febbraio 1882.
Lì dui fìratì fidili.
Ce' era 'na vota un marinara. Stu marinaru s' avìa
marìtatu , e 'un avìa avutu nuddu fìg^hiu , e s«mpri
prigava p' aviri un fi^hiu o punì 'na %ghia, Java a
mari , e nun pigghiava manca un pisci. 'Na jurnata,
TÌdennu ca 'un pigghiava nenti cu la riti, si misi a 'ngu-
stiari : " jOra viditi ciii disgrazia ! Fi^hì nu nn' haju,
e mancu un pisci pigghiu ,. Fisca pisca, e a lu jittari
la riti, ed veni un pisci billissimu. Stu pisci, corau fu
fora di l'acqua, cci dissi: — " Vidi ca nun m' ha' a vin-
niri sai ! M' ha' a manciari tu e tò mu^hieri: la testa
la duni a cani, — cà iddu avia 'na cani e 'na jimenta
— la cuda la chianti suttaterra, e li vudedda li duni a
manciari a la jimenta.
Torna a la casa, e iddu stìssu misi a còciri stu pisci:
e difatti la testa la detti a la cani , la cuda la misi
suttaterra e li vudedda li detti a la jimenta; e tuttu
lu restu di lu pisci si lu manciò iddu cu so mu^hieri.
Ddoppu pocu jorna, nesci gravita la mu^hieri, nesct
gravita la jimenta e nesci gravita la cani. Prima cci
%ghiò la cani, e cci tìci dui cagnola aguali; appressu cci
fi^hiò so mu^hieri, e cci fici dui picciriddi niàsculi
aguali, l'urtima cci figghiò la jimenta, e cci fici dui ca-
vadduzzi punì aguali. — ■" Oh! chi maravi^hia! dici lu
marinaru. Ora vogghiu vìdiri chi si nni fici di la cuda „.
Va unni avia chiantatu la cuda, e trova dui sciabbuli
tuttidui aguali.
46 PUBE E LEGGENDE
Stì picciriddì criscevanu ad ura ed a puntu; crisce-
ranu li cavadduzzi, criscevanu li cagnoli.
Lu cuntu 'un porta tempu. Quannu arrivaru a Taità
di essiri granni, sti piccirìddi si misiru 'n testa di fur-
nari lu munnu. Si 'mmarcanu e partimi cu li cavaddi
li cani e li sciabbuli. Quannu arrivaru, coniu dicissimu,
a Napuli, furriaru la cita. Unu d'iddi era stancu; Tàutru
cci dissi: — " Io voggliiu furriari ancora: sa* eh' ha' a fari?
Tu resti ccà a Napuli, ca io sècutu li me' camini; vog-
ghiu visitari quarchi àutru regnu. Chiddu chi risto a
NapuU si chiamava Tsinu; chiddu chi parti» si chia-
mava Peppi.
Lassamu a Peppi, ca si misi a viaggiari di ccà e di
ddà, e pigghiamu a Ninu, ch'arristò a Napuli. Ch'avia
dì fari? Si mittia a cavaddu, e passiava di la matina
Sina a la sira. E unni passiava ? sutta lu palazzu di lu
Re. Stu Re avia 'na figghia, vera graziusa; e sta pie-
ciotta si 'nnamurò di Ninu. Un jornu , 'nta di V àutri,
idda si lu fici chiamari, e cci dissi chiaru e tunnu ca
lu vulia pi maritu. — "Pi mia 'un ammanca „, dissi
Peppi (allocu di jìricci sulu — pinsava 'nta iddu — nni
me matri cci vaju cu me mugghieri). Lu partitu fu cun-
chiusu; nisceru li pòlisi a bannu e si maritaru.
'Na jurnata Ninu , essennu 'nta lu so palazzu , af-
faccia di lu pitterra e vidi un billissimu jardinu. Chiama
a so mugghieri : — * Dimmi : 'nta stu jardinu si cci pò
jiri a firriallu ? ^ — ** No, 'un t' arrisicari a jìricci , cà
ddocu cc'è 'na vecchia, e a cu' trast ddocu resta 'ncan-^
tatù di màrmura. » Iddu a so mugghieri 'un la vosi
crìdiri; si 'nsedda hi cavaddu, si pigghia la dciabbula,
U DUI TRATI FIDILI 47
la canuzza, e partiu pi jìri a furriari stu jardinu. Comu
trasiu, 'na vecchia ccl vinni a lu 'ncontru, e cci fa la
gran festa, e si lu vulia vasari; ma iddu oun vosi. La
vecchia si inetti a 'ccarizziari lu cavallu e la cani ; e
'nta un mumentu iddu, supra la jimenta com'era, ar-
ristò 'ncantatu, e 'neantatu arristò pura la cani, comu
si truvava,
Jamu a la raugghieri, ca nun lu vitti- arricò^hiri e
si misi 'n gran cunfusioni, e cci stava niscennu lu ci-
riveddu dicennu: ffiMM/Ogni jornu slava affacciata a
lu fìnistruni sfìraiciànnusi pi stu marìtu.
Lassamu a idda e pigghiamu a Peppi.
Comu Peppi tumau dì li so' viaggi, va a lu molu e
va a cerca lu bastimentu di so frali. Lu trova , e cci
spija a lu capitanu: — " L'aviti vistu a me frati ? , Ri-
spunni lu capitanu: — * Vostru frati si maritò e si pig-
ghiò a la iì^hia di lu Re; e di quannu si maritò, 'un
s'ha vistu cchiù ,. Peppi si parti e si metti a passiari
sutla la palazzu di lu Re. La Rigginedda, ca era
sempri affacciata, comu lu vidi, cumincia a fàricci si-
gnali d'acchianari, dicennu: — " E chi cci ha vuiulu ! chi
cci ha vulutu ! , cridennusi ca era so maritu (pirchi sti
du' frati eranu aguali, li jimenti aguali, li cani aguali).
Nun cci appi pacenza, e cci scinniu idda stissa, jusu;
e comu Peppi scinni di lu cavaddu, idda si l'abbrazza
e si lu vasa, Peppi lu capiu ca idda lu scanciau pi so
frati, ma nun la vosi scannaliari, e acchianò a palazzu
cu idda, La Rigginedda cci fici rautari li robbi, 1' ap-
pulizziau, lu fìci manciari; e la sira, quannu fu ura di
jìrisi a curcari, lu 'mmitò a spugghiàrisi. Lu Peppi era
48 FIABE E LEGGENDE
cunfusu; dici : — ** Tale , cùrcati prima tu , ca ora mi
curcu io „. Quannu si curcò la Rigginedda , iddu pig*
ghia la sciabbula e la metti 'mmenzu lu lettu. — "Pir-
chi metti sta sciabbula ccà ? » cci dici la Rigginedda
Rispunni Peppi:— ** Accussì la vogghiu misa pi stasira,.
Si spogghia e si curca: a ddu latu di la sciabbula la
Rigginedda; a stu latu di la sciabbula iddu. Àgghioma
lu 'nnumani, ^ Peppi si susiu. Affaccia di lu pitterra,
e vidi stu billissjmu jardinu. Chiama la Rigginedda.
— " Gh' è bellu stu jardinu ! Si pò furriari ? , — * Ar-
reri mi dumanni ? cci dici la Rigginedda. 'Un ti bastò
la prima ; ora vò' jìricci la secunna ? „ Comu cci dici
accussì, Peppi dici 'nta iddu : ** Ah ! ca ccà è me frati!
Quantu viju chi pozzu appurarti . Si vota cu la Rig-
ginedda : — " 'linea iddu chi ce' è ? » — " Chi ce' è ?
'Un sai ca stu jardinu è 'ncantatu , e quantu cci trà-
sinu, tanti restanu di màrmura ? ! „ Si pirsuasi iddu, e
pinsava : " 'Unca me frati ddocu arristau ! „ Si vesti, e
zittu zittu si metti a cavaddu, si pigghia la cani e parti;
e si nni va nna ddu jardinu. Comu trasi, eccu la vec-
chia ca 'ncugna pi fàricci carìzzii. Iddu prontu fu, l'af-
ferra pi li capiddi , scinni di lu cavaddu , senza fàrisi
tuccari e senza fari tuccari mancu a la cani. E comu
l'appi 'nta li manu cci dici : — " 'Nsignami unn' è me
frati !... » — " Lassami , ca ti lu 'nsignu... „ E accussì
affìrrata comu 1' avia la iju strascinannu unn' era so
frati; e lu trova, 'mmenzu tanti statui, a cavaddu, cu
la cani allatu. — " 0 mi duni a me frati, cci dici Peppi,
o ti fazzu satari la testa ! „ — ** Lassami jiri , ca ti lu
dugnu ,, — " No, mi 1' ha' a dari ora „ e accussì affir-
LI DUI FRATI nOILI 49
rata si la strascinò unni idda cci dicia ca ce' «ra lu
'nguentu pi fari addivintari vivo a so frati. Arrivata 'nta
'na casuzza , la vecchia pigghia 'na pi^atedda, e va
nni la statua, e e' un pinzidduzzu cumincia idda stissa
a untari prima la cani, e la cani arrivisciu; poi lu ea-
vaddu, e lu cavaddu arrivisciu, poi a Ninu, e Ninu ar-
rivisciu. Peppi , pronlu , pigghia la sciabbula :— ' Tè",
vecchia scOirata!, e cci fa satarì la testa. Gomu idda
mori, Peppi cu ddu pinzidduzzu cumincia a untari tutti
statui, e arrivisceru tutti, ed eranu tutti fìgghi d
re 'ncantisimati.
Jamu a la Rigginedda ca lu vitti addimurari. — 'Fig-
ghioli, dici, aireri cci iju! , e si misi a sfimiciari e a
dàrisi la testa a li mura. Mentri era 'nta sta cunfu-
sioiii, quantu si \ìài accumpàriri a Peppi e Ninu tut-
tidui aguali , ca 'un si putianu distinguiri l' unu cU ,
l'àutru. Dici 'nta idda: "E cu' è di chisti dui me ma-
ritu ? , e 'un cci sapia diri 'na palora pi 'un sapirì cu' >
era so maritu.
SU dui frati eranu cu tutti li riuzzi , li cavaleri e li •
principi chi Peppi avia fattu arrivìsciri; e s' assittam '
a tavula pi divirtirisi un pizzuddu ddoppu li guai chi
aviauu passatu. Discursu porta discursu; vinnim a pa^.
rari di Peppi, ca 1' avia libbiratu a tutti cu dda '
'nguentu. La Ri^nedda sintia senza parrari; ma capiu
chi chiddu eh' avia partutu la secunna vota pi lu jar- .
dinu era so cugnatu e no so maritu. Sì singaliau a Peppi
0 poi si pirsuasi cu' era so maritu. Allura si susi e si
. 1' abbrazza e flci la gran festa. Lu 'nnumani so cu-
gnatu Peppi partiu pi jiri a truvari a so patri e a so
PiTKB. — Fia}/e e Legrjfinde. 4
50 PIABE E LEGGENDE
matri, e tutti li rìuzzi parteru punì pi li so' regnL Vin-
niru so patri e so matri: lu marinaru e so mugghieri,
e Ninu li vosi a palazzu cu iddu; e campani tutti sinu .
a vecchi.
Iddi arristaru fìlici e cuntenti,
E nuatrì ccà nni stricamu li denti.
Bagheria K
VARIANTI E RISCONTRI
Due versioni di questa novella diede la Gonzenbagh , Sieil.
Màrchen, nn. 39 e 40: Von den ZwiUingsbrudern e Vòn den
zwei BrUdern ; una albanese di Sicilia diedi io stesso nelle
mie Fiabe, v. IV, p. 296; una delle province meridionali d'I-
talia R. La Guàrdia, nel Libro delle Fate (Roma, Penna,
1887), p. II, p. 60, n. XI: Il pestello d'oro; una toscana il De
GuBERif ATis , Le Novelline di 8. Stefano, n. XVIII: // pescatore;
un'altra toscana di Pisa il Comparetti, Novelline popol. iUd.^
n. XXXn : La Nuvolaccia; una veneziana Wtoter e Wolf :
Volkstnarchen aus Venetien , n. 8 : Der Drachentddter; una
tirolese lo Schneller , Sagen und Màrchen , n. 28: Die drei
Fischersohne.
Per altri riscontri fuori d'Italia, vedi le note del Kóhler nel
Jahrbuch f, rom, u. engl. Literatur, VII, 2, pp. 132-34, e nei
Sicil Màrchen, v. II, pp. 229-30.
Ci vuol poco a riconoscere qui alcuni tratti del mito di An-
dromeda.
* Raccontata da Angela Puleo, contadina a 66 anni.
^
Donna Peppa e Donna Tura.
Cc'èranu 'na vota 'nta 'na casa dui suora, reeci tut-
tidiiì e bruttuna ', ca mancu si putìèvunu guardarì: una
si damava * Donna Peppa e una Dtinna Tura *. 'N
jorau una di sti veccijittau 'n cianu 'na vaglia d'acqua
d' 'a finèscia ' ; e siccomu sta finèscia era iàuta d' 'a
vanedda, a lu scupparì l'acqua 'n terra, fici li cuncu-
nedda cu la scuma *. 'Nta stu mentri passava di ddà
lu cammarieri d' 'ò Re; chistu comu vitti ca l'acqua
fici la scuma, dissi tra d'iddu: " Certu 'nta sta casa ed
hanu a stari genti puliti ; cu' sa su nun ce' è corelii
bedda picciotta... , '.
' Vecchie tutte e due e bruttane (molto brutte).
* In questa parlata la voci vecchiu, chiamari, chiana, ucehialiari,
iissunnaochiatu , echiù, oeohiu , chianciri , perdono la A, e « pn>-
nunziano: veccia, veccbio; eiamifi, chiamare; cianu, piano; uocia-
liafi, adocc'iiare; aisunn^Kciaiu, aonneccbiante; ceiù, più; òcoiu, o«-
i;1iio; ciànairi, piangere. Cosi parimenti le voci: voff^hiu, mìgghiu,
fyyhiu , ecc. diventaDO vòggiu j voglio ; meggiu , meglio ; /^lu «
(^lio.
^ Donna Giuseppi e Danna Salvatora. Il titolo di Donna in Sicilia,
ù dato a qualunque donna che non aia plebea affatto.
< Un giorno una di queste vecchie gettò in piano (sulla strada) un
bacile d'acqua dalla fineatra.
' E siccome questa finestra era alta dal vicolo, al cadere dell'acqua
in terra, Tece le bolle con la schiuma.
* Certu, certamente in questa casa hanno a stare (abitano) per-
sone pulite; chi ta «e {su) non c'è qualche bella ragazza!
5:2 * FIABE E LEGGENDE
Lassamu a stu criatu pi 'n pizzuddu , e piggiamu
ò Re K
Duviti sapiri ca lu Re ogni tantu damava 'nti 'na
càmmira ad unu ad unu lì so' cammarieri, e cci spi-
java si sapìssunu corchi picciotta bedda pi piggiarisilla
pi cammarera. Vinni 'n jornu ca ciainau punì versu
quattr' uri di notti a stu cammarieri e cci dissi: — " Don
Giuvanni, chi mi cuntati di buonu ? „ — " lu, Signuri Re^
nun haju nenti chi diri : sulamenti haju uccialiatu *
oggi 'na casa, ca cci ha ad essiri 'na picciuotta bedda;
si lu Signuri Re la vo' vìrriri... » — " Sì, Don Giuvanni:
la vuòggiu vìrriri. Dumani t'aspettu cu diddà a sett'uri
di notti. „ — " 'Nga vidìmu *, Signuri Re. „ — '^ Chi vidi-
muL Cu mia chi cc'è vidìmu!! Dumani sta picciotta
* ha d'essiri ccà !.. „
Don Giuvanni si nni iju senza mancu parrari.
0 'nnumani assira, versu quattr'uri *, stu Don Giu-
vanni va darrièri la porta di li du' suoru e tuppulia:
^ Tuppitù! „ — " Cu' è dduocu? „ rispusi Peppa tutta as-
sunnacciata. LU criatu 'ntisi dda vuci tanta brutta di
véccia, e attintau ^; ma puoi pinsau : '^ Sarà certu la
criata „ e rispusi: — " lu sugnu, lu cammarieri d'ò Si-
gnuri Re. „ — " Ma niàutri cu lu Re nun àmu avutu ^*
mai amicizia; e puoi a st'ura quannu mai !.. „
* Lasciamo questo servitore un pochino, e pigliamo il Re. Pirfgiariy
della parlata, per 'pigghiari,
* Haju uccialiatu^ nel dialetto comune ucchiatu^ ho adocchiato.
* Dunque vediamo (vedremo). *Nga^v 'nca, 'unca^ dunca^ dunque,
** n domani, verso quattr'ore di sera (cioè dopo rAvcmaria).
* B stette in orecchi.
dmu, non abbiamo (dtuK^ coutr. da avc/nu) avuto.
DONNA PEPPA E DONNA TURA 53
La suora 'ntìsi ca era cosa d' 6 Re e 'nta du' botti
si 'nfilau la gunnedda e cci va a grapiu '. Acciana ddà
supra, e lu criatu eci spijau: — ' Chi siti sula? L'àutri
unni sunu ? , — " 'Nga chi g:iti circannu ? Ccà cci sugnu
iu; e ddà intra cc'è ma suora Peppa. , — ' Ciamàtila, cà
ad idda haju a parrari. „ Si parti Tura e la va a eia-
mari. Veni Peppa, e lu criatu si vidi davanti du' vecci
bruttuna, ca nun ce' èrunu li pariggì : l'occi abbusic-
ciati ' ; vistuti malauriusi. Povini criatu , si misi 'nta
peni; ma dissi : — " *N cc'è rimedia : o cci la puortu ò
buonUjO cci la puortu 6 riu; osonnò cu' sa comu la piggia
lu Re! „ E si vùtau cu la cciù maggiurra % ca era Donna
Tura. — " Viditi ca vi vo' lu Re ora ora; perciò visti-
tivi ca v' accumpagnu iu. , — " Ma lu Signuri Re chi ■■
ha a vuliri di mia? , — " Nu lusàcciu; allistitivi, ccU-
tostu , *, Chidda, menza 'nta peni, trasi ddà intra 'nta
l'àutra càmmira, si piettina li capiddi, 'n para di pin-
nenti d'oru fàusu si misi, pirchi èrunu puvirteddi, 'na
gunnedda nova di musulinu, 'na sciannàca di cristallu,
'na fìttuccia antica s'attaccau 'nt'ò cuoddu, 'n pani di
scarpi li mièggiu ch'avìa, la mantìllina. e toraa nn' 0
< E in un attimo (Aoftii=colpi) s'infilò la gonnella e va ad aprii^.
• Gli occhi aaaecchiti {rientranti nelle occhiaie). AbbusiaiiaH per
^Abisicchiaci.
' 'N cc'è rin^diu, non c'è rimedio : o gliela porto (conduco) con
le buone, o gliela porto con le brutte; aitrimenti, chi sa come la \>t-
glìa il Re. E ^ voltò con la maggiore (delle duo eorelle). Osannò, nta'
sinnò, vasinnò, sinitì, se no, altrimenti; cciù ìifijgiui\i, lotteralnt,
più maggiore.
* Noi so; allestitevi (abrigatevi), piuttosto.
54 FIABE E LEGGENDE
criatu ^ Ghistu, coma la vitti, si calau l'occi e suspi*
rau. — " Amuninni ,, cci dissi. Nièsciunu 'n cianu • e «f
mèttunu 'n carrozza (sta carrozza V avia purtatu lu
criatu) ; comu si 'ncarruzzarru, partiemi •. Dduoppu ca
pòttunu passari du' cantunieri *, si vota la véccia cu lu
cammarieri e cci dici: — ** V'haju a diri *na parola: Ta-
citi tèniri 'n pizzuddu * , cà haju a scinniri 'n mu-
mentu. „ Chiddu dama ò gnuri *, fa tèniri , e la flm-
mina scinni dispiaciuta , 'n sapennu chi cci nni viifia
d' ò Re. Comu scinniu , era *ncuzzata di ciantu ; 'nta
mentri passa 'n fataciuni '^^ la vitti accussì, e cci spijau
— ** Figgia mia, chi hai ca arora cianci ? ® » — * 'Nga
ch*hé 'viri ®, ca mi mannau a ciamari lu Re; e iu nun
sugnu cosa di cumpàriri: brutta, véccia, comu *na spil-
lacciuna ^^ „ — " Nenti, flggia mia, vidi ca nun cci si*"
* *N pam ecc. un paio di pendenti d' oro falso si mise , perchè
(queste due donne) erano poverelle, una gonnella nuova di mussoline,
una collana di cristallo , una fettuccia antica (vecchia) s' attaccò (si
legò) al collo, un paio di scarpe le migliori che avea, la mantellina'
e toma dal servitore.
* Amuninni, andiamocene, le disse. Escono sulla via.
' Partierru, per parteru^ partirono.
* Dopo che poterono passare due canti (quand'ebbero passate un
paio di case).
* Fate tenere (fermare) un poco.
« Chiddu, colui (Don Giovanni) chiama il cocchiere.
^ 'N fataciuni, una fata maschio.
* Figlia mia, che hai che piangi ? Arora^ secondo TAvolio (Canti
pop. di Noto , p. 34). significa « quasi , pressoché , da un momento
.all'altro.» •
» Dunque, che ho ad avere ! "Nga, qui riempitivo popolare.
*® Spillacciuna per spillacchiuna^ povera, miserabile.
DONNA PBPPl. E DONHA TURA 6&
làita '; si' tanta bedda !... „ e chistu sì noi iju. Da veni^
'nta 'n mmnentu la fici addivintari 'na picciuttedda
bidduna , vìstuta 'n pampina d' arandu , dna dì cosi
d' oru e diamanti ', anedda , spiUuna , cviUani e tanti
cosi priziusi. Idda, comu si vitti accussì pulita , si 0.0:
tutta allèira, e acciana. 'nt' à carrozza *. Lu cammarieri'
comu la vitti, un la canusciu cciù, e cci apijau:— " C3a'
siti vui ? „ — * 'Nga chidda d' antura- , — "Ma vui mi
pariti diversa; ebbeni: amuninnL, F^urativi chi siflci
cuntenti lu cammarieri ! e partiemi.
Arrivati nn'ò Re, èrinu li sei uri abbullati *; lu cam-
marieri la fid tràsiri, e conju lu Re vitti dda picciotta
tanta bidduna , arristau cuntintuni , si vùtau cu Don
Giuvanni e cci fici 1' appròsit *. Donna Tura arristau
nn'ó Re. '■ '.
Jamu a l'àutra suoni.
Donna Peppa la 'nnuraani , comu nun la vitti tur-
nari, pi vìrriri chi cci attuppau *, si vestì e va nn'6 pa-
lazzu d' ò Re, spijau di Donna Tura e cci la ciamarro.
Donna Tura trasi tisa tisa e si cci anmiusciau ', ma
< Làila per làida, laida, brutta.
■ 'Nna picciuttedda, una ragazza bella da vero, vestita in (dì co-
lor dì) fbgllo d'arancio, piena (cina) di cose d'oro e dì diamanti.
' Tutta allèira, tutta allegra (lieta), e sale nella carrozza.
* flrano le 6 ore predse (dopo l'AvemarU).
' Appròsit, latinismo popolare, prosit.
' Per vedere ohe intoppo le fosse accadilo. Attuppari, della par
lata, per 'niuppari, v. ioti'., accadere, clie in alcune parlate vale ior
vece turare.
' E si cci, e le si mostrò. Ammusdari^ della parlata, per canmu-
strari, come flnéscia, per finestra, ecc.
56 FIABE E LEGGENDE
comu vitti a so suoni Peppa s'aflfruntau, cà era misi-
riusa; cci fici la limuosina e nni la fici giri *. Peppa di
sta fùrtuna di so suora nn'appi 'mmiria magna.
'N àtru juornu Peppa cci iju, e Donna Tura arrieri
cci fici la limuosina, e la stapia ^ lassannu. La Donna
Peppa la clama e cci spija acìddu acìddu •: — ** Comu
facisti pi fàriti accussì bedda ? dimmìlu. „ Donna Tura,
ca già nun raustava'vimri *, pirchi 'na vota ca lu Re
la vitti cci raccumannau a Tura di nun falla vièniri
cciui, cci dici:—'* Figgia mia, mi fici scurciari; paiai a
'nu varvieri, e chiddu mi scurciau °; pacènzia, tantìccia
di duluri, ma
Cu' bedda vo' pariri,
Duluriiiyo' sintiri.
Anzi su la vuoi fari tu, clama 'nu varvieri; fatti scur-
ciari; ccà cci sunu li dinari pi lu varvieri; „ e cci desi
'na junta di pezzi di dudici \ La Donna Peppa si li
piggiau e si nni iju.
Comu si nni iju, grittu grittu trasi 'nta *nu varvieri
e cci dici: — ** Scurciatimi! » Lu varvieri attintau, e cci
^ Giri, della parlata, per jiri, gire, andare. Nel dialetto sicil. «o-
mune giri è plur. di gira, s. f., barbabietola.
' Stapia, della parlata, per stava,
^ La dama, la chiama e le domanda adagino adagino (sottovoce).
Acìddu, contr. di adaciddu, dim. di adàciu, adagio.
* Ca già, letteralmenle: Che già non le gustava di vedere. Intendi
che a lei non piaceva più di riveder le sorella dal momento che il Re
le avea raccomandato di non farla più venire.
* Paiai, pagai mi barbiere, e lui mi scorticò (spellò).
* ^ S le diede ima junta, di pezzi da 12 tari. JwUa, misura che è
cape nel concavo d'ambe le mani unite.
DONKA PEPPA E DONNA TCRA 57
dissi: — " Ma vu' chi siti pazza ! coinu sfintri stu du-
luri ? ! ' , — " 'N àti pauTii *; ccà cci sunu li dinari , e
vi paiati quanta vulìti. „ Lu varvieri, comu vitti li di-
nari, s'alluciu l'occi *, e dici 'nta d'iddu: " 'Nga quaré
lu me^iu ? scurcialla ; e ora la scòrciu. , Si vota cu
la véccia: — " 'Nga : vui àti a fari Iq forti *; asslttàtivi
ccà „, e la fici méntri "'nta 'na eeggia. Pi^ia 'nura-
suolu e accumenza a taggiàricci 'n pizzuddu di peddi
'nta la franti. Comu desi lu prima cuorpu d' ò rasuolu,
la Donna Peppa jittau 'na vuci: — " Ahi ahi ! , Rispasi
lu varvieri: — " 'Nga lassamu stari ? ,— * Gnanò *, mon-
sù ', scardatimi, cà he pàriri bedda comu a ma suora,
Arrìeri taggiava cciù vàsciu lu varvieri *, e chidda: —
" Ahi ahi! ,— * Vi lassa perdìri? ,■ * dici lu varvieri.^
" GnanòjScm-ciatiiCà he pàriri bedda coma a ma suora.»
Chidda sicutava, ma comu arrivau 'nta la gala e cci
taggiau 11 cannarozza ^'j la Donna Peppa murtu.
Lu varvieri coma la vitti morta, cìamau da' mastri
• ca èruna 'n faccia, e s'avèvunu austatu tutta la vista,
e li vosi pi tistimonii, ca iddu 'n cci curpava ". Vinniru
' Come sentire questo dolore ? !
* Non abbiate paura.
' Rimase abbarbagliato.
* E dunque ; il torte l'avete a far voi (siete voi che dovete resistere).
' Méntì-i, contr. da nièntiri, corau méllri da tnèttiri, séntri da
* Gnarv} per gnirn'), gmirrù, (^^^ignor no), no.
' Monsù, titolo do' barbieri e do' cuochi; dal frane. 7>v>nsieur.
* VA nuovo (arrieri) tagliava più in basso il barbiere.
* Lassari perdiri, in queatJ] senso, lasciare andare, non foroe altro .
" Cannaroiia, s. m. pi., canaio della gola.
*> E s'avèouitu, e (questi due maestri) s'erano goduta tutta la vi-
fi
58 FIABE E LEGGENDE
li bicchini, si la piggiarru e si la purtarnu
La Donna Tura come 'ntisi ca sa suoni a via mortu^
s'arricriau e dissi:—* Mi la livai armena di 'n cuoddu *.
Chidda murfu
E lu cimtu finfu.
Bagusa^ Inferi are *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Una variante siciliana della provincia di Messina è nei SicU^
Màrchen della Gonzenbach, n. 73 : Von dem Konig, der eine
schone Frau taoUte; una napoletana nel (Junto de li cunti, 1, 10:
Scortecata; una abruzzese nelle Fiabe del De Nmo, n. LXIV:
Eaddppola d'uva; una veneziana nelle Fiabe del Bernoni,
n. XVI : Le tre vede \ una tirolese, con notevoli differenze,
nei Màrchen und Sagen dello Schneller , n. 29 : Der Frosch
(La rana).
L'argomento della Scortecata è questo: " Lo Rè de Rocca-
forte se 'nnamora de la voce de na vecchia: e gabbato da no
dito rezocato, la fa dormire cod'isso: ma addonatose de le re-*
chieppe, la fa iettare pe na fenestra, e restanno appesa a n'ar-
volo, e fatata da sette Fate, è deventata na bellissema giovana;
lo Rè se la piglia pè mogliere; ma Pantra sore 'mediosa de la
fortuna soia pè farese bella, se fa scortecare e more. „
sta (la scena della donna che s'era voluta fare scorticare), e (il bar-
biere) li volle come testimoni che egli non ci avea colpa (della morte
di essa).
^ Almeno me la levai d'addosso.
' Raccolta dal prof. Carlo -Simiani.
•Kiia*>>au.W _^
La bodda pìccìotta.
Cc'era 'na vota un parrinu e aveva un niputi Riuzzu
(veni a diri ca stu niputi era fì^aiu di so soni, ca era
mugghieri di lu Re). Stu parrmu «ria 'nta la so casa
'na càmmara cliina di quatri 'n pittura, e 'nta sti quatri
cci un'era nnu cu 'na bedda picciotta.
Lu niputi un jomu, prima di nèsciri, trasi nna la càm-
mara e guardanuu guardannu sì firmò a ussirvari stu
quatru cu sta picciotta. Lu ziu lu chiamava, e iddu facia
finta d' 'un sentiri. Allura cci 'ncv^a e cci dici: — ' Tu,
ehi vurrissi jiri ddocu, nni ssa picciotta? ,~" Sicuru
ca cci vurrissi jiri; ma comuV , — " Bmì: cci pensa io.
Io haju un porca: stasira ti cci metti a cavaddu, chiuj
l'occhi e iddu ti cci porta. , Ziu e niputi arristam ac-
cussì. Gomu difatti, la sira !u Riuzza si misi a cavaddu
a lu porcu e 'nta un vìdiri e svìdiri fu purtatu a la casa
di la picciotta di lu quatru. Arrivata, la salutò e si mi-
sim a manciari.
■ Passatu du' uri chi era cu idda, cci adduraannò li-
cenzia, e snpra lu stissu porcu si nni turno a la casa
-dì so ziu. Gei cunsigna lu porcu e cci dici : — " Dumani
sira mi lu voli fari lu favuri di 'mpristarimiUu arreri
pi quantu vaju nni sta picciotta? , Lu ziu , di prima
cci dissi no, ma poi, ddoppu un pezzu dì cat ùniu \ ce
' Questione, quei'ela, disputai.
60
FIABE E LEGGENDE
dissi di si. E lu 'nnumani sira lu Kiuzzu iju arreri nni
la picciotta.
P'abbriviari, cci vulia jiri arreri la terza sira, ma lu
porcu si siddiò, e quannu vitti lu patruni cci dissi chiaru
e tunnu ca a lu Riuzzu 'un si lu vulia purtari cchiù
a cavaddu, e perciò circassi un menzu pi fariccillu li-
vari di 'n testa.Lu parrinu cci rispusi: — ** Mentri è chissu,
senti eh' ha' a fari: dumani sira tu cci lu porti arreri.
Vidi ca idda, la picciotta, pi cena cci fa attruvari pisci;
mentr'iddi si lu stannu pi manciari, tu ti finci gattu,
cci Tarrobbi e ti nni fuj; ma però guardati, pirchì idda
ti tira lu murtaru ; è certu ca cu stu murtaru nun ti
'nzerta, ma va a pigghia ^ U cristalli di la finestra; comu
poi nisciti pi jirivinni, me niputi s'azzicca ddi pizzudda
cristallu 'ntra li carni ; e accussi mori e nni lu livamu
di supra. „
La sira lu Riuzzu iju nni la picciotta, truvò li pisci,
e comu si misi pi manciari, èccuti la gatta ca s'afferra
li pisci; la picciotta tira cu lu murtaru, e, allocu di 'nzir-
tari lu gattu, 'nzerta li cristalli di la finestra, e si fi-
€iru milli pizzudda. Lu Riuzzu, quannu fu ura di jiri-
sinni^ nesci di la finestra, e si 'nfila tuttu lu vitru 'nta
li carni; junci a palazzu un pezzu di sangu *. Lu Re
comu lu vitti si misi li manu a li capiddi: — " Figghiu
miu ! e comu fu stu focu granni !... „ Jetta un bannu:
** Cu' fa stari bonu ' a hi Riuzzu, havi un grossu cum^
primentu. „
* Ma va a colpire.
' Junci, giunge a palazzo tutto insanguinato.
» Chi risana, chi guarisce.
LA BEDIU PICCIOTTA 61
- Lf^samu a lu Riuzzu malatu, e pi^hiamu a la pie-
ciotta, ca quannu fu ura di manciari e ed purtani lu
pisci, coma Io iju pi ta^hiari vitti ca cci niscia sangu.
Cunfusa, chiama li caramareri (ca erana fati) ', e cci
spija chi vinia a diri stu sangu. Li cammareri cci cun-
tani lu fattu, e idda chianeennu si vesti di medicu, si
coci 'na certa erba, e si nni va a passiari sutta lì fini-
struna di lu palazzo riali. Li sirvitura 'n vìdennu stu
medica, acehìananu nni lu Re e cci passanu la 'mma-
sciata di stu medicu. — ' Fadtilu acchianari subbiti)! ,
dici lu Re. Trasi e trasi sta piceiotta finta medicu , e
comu osserva lu Riuzzu, cci cumincia a untari ddu mi-
dicamentu , e comu cci lu java untannu , j'avanu ni-
scenuu li pizzudda di vitru. Ddoppu menz' ura lu
Riuzzu era bonu *. Figuràmunni la cuntintizza di lu Re!
Chiama stu medicu e cci dici : — " Dumannati zoccu
vullti, ca vi lu dugnu. „ — " Io nun vogghiu nenti, Mai-
stà. Io vogghiu sulu st' aneddu di brillanti ca vostru
figghiu havi a lu j'Idltu, e sii pizzudda di crislallu ehi
iddu avia azzlccati 'nta li carni. , — "Ti sia cuneessu!,
e la piceiotta si pigghla l'aneddu di brillanti e U cri-
stalli, e si nni torna a la casa.
Lassamu a idda e plgghlamu a lu Riuzzu.
Appena lu Riuzzu nmciu , va nni so ziu, e cci dici
— " Ziu mio, dicissl zoccu voli : ma io pi staeìra vog-
ghiu 'mpristalu lu porcu , cà he jiri nni dda 'nfami
fimmina, e l'hé jlii a 'niraazzari, mentri ea Idda stava
facennu mòriri a mia. , — " Fa zoccu vói „, cel dici lu ziu.
' Chiama le caincrit^re (die erano delle fate;.
' Era lionti, era già guarito.
^i FIABE E LEGGENDE
Eceu ca la sìra va nni la picciotta, e comu trasi ce
dici : — ** Tu nun si' chidda ehi mi stavi facennu mò-
riri ? Perciò ora io fazzu mò^ri a tia ». — " Ma prima
d' amraazzàrimi — ed arrispusi la ^uvina — t' he par-
rari. Dimmi : Cu' ti detti la vita ? „ Risposta di lu
Riuzzu : — ** Un medica furasteri. „ — ** E qoann' è
chissu, ti lu fazzu canusciri io stu nledicu furasteri
Canusci sti pezzi di cristallu ? Canusci st'aneddu ? » Lu
Riuzzu, vidtnnu sti cosi, risto comu un loccu; e rica-
nusciu cu' era chi Pavia fattu stari bonu.
Ddoppu di chistu stabileru di maritàxisi; e di fatti si
ficiru li gran priparativi, ficiru vèniri Dami e 'Ngranni
di Curti, e si maritaru.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
E nuàtri ccà senza nenti.
Palermo ^
VARIANTI E RISCONTRI
Il fondo di questa novella sì riscontra con la Rosamdrina e
con le Palli mctgichi, nn. XXXVII e XXXVIII delle mie Fiabe
siciliane; con Lo Serpe, del Cunto de li cunti, U, 5: ed in parte
anche con Verde Prato II, 2; col Conto del re dei sette véli
di Piano di Sorrento, pubblicato dall' Amalfi nella Nuova Pro-
vincia di Molise, an. IV, n. 10 (Campobasso, 5 marzo 1884);
con le tre novelle romaue della Busk, Folk-lore of Rome: The
Pot of Marjoram, The Pot of rue, e King Otho ; con la se-
conda metà della Coscia di monaca, n. IV delle mie Novelle
' Raccontata da Domenico Ingrassia di anni 83, fabbricante di tu-
raccioli di sughero.
Li BEDDA PICCIOTTI
toscane ed anche in parte co» la Mela, n, V; con // figliuolo
d»l prìitiàpa atregate del Moiiferraft- , a. VJU, e con Zr Mtfe
paia di acarpe di ferro, n. LI delle NoteUine pop. Ualiane del
Gohpauctti ; con La penna d' oro piemontese di MonteCi da
Po , n. VII delle mie Novelle pop. piemontesi e toscane ; con
Ber goldhaarige Prinz (H principe dei capelli d' oro) , n. 21
de' ì&rehtn und Sagen dello Sghneller. .
vili.
La Riggina superba.
'Na vota, s' arriccunta ca ce' era un Re e 'na Rig-
jriiia. Sta Riggina era superba e mala prucidiusa *; s
so maritu cci dicia 'na parola, idda si cci vutava ma-
lamenti. La matina cci javanu li Dami a purtàricci lu
cafè, e idda stu cafò, tutta stuffusa, cci lu jiccava *. Ora
li Dami pinsaru di jiri nna lu Re e cci dicinu : — " Mai-
stà, nuàtri 'un cci putemu arrèggiri cchiù cu la Rig-
gina; zoccu cci purtamu, nni lu jecca di supra; 'un si
cci pò diri 'na parola, ca si siddia; e chi manera è chi-
sta ? !... „ Lu Re, pinsirusu, 'na jurnata tinni cunsigghiu.
hi savii cci cunsigghiaru di mannari a chiamari ón
Màu. Comu arrivò stu Màu,lu Re cci cuntò una di tuttu,
comu qualimmenti avia sta mugghieri ca 'un cci putia
rìsistiri, e tuttu. Lu Màu cci dissi : • - " Maistà , io la
vurria canusciri a sta Riggina „.— " E òhistu è nenti,
cci dici lu Re; io vi fazzu stracanciari di Ginirali; ac-
cussì viniti cu 'na fragata, fincennu ca siti un Ginirali
furasteri, e muntati a Palazzu. „
Accussì fìci lu Màu; si 'mmarca, arriva, comu dicis-
simu, a Napuli. Sarviata , festa... " Lu Ginirali vinni
Una fragata 'nglisi vinni!.... „ un ciarrauliu di casa di
diavulu. Scinni stu Ginirali, e lu Re cci iju a lu 'ncontru
a jirisillu a riciviri.
» Mala prucidivsa o prucidnsa, di cattivo procedere, sgarbata.
2 E idda, e lei, tutta sprezzante, codesto calìe lo buttava loro, lo
j pppingeva. Jiccario jittari, gettare.
o
sala
eei d,
'nglia
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tatù,
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mi:-
TÓtal
sugai
faszu
e foCT
ghiitoiT
Mtf'
w Prarto (la
(, venctitore
Napoli) e
di qaadumi o quaruini (caldume), cioè di interiora d'animali
macello, delle quali il popolino è molto ghiotto, e beve, quando d
può altro, il brodo.
' Pi Jiri, per andare ad accendere il fuoco rta lucij.
PiTRfc. — Fiabe e Leggende. 5
(M) FIABE E LEGGENDE
wevu, cuminciò a pinzar! ca forsi chistu era un castga
di In Signuri pi la superbia ch'avia avutu. So mantu
però vidennu ca idda 'un si vosi sìisiri, si susiu iddu e hi
luci lu iju a 'ddumari iddu, pi fmiri lu catùniu. Ddoppa
poi nisciu pi ghiri a ehiamarì a so soggira. So soggira n
nni la figgUia (pirsuasa ca chidda era so figghia) e ed
dici : — ** Figghia mia, dunni ti vinni sta fuddia ca ri*
Riggina ? Chi Riggina e Riggina ! Tu si 'na povira qua-
rumara „.— * Io sugnu 'na Riggina ! „ — " Chi Riggina!
'un vidi ca ti stannu niscennu li sènzii ? , Fu ura di
manciari, e la soggira cci detti nantìcchia di zinenu *.
— " Chi su' sti cosi ? dici la Riggina. Io chi manciù sti
purcarii? Io sugnu 'na Riggina „. A menzijornu la stissa
cosa ": e arristò dijuna. 'Nsumma fici sta vita pi 'napocu
di jorna , tantu ca si pirsuasi ca Riggina 'un ce' era
cchiù, quasanti ■ la so superbia; e si misi davanti a la
quadara a vìnniri lu vrodu e la quarumi.
Lassamu a idda , chi vinni'a quarumi , e pigghiamu
a la mogghi di lu quarumaru, ca già si truvava a pa-
lazzu riaU.
Agghiurnannu lu 'nnumani, vannu li Dami di Curii
a purtàricci lu cafè, e la vidinu sporca e tutta 'ngra-
sciata; 'nsa chi cci parsi a iddi. Si vòtanu e cci dicinu:
— *Maistà, si pigghiassi lu cafè „. La quarumaua, 'uu
sapennu chi rispunniri, taliava a tutti comu 'na 'nta-
mata ^; si pigghia lu cafè e li ringrazia. Li Dami la
* Cci detti, le diede un po' di (intestino cotto della parte del) duodeno.
* jCa stissa cosa, cioè lo stesso tuppertù e lo stesso rifiuto del po' di
-duodeno.
' Quasanti, causante, a causa di.
* Taliava, guardava tutte come sbalordita.
LA RIGGINA SUPERBA' 67
inettinu 'ut' ón bagnu e la fannu bedda pulita ; poi
vannu nni lu Re: — ' Maistà, la Riggina chi si vosi stra-
t'urmari ?... S' ha pìgghiatu lu cafè senza jiccarinnillu
di supra ^ ,.
Si parti lu Re e va nna la Ri^na:— " Maistà, corau
l'aviti passata stanotti?, Laquaramara, stunata: — "Bo-
na, e vai ? , — " Bonn, , cci arrispuimi In Re, maravig-
ghiatu ca la Riggina cci avìa rispunnutu 'na vota senza
superbia.
A li tri jorna va luMàu, e cci spija alu Re:—" Mai-
stà, comu s' ha dipurtatu la Riggina ' ? , — " La Rig-
gina è 'n' àutra: , (cci dici lu Re): 'un havi cctiiti su-
perbia, e rispunni senza fàrisi agra. Si pò diri ca can-
ciò custumi , ; e cci cUmprimenta a lu Màu 'na gran
summa di dinari. Lu Màu pigghia e si noi va.
Jamu a la Riggina vera, ca abbuscava vastunati notti
o jomu, pirchì 'un si vuleva sùsiri matinu-e 'un vuleva
manciari zoccu ce' era a la casa di lu quarumara. Iddu
quannu so mugghieri (cà iddu si figurava ca la Rig-
gina era so mi^ghieri) faeia la sghinfignasa, cci li su-
nava di mala manera *; e idda a gridari sempri:— " 'Un
è chista la me casa ! io sugnu Riggina, e la me casa
R lu palazzu rial! ! ,
Di -li tanti vastunati, la Riggma-quammara nni cadiu
malata ; si chiama a unu pi falla stari bona *; e a cui
< Maestà, oh che s'è trasformata la Regina ?... Ha preso Q caffè,
senza buttarcelo addosso.
• Come s'è compoitata la Regiua^
' Egli, il trip|>aio, quando sua tiinglio lacca la schifiltosa , la pic-
chiava di santa ragione.
* Por feria riguaiìre.
h
68 FIABE E UEGOKRDff'
si chiama ? a lu Màu. Lu Màu, comù la vitti , si pir-
suasi ca gi^ idda era pintuta di la sòsuperbia ed avia
canciatu custumi ; cci duna un midicamentu , e la fa
stari subbitu bona. La nuttata appressu, pensa di falla:
addivintari Riggina arreri e di tumarì la quarumara a.
la so casa.
A lu 'nnumani li Dami vannu pi jiricci a purtari lu
cafè a la Riggina,e la vidinu arreri sporca e' ngrasciata,ca
mancu si putia taliari (sicura ! si la SEliggina vinia dì
fari la quarumara !..•)• Ma 'un ostanti ca era 'ngrasciata
e lorda, avia boni manerii cà già la superbia cci avia
passatu , e cci avevanu carmatu V agghi K La prima
cosa, vosi chiamatu a lu Re, e comu lu vitti, si Tab-
brazzò e ed cuntò tuttu lu passatu: ca avia statu 'nta
'na casa misiràbbuli vinnennu quarumi, senza manciari^
e abbuscannu li gran vastunatL Si vota lu Re:—* Dunca
ora ti nn' ha' addunatu di la tò superbia ?»— * Sicunr
ca mi nn' haju addunatu; e d'ora nn' avanti sarròggiu
umili e bona cu tutti , pirchì m' he pirsuasu ca chìstr
sunnu awirtimcnti di lu Signuri „.
Accussì s'abbrazzaru e si vasara arreri, e lu Re cci
misi un granni amuri: e di ddu jornu 'n poi nun cci
in mai cchiù 'na palora 'nta d'iddi.
Iddi arristaru maritu e mugghieri,
E nui semu comu li Kimerì.
Palermo K
1 Cd avevanu carmatu Voffghi^ letteralm. intraducibile; significa
le era andato via Torgoglio, il fiure sprecante, dispettoso ecc.
* Raccontata da Qrazia Cannatella, vedova a 22 anni, che rap-
prese dalla nonna Angela Puleo, da Bagheria.
LA RIGOUtA SUPERBA
VARIANTI E RISCONTRI
Nella nota storia àéH'ImpgrMore Superbo, che corre in un
libretto popolare dlvu^tissimo, trovandosi l'imperatore in un
b£^no fuori della r^gia, un angelo gli porta via le vesti, e va
a far da imperatore lui. Quello, ignudo, si presmta a' suoi
servi, a' suoi cortigiani , a questo e a quell'altro , ma tutti lo
credono pazzo, fmchè a un eremita, che anche lui avealo scac-
ciato come pazzo, ai confessa della sua passata superbia, riot-
^ene la grazia di Dio , e torna ad essere riconosciuto impe-
ratore.
Questa è appunto la novella della quale la nostra è una ver-
sione , e per la quale rimando il lettore al dotto lavoro di
HEUMANNWAmtMAGEN, Ein indisches MSrchen aufsaater Wan-
derung durch die asiatischen urid europdiachen lAUratweit,
Berlin, Weidmann 1882, e ad im art. di Libero (F. Torraca)
nella Rassegna di Roma, an. I. Un riscontro beneventano è
in CoRAZziNi, Componimenti minori: Novelle, n. XD; A reggina
« a trippara.
ix:
Lu Re superbu.
'Na vota cc'era un mircanti ; stu mircanti avia tri
figghi fimmini. 'Na jumata si chiama a sti figghi : —
"^ Picciotti, io he pàrtiri pi li me' nigozii; chi voliti pur-
tàtu ? „ Una, la cchiù granni, cci dissi : — ** Io vogghiu
purtatu un abbitu culuri di rosa.» 'N'àutra: — * Io
vogghiu un abbitu culuri di virdi-mari. „ — " E io, dici
la nica , vogghiu ca jiti nna lu Re e cci diciti ca io
chiànciu pi iddu „. Lu patri avia a jiri 'n Partugallu;
si licinzia cu li so' figghi ^ e parti.
Comu junci *n Partugallu , fa li so' mircanzfi , ac-
catta la vesta culuri di rosa pi la granni, la vesta cu-
luri virdi-mari pi la mizzana, e poi pensa dì jiri nna
lu Re. Va a palazzu , e cci fa passaci la 'mmasciata.
Comu fu a la prisenza di lu Re: — " Maistà, haju 'na
figghia ca chianci pi vui. „ Pigghia lu Re e cci duna
im fazzulettu : — * Tini', ^ dàticci chistu pi quantu si
stuja li làgrimi „. Figuràmunni lu patri! Cu stu cutu-
gnu • 'nta lu stomacu torna a la casa. — ** Te', chista
è la vesta culuri di rosa; chista è la vesta coluri virdi-
mari; e tu, stu fazzulettu ti lu manna lu Re di Partu-
gallu pi stuj ariti li lagrimi „. La picciotta si misi a
chianciri comu 'na picciridda.
* Li so* figghi, le sue figliuole.
* Tini\ prendete.
* Cuttegnu^ flgur., dispiacere, amaritudine, afflizione.
LU HE SUPERBU
71
Ddoppu teoipu, lu patri appi a pàftiri arreri pi
}i so' iiÌKOzii<. Li fìggili grannì ^ cci dettiru lì so' cummis-
sioni; la nica dici ; — " Patri mio, vt^ghiu fattu lu tk-
vuri di jiri lina lu Re di Parti^aUu e cci diciti ca io
m'af^cu pi iddu... „ — ' Ma, fìgghia mia, ti pari ca i»
vaju arreri imi lu Re ddoppu chiddu chi mi fici ! , —
* Nentì , patri mio , mi 1' aviti a fari etu favuri I ,
Basta : lu patri partiu, iju 'n Partu^allu; ddoppu chi
£Ì spicciò l'affari soi, va a palazzu :— ' Maistà, me figr
ghia s'aflfuca pi Vui ,. — " Sì ?! e purtàticci sta corda;,,
e cci detti un pezzu di corda. Lu patri Sci la morti
ch'avia di fari '.
Comu junci a la casa, chiama la fìgghia nica : —
" Nni vò' cchiù ? Lu Re mi fici la secunna dì càmmiu; •
ti manna stu pezzu di corda... , La ^ghia nunpiu a.
chianciri.
Passati n' atra pocu di misi * lu patri appi a pàrtiri
'n'àtra vota. — ' " Papà, cci dici la fìgghia nica , mi lu
faciti un piacìri ? Cci jiti nni lu Re e cci diciti ca io mi
ammazzu pi iddu ? ! „ — " F^ghia mia, tu si' foddi ca
io vaju cchiu ddà!, — " Ma vui stu piacili mi l'aviti a
fari ,.— " No, fìgghia mia. „ E " sì, ca mì l'aviti a fari.»
e ' no, ca 'un ti lu fazzu, , 'nsumma, pi hvarisilla di 'o,
coddu, eci dissi di sì ". Comu di fatti, appena junciu 'n
' Le dne figlie maggiori.
' D padre rimase profandamente e doloroeamente sorpreso; si sentì.
> fari la secunna di càmmiu, ^i la seconda di cambio; ma, figur..
farne una nuova , lare una seconda pailacda.
* Passati molti altri mesi.
* InHomma, per levar^la d'addosso, le disse bL
72 FIABE E LEGGENDE
Partugallu e finìu li so' nigoaì , acchìanò a palazzu
riali, e si fici dari adènzia * di lu Re. Gomu 4u Re 'ntisi
ca so figghia * si vulia ammazzari, pigghia un cuteddu
e cci lu duna a lu mircanti. Lu poviru patri lu stava
àmmazzannu... Toma a la casa, e comu si cci appri-
senta la figghia: — * Te', lu Re ti manna stu cuteddu!.. „
La povira picciotta ddoppu stu fattu 'un appi cchiù
paci, e vosi pàrtiri idda. Lu patri fici lu 'mpussibbuli •
d* 'un falla pàrtiri, ma quannu 'un la potti pirsuàdiri,
cci fa 'nsiddari un cavaddu; cci duna 'na bella vurza
di munita d'oru, e cci fa lu bon viaggiu.
Camina chi ti camina, camina chi ti camina, la pic-
ciotta jui^u 'n Partugallu ^. Nna stu paisi ce' era un
cucinu d'idda, figghiu di la som di so patri; cerca, cerca:
lu truvò. Comu lu truvò , la prima cosa , cci cuntò
tuttu lu passaggiu ; e finiu ca vulia essiri vinnuta pi
schiava a lu Re. Veni lu Re , a vìdiri sta bedda pic-
ciotta, subbitu si l'accattau. A palazzu stu Re 'un avia
àutru pinseri chi sta picciotta; un firriuneddu *^, e la
java a vìdiri, e cci vulia parrari. 'Nsumma nn' era 'nnà-
muratu. 'Na jurnata cci dici : — ** Rusidda (cà idda si
facia chiamari Rusidda) , vidi ? io chiànciu sempri pi
tia... „ Idda pigghia lu fazzulettu chi cci avia mannatu
iddu : — ** Tiniti , stujàtivi. „ Lu Re sbrògghia lu faz-
^ Adènzia, odènzia, adienza^ odienza, udienza.
* So figghia, la figlia del mercante.
' Fari lu 'mpussibbuli, frase popolare per dire : Fare il possibile.
in. Toscana si dice per proverbio ; L'impossibile lo fanno i contadini,
* Si capisce bene che il Portogallo pel mondo delle fiabe è una città
Jontanissùna e maravigliosa.
^ (Faceva) una giratina.
I.n SE SUPERBO 73
zulettu e lu canusci. Dici 'nta d'iddu : " E chi voressìri
la figghia 4i lu mircanti , chista ?... , Ddoppu joma :
— " Rusidda, si tu nun mi v6' bèniri, io m'affucu ,. —
" E vu' alfucativi ! » e cci duna la corda. Iddu comu la
canusctu, dici : " Ah ! ca chista la fl^hia di lu mir-
canti è!.... Gei va arreri: — "Rusidda, mi vó' bèniri
tu ? Sì tu 'art mi vò' bèniri, io m'ammazzu !.., „ — "E
vu' juumazzatìvi !... , e cci pruìju lu cuteddu. A stu
punlu lu Re si pirsuasi idda cu' era ; — ' T' haju ca-
uuKciutu : 0 tu mi vò' bèniri, o io m'ammazzu ! , Vd^
tasi idda bottu 'ntra bottu : — " E vu' ammazzativi!...,
Iildu finci ca s'ammazza. La picciotta scinni, e si nni
va nna la so càmmara (cà avia 'na càmmara 'nta lu
palazzu, e' un fintstruni chi spuntava 'nta EÉ chianu).
Lu 'nnumani lu Re si fici mettirì supra un catalettu,
e si fìci purtari sutta lu fìnistruni di la schiava. Idda
affaccia, e comu lu vitti, (cà era tutta finzioni), jetta cu
'na sputazzata ': — " Ppuh ! pi 'na fìmmina quant'ha*
patutu ! , e cci chiuiju lu finistruni 'n facci *.
'Nsumma ddoppu di fàrisi apprijari 'napocu di joma,
idda dissi sì, di pigghiàrisi a lu Re. Fici vènirì a so
patri e a li so' soru; e si fici lu spunsaliziu 'n gran pompa.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
Nili semu ccà e nni stricamu lì denti
Palermo *.
' E comu, e appwa Io vide (perchè era stata tutta ima finzione)
gli buttò addosso uno sputo.
* Oli chiuse il balcone sul viso. — Si capisce che questo U ragazza
fMo per disprezzo del re che era venuto a tanto sutterfugio per ot-
tenerne l'amore.
* Raccontata da Rosa Brusca, cieca.
74
FIABB E LEGGENDE
VARIANTI RISCONTRI
C& con II Be di Turino dì PraloTecchio, n. IX, p. 74 delle
mie Nav^ popolari piemontesi e toscane (Montpellier, 1888);
con HJio dd Be di Danimarca , novellina veneziana edita
dal Sabatini (Roma, 1880); con // Re dei sette veliy n. 42 delle
Fiabe Mantovane del VisEN-riNi.-'Le figlie che vogliono portato
dal padre un oggetto per uno, son pure nel Pappagaddu chi
cmUa tri cunti , nella Btmna 'Mperatrici e nella GràUtda-
heddàtttdaj nn. U, XXXIX, XLII delle mie iH^^ siciliane; nella
Tèa , Tèda e Teopista del Gradi, e nella Zelinda e il mostro
della Novellaja "fior. deiriMBRiANi, 2. ediz., n. XXVI, per la To-
scana; nella Fòla del mereant bolognese della Coronedi-Berti;
ndla Cenei%iUola piemontese riassunta dal Db Gubernatis nelle
Novelline di S. l^efanOy pp. 12-13, e in molte altre novelle
dltalia, che qui sarebbe lungo il richiamare.
lì sutterfugio del re di farsi portare sul cataletto per darsi a
vedere morto ed ottenere la mano della ragazza, che però gli
sputa addosso, è nelle mie Fiabe, n. CI: La Palumìna, e nei
Sicil, Màrchen, nn. 2t: Der grUne Vogel, e 60: Vbni versch-
wenderischen Giovanninu.
Lu FlETSlu di Re.
'Na vota ce' era 'nu %giu di Re di Partuallu; chi-
stu figg^u di re di Partuallu vuliennusi fari 'nu gira,
si pìggiau 'nu bastimientu, uommini, dinari e sì nn' iju.
'Siennu luntanissimu la spiaggia, vìttunu a la rota unni
jèunu iddi comu 'na nuvula nìvira nivira. Unu d'iddi
accianau 'nt' 'a 'ntinna d' ò bastimientu e vitti e* 'u
grannucciali ca era 'na muntagna di calamita , ca si
tràva tutti li ferra d' 'e bastimienta, d' 'e varchi , e li
facia anniarì. Lu il^u d' ò Re nun cci vosi crìrriri
e fici sicutari a camìnari. Arrivannu vicinu ddà, quanta
'ntisinu tutti 'nu gran strepitu , e vìttunu ca tutti li
Il Piglio di R». (Versione IdUraU).
Una volta c'era un figlio di Re di Portogallo ; questo figlio
di Re di Portogallo volendo farsi un giro {■oiaggio), si p^ò
un bastimento , uomini , denaro , e se ne andò. Essendo
0iiUi) lontanissimi dalla spiaggia, videro alla volta ov'essi
andavano 0^*""^) come una nuvola nera nera. Uno di essi salì
sull'antenna del bastimento e vide col cannocchiale che {que-
sta nuvola) era una montagna di calamita, che s'attirava tutti
i ferri del bastimento, delle barche, e li faceva annegare (i ba-
etìmenti). U figlio del Re non ci volle credere, e (ì viaggiatori}
seguitarona a camminare. Arrivando là vicino, ecco {quantu)
che intesero un grande sti'epito, e videro che tutti i chiodi e
i ferri del bastimento andarono a conficcarsi (a 'ppizzàrin) va
quella montagna nera. Che fece il Riuzzo ? si mise a nuotare»
^
76 FIABE E LEGGENDE
ciova e li ferra d' 'u bastimientu ierru a ^ppizzàrisi 'ntak
dda muntagna nìvira. Lu Riuzzu chi fici ? si misi a ^
natari sina eh* arrivau *nta dda muntagna. Arrivannu |;
ddà, si curcau e s' addummisciu. Mentri ca durmiva, \
si sunnau ca cci cumparia 'n viècciu e cci dicia : — \
" Vidi ca cciù supra ce' è 'na statua a cavaddu, piggi
'n fierru, ti minti a scavari é piedi di stu cavaddu, e vidi
ca truovi tri lanci ; sti tri lanci li tiri ó cavaddu e la
statua s' arrumazza; cuomu s' arrumazza la statua vidi
vèniri à vota nni tia 'nu 'nvièceiu cu 'na varcuzza; tu
ti cci minti e iddu ti porta unni cci dici tu; ma però
nun ammuntuari lu nnomu d' ó Signuri, osannò la
varca spirisci e tu t* annèj ,.
Comu s' arruspiggiau lu Riuzzu aceianau cciù supra, e
truvau 'na statua a cavaddu; scava e trova daveru li tri ^^jJ
finché arrivò in quella montagna. Là arrivato, si coricò e s' ad-
dormentò. Mentre dormiva, sognò che gli comparve (compa-
risse) un vecchio, e gli disse : — ** Vedi (bada) che più in su
v'è una statua a cavallo , piglia un ferro , metti (ti minti) a
scavare a' piedi di questo cavallo; vedi (bada) che trov[era]i
tre lance; queste tre lance le tir[era]i al cavallo , e la stàtua
precipiterà giù (^ arrumazza) ; come la statua precipita , tu
vedi venire alla tua volta un vecchio con una barchetta ; tu
vi salì sopra (ti cci minti=ìì ci metti), ed egU ti porta (ti por*
ierà) dove tu gli dici (dirai); ma (bada di) non mentovare il
Signore; se no, la barca sparisce, e tu anneghi ,.
Come si svegliò, il Riuzzo sali più in alto e trovò una statua
^ cavallo; scavò e trovò davvero le tre lance; tirò la prima al
oatiallo, e il cavallo tentennò; gliene tirò un'altra, 'e il cavallo
fu per cadere (stopia=stava) ; gli thò la terza, e (il cavallo)
stramazzò. Come stramazzò, vide il vecchio a mare con la bar-
Lu riGGro DI HE 77
lanci; tràu la prima ò cavaddu, e lu cavaddu si tira-
liau; cci nni tràu 'n 'àutra, e lu cavaddu stapia cadien-
nu; cci tràu la terza e s' arramazzau. Comu s' arru-
mazzau, vitti lu vèceìu 'nta mari cu la varcuzza. Scin-
niu d' 'a muntagnaesi misinn' 'a varcuzza. Dduoppu
eh' avièimu fattu tantìccia dì via, lu Riuzzu dissi : —
"Signuri, vi rincraziu , ca mi mannastru st' ajutu! „
Diciennu accussi, la varca si misi a flirriari, e affunnau.
Iddu si misi a Datari e arrivau 'nta 'n' isula. 'Na st'
isula si misi a caminari e nun vidia àutru ca maeci.
Mentri ca era vicinu à spiaggia, vitti 'nu bastimientu;
ad iddu cci parsi bastimientu di Turchi, e accianau su-
pra 'na màccia pi vìrriri eh' avièunu a fari chiddi d' 0
bastimientu ca sbarcami 'nta st' isula. Vitti a'nu 'nvèc-
ciu cu 'n picciuottu bieddu, e 'na picca d' òmmini. Ghi-
chetta. Scese dalla monUigoa, e si mise nella barchetta. Dopo
che aveano tatto un po' di via, il Riuzzo disse : — ' S^ore
{Dio), vi rmgrazio.che mi mandaste quest' aiuto t , E appena
disse così, la barca si mise a girare e affondò. Egli si mise a
nuotare e giunse in un'isola. In quest'isola si mise a cammi-
nare, e non vedea altro che macchie. Mentre era {quando fu)
vicino alla spiaggia, vide un bastimento; a lui parve bastimento
di Turchi, e sali sopra una macchia per vedere che avevano
a fare (farebbero) queUi dd bastimento, i quali sbarcarono in
quest'isola. Vide un vecchio con un giovane beilo e un po'. di
(alcuni) uomini. Costoro accanto alla macchia dov'era salito
lui scavarono, trassero una hasola e scesero, poiché c'era una
scala. Dopo un poco salirono, ma mancava un giovane. Come se
ne andarono, il Riuzzo scese dalla macchia, e calò giii per (fuella
scalfì, trovò il giovane là sotto e gli domandò: — ' Perchè ve
t
78 FUBB B lilfiaSDI
sti, ò cantal d' 'a màccia uim' era acdanatu chiddu,
scavarru e scippami 'na vaiata e sciimerm, cà ce' era
'uà scala. Ddaoi^ 'n pizzudda accianamif ma cci man-
I cava lu jHcciuottaL Gomn si noi iemi, lu Riuzzu sdn*
y niu d' 'a màccia e calau 'nta dda scala ; e truvau ò
picciuottu ddà suUa, e cci spgau: — * Pirchi vi uni
vinìstni ccà? , Chiddu ed dissi : — * la sugna figgin
d'an mircanti ricchissimu. Stai mircanti ddaoppu tanta
tempa eh' era maritata non avia figgi 'Na vota si
sunnau ca ed nasda 'n figgiu, eh' arrivannu eh' avia
vint' anni , 'na Re 'n tiempa quaranta joma l' avia a
'mraazzari ,. (E ed muntùa lu nnomu di lu Re di Par*
tualhi di' aviasdnnutu ddà, e caera cuiddu)Xu Riuzza
dissi 'ntra d' iddu : * la avissi a 'mmazzarì sta pie-
duottu, e pirehì? , Stèttamu ddà tuttidui e avièunu pas-
ne venisle qui ? « Quello ^ disse: — ^ Io sono fi^o d*un met*
cinte ricchissimo. Questo mercante dopo tanto tempo eh* era
maritato (ammogUtOo), non aveva fig^ Una volta sognò die
S^ nasceva {moàcetse) uo fi^o , che arrÌTato aD* età di venti
anni, un re tra quaranta giorni lavea ad ammaliare (Parr^iòm
McewQ). « (E 1^ nomina il re eh' era sceso là, il quale era con
lui). D Rìono disse tra sé *" lo dovrei ammanare questo giov;aiK^
e perchè mai? ^Stettero là tutti e due, ed erano già passali
treolanove giomL AH' ultimo sjkniio , i fisKo.dd meroanle si
fece un bagno, e pd si coiieò e disse al Rimao: — ^ Fammi fl
piacere di darmi una fetta di mdoBe. Vedi che sopra dove sono
coricato io dsono (de^ cdIdDi: pillane uno., il Riuso oog|
fece, ma mentre pii^vaQcolldlo, siccome {UcoUeOefeoLà^m
aBaagò , advolò^ e piantò fl coileflo nel cuore a colui eh* eia
coricato. Come vide eoa si mise a piangere, ma vedendo che
Lv piesiu M u 79
satu trentanovi juorna. Airurtimu juornu la figgiu d' 'o
mircanti si fici 'nu bagna e puoi si curcaa e dissi a lu
Riuzzu : — ' Famnu lu piaciri di dàrimi 'na fedda di
tauluni. Vidi ca ccà.supra unni sugnu curcatu iu, cci
su' cutedda ; tini pi^i una. , Lu Riuzzu accussì fici ,
ma mentri ca pigiava lu cuLieddu, siccbmu era iàulu
misu, si stinniu, sciddicau, e ciantau lu cuteddu 'nt' ò
eoli a chiddu ca era curcatu. Comu vitti accussi, si
misi a ciàncirì , ma Tidiennu ca nun ce' era rimediu,
si nni iju.
Camina, camina, arrivau 'nta 'n palazzu; accìanau e
vitti a deci, tutti deci orvi di l'òcciu drittu e vistuti tutti 'i
atessi. Iddìi cci spijau pirchi enmu accussì, ma chiddi
cci dissinu : — ■ Ti purtamu cu niàutri, però di tutta
chiddu ca vidi nu nn' ha' a diri pirchi 'u faciemu ,.
non e' era rimedio, se ne andò. Si mise a camminare, e arrivò in
un palazzo; sali e vide dieci, tutti dieci ciechi dell'occhio deatro
e vestiti tutti a un modo. Egli domandò loro perchè erano
(fossero) cosi , ma quelli gli risposero : — " Ti portiamo (noi
ti condurremo) con noi , però di quello che vedi non ci devi
chiedere il perchè ,. Se lo portarono là sopra e poi si Bcdettero
tutti in giro, preaero una verga per uno, e si misero a darsi
colpi; poi pigliarono alquante catinelle piene d'una certa cosa
(materia) nera e si tinsero tutti; altre {eattMtUe) ne presero poi e
si lavarono. Dopo di questo eh^marono il Riuzzo e gli dissero:
— " Vuoi tu sapere perchè sianiO' cosi ? Se vuoi sap^o, noi ti
cuciremo entro una pelle di castrato, ti daremo un coltello e
ti metti nel giardino (?) {vignanu) ; viene tm uccellacelo e ti
prende addosso e ti porta sopra una montagna ; giunto (che
sarai) là, scuci la pelle; il resto poi lo vedrai là; ma però qui
%
A
80 FIABE E LEGGENDE
Si lu purtarru ddà supra e s'assittarru tutti a tuornu,
si piggiarru 'na vìria ognarunu e si mìsinu a dàrisi
corpi; piggiarru 'na picca di vaggìli cini di cosa nìvira
e si tincierru tutti; puoi, nni piggiami àutri e si lavarriu
Dduoppu di chistu, ciamarru ó Riuzzu e cci dissinu: — " Tu
vói sapiri pirchì semu accussì ? S* 'u vói sapiri, ti cusie-
mu 'iita 'na peddi di crastu , ti damu 'n cutieddu e ti
minti 'nt' ó vignanu ; veni 'n auciddazzu e ti càrnea
e ti porta 'nta 'na muntagna; arrivannu ddà, scusi la
peddi; lu riestu puoi lu vidi ddà, ma però ccà nun ti
cci vuliemu , pirchì cciui di deci nun putiemu essiri ,.
Lu Riuzzu si fici cùsiri 'nta la peddi, e si misi 'nt' 6
vignanu. Dduoppu 'n mumentu vinni 'n auciddazzu, s'
'u tarricau e s' 'u purtau. Arrivannu 'nta 'na munta-
gna lu pusau. Comu lu pusau, lu Riuzzu 'sciu lu ca-
non ti vogliamo, perchè più che in dieci qui non possiamo es-
sere, y,
n Riuzzo si fece cucire nella pelle e si mise nel giardino. Dopo
un momento venne un uccellacelo, se lo caricò (addosso) e lo
portò via. Giunto in una montagna lo posò; appena lo posò,
il Riuzzo uscì il coltello, scucì la pelle, e l'uccello se ne andò. — D
Riuzzo si mise a camminare, e giunto in un gran palazzo, che
avea un gran portone, entrò e vide cento porte. Gli si presen-
tarono cinquanta signorine una più bella dell' altra; gli fecero
gran festa, gli diedero da mangiare di tutto quello ch'egli volle;
e si misero a ballare, a cantare, e tutte queste cose (e via dis-
correndo).
Dopo passati cinquanta giorni eh' era là , quelle (signorine)
gli dissero:—* Vi diamo queste cento chiavi, che son le chiavi
di cento porte; noi ce ne andremo per cento giorni: ogni giorno
U
LU neQIU DI RE 8t
tieddu, scusiu la peddi, e 1' auceddu si nn' iju.Lu Riuzza
si misi a caminaii e arrìvau 'nta 'nn ngran palazzu, ea
ce' era 'nu 'ngran purticatu; fraaiu e Titti coitu porti.
Si cci pnsintarru cìnqiianta signurini, una cciti bedda
di '□' àutra; cci ficinu tanta festa,; cci d^sion mandar!
tuttu clildda ca vulfa; e si misim a ballari,ia cantari,
e tutti sti cosi
Dduoppu ca passaiTu cinquanta juoma ca era ddà,
chiddi cci dissinu: — " Vi damu sti centu davi, ca ^unu li
«àavi d' 'e centu porti ; niàutri ni nni iemu pi dento,
juoma, ogni juomu 'rapiti 'na porta, però l'urtima nun.
l'ati a 'rapiri ,, Avanti ca si nni jerru, cci lu accuman-
narru di nun la 'rapiri e poi si unì jerru, Lu Riuzzu 6
primu juomu 'rapiu la prima porta e truvau 'nu bella
jardinn cu tutti li Suri; ò secunnu juornu vitti 'na vasca
cu tutti li pisci; 6 terzu, tutti aucedda; ò qaartu, 'na,
picca di muniti d'oru; d quintu, 'na p^cca d| diamanti
e 'nta l'àutrì tanti cosi magnifica mire. Arrivamm eh',
avièunu passatu novantanovi juoma, arrìstava l'urtim»
porta. Siccomu cr' era 'na porta tutta foderata d'om
aprite una porta; l'ultima però non l'avete ad aprire. , Prima,
d'andarsene, glielo raccomandarono (tornarono a raecoma»^
dargli) di non l'aprire, e se ne andarono. Q Riuzzo al primo
j^mo apri la prima porla e.trpvò'Up bel f^ardino con tutti
i fiori; al secondo giorno vide una vasca con tutti i pesci ; a
terzo, tutti uccelli; al quarto, una quantità di monete d'oro; al
quinto, una quantità di diamanti;n«^ altri (e nei giorni uguentiy
tante cose anche (mire) esse magnificile. Quando erano passati
novantanove giorni, rimase 1' ultima porta. Siccome v'era una
porla tutta foderata {coperta) d' oro e di diamanti , voleva a-
G. PiTRÈ. — Fiabe e Leggefide. fi
I
i
82 FiftM « tMCBIHMB
é dimaÈÉifì 1 1& ^^^ 'i«{dn pi Tlniri ehi ce*
livaiiim Éfflurtimil jtfòmti bMi la potB tènfri;e i»i
enrtotu 'l«piii( te l>éHa é Vitti *n eatftddta maghiflctL
Il €k;i agi;ÉaVtteò8Éti cf 96 piMm 'n tSfttìQ. Lti cara'ddu' riub'
$ ' vidfe ettlxAMSi d Id^'» tM a dàHcei eorpi ; lu c«[^
vaddu di làidi à itarriàri tODA
puoi coi desi ^n corpucu lacudaelu 'nnurv^u di tbc-
^ du dritta. TatP a 'ita vota si irurau datanlS In iÌa-
^ lazza non' erinu .diiddi dèci ttorvi di 1' Òccia dHtni.
Chiddi non ed Ili vòsiiiti , è cùonm rinni 'nu bàdti-
mienta ea jia 'tìf 6 regm cB s6 pàtri, si nni ijla.
Ragusa Inferiore \ ,^
prirla per y^ilere che c*era {dfosée)) non potè tenere (hì^ii «Ut
pazìertza d^aàénderé), e per essere curioso aprì la porta e vide
'^ un camallo iniagnifico. Lo cavalcò e lo portò (e fudaée:o por-
^ t(M) in sdlà 'stnufat ('n danu^ssm piano). Il cavallo non Toleìrà
cìoÉtiniiiiare, «ed egli si mieie a dargli Cólpi; il cavaDo prese à'gi-
rare inboraioelo buttò per terra; p<n gli diede un co^ con lai
<HKÌa é Tacoecò deU'òodiio destro. A un tratto si trovò inoàna^
il palazzo ov* erano i dieci ciechi dell' occhio destro. Costoro
nd V(Aero {ofm hro\ e al giungere d*mi bastimento che an^^
4l9m nel regtto del padre, "(^t) se ne andò {su di esso).
VÀWÀOTT*Bi\lSC»NTRr
; ..-..•.;■•. i '
Il fóìÀo di guasta novella è m parte nd Figliuolo dd re éR
Ii'af^'éilÌ6xilalè,,joi IXTàéSle^ov, pop. ital. del Goupa-^
«ETTI, è n. tìi ààle éésiània JfoveUe moìUalesi del Neruggi.
« R4oJi>ìlbt' ^'pràf.' Cariò Simiani.
i*i-:
/■
LU FIGKIIU DI RE SSt^
Una novella siciliana <rf(re il medesimo motivo del cocomero,
causa della morte del giovane.
Gfr. con Im hamane de lu mulenère n. VIU , delle NomIU
abruzzesi p. 1/. del Finamore.
D divieto di ferire la ceotesima porla &tto dalle cinquanta
ragazze e la trasgressione di esso per parte del Riuizo richiama
a un tema quasi idèntico in tutte le novelle.popolarì; ma v'è ra-
gione a ritenere die non cinquanta ma cento debbano esaere le
ragazze apparse al Riuzzo, quando si pensi che cento sono le
chìan delle cento porte e cento i gjomi in cui le r^aize bl
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84
■ 1
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XI.
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jRatri Doun'Antoninu Piiiella.
' ' ' ' • * ■ , ?
'Nca dici ea .'aa vota s'avianu a 'lobarcarì corti. <;iqrw
tiddateddi ^ chini di rina, edid oa vacanti nm ac^^sf^
àutm bastiiùeiitu t»L diiddn di lu Patri Doon'Antnniiitt^
Piscila •.— • 'Mbàrcàiiiuii ! ; SK 'mbàrcau hi Patri Doiir-
n'Antuninu Pisella cu li cartiddateddi chini di rina, e^
partiu. Gamina, camina, a certa puntu, né ananti nè^
arretru '; li marinari didnu: — * Chi è sta cosa, o D<q|te||.
n'Antuninu ? chi è ? ,— * Havi a ristari, rispimni iddtv
un omu ccà, e poi si poti andari anantL „ — '^ E cu' rp^
sta ccà ?... Facemundilla a toccu : cu' nesci resta \
mentri ca unu havi a ristari pri forza. „ Tuccani , e
cu' nesci? Donn' Antuninù! Dici unu d'iddi: — * Pat|(|
Ntuninu nisciu ; pò essiri mai , dici , mi s' arresta hi
Patri 'Ntuninu, lu patroni ? , Tuccaru arreri e niscia
toma vota ^ lu Patri 'Ntuninu.—* E lu Patri 'Ntuninu
avemu a lassarì?... mai, non pò essiri! „ Tuccaru pf
tri voti e iiisciii sempri lu Patri 'Ntuninu.
* Figgliioli, dici iddu , la sorti voli daccussì , mi re^
* Cartiddateddi, per cart6éUìi^ t. f. plur.; corbe.
* Patri qui ]x.t p^>*um', padrone, titolo dato al capitano del ba»>
utimento.
' A certo punto (del viaggio il bastimento del capitano Pisella noni
potè andare) nò fi vanti né indietro (si fermò).
* Facciamo al routo; chi esce (è sorteggiato) resta.
* Tina secotidfi volta (daccapo).
PATRI DONN'ANTUHINU PISILLA »0
:stu *■ .. Dieennu chiatti, ai nni BCinniu, e n^pii'andùa *
'ita la spiaggia; e lu bastimentu cuniinciau a camìoari .
loma vota. .
Nna la spiag^ lu Patri 'Ntuninu simisi a caminarì
'nfina ca travau 'aa barracchedda mi bì ripara ', ponni .
omu; ddà sintia coma un iamentu^ dici t—' Chi è ;8tu
lamentu ? , Si 'ntrasattava povir'oniu.— ' Ah, {dici 'na
Tuci) Patri Donn'Antunihu Pisella ! Ah, Patri Dcma'An-
tuninu Pisella ! ,— " Cu' è chi mi chiama ? , — ' Surgi
sta balata e sarà la tò sorti , IdcUi cerca e vidi 'na ba-
lata; sorgi un morsu di balata e nesci 'na manazza .
nìura; si scantùa *. — " Ah, dici la manazza, aarà la tò
aOTti. , Surgi 'n àutru morsu, e la manazza aecuta a
nèsciri brutta brutta; iddu si 'ntrasattau * e dici: — ' Di ,
ccà nisdrà quarchi dimoniu, hramu la scaciuni *. . —
" Ritirati la manu „ cci dissi, e chiudiu la balata. La
manazza si rìtirau, cci lassati 'na virga e cci dissi: —
* Chista è la tò sorti «. Lu poviru Patii 'Ntuninu Pi-
sella, 'ntrasattatu com'era, 'ntra sta scaitiggiu ', 'atra
' Ia aorte vuole così, che io rimanga. — Ufi, qui per chi, c^,
* E ae ne andò. Andùa, della parlata. (A Santa tuda di Mala «
-altrove andòt). Molti verU della I.> conjuga^one, al pass. lim.^ 3.>
pera., iing., escono in questa parlata in uà.
■ 'Nfina, flocbè non trovò una banLcotiina, ove potersi rip&rare.
* Surgi un mortu, aba un pano fatorsu, trMna. morceauJ di \m-
•oU , ed esce una manaccia n#a (ca|ì brutta che PiselIiO ebba
' Egli ebbe paura,
* Leviamo la cagione.
' la questo dialogo animato, Seuttifn/iu per tcutiffgiu, a. m.,
«ontesa.
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86 rìàÈ t K UEGOENDS
sti eo0i, si Émtm cUamaru—^ O E^otri 'Ntunìnn PifteUa..!
OPMri'Nttiniiml%eiia!;I)tei:~*€a' ècU nii^MBittt
sarannu chiddi di la barca ,. Gurria e lum. lidifk a- !
nuddtit; taniaf)a:-^';Ó<- Pàtri IVtuiuim I^usdlAl,^^
* Cbìddi di ia^barca mM . Nociate niiddii;!!!!*!»!»»^-^^
' 0 Patri 'NtpniM* BlMBafr , . ; ^ ,
A Éba punta idda # pigghiau la iniga « a niu!iich컫 -
naa 'sc^ra un' nmutf, battio forti la virga 'n tMra^ \ìm
munti si grapfa e vitti' un beddu palazzunL Vitti. 4iL
beddu pahuszn^ 'nchianaAi, hi flrriau tutta a nua ndia -
a middUi 'na bedda tarala cunaata e mandari à^cgoL
sorti Bensa mi vidi a nùddu. S'assittau, miai a maonu
ciarì, si vidia sirvutu ma .non vidia a nuddu. Fimui|||4^
mandari, a scurùa; flrrìa, flrria , vitti un beddu lette:: .
cunzatu e si curcùa:' trovau la so sorti. Mentr'eea- vaaj^
catw, si vidi iq^iBQtiarii 'na matrona tanta. Sta mabroiifei ;*
si spdggMafu e si curcàa cn iddu. A la matina iqputa^ s;
e 'ntra la jnmalta noni si vitti cchiù; la sira tuni«iii ^
spugghiau é si' eareùa cu lu Patri -Ntuninu, e daocueià
facia ogni sira. Passa oggi e passa dumani, ddoppa
novi misi àppiru un bòddiì figghiu.
Stu picdriddu la matina 'un avia latti, pircbì la mà-^
trona 'un cc'era , e chiancfa semprì. Lu poviru P
'Ntuninu Pisella 'na jumata non ni putia cchiù eAvk '
scinmu na hi giardinu pii flaihi allianari ^; ddà cc'era
'nà gran serpi ; sita ìsetfi til sgugghiuliau ' e cci pigi^^-
ghiau lu picciriddu di li monu (ora chidda era la mér^
1 Per fBxio aUensro (dhmUzey distrarre).
-ì;w
f .
PATHI DONN'ANtHNHni' PISELLA 87
trotta cunnannata a staci Uittu la jormì 'ntra dde giar»
dinu); iddu si 'ntrttsattau, eà paiffi ca eci L'OiAmazuTa;
pìgghiasi 'napoeu di petrì e li cumineift atioipiisri^a
la seirpi 'afina ca cci Ilei latsaari lu piooiiiddti.
Comu lu Patri 'Ntuninu si nn' andùa^ 'ntin un Ut»
mentii:—" Ah, ah, ah! , Dici: — " Cu' è sts lamentu ? ,
Si giriau e non vitti a nuddu.
Scurùa, e la matrona 'un cci vinni, e 'n cànciu d'idda
spuntaru li So' servi; dici: — "0 Patri 'Ntunitiu, avemu
ordini di la nostra patruna mi vi jittamu di stu bar-
ami ' ,.— " 0 mischineddu di mia ! e comn faaatt ora 9
Fri carità, non mi jittati, flgghiuleddi cristiani, sdnnl-
tjmi chianu chìanu, ca iu mi ndi vaju. , Iddi lu sdn-
neru; -dici: — " E comu fazzu ora pi jirimioni ? , Li serri
lu mìsiru supra un aguiluni * e cci dissiru: — " Badati,
Patri 'Ntuninu, si vuliti arrivari rivu, dàtìcci carni 'niina
ca uni voli. , — ' Va beni. „ Lu Patri 'Ntuninu partiu, e
l'aquilani cumincìau: — " Carni ! » e iddu dava carni, ,
— " Carni ! , e iddu dava carni; la prìma, la secunna,.
la terza , la quarta vota , 'nfìnarmenti la carni flnfu.
L'aquiluni non slntia raduni e vulia ancora carnij lu
Patri 'Ntuninu tàgghisi 'na ffedda di natica e cci la
duna *; l'aquiluni sicutava cu la carni, e iddu.tà^hiasì
l'àutra mezza natica e cei la detti.
Fimamenti arrivaru a hi ftaisi di lu Patri 'Ntuninu;
' Timpirari, v. tr., tirare, scagBare.
* Abbiamo ordine dal nostro padrone di gettarvi dal balcone.
* Un' aguiluni, una grand' aquila.
< Padrone Antonino tagUaii una fetta di natica, e giieU dà (aW
raquila).
90 FUlBE e LB0€«NDE
dici ca ToU pi mogghieri a chidda tali ca ccì purtaiw 'na
scarpa la stissa \ Lu Re aosunsintlu, e fid jittari un ban-
nu pi tutti li regni: * CV haci *na acarpa eomu a dbù?»
da ca truwm ìu MiàMMm, ék tfmlmtptUu acaecia^iddu si
la pigghia pi mugghierì, e idda addivenia Bigginedda.
IiAssaiMi ft tal A0 di PaftaiiptUaf
isiotta, caogni jormi jaTa«fiuri yÌ0Ìtà imi lagniti^ U^
riminamm l'uBHddft * e obianceniwcd tempri di sqifw.
Sta vita lacburau ^napocu di tempo.
Un jomu 'nta di Tàutri, a la tràdri ^nta la |prqBUa«.
allocu di li soliti ussidda trova tanti cosi prizinai ^ In.
testa, un vasa ànticu; Fandii, quattro bacidi 'd'ora; ilu
schinn e li eusticeddi, d-oni mmiremma; allòcu di 1'»^
gnidda , fari sèarpi d' ora cu li taed di iHrlatttL '3!!rl
scarpi ^)araggi *un putevaiui eseiri; drcò la cpiarta ma:
'uh fu possibbuli di truvalla« Chista ed parsi *ììa, nAla
sfortuna, ma poi ^sò ca 'nta lu so statu tri scaipi di
dda sotti di manera eranu 'na riechizza , e isi tìimlifir*-
tau: " avo^^hia: di quattru nn'haju tri: chi nn'ké farì2bw
Mi li tegnu pi rigcHrdu di la me agnidduzza; Tàutri cosi
li viimu 9.
Sta picdotta- avia 'n'amica, ehi si chiamava Bettaì è.
ed dava un piatticeddu dirtninestra ogni jorwjL La picr.
ciotta ed cuntò lai cosala Betta^ e Betta si nni cunAH
lau asbai assai. * D'cnra nn'i^vanti — ed dici Betta — cbidn
du ehi io faceva^ sòcutu arfarì '; ma s' 'un ti dispiad,
* La 8H99€t; àiok peiMtammite egoaSiA a (|ueUa da lui trcwata nella
^protta.
* Arriminannu Ftisaidda, rimesoolaiido, agitando gli ossicmi.
* Lu sècutu a fari^ proseguirò a &rio.
LA PIGGjOTTA POVIRA 9f
mandamu 'nsèmmula ogni jomu ,. E accussi fidru: ed
eranu cuntenti e filid. ,,-o.j.
'Nna Yota nisceru 'nsèmmula a caminata, e 'ntìsira
abbanniari iu bannu dìinAèsdi BurtogaUuu Attentanu
megghiu e sentinu. Allura accuminzam a su£^ttarì tut-
tidui ca iàscarpa d'cMra^idiLi(Kii ouuieii&a^itt^d'ì^^
era thidda; pàrtiim e lominit mia Mnite dbPaefcataiiWà
Go»u arrivanu, li goaflrdii -^im U :mdè«aiu'!iÌNefc tifttid
a palàzzOf cà eraou acnmitotiddi^i/ti&'ffiiB^^ «9Bir
pàrifi K Basta: ;ti»s«ra , e la. piletta ;a bi vldiii dda.
scarpa, ed dtsai aiu Riusai: -tr »* Gcà tea im' èiimA; bi
'dinMcà^ a ai Tuliti vi màdi^gQAfc '9' àutii éuiywo» pi' li
siimi A la Rituszu ata cota^od *t»iaoftue gnardahattjla
picciotta si imi 'nuamarau ^ eisi Jtk pigghiau |MÌ jDtafr
ghieri. La picciotta addivìiatò SJggin6dda«.e*B9ttarfPWi]^!
Dama-j^ Gurti. .- ;..- :',t. i-i:-».^ '.ìì 1 ■;; .-'r
^ Iddi artifltero flièi er cMtóBtì^^ - ' "
^ Cà eranu, perdiè erano uà po' sprovviste e non pot9i=flÌ!M;4^. -
* Ve a' è UQa ,(scturpA) » ulen^fl<» fe 4]uella che avete , trovata voi .
nella frotta).
* RftccÒnta'tà da GiuwK» t^wtó''"*^'^ h, *. mm^'.^.é tu-:->.. i
.... . . . :■ .^ .■■■■■■
''li 111 ili »— H^>»M K ■
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•92
xm.
L' (MdddiUBra.
'Na Tota s' arriocunta ca ce' era un maritu e 'na
'inugghierL Sta marita e sta magghierì aviana dui pic-
•cirìddi, figghi d' iddu ; e idda, la mugghierì , ed Yinia
parràstra. Sti piccirìddi si vulìanu bèniri quantu Toc-
«chi soi. 'Na jurnata la parràstra, stuffa di lu picciriddu^
cà V ayia supra la nasca S lu pigghia ammucciuni di
so suruzza e la tagghia pezza pezza e lu cocL Vinni
la maritu : — * E lu picciriddu unn' è ? , — * E io cM
sàcdu, dici la mugghierì; havi 'na jurnata chi manca.
La suruzza sintennu accussì si misi a chianciri.
Fu ura di manciari: s' assittaru e manciaru; quanna
fu ura di la carni, tutti si manciaru la sua ^ ma la pie-
cirìdda 'un nni vosi, pirchì lu con cci parrava ca
•chidda era carni di so fratuzzu ; ma chi fici ? tutti li
ussitedda di la carni 1' arrìcugghìu e si li sarvò 'nt' da
•casciuni •.
'Na jurnata va pi gràpirì lu casciuni e vidi vulari
*n ocidduzzu; lu vulia affirrari, ma Tocidduzzu scappò.
Passanu 'napocu di joma, e st'acidduzzu cci veni a
•canta di 'na finestra:
* Aviri ad unu supra la nasca, averlo di malocchio, e cercare
<di nuocergÙ.
* Ognuno mangiò la sua (porzione di carne).
* Tutti gli ossicini della carne li raccolse e se li conservò in oa
«cassone.
l'ogidduzzu 9Sr
•Pfupfupful
Me matrazza m* amma^zau,
Me patrazzu mi manciau,
Me suruzza nu nni vosi
Tutti r ossa Tarricòsi I ,
Si vota la soru : — ^ Chi dici ? chi dici, acidduzzu ?,^
Rispunnì Focidduzzu : —" Tè' ccà, pigghiati chistu ,. e
cci jittò 'na cartuzza; e la suruzza si la saryò.
Lu 'nnumani Tocidduzzu va nn' óu matigrazzaru \ e
cci va a canta :
*Pfupfupftt!
Me matrazza m* ammazzau, .
Me patrazzu mi manciau.
Me suruzza nu nni vosi
Tutti r ossa rarricòsi ,.
Si vota lu matarazzaru bottu 'idra, bottu : — * Chi
dici, chi dici ocidduzzu? „ — " Chi dicu? nai li duni du*
matarazza ? cà io ti lu dicu chi dissi «. Lu matarazzaru.
subbitu subbitu cci pripara dui matarazza e cci li metti
davanti; e Tocidduzzu cci canta:
* Pfu pfu pfn I
Me matrazza m* ammazzau,
Me patrazzu mi manciau,
Me suruzza nu nni vosfi.
Tutti r ossa rarrìcdsi • ,.
Comu finisci di cantari « si pigghia li matarazza cu
lu pizzu • (cà st' oceddu era 'nfatatu) e si li porta- Vu--
Ustivu vìdiri lu matarazzaru ! 'Un si lu cridia ca V o-
* Tutte le ossa le raccolse.
' Materassaio, fabbricante di materasse.
* Prende col becco le materassa.
94 FIABE K LEeOENDE
<;eddu si li putia carriari \ e grida : — " Affirratilu ! af-
firratilu ! ^ Cu' Y avia a 'ffirrari, ca Toceddu *un sì vitti
mancu vulari ! Va nni la suruzza e cci canta: Più, plu^
più , la solita canzuna ; affaccia la som , e iddu cci
jecca sti matarazza pi sarvarisilli * pi la dota chi s'avia
a fari.
Lu 'nhumani va nn' òn siggiaru e cci fa la stissa
<5anzuna: Pft», plù^ più] si vota lu siggiaru *: — ■ Chi dici,
chi dici, ocidduzzu ? » Risposta di V ocidduzzu ; — * E
tu mi li metti dudici seggi ccà , ca ti lu dicu ? » Lu
siggiaru cci pripara sti dudici seggi, e T ocidduzzu cci
canta: Più, più, plìè; e comu finisci, afferra pi lu pizzu
sti seggi e vola. Lu siggiaru arristau cu tantu di nasu
a taliallu. Va nni la som, e cci posa sti seggi : — • Te\
sarvatilli „. Va nni 'n arginteri , e cu la canzuna cci
fici mettiri ddà davanti 'n aneddu di brillanti; comu
r appi belln proritu, cantau , si V afferra e vola, e cci
lu porta a la 9om. 'Nsumma a unu a unu cci purtò a
so suruzza tutta la dota sina a li cammisi di la notti,
a li pettini, e li scarpì.
La parrastra, ca cci avia vistu purtari tutta sta gran
rubbuna *, nn' appi 'mmidia; si vota cu V oceddu : —
* Ocidduzzu, ocidduzzu, a mia nenti mi porti ?» Si vota
Tocidduzzu : — * Dumani fatti tra vari ccà, ca ti portu
*na bella cosa „. E chi fa? Va nna una chi vinnia chiova,
e si fa dari un saccu di chiova , cu la solita canzuna
di lu Più, più, più. Cu stu saccu di chiova vola e va
1 Non credea che T uccello se le potesse portare (le materasse).
• Per conservarcele.
■ Siggiaru, seggiolaio.
* Questa grande e bella quantità di roba ^rubbunaJ,
L'ocntDtrzzo 9S
uni la parrastra : Più, più, pi». Comu la parrastra lu
vitti Tèniri cci dici : — ' Chi nu purtasti, ocidduzzu ? ,
— ' Mettiti a facci all'aria, cà io ti lu dugnu zoccu ti
purtai ,. La parrastra si metti a facci all'aria, e 1' o-
«eddu ppum ! cci jetta supra la panza ddu gran sacca
di chiova. La parrastra tirò un assaccuni ', e mur&i.
La fij^hia, spavìntata, si misi a chianeirì pi la scaUtu di
so patri ; ma 1' ocidduzzu 'un si flcì né TÌrdì né (^ama *;
dici : — ' Nenti, 'un ti scantari. Quannu reni tò patri,
cci duni dda cartuzza chi ti jittavi io, e accusai si pir-
suadi cu' fu ohi 1' ammazzò a so mu^lùeri ,. E spina.
Veni lu patri e trova stu focu granili *; e la tìf^lm.
chianccnnu cci contò coma aria jutu lu fattu; la patri
però 'un cci vulia crìdirì, pirsuasu eh' avia statuìdda
ca I' avia ammazzatu *. Quannu la Sgghia vitti ca so
patri era ostinatu, pigghia dda cartuzza e cci la duna *.
'Nta dda cartuzza chi ce' era gcrittu ? tutta chiddu clii
cci avia fattu la parrastra a lu picciriddu, tuttu mina-
tamenti. Poi idda cci cuntò tutta la dota chi ed avia
fattu r ocidduzzu , e lu patri vitti ca la scìlirata era;
stata so mugghieri.
Iddi arrìstaru filici e cuntenti,
E nuktrì semu ccà senza nenti.
Palermo *.
' Tirò un amiccuni, boecbeggiò.
' L'accellino non u Teoe nà verde né giallo (cioè, dod si acomposa
punto).
' Focu granili, tramestio, roviiui.
' Perauaso (sicuro) cbe era stata M che l'aveva uccLw.
■ Prende quella cartina, e gliela dà (porge).
' Raccontata' dalla Oiovannina di Monreale.
^ FIABE E LEGGENDE
'-'' Fusiddu, va' a Ugna ; e si veni presta ti dugnu la
vastedda cunzata ^ ma ha' a viniri prestu, vasionò al-
locu di danti vastedda, ti fazzu addivintarì li spaddi
•càudi. »
Fusiddu a stu ditta pigghiau la corda p'attaccarì li
X ligna , e si nni iju fora, a la campagna. Camina, ca-
mina^ camina, nan avia travata nadda sgroppa: finar-
menti, ddoppu aviri fatta migghia e migghia e migghiat
tri truvaa vicina 'na casa ca la porta aperta; la cariu*
sità di vidiri cu' ce' era dintra, la fici tràsirì. Trasi a-
dacia adacia, e nan vidennu viniri aggenti, si fa «chiù
anninira 'nsina a tanta chi trasia 'ntra un macasenu;
guarda e vidi 'n funnu, 'n terra, tantu oru e tant'àutri
eosi; di cchiù dui muli cu. li zimmìla, càrrichi 'nsina
^mmucca di dduppieddi *. Vulistivu vidiri a Fusiddu 'nta
#tu beni di Ddiu ? D'allura cridia chi si 'nsunnava; ma
poi tuccanhu li dduppieddi beddi e lampanti, si pirsuasi,
é p' 'un sapiri le^iri e scriviri pigghiau li muli càrrichi
di li dduppieddi e si nni iju a la casa. Comu junciu a
la porta, tuppuliau. La Za Nina a ddi corpa accussi
forti, satau pi lu scantu di la seggia, e a cursa a cursa
Iju a gràpiri la porta. Scantata dumannau: — '^ Cu' è? ^
— • Ma' ma', apriti, apriti prestu, chi semu ricchi ric-
chi. « La matri apriu subbitu la porta. Fusiddu comu
nò matri aprìu, pigghiau li muli càrrichi com'eranu, e
li trasìu dintra. So matri a vidiri tutti ddi dinari du-
1 Vastedda o guastedda cunzata, pantondo spaccato per lo mezzo
•e ripieno di otio e acciughe, o di sugna e ricotta, ciccioli o che.
* Dduppf-edda, s. f. dim. di ddùppia, antica moneta d* oro equi-
valente a lire 25 e centesimi.
mannau scantata a Fusiddu: — " Chi l'arrubbasti? , —
" Zittitìvi,cci riapusi Fosiddu, chi vi cuntu tuttu lu fattu.
Fratantu pigghiati lu munneddu * e videmu quanta su'
tutu stì dduppieddi. , — ' Jeni ' nuii mi uni trovu mun-
neddu, cci risposi la matrìrma senti eh' ha' a fari: va'
ccà vicinu, nni la Za Peppa, e cci dici si nni voli pri-
stari un mumentu lu munneddu, chi mi servi pi misu-
rali nanticchia dì farina. , Fusiddu iju nni la vicina,
e cci dissi: — * Za Fa', mi dissi me ma': mi lu vulìti prì-
starì un mumentu lu munneddu chi cci servi pi misu-
rar! nanticchia di farina ? , — * Sì , fi^hìu , ti In pOi
pigghiarì quantu vói, ma basta però chi comu t'allestì
mi lu porti subbituP , — ' Gnursi: jeni, comu me matri
s'allestì, scappu ccà cu lu munneddu ,.
Dittu chistu, pi{!%hiau lu munneddu e si nni iju a
cursa a la casa.
Juntu chi fu, la matri cci lu livau di 'mmanu e si
misi a mìsurari tuttu lu tesoru. Ddoppu chi vitti quautu
munnìddati eranu li dduppieddi si vutau cu Fusiddu, e
cci dissi di purtari lu munneddu a cu' cci l'avia pri-
statu. Fusiddu nun si lu Sci diri du' voti, si pigghia la
munneddu, e lu porta a la Za Peppa.
Ghidda comu Fusiddu sì nni iju,. taliau lu munneddu
pi vidlri s'era comu cci l'avia pristatu. TaUa, talfa, nun
ce' era nentì; ma 'ntra 'na 'ngagghìa di lu munneddu
vitti una cosa chi lucia. 'Nfila la manu e trova 'na
dduppiedda. — " Ah! birbanti, tu lu munneddu lu vu-
■ Munneddu , s. m,, antica misura di capacità, pari a litri 4,298.
* Jent per ie., ieu, io, che pure dicesi «u, iu, io, ita, i' , ir io,
io, ecc. ecc.
100 FIABE E LEGGENDE
listi pi misurari dinari, no pi misurari farina ! Aspettar.
chi si nun mi nni duni 'na mitati a mia, t'hé fari ar—
ristari a tia e a tò mairi chi ti manna a 'mibbari ,.
Pigghia lu vardaspaddi e va subbitu a la casa di Fu-
siddu. Ddà senza tanti cirimonii si vota cu la matri*
d'iddu e cci dici: — " Cummari, o mi dati subbitu sub-
bitu *na mitati di dduppieddi eh' aviti misuratu cu lu
me munneddu, o vasinnò vaju nni lu 'Spitturi ^ e vi'
fazzu arristari ! „ — " Ma cu* vi lu dissi ch'eni * haju mi-
suratu dduppieddi ? „ — " Cu' mi lu dissi ? Cu' mi lu-
dissi, signali chi mi lu putia diri ! e pi dàrivi 'na prova,
vi vogghiu fari vidiri 'na cosa. „ Metti la manu nni la
sacchetta e tira fora 'na còsa lucenti lucenti. La matrih
di Fusìddu a lu vidiri sta cosa muriu, e nun putennu
nigari cchiù, si vutau a sta bona donna e cci dissi: —
" Cummari, Fusiddu ajeri mentri caminava a jiri cir—
cannu ligna, ddoppu aviri fattu migghia e migghia, vitti-
'na casa, cci avvicinau e trasiu. 'N vidennu chi nun cc'era
nuddu, si 'nfllau cchiù annintra 'nsinu ch'arrivau 'ntra
un macasenu. 'Ntra stu macasenu vitti tanti cosi beddi*
e priziusi, e 'ntra Tàutri dui muli cu li zimmila càr-
richi 'nsina 'mmuccadi dduppieddi. Nni vulistivu cchiù?!.'
ha pigghiafu li dui muli càrrichi di dduppieddi e sì
nn'ha vinutu nni mia. Perciò, cummari mia, nun ce' è
Tienti d' arrubbari , ddocu. Si la furtuna voli accussì,
chi fa ? nu nni nn'avemu a sirviri? ' „ — ** Vui aviti rag-
^ L'Ispettore di polizia, oggi Delegato di P. S.
• Eni per Jeni, io.
» Se la fortuna vuol cosi, che fa (che c'è egli di male?). Non ce ne
dobbiamo noi giovare ?
FUSIDOU 101
^iQni , cci arrispunniu la Za Peppa ; ma ora jeai chi
jsàcciu la cosa, voghili arricchiri puru. , — " Valiti ar-
ricchiri? cci dici laZaNJna. Sintiti chi facemu: vui a-
yìU a vostra %gliiu Peppi , jeni haju a Fusiddu : li
mannamu arreri danni Fusiddu travau li dduppleddi
« chiddu chi pig^hianu poi nni )u spartemu. „ — " Ohi
borni bona è ! rispasi cuntenta la Za Peppa; mi piaci
chidda chi diciti voi; aspittati chi sta cosa cci la cuiitu
a Peppi e viju si cci voli vinirL „ Si metti lu varda-
apaddi 'n coddu e va a corsa a la casa, trasi e chiama;
— " Pè', Pè' ! ,— " Chi valiti, ma' ? „— " Senti, se': ce' è
Fusiddu h' havi a jiri a truvari picciuli ? Gei vò' jiri
tu? , — " Lu Diavulu vi lu fa diri a vui e a iddu pura! ,
— ' Allura veni ccà. „ Lu pigghia pi la mano e lu porta
nni la casa di Fusiddu. — " Va, Fusiddu, dici la Za Peppa,
ccà ce' è me ilgghiu Peppi : quaiinu vói , vì nni putiti
jiri. B — "Ma vui veru diciti di purtàrimi a Peppi o
schirzati ? , arrispunni Fusiddu. — " E chi sentì diri tu,
si dica di veru o scherzu di purtàriti a Peppi ? , —
" Senta diri chi vostra -fìg^hiu nun cci pò viniri a 'mib-
bari cu mia. ,— " E picchi? ,— " Picchi ? picchi havi la
«ulu grossa e nun pò currìri si cu' sa vennu li latri. ,
— ' Vatinni va, ca tu lu fai pi jiricci sulu e pid^hià-
riti tutu cosi tu. , — " Viditi eh' eni nun lu fazzu pi
■chistu; lu fazzu picchi si li latri l'afferranu, vi lu fannu
milli pezza. — " Vatinni, vatinni, vatinni, chi me flgghiu
5api curriri raegghiu di tia e nun si fa pigghiari. , —
*■ Ah no ? 'unca jemunimii. . — " Vassabioirica ! , ^ cci
' Vatsabiniriea , composto di VoS^iffnurQa [mi] Hnidica, ella
tni benedica. Su questo loluto vedi gli UH e Costumi, v. U. p. 418.
102 FIABE E LEGGENDE
vasa la manu a idda e a so matri e si nni va a 1' a-
perla campagna cu Peppi.
Camina , camina , camina , Peppi a un certu puntir
nun si fidava cchiù a caminari ; si vutau cu Fusiddu
e cci dici: — * Vói caminari cchiù ? , — * Zìttuti, min-
chiuni, chi 'n*àutra anticchia avemu e semu junti * „.
Elccu ca junceru a lu locu dunni Fusiddu avia arrub-
batu li muli cu li dduppieddi. Ma però allocu di tru-
vari la porta aperta la truvaru chiusa cu tanti cali-
nazza. Vicinu la porta cc'era un pirtusu. Fusiddu comu
vitti stu pirtusu si *nfilau pi vidiri si putia entrari, e
vidennu chi nun 'mpincia a nudda banna trasiu din-
tra. Chiama a Peppi pi tràsiri puru. Peppi si *nfila, ma
juntu agghìri a lu culu *, siccomu V avia grossu, nun
potti tràsiri. Fusiddu di dintra lu tirava forti, ma in-
veci di beni cci facia mali, picchi nun putennu tràsiri,
cu ddu tirari chi facia agghiri annintra a Peppi, s'ac-
cuddì putia nèsciri, accussì nun putia né tràsiri né né-
sciri cchiù.
Jemuninni ora chi mentri Fusiddu tirava a Peppi
vìnniru li latri e vidennu stu picciottu 'ngagghiatu nna
lu pirtusu, crìttiru eh* era chiddu chi cci avia arrub-
batu li muli cu li dinari. — "Ah sciliratu cani ! nun
cuntenti d'avìrinni pigghiatu li muli cu li dinari, veni
di novu a pigghiàrinni Tàutri cosi ? „ Peppi cchiù mortu
chi vivu jurava chi nun avia statu iddu, ma lu so cum-
pagnu Fusiddu. — ** E dunn'é stu Fusiddu ? cci dissiru
li latri; dunn'è ? » — * Dintra ddocu. »
* ZittuUy tad, minchione, che [ne] abbiamo poco, e saremo giunti.
* Ka giunto verao il e... (flccatovisi fln al didietro).
PU8IDDD lOS
Li latri apreru la porta, In circaru 'nta tutti li lochiy
ma nun lu truTaru, picchi Fusiddu s'avia jutu a 'mmuo-
ciarì dìntra 'na giarra d'oi^hiu.
Li latri comu nun pòttìni truTarì a nudda , si crit-
tiru chi Peppi li pigghiaTa pi minchìuna: tomanu e lu
pigghianu e lu fannu pezza pezza e poi lu salanu 'nta
un varrili.
Fusiddu di dintra la giarra d' o^hiu TÌdJa fari sta
cosa, e trìmava di dintra. Quannu nu ani potti cchiù,
si vutau cu li latri e eci dissi: — ' Ah ! latri assassini, vi
aviti saziatu ? Ma v'hé fari awldirì chi chiddu ch'aviti
fattu a chissu vi l'hegu a fari scuttari cu la taica^ , Li
latri comu 'ntisiru stu parrari ristaru spavintati e à
nùsiru a circari megghiu pi ^àdiri di dunni vinianu sti
vuci. — ' Oh! arrispunni ddoppu un pìzzuddu Fusiddu,
e cc'è bìsognu di fari tantu frarassu? Nun lu viditi
chi s\^u 'nfìlatu 'nta sta giarra d'ogghiu ? ,
Li latri taliaru veni e vittiru chi la vuci niscii vertt
di ddà dintra. E chi ficini ? pigghiaru lu crivu dumi
à cula l'o^hiu; poi aisàru la n^arra e l'abbuceani comU
si cula l'c^hiu 'ntì 'n'àutra giarra: facènnusi la cunta
chi si Fusiddu era veni ddà dintra avia a 'nca^hiaii
ó vulia o nun vulìa.
Ma la fattu 'on fu aecussì. Fusiddu era 'nfatatu, per-
ciò quannu li latri pigghiaru la giarra e l' abbuccaru,
iddu si canciau aùgghia ', sfiumau lu crivu e passa»
"ntra l'àutra giarra.
Poi mentri li latri si dispi«avanu picchi nun avianu
truvatu a nuddu , Fusiddu parrau di diotra l' àutrft
< Si cangib in ago.
104 FIABE E LEGGENDE
giarra: — * Ora 'mmàtula vi sfacinnati, latrazzi 'nfami!
Ti putiti ammazzari chi ghieni sugnu ccàni ^ e nun mi
putiti pigghiari. Li latri vidennu chi nun cc'era vera ri-
mediu di pigghiarìlii , pinsaru di pigghiari V ogghiu e
jillu a YÌnniri a lu paisi. Pigghiaru la giarra cu V og*
ghiu e si 'nni jeru pi la citati.
Junti 'nti la prima vanedda si vutau unu e si misi
a *bbanniari : * Cu' accatta ogghiu ? cif acccttta ogghiu? ^
Cu' è ch'avia bisognu d'ogghiu, li chiamavanu, picchi
sti latri Togghiu lu passavanu menu di quantu si vin-
nìa 'nta la chiazza.
Mentri chi li latri misuravanu T ogghiu, *na ruci di
dintra la giarra dissi: — " Ora nun vi nn* accattati, chi
ogghiu arrubbatu è ! Ora 'un vi. un' accattati, chi òg^
ghiu arrubbatu è ! „ L'aggenti sintennu sti paroli si fa-
cianu di cuscienza, e nu nni vulianu affattu. Allura li
latri, vidennu chistu, ficiru un gran parramintari pi vi-
<liri chi cosa nn'avianu a fari cu la giarra d'ogghiu; e
dicisiru chi arrivannu du' migghia fora di la cita a-
vianu a jittari ddà ogghiu e giarra. Accussì ficiru. Ma
Jusiddu pri nun fàrisi vìdiri si canciau arreri aùgghiat
« quannu li latri jittaru l' ogghiu 'nta lu tirrenu nun
pariu. Li latri pigghiaru la via e si nni jera a la casa)
Fusiddu comu vitti chi già si nni jianu, si furmau ar-
reri umiceddu e cci iju d' appressu. Li latri dda jur-
nata s'avianu a pigghiari a unu '; perciò junti chi fòru
a la casa, ognunu si pigghiau la so armi e si nni jeru
1 Chi ghieni^ perchè io soa qui. Ghieni, rafforzato, ^vjeni, Ccàni
paragoge, per ccày qui.
* I ladri quel giorno aveano a prendere uno ^ ostaggio).
FCSIDbU 105
'nta lu locu dì dunni avìa a passar! chistu eh' ariana
a 'rrubbari.
Fusìddu ch'aspittava cbistu, comu si imi jeru, trasiu
di lu pirtusu dintra la casa, aprì la porta, si pigghia
li me^hiu cosi chi ritti , si metti lu rarriU 'n coddu
dunn'era salatu Peppi; e a cursa si nni va a la casa,
duuni so matri e la Za Peppa l' aspittavaau di mu-
mentu 'n mumentu cu ddu babbu di Peppi.
Juntu chi fu a la casa, la Za Peppa vidennu chi so
fìg^hiu nun cc'era cu iddu, si misi a gridari crìdennu
chi li latri cci 1' avianu ammazzatu veru; ma si zitUu
subbitu quamiu Fusiddu, ch'era viva e bonu, cci dissi
chi Peppi cci maanava pi ora uir varrìli di surra sa-
Ijtta. La Za Peppa, chi pitittu avia, sintennu chistu,
subbitu livau lu curvècchiu a stu varrìli e si misi a
mangiarì la surra. — " Oh ! ch'è duci 1 oh ! ch'è magnifi-
ca ! , dicia mangiannu a ma' finiri ' la Za Peppa; e tantu
cci piaciu veru chi 'nta un mutneatu sì mangiau lu var-
rìli dì surra. Fusiddu comu la vitti finirì di mangiarì
si Tutau e cei dissi:—" Za Pè', jeni vi lu dissi chìaru
chi Peppi cu mia nun cci putia viniri picchi era grossu,
« vui vulìstiru chi mi lu purtassi pi forza. Ora comu
vi pari sì vi dicu chi sta surra chi vi mangìàstivu è
Tostru flgghiu Peppi ?.. „ La Za Peppa comu 'ntisi chi-
stu si misi a gridari dicennu: — ■ ' Figghiu me, figghiu
me ! chi ddoppu chi fusti ammazzatu e salatu , lusti
mai^tu di tò ma'! Figghiu raè ! flgghiu mè-1 , Ddocu
Fusiddu vidennu chi la Za P^pa chiancia pi daveru cci
iju vicina e cci dissi: — " Nenti, Za Peppa, ora vostra
< A ma' finiri, a mai finire, senza stancarsi.
106 FIABE E LEGGENDE
flgghiu è mortu e nun ce* è cchiù rimedia. Sintiti chi
facemu: vui siti sula, stati ccà cu mia, e cu me mairi,
e vi giuru chi vi fazzu di flgghiu jeni, e nun vi fazzix
mancarì nenti. „ La Za Peppa a sta còsa si pirsuadìu
e stèsi, 'nsinu chi muriu, cu Fusiddu.
Iddi arristaru filici e cuntentì,
E nuàtri ccà senza fari nenti.
Alcamo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
La preghiera della madre per uscire incinta ed avere un fi-
glio comunque si fosse richiama a un motivo consimile della
Rosmarina di Palermo, Fiabe, n. XXXII, dove la regina ili*
gravida d'un rosmarino, che poi dà in luce. Gfr. pure La Mela,
n. VI delle mie NoveUe toscane ecc. Il motivo della misura
tolta ad imprestito e poi restituita con una moneta d' oro
dentro è comune a molte novelle.
Nella novella di Sali, Perna e Anna; Fiabe, n. LVIU, la
vecchia regina fa uccidere, cuocere e mangiare al figlio i fi-
gliuolini di lui. Nella JFÌgghia cU Biancuciuri, n. LIX, un gatto
fatato canta miagolando che dirà cosa a tutti ignota se gli
daranno un po' di carne d'una ragazza stata salata. Vedi, del
resto, la novellina de UOcidduzzu, del presente volume.
Per alcuni particolari si ravvicini alla novella di Cicirieddu.
* Raccolta dal Big. Giuseppe Pecoraio) dalla bocca di certa Vita,
domestica delia sua famiglia.
Clcirieddu.
'Na vota cc'era 'nta 'na campagna 'na llmtnina; sta
fimmina, siccuomu so maritu era a fari pasciri é vacchì,
misi 'napuocu di cìciri 'nta la pianata pi mangiarisilli
quannu vinia so maritu.
Mentri ca cucia sti cìciri, passau 'n puurieddu, e coma
vitti la fimraina ca tastava li cìciri pi vìrriri s' èrinu
cuotti, cci dissi:—' Datammilli 'n cuppitìeddu di cìciri
quantu mi li cuòciu , cà nun haju chi mai^iari. , La.
flmmina nun cci desi cuntu. Ln puurieddu cridiennu ca
a la fimmina cci parièunu assai li cìciri ca cci avia ad-
Clolrallo. (VerMone letterale).
Una Tolta c'era in una campagna una donna; questa donna,.
siccome suo marito era a far pascere le vacche, mise molti
ceci nella pentola per mangiarseli quando veniva suo ma-
rita.
Mentre coceva questi ceci, passò un poverello, e, come vide-
la donna che saziava i ceci per vedere s'erano cotti, le disse^
— ■ Datemelo un coppo {nUaura) di ceci e cosi me li cuocOr
che non ho da mangiare. , La donna non gli diede cont»
{retta). H povereUo credendo che alla donna paressero molti'
i ceci (,da lui domandati), le disse:—" DatemeU almeno mezzo '
coppetta. , E la donna non gli diede conto. All' ultimo il po-
verello le disse:— " Datemene una junta ' almeno, un pugno^
108 FIABE E LEGGENDE
dumannatu, cci dissi : — * Datammilli armenu mienzu
cuppitieddu. „ E la fimmina 'n cci desi cuntu. AlFur-
timu 'u puurieddu cci dissi:—* Datamminni 'na junta
annenu, *n pugnu, 'na vintina, dui, unu! » e la fimmina,
tosta, senza dìricci nenti. Si vota lu puurieddu e cci
dici: — " Bi pòzzinu addivintari tutti figgpi! » e dicennu
accussì vutau tunnu e si nni iju.
Dduoppu 'n pizzuddu cci ròta la pignata a la fim*
mina, e chi vidistù ! tutti li cìciri ca facièunu: ** Mà\ mà\
ma' ! pà' pà' pà' ! „ La fimmina s'arràggia: piggia 'n palu
•e accumenza a scannalli a tutti.
Li cìciri, comu vìttinu accussì, cu' si potti ammuc-
ciari s' ammucciau, e unu s' ammucciau 'nt* ò gialùru,
unu 'nt'ó sascu, unu *nt* 'a buttiggia, unu 'nt'ò 'nziru^
unu ccà, unu ddà.
una ventina (di eect), due, uno „, e la donna, dura, senza dirgli
nulla. Si volta il poverello e le dice :— * (Che) vi possano di-
ventare tutti figli (codesti cecl) ! „ e così dicendo voltò indietro
-^ se ne andò.
Dopo un poco, alla donna si riversa (vMton=voltare) la pen-
atola, e che vedeste? tutti i ceci che facevano : * Madre, ma-
<dre, madre 1 Padre, padre, padre ! „ La donna s'arrabbia, pi-
:glia un palo e comincia a scannarli tutti. I ceci, come videro
•COSÌ, chi si potè nascondere si nascose, e uno si nascose nel-
Torciuolo, uno nel fiasco, uno nella bottigha, uno nella brocca,
4mo qui e uno lì.
La donna quando non ne vide più (nessuno), pensò, pensò
« disse:—* Potevo lasciarlo uno per guardare le vacche... „
Ma andiamo che ne usci uno di quelli nascosti, e dopo un poco
^éssa) lo uccise. Di nuovo essa se ne pentì, e disse la stessa
ciciruddu 109;
La fimmina dduoppu ca nun nni vitti cciòi, pinsau,
pinsau e dissi : ■ Lu putia lassari unu pi vardari \v
Tacchi !... ,
Ma jamu ca nni nisciu unu di chiddi ammuccìati e
dduoppu 'n pizzuddu lu 'mmazzau. Arrieri idda ai nni
pintfu, e dissi la stessa cosa di prima, e 'n àutru nni
nisciu; ma dduoppu tantìgcia, 'n cuorpu, e 'u 'mmazzau.
E accussì fici fin' a tantu ca li 'mmazzau tutti ; però-
nn'arristau unu ammucciatu, ca nun vosi nèscìrì.
S'arricuggiu lu massani e comu nun vitti tàula sti-
rata, cci dissi a so fìmmina: — " A tìa, li ciciri chi nui>
11 cucisti ? „ — ' Lassimi stari, cci dissi la massara , ha
'ncappatu 'na cosa ca nun ha 'ncappatu mai , ; e cci
eontau tuttu lu fattu d' 'e ciciri. Dduocu so maritu: — ■
" Ah bestia ! pirchì 'n lu lassàutu unu ? cci dissi, cà 1»
cosa di prima, e ne usci un altro; ma dopo un poco, (gli diede)
un colpo e lo ammazzò. E cosi fece (conHnud a fare) tinche'
non li ammazzò tutti; però ne restò uno nascosto, che non
volle uscire.
Rincasò il massaio, e come {poiché) non vide tavola sti-
rata (mmsa preparala) , disse alla ^ donna : — " A te , (fo
' dico) i ceci non li cocesti ? ,— " Lasciami stare, gli disse la mas--
sua; è accaduta una cosa che non è accaduta mai „egli rac-
contò tutto il fatto dei ceci. Qui suo marito : — " Ah bestia 1
perchè non lo lasciavi tu uno ? le disse, che (cosi noi) lo man- -
davamo (lo avremmo potvto mandare) a guardare le vacdie. ^
Appaia disse cosi, esce quello che era restato nascosto, -e gli
disse:—" Ci son io. , Questo era un ragazzino quanto un cece,
« (« queUi) parve una cosa molto graziosa.—* Come ti chia-
mi? , ^i disse il massaio.—' Come vi piace, an^he Cicirello. ^
e lo chiamarono Cicirello.
no FIABE E LEGGENDE
mannàumu a vardari li vacchi. « Coma dissi accussi ^
ncsci chidda ch'avia arristatu ammucciatu, e cci dissi:
— * Cci sugnu iu ,. E chistu era *n picciriddu quanta
'n cìciri , e cci parsi 'na cosa graziusa. — * Guoma li
chiami ? » cci dissi la massara. — * Guoma vi piaci, ma-
càri Gicirieddu „ ; e lu chiamaru Gicirieddu. Mangiami
tutti tri , e puoi Gicirieddu si nni iju a fari pàsciri li
vacchi. S' arricug^u la sira, e li vacchi èrinu ca *n ni
putièunu cciù, tantu avìunu mingiatu, e sparti ficinu
ppi tri voti latti di Tàutri voti. Pi 'napuocu di tiempu
sicutau accussi.
Ora 'na vota Gicirieddu si nni iju airùmmìra sutta
'n'erva; mentri, vinni 'na vacca, tira 'na *uccata e s'am-
mucca l'erva e a Gicirieddu mire. La sira *u massaru
astittava a Gicirieddu cu 'e vacchi, pirchì era notti e
Mangiarono lutti e tre, e poi Glcirello se ne andò a far pa-
scere le vacche. Rincasò, la sera, e le vacche erano {coii piene)
che non ne potevano più, tanto aveano mangiato; e oltre (di
questo) fecero latt(» tre volte {pia) delle altre volte.
Per un corto tompo {la com) seguitò così.
Ora una volta Cicirello se ne andò all'ombra sotto un'erba; nel
mentre {frattanto) venne una vacca, {la quale) tira una boc-
<5ata, e imbocca l'erba e Cicirello ancora. La sera il massaio
aspettava Cicirello con le vacche, perchè era notte {tardi) e
avea a fare la ricotta; aspetta, aspetta, aspettava chi non ve-
niva mai. All'ultimo il massaio risolve ed esce per cercare Ci-
cirello. Andò dov' erano le vacche , e cominciò a chiamare e
non gli rispondeva nessuno. All' ultimo il massaio risolve ed
esce per cercare Cicirello. Andò dov'erano le vacche; comin-
•eiò a chiamare e non gli rispondeva nessuno. Dopo che avea
CICIRIEDDO IH
«via a fan la ricotta; astetta, astetta, astittara a cu'
nun TÌnìa mai. ÀU'urtimu lu raassani arrisoivi e nesci
pi circaxi a Gictrieddu. Iju unn' èrinu li vaccbi ; accu-
minzau a ciamarì, e 'n cci rìspunnia nuddu. Dduoppu
ch'avia damata: — ' O Ciciriddu 1 o Ciciriedda ! , — ' Chi
Tuliti ? „ rispunni Cicirieddu. — ' Ora unni si' ? „ cci du-
manna lu massaru. — ' 'Nta la ventri di la vacca. ,
Dduocu lu massaru piggia 'na vacca e 'a scanna e nun
cci trova a Cicirieddu; scanna l'àutra— l'àutra... l'au-
tra... 'nsumma li scannau tutti, e nun lu potti truvari,
e Cicirieddu diciennu sempri ca era nna la ventri di
la vacca. Ora, mentri, si truvau a passar! 'na véccia;
vitti ó massaru e cci dissi: — ' A bui, mi la vinniti 'n
pizzuddu di ventri di vacca ? , Lu massaru macàri cci
la desi arrìalata, e pi cumminazioni eci va a desi chidda
chiamato:— * 0 Cicirellol o Gicirello I ,— " Che volete? , ri-
sponde Cicireìio.— ' Ora dove sa ? , gli domanda il massaio.
— * Nel ventre della vacca. , Qui il massaio piglia (pìggìa)
una vacca e la scanna, e non vi trova Gicirello ; scanna l'al-
tra,... r altra,... l' altra,... insomma le scannò tutte e noi potè
trovare , e Gicirello dicendo sempre che era nel ventre della
vacca. Ora nel mentre (frattanto) ai 'trovò a passare una vec-
chia, vide il massaro, e gli disse;—' A voi (dico): me lo vendete
un pezzetto di ventre di vacca ? , D massaro gliela diede anche
imacàri) regalata, e per combinazione gli va a dare (gli dà)
ipiella dov'era Gicirello. Tutto a una volta (a un tratto), men-
tre la vecchia camminava, quanto intese : ' E questa vecchia
come mi porta ? e questa vecchia come mi porta ?... (mi por-
terà) ,. La povera vecchia sì voltava e si girava, e non vedeva
s si disperava. Dopo un poco, di nuovo, quanto in-
112 FIABE E LEGGENDE
unni ce' era Gicirieddu. Tutt' a 'na vota, mentri ca la
véccia caminava, quantu 'ntisi: ,, E sta véccia comu mi
porta ? e sta véccia comu mi porta ?... „ La povira
véccia si vutava e si girava e 'n vidia a nuddu , e ri
dispirava. Dduoppu 'nu pizzuddu, arrieri, quantu 'ntiri:
* E sta véccia comu mi porta ? e sta véccia comu mi
porta ?... „ Si vutava arrieri la véccia , e 'n vidia a
nuddu. Mentri ca caminava, la véccia cci vinni lu pi*
sciari, e s' acculucau a munì; tutt' a 'na vota quantu
f 'ntisi (cu rispiettu parrannu):
** E la véccia ca piscia a muru
Tric trac cci fa lu e ! «
La véccia cciù morta ca viva si metti a curri, e al-
Turtimu arriva à casa e si metti a lavari la ventri; quantu
senti arrieri: „ E sta véccia comu mi lava ? e sta vèc-
tese:—" E questa vecchia come mi porta ? e questa vecchia
come mi porta ? ^ Si voltava di nuovo la vecchia, non vedea
nessuno. Mentre camminava , alla vecchia venne da pisciare,
o si collocò al muro ; tutto a un tratto , intese (con rispetto
parlando) : ** E la vecchia che piscia al muro , tric trac le fa
il e... „.
La vocc.hia, piìi morta che viva, si mette a correre, e alPul-
tiin» arriva alla casa, e si mette a lavare il ventre ; quanda
Hvìììv (li nuovo : * E questa vecchia come mi lava ? e questa
viMM^liia (!omo mi lava ? „ Dopo che lo lavò, la vecchia s'avviò
yvVHtì una pentola per cuocerlo, quando sente: * E questa vec-
ohiit conio mi cuoce? e questa vecchia come mi cuoce? ^
{}\\\ \\\ voc.chia s'arrabbia, piglia il ventre e lo getta sulla via.
t^^ in campagna; dopo un poco passa un lupo , e mangia iì
vv^^^W'» ilioirrllo cominciò a gridare , e si mise a dire : ** Ah
C1CIRIEDD0
US
eia comu mi lava ?... , Dduoppu ca la lavau, la véccia
abbiau 'nta 'na pignata pi cucilla; quantu senti: " E sta
véccia comu mi coci? e sta véccia comu micoci?!.. ,
Dduocu la véccia si 'hcueta, pìggia la ventri e la jetta
'n ciana. Era 'n caiapagna: dduoppu 'n pizzuddu passa
'n llupu, e si mangia la ventri. Cicirieddu accuminzau
a fari vuci , e si misi a diri : ' Ah cani , ah cani , ah
cani!... ,.
Lu lupo comu 'ntisi accussì , si niisi a curriri ; nun
s'addunau ca cc'era 'na costa, tiritùfflti ddà sutta. Ar-
riva e morsi. Cicirieddu, comu vitti accussi, nisciu di la
ventri d' ò lupu e si ni stapia jennu, quantu vitti du-
rici brecanti a cavallu e 'n capitanu trìdici, e pi 'n
si fari virriri s'ammucciau sutta la petra.
Li brecanti arrivannu a 'n certu puntu si tlnninu, e
lu capitanu dissi: — ' Gràpiti, Cicca ! „ e grapiu la timpa;
trasierru tutti,—* 'Nciùditi, Cicca! „ e si 'nciusi la timpa.
Dduoppu 'n pizzuddu quantu 'ntisi arrieri: , Gràpiti,
Cicca ,; e ti brecanti niscierru tutti. " 'Nciùditi, Cicca ! ,
e la timpa si 'nciusi. Comu li brecanti si nnì jerru, Ci-
cane, ah cane, ah cane !... , D lupo, come intese così, si mise
a correre; non s'accorse che c'era una costa; paffete là sotto;
e mori. Cicirello come vide cosi , use! dal ventre del lupo, e
66 ne stava andando, quando vide dodici briganti a cavallo; e
un capitano (fan) tredici ; e per non farsi vedere si nascose
sotto la pietra. I briganti arrivando a un certo punto si fer-
marono, e il capitano disse: " Aprili, Cicca ! , e s'aprì la rupe
(timpa); entrarono tutti. " Chiuditi, Cicca ! e la rupe si chiuse.
Dopo un poco intese di nuovo: ' Apriti , Cicca ! , e i bri-
ganti uscirono tutti. " Chiuditi , Cicca ! , e la rupe si chiuse,
PiTRB. — J'ìaòe e Legende. 8
114 FIABE E LEGGENDE
cirìeddu Ta a cantu ft timpa, e appena cci dissi- * Grrà-
piti, Cicca ! . si grapiu , trasiu ddà dintra e vitti 'na
picca di munzedda d*oru, d'argentu, dì ramu, e tanti
àutrì cosi. Chi fici? nisciu, iju a ciamarì d massaro, si
li purtami 'n carrettu, cu 'na picca di muli, e si nni
jerru ddà, trasierni, si 'nsaccarni dinari quantu nni yò*
sinu e si nni jerru.
^U massaru arricchiu.
E campau filici e cuntenti
E niàutri nentL
'U cuntu è cuntatu :
Nni mangìamu 'a pasta c'ò stufatu.
'U cuntu è dittu:
Mangiàmini *u flchitu firittu.
Ragusa Inferiore K
Come i briganti se ne andarono, Gicirello va accanto la rupe,
e appena le disse: * Apriti , Cicca ,, (Za rupe) si aprì ; {egli)
entrò là dentro e vide molti mucchi d'oro, d'argento, di rame
e tante altre cose. Che fece (allora) ? usci , andò a chiamare
il massaio, se li portarono in carretta con molti muli, e se ne
andarono là, entrarono e insaccarono danari quanti ne vollero,
e se ne andarono.
n massaro arricchì, e visse felice e contento, e noi (non ab*
Inamo) niente. Il conto è contato ; mangiamo la pasta con lo
ttufato; il conto è detto, mangiamo il fegato fritto.
VARIANTI E RISCONTRI.
In una variante di Roccapalumba Cicirello porta una focaccia
al padre; giungendo vicino a un* aia , e non sapendo da qual
> Raccolta dal prof. Carlo Simiani.
GIGOUEDDU US
parte pigliare, chiede ad alta voce al padre: Oh patri, dunn'
he pigghiari ? Risponde il padre: Pigghia a sau giru giru (pi-
glia da codesto giro) intendendo dire in giro all'aia per poter
passare e portargli la focaccia. Cicirello finge invece di capire
che deve prendere in giro alla focaccia, e ne mangia dalla cir-
conferenza. Indi torna a chiedere: Oh pcUri^ dunn' hi pigghia*
ri ? E quello : Corpu di sangu ! pigghia di ssu menzu memu;
«d egli mangia il menzu (centro) deUa focaccia.
C£r. con Cicireddu, Novellina pop, siciliana di Ficarazzi
p uhblicata da me nell'Archivio déUe trad. pop. v. VI, p. 270.
(Pai. 1887); con Cecino di Firenze, n. XLII delle mie NovelU
p opólari toscane ; con La Fuke , novellina di S. Stefano di
Calcinaìa, nella Bivista di Letteratura pop. p. 82 ; con Deto, •
grosso, nov. marchigiana pubblicata dal Gianandrea nel Gior-
nale di Filologia romanza, n.5; con Ju vache de pepe, n. XLYII
del FiNAMORE, Novelle, p. 233; e Lu OicHU, n. Vili delle Fiabe
abruzzesi del De Nino; con Ditu migniuléUu, n. XIV de* Contea
pop. de VUe de Corse dell'ORTOU.
Per qualche circostanza vedi Lu menzu gadduzzu e Dan
Firriuleddu, nn. GXXIX, e GXXX e GXG, § 11 delle mie FiaÌ0
siciliane. In Sicilia Cicireddu, come il toscano Gecino, è assai
più piccolo dello stesso personaggio nelle tradizioni popolari
straniere. Cecino, difatti, è il Petit-Poueet di Francia e d'altre
contrade; ma il Petit-Poucet è alto un pollice, mentre Cecino
è quanto un cece; quello è ladro, e passa dal corpo d'un a-
nimale ad un altro nello stato di cattività; questo, secondo k
presente versione, è' meno ladro. In Inghilterra è A^to Tom
Thumb , ragazzo potente sì ma delle dimensioni del pollice
(Pouce Thumb) di suo padre. Cicireddu è caratteristico, per-
chè il cece, il cui uso è tanto comune presso il popolino ita-
liano, è poco usato in Inghilterra. D'altro lato gli Inglesi si
servono per ischerzo della espressione pashed pea (quasi lo
stesso che cece, perchè equivale letteralmente a pisello dissec-
IJG
FIABE E LEGGENDE
calo) , per dire persona piccola di figura , e magra o secca ^
come si dice in Sicilia, in Roma, in Toscana e altrove.
Su questo mito popolare scrisse una dotta monografia G.
Paris : Le PetU-Poucet et la Grande Ourse (Paris , Franck;
1875), alla quale sono da aggiungere questi riscontri italiani
venuti in luce posteriormente. A Paris avea dichiarato : ** Ni.
en Italie, ni en Espagne , ni dans les pays celtiques je n'ai
trouvé trace du conte ou du nom „ (p. 52). Ora si può affer-
mare che esso esiste presso popoli di razza latina (Francia, Ita-
lia, Spagna), germanica (Grermania, Danimarca, Svezia), slava
(Lituania, Schiavonia) ecc.
L'aneddoto de' briganti che entrano nella rupe col motto :
GràpUi Cicca ecc., è in molte altre novelle, come p. e., nel
Cuntu di li dui ctimpari, p. 197, n. II, della Gonzenbagh; nella
siciliana mia Mastra Jseppi, n. GVIII delle Fiabe, v. Il; nella
Cicerchia o i ventidue Ladri , n. LIV delle Sessanta Novelle
montalesi del Nerucci: nella Fante avveduta^ n. 7 delle Nav.
mantovane del Visentini: su di che v. Kòhler, note alla Gon-
lENBACH, V. n, p. ^1.
^
Piriploolliq.
'Na vota s' arriccnnta ca ce'- era ' 'na nanna. Sta
nanna stava 'nt' 6n billisgimu palaszu. 'Na jumata si
misi a filari a lu flnistnini; mdntri chi filava senti 'na
TUci : — • Cummari! , — " Gumpari! „ ed arrispunni idda.
— • Trasu ! , — • Traiti ,. Trasi e trasi Piripicchiu, ca
era unu nicu nicu ca mancu si vidia , e làdiu, làdiu.
— ' M' assettu ? , dici iddu. — " Assittativi ,. Piripic-
chiu nesci 'na eiggitedda d' 'a sacchetta, e s' assetta, e
si mettinu a diseurriri. Mentri discurrìanu, si vota Piri-
picchiu:— " Cummari, dumani assira vulemu fari quat-
tra sflnci ' ? , — • Gnursì , cumpari „. — ' 'Unea , dici
Piripicchiu, vu' 'un pinzati pi nenti, cà tutti cosi portu
o: lu levitu, la farina, 1' <^ghiu ,. Stetti 'n àntru piz-
zuddu e Piripicchiu si nni yu. — ' Addiu, cummari ! ,
— " Addiu, cumpari ! , '
A lu 'nnumani sìra la nanna si misi a filari fora lu
finistruni; senti e senti 'na vucì. -r- " Cummari ! , e veni
Piripìcciiiu. — " Cumpari ! „ cci dici idda. — ' Trasu ? „
~- " Trasiti ? — ' M' assettu ? , — ' Assittativi ,.— "La
purtastivu la farina pi fari li sfinii ? , — " Gnursì, cum-
mari, ccà ce' è tutti cosi: la farina, l'ogghiu, lu levitu ,.
La nanna lassò di filari e misi a fari li sfinei; quannu
1 Sfinci, B. f. plur., vivanda di pasta moULccia Mta dk farina, lie-
vito ed acqua, gonfiata nel friggerla: in toec frittella, galletti, cùo
coli. Vedi Usi e CoHutiU, v, IV.
118 FIABE E LEGOlENDE
foni lesti , metti la padedda supra lu focu , e metti a
frìjri. Mentri chi friija, si vota Piripìcchiu: — '^M'assettii
sapra lu fucularu io .. Acchiana supra la siggitedda e
s'assetta. La namia quamià finfu di frìjri li sfinci, 'un
nni potti cchiù di Piripìcchiu^ ca era misu ddà senza
liyàrisi r occhi di supra d' idda; e chi fa ? lu piggbìa
pi lu pizzu di lu .culiddu \ e lu jetta 'nta la padedda»
Piripìcchiu si misi a gridari: — ' Ahi! ahi ! « La nanna
sintennu sti vuci di Piripìcchiu curri e si va a 'nfila sutta
lu lettu. A li vuci currinu tanti Piripicchieddi nichi ni-
chi pi jiri a 'jutari a Piripìcchiu ; tràsinu e lu vidinu ab-
bruciatu 'nta la padedda. — ' E chi ajutu cci putemu
dari ! « dicinu; e si nni vannu. Nesci la nanna di sutta
lu lettu e va 'nta la cucina , e chi vidi ? Piripìcchiu e
la padedda un pezzu d' oru, tutti li cosi di la cucina
di petri priziusi, pirchì Piripìcchiu era 'nfatatu. Cu ddu
^gran tisoru la vecchia arrìcchiu.
Idda arristò filici e contenti,
E nuàtri sema ccà senza nenti.
Palermo *.
VARUOTl E RISCONTRI.
Off. col Cuntu de lu Seazzamurreddu, delle Fiabe e Can--
toni pop. dd contado di Maglie di P. Peluzzari, p. 69.
1 Lo prende pel fondo de* calzoni.
* Da una certa Giovannina, contadina di Mcmreale, vissuta lunga-
mente in Palermo.
Come si vede è una novellina infìuitUe, nella quale , come in no»
Telline simili, ogni parola ò immutabile.
Smnn, Olndixiii e CMno.
Si conta e à riccimta ca 'na Tota ce* era un marita •
*na mugghierì. (Lu maritu era piscaturi). Figghi 'un n'a-
Tìanu, e facìanu prumìssioni a lu Signurì p'aTÌrì un Ùg-
gia» o 'na figghia. Lu Signurì cci cunewsì la grazia: ta
mugg^rì nìsciu gravita. AnivaoDu a li cincu misi, la
mugghieri dici a lu maritu: — * Harituzzu mio, tu lu sai
caìosugnu 'ntali cincu misi,eco»dipanza'un nliaju
fattn nuJdda ? ' PircU 'un pmsi di {jirì a piscari ? ac-
cusai facemu quarchi cosa. , Lu maritu si pirsuasi , e
ffl nni iju a piscari. Jetta lu rizzàgghìu *, e tira; tira ea
ti tira, tira ca ti tira, veni un pisci grossu, groasu. ca
raancu lu poteva jisarl Comu lu pisci nisciu mènza
fora e menzu dìntra di l'acqua, cci dici: — ' Pirchi mi
tiri? , — " Pirchi me mu^hieri è gravita e 'un haju eomu
fcri pi li cosi di la panza. ,—' E bonu !.. Pi sta vota las-
sami ; quannu tò mi^hieri havi li dulura *, mi veni
a chiami. , — ' E tu comu ti dfiami? , — " Io mi chiamu
Sennu ,, dici lu pisci Lu piscaturi lu lassò jirì, e jicc6
arreri In rizzàggUo. Tira ca ti tira, tira ca ti tira, tira un
f Tu Iv lai eoe. Tu b^ cha io tono &1 quinto mwe (di gt&viidanai),
é del c<vredìno (di quailo che occorre silo «gravo ed al neonato),
ncm ho nulla.
Cosi di poma, lett«nilm., cose di pancia. Vedi tra' miei UH e Ct^
attimi, V. Il, p. 113.
■ Ritfà^hia, giAcchio, Bpecie di rete tonda da ingliar peKi.
* Li dulura, i dobrì, le doglia del parto.
120 FIABE E LEGGENDE
pisci cchiù grossa di lu primu. Quannu lu pisci era
menzu dintra e menzu fora cci dici: — ** Pirchi mi tiri? „
— " Ti tiru pirchi haju la mugghieri gravita e cci he
fari li cosi di la panza. „ — ** E bonu !.. Pi sta vota las-
sami; quamiu tò mugghieri havi li dulura, mi veni a
chiami. „— ** E tu comu ti chiami ? „ — * Io mi chiamu,
dici lu pisci, Giudiziu. „
, Jetta lu rizzàgghiu arreri ; tira ca ti lira , tira ca ti
tira , tira un pisci cchiù grossu di lu primu e lu se-
cunnu. Quannu lu pisci fu quasi fora di Tacqua, dici:
— * Pirchi mi tiri ? „ — ** Ti tiru pirchi haju la mugghieri
gravita ed he fari li cosi di la panza. „ — ** E bonu !.. Pi
sta vota lassami; quannu tò mugghieri havi li dulura,
mi veni a chiami. „ — ** E tu comu ti chiami ? „ — "Io
mi chiamu Comu. „
Disfìzziatu di tutti sti fattétti * lu piscaturi vota tunnu
e si uni va a la casa. So mugghieri: — ** Chi pigghiasti ? ^
— " E eh* he pigghiari !... , E ddocu cci cunta zoccu cci
avia successu.
« ■
Lu cuntu 'un metti tempu: passàru li novi misi; vin-
niru li dulura. — ** Marita «lio, va* a mari e va* a chiama
li pisci; videmu zoccu t' hannu a dari. „ Lu piscaturi,
'nt' òn dittu e un fattu, va a mari; e si metti a chia-
mari: — " Ah ! SennuL. Ah ! Sennu L. „ Affaccia Sennu:
— ** Ora ' chi vói ? „ — ** Me mugghieri havi li dulura, e
io ti vinni a chiamari, secunnu lu nostru ristatu. „ —
* Disgustato di queste scene. — Fattetta, azione a fine d'ingannare»
od agìrare, ed anche semplicemente atto, movimento, azione.
» Ora, riempitivo di chi chiamato ad alta voce risponde. Questa
voce è la prima della risposta.
/
ì
SENNU, GIUDIZIU E CORNU 121
** E si tu avivi sennu chi mi lassavi! „ eJu lassa 'n chian-
ta-malanna \ e si nni va 'n fiinnu. Lu piscaturi ar-
ristò coma un loccu; votasi e chiama all' àutni^isci:
— * Ah Giudiziu /... Ah ! Giudiziu /... „ — * Ora chi vói ? „
cci arrispumii lu pisci. — ** Me mugghieri havi li dulura;
e io ti vimii a chiamarì. „ — " E si tu avivì giudiziu chi
mi lassavi!... , E lu lassò 'n tridici «. Chi cci amstava
a fari a lu poviru piscaturi ? chiamari aJP àutru pis'ci.
— Comu si chiamava Tàutru pisci ?
— Cornu ".
— Ti lu *'nfili 'n e... notti e jornu.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
È uno de' tanti chiapparelli, pei quali vedi la serie III delle
mie Novelle toscane e la IH delle mie Fiabe siciliane.
* Lassavi *n chianta-malanna^ lasciare in asso.
■ Lassavi *n iridici^ lasciare in asso, piantare.
' Risposta di uno degli uditori; a* quaU sia rivolta la domanda del
narratore.
* Raccontata da Domenico Ingrassia.
i .'HM
\
•e* ■
SERIE SECOND-A.
San Michali Arcancilu a lu Clfaru.
Quarmu lu Signuri criau la munnu, criau puro l'An-
cili, r ÀrcaDcili, li SaraSni, li Cherubbini e tutti. 'Nta
st'Ancili cci nn'era unu ca si chiamava (Gresù sìa lo-
datu !} CSfaru. Stu Cìfaru si crìtti cosa granni e cci misi
a fari guerra a lu Signuri ca l'avia crìatu. Lu Signuri
stancu, manna a S. Micheli Arcancilu cu 'na spata di
focu pi fallu nèscirì di lu Paraddisu. S. Michtii vola cu
sta spata e l'assicuta di ccà e di ddà. Lu Cìfaru curria
nuvuU nuvuli circannu d'ammucciàrisi, ma la spata di
S. Micheli facia gran lustru a tutti bannì, ed era 'nù-
tìli '. Quannu Cìfaru si vitti persu, jecca c'un gran sàutu,
e si jecca supra la muntagna di Muncibeddu. Di lu gran
sbattunì chi pi^hiau sprufonnò 'un sàcciu quantu camù
sntta terra. Sulu la testa cci arrìstò di fora , ed era
eomu la testa d'un sirpenti vilinusu cu certi coma ca
Ddiu nni scansa!... S. Micheli cafiidda cu la spata e ed
' Ed «a inutile (che LuciC;»} ai nasooadesse).
124 FIABE E LEGGENDE
fa salari un cornu di chisti, ca cu la furia vonnu diri
ca iju a càdiri 'nta 'na grutta vicinu Mazzara. Lu Gi-
faru pi lu duluri jecca 'na vuci spavintusa, ca fici attir-
ruìri lu munnu, e c'un muzzicuni chi cci tirò a S. Mi-
cheli, cci scippò 'na pinna di Pala; e st'ala Thannu ora
pi riìcula * 'nta lu paisi di Catanissetta, E ora stu Gì-
faru 'nfimali è sutta Muncibeddu.
Palermo \
VARIANTI E RISCONTRI
Una versione chiaramontana è in Guastella, Vestru, p. 59.
Sulla credenza de' diavoli nel monte Etna vedi negli UH
e Costumi, v. IV, il cap, sul Diavolo.
^ Riìcula^ reliquia.
* Raocontata da Rosa Brasca.
f V
Adamu ed Eva ^
Quann' 'u Signuri scacciau Adamu ed Eva d' 6 Pa-
radisa tirrestri, 'a pòvra Eva 'n faeia autru ca ciànciri
e mazziàrisi 'u piettu; e 'ntr' ò dispiaciri , 'ntr' ò tra-
Tàggiu, 'ntr' ò pitìttu (ca 'u pitìttu 'u tastava) 'na 'ota
cadiu malata, e paria ca dava 1' urtim' assacchi '. 'U
Signori; ch'è sempri patri di misiricordia, n'appi dururi,
e vidiennu ca non avia né medici né midicìni, cci man-
nau a l'Arcancilu Raffaeli ppi bisitarla. 'A pòvra Eva
era ni 'na 'urutta, curcata supr' xm fàscia 'i puddàrì,
ca trantuliava d' ò friddii ' ; e 'u Sant' Arcancilu cci
dissi: — " Eva, 'n ti scantari, cà mi eci manna 'u Signuri,
e p' 'i tuoi bisogna ti manna sta casscittinedda unni
cci su' tutt' 'i mìdicini d' ò raunnu. Ora quannu tu, o
Adamu, 0 'i pieciriddi aviti bbisuognu 'i cocchi midi-
camentu, nun è eh' ha' a gràpiri 'a casscittina, ma t'ad-
dinuocci e priei ò Signuri ca ti mannassì 'u veni ri-
mediu; e vidi eh' 6 rimediu nesscì sulu , senza sfrim-
' Riporto da Le Parità e le Storie morali dei nostri villani di
S. A. QuASTELiA faaguaa, 1831), p. 216, P, la presente leggenda,
modificando solo in piccolisdraa parte ia grafia del raccoglitore, sulla
quale già, da quasi vent'annì, lio manirestato le mie idee nella Bi-
blioteca delle Tradizioni popolari siciliane e in altri scntti, e sulla
quale nella prefazione a questo volume son ritornato.
* Parea che desse l'ultima boccheggiata.
> La povera Eva era io una, grotta , coricata sopra un lascio di
erba, che treniava dal fì%ddo.
I lf6 FIABE B LEGGENDE
maUa * ,. Eva chi ni vosi àutru ? Priau ó pignori, e d'
f 'e filazzi d' 'a casscittina nissciu 'n picciunieddu \ Tutta
contenti cci tira 'u cuoddu ', e si fa 'na bella tazza di
bruodu ; e tannu sulu si 'ntisi tumarì, di morti 'n vita.
Ora 'gni vota ca ce' era malatii n' 'a famiggia, Eva
jj s'addunucciavai ^ vota ppi vota nisscia 'n pìcciuni *.
i 'Na 'ota parò ca Gainu ed Àbbeli jiucàunu ce' 'a ca-
sscittina, ^rapisi dda casscittina, e chi vidìstuu ? i midi*
p Cini vularu com' un sbardu di linnineddi ^ Adamu ed
// Eva.cùrsuru p' affirralli, ma ce' àun' a' ffirrari? *
' Dduocu si 'ota Adamu, e cci dici ad Eva: — * 'N dàn-
Ciri, eh' 'a curpa nun è tua e mancu mia; e fiiorsi chistu
è signali ca ppi tutt' 'i malatii 'a vera midicina è 'u
bruodu d' ó pieciuni »,
Modica '•
* E vidi^ e vedrai che il nmedio uscirà da so (sulu), senza disser-
rarla (la cassettina).
* E dalle commessure della cassettina uscì un piccioncello.
[ * Tutta contenta gli tira il collo.
^ * Ora ogni volta che e* erano malattie nella famiglia, Eva s*ingi-
nocchiava, e volta per volta mettea fuori un piccione.
' Apresi quella cassettina , e che vedeste ? le medicine volarono
eome uno stormo di rondinelle.
* Adamo ed Eva corsero per afferrarle , ma che avevano ad af*
ferrare?
^ Raccontata da Emanuela Santaera contadina.
Re Salamiml • Sapianu.
'Na vota s' arriccuata ca a tempu di Re Salamuni
ed fu un picciottu ca si vulia maritarì e 'uà sapia
quaii picciotta p^^arisì. Va e ya noi Re Salamuni
p' avìri un cunsigg^hìu. Salamuni lu mannò nni 'na
som sua, chiamata Sapienza. Sapienza, senza diri nec-
chi tllU>i'necchi tabbi, * nisdu e si nni yu 'nta 'na cam-
pagna: e lu picciottu pi d'appressu.
'Sennu 'nta sta campagna, s' accustò a 'na fossa e
cci Sci scìnnirì 'na jimenta cu 'na jimintedda, fiE^hia
sua, p ddoppu scinniu Sapienza. Comu fu jusu , Sa-
pienza pigghia un nerbu e cumìncia a nirbiarì a la
poTira jimenta: tirìtinghi e tiritai^hi ! nirbati ca jicca-
Tanu focu '. La jimenta avogghìa di salari, dì curriri
attorau a lu fossu, di jiccari càuci ; era tuttu 'nùtuli,
pirchi Sapienza sunava a la scapiddata '. A certu puntu
la jimenta, 'un nni putennu cchiìi, jecca c'un sàutu, e
^ridda fora di ddu fossu. La jimintedda ilei lu stissu,
e 'n tempu chi si dici, matrì e flg^hìa s' attruvaru font
di lu fossu.
* Senza dira né ai né biu. Il Traina, Nuovo Voeab. Ho. ital. «Ila
voce Cibfd scrive : < Nà tìbbi né catUibi : né a. te, né A me , a : né
ponto né poco >; msi, come ai vede, frase e mgoiflcaito fidano.
■ Tiritinghi ecc. DUIi e dalli ! nerbate elle gettavano flioco (cU
levare U pelo).
* Anogghia ecc. Invano la giumenta saltava, correa attorno al
tomo, apanva cald ; gli era tutto inaUle , perchè Sapienza sonarli
■MfHgliatamente (piccMara alla disperata).
128 FIABE E LEGGENDE
Lu picciottu taliava tutta sta scena, e 'un ni capia
nenti; cci paria ca Sapienza avia persu lu ciriveddu.
Comu vitti ca Sapienza 'un cci dissi nenti, vota p' unni
Salamuni, e cci cuntò lu tuttu. Salamuni capiu e cci
dissi : — * Parabbula significa. Si ti vó' maritari, e vó'
truvari 'na bona picciotta, guarda prima la matri ; si
idda è bona , bona è la flgghia , pirchì li figghi pig-
ghianu V esempiu di li matri „. E cunchiudiu cu diri:
Pigghìa para, para pigghia,
^r Lu sàutu chi fa la matri fa la flgghia.
■ f Palermo \
- r
VARIANTI E RISCONTRI
>
I
Una versione italiana di questa tradizione è nei Proverbi
sic. n, 219.
* Raccontata da Agatuzza Messia.
\
'«■#-
SalajDuuì e Marcorfu.
Cc'eranu 'na vota dui frati e 'na som: Re Salamuni
o Marcorfu so frati, e Stella, so som '. Ddiu cci marinò
dui picciuna a Salamunì, pi fàriccì pìgghiari lu vrodu.
Stella coci li picciuna, si pigghia idda la prima tazza;
dici: ' Oh, ch'è bella ! , E cci vinni la scienza. Votasi
Marcorfu: — ' 'Amminni un pocu a mia „. Pi^hia Stella
e cà nni duna \m pocu a iddu, e a Marcorfu cci vinni
puro la scienza. A Salamuni chi cci arristò ? lu vrodu
acquatu, pirchi Stella cci junciu acqua p' allungallu.
Stu Salamuni era un omu sapienti e riccu, e avia la
fagurtà ca ogni cosa uhi tuccava addivintava oru,
'Na vota avianu a varari 'na varca, e sta varca 'un
putia jiri. Salanroni vidennu aecussi, dici; — " Jiti nni
me soru Stella , e tutti cuntenti cci diciU : Varau la
varca! Varau la varca! e sintiti zoccu vi dici,.
Stella comu senti ca varau la varca, dici: — " ForzK
di sivtt fu ' ,, Comu Salamuni iu 'ntisi, fici mettiri sivu
sutta la varca, e la varca varò altura.
Dunca Salamuni avia pi mugghieri 'na donna, e
vonnu diri ch'era flgghia di lu Re di Triesti (sic) , ca
quannu iddu si vosi maritali, e tutti li re e principi cci
apprisintaru li so' figghi, fa fBiiica chi cci ij^^ ^eniu.
' Sb.soru, loio aorellu.
' Foi'su di si'PM jpi, (no questa ^>al■ca potò esser varata, ciò) fu per
(nr/A di sego.
PiTEÈ. — Fiabe e Leggende. 9
130 FIABE E LEGGENDE
Ma Salamuni 'un si cuntintava d'idda, cà avia un sir-
ragghìu cu settìcentu picciotti \ Sta donna si 'mpu-
sissò tantu di Salamuni, ca macàri lu facia metteri a
quattru pedi, e idda cci accavarcava di supra. Lu Mar-
corfu, ca a Salamuni lu vulia bèniri, mali sufifria ca
so frati avia a essiri accussì supraniatu di 'na donna.
Sta donna si nn' addunau e cci dissi a Salamuni : —
* O tu levi di 'mmenzu a Marcorfu, o io nun ti cun-
tentu cchiù li to' disiderii „. Salamuni, senza tanti chiac-
chiari, duna ordini d'arristari a Marcorfu nn'appi 'na
ciariata ^, e si nni fuìju, e si uni iju ntia 'na massaria.
Ddà cci ficiru 'na bona accugghienza, cà sapìanu ch'era
frati di Salamuni.
A la massaria travagghiavanu, e lu Marcorfu spiri-
minto di fari li ricotti, e li mannava a vìnniri a la
cita.
Jamu a Salamuni, ca comu so frati spiriu, 'un potti
appurari mai unn'era; dici: ** E chi menzu cc'è di sa-
pillu? Ora pensu io... Fazzu un carru significativu , e
cu' lu spija, havi un premiu. Siccomu 'un lu pò spi-
jari nuddu, sulu chi Marcorfu, accussì pò essiri ca l'ap-
puru „. Eccu ca lu carru fu fattu.
L'omu chi java a vìnniri li ricotti, 'ntisi diri ca cc'era
un carru, e supra cc'era Salamuni cu la so cuncupina.
'Nta stu carru cc'era un bannu di Salamuni: ca cu*
spijava chi cunsistia sta carru ^, cc'era un gran premiu.
* Picciotti, s. f. plur., ragazze, donne ecc.
» Nn*appi 'na ciariata^ n'ebbe odore, sentore.
» *Nta stu carru^ ecc. Su questo carro era un bando (un'iscrizione)
di Salomone, (che dicea) che chi spiegava (sapesse spiegare) il signi-
flcato di questo carro, aveva (avrebbe) un premio.
.>
SALAHUNI E HABCOItni 131
Comi! Marcorfu 'ntisi sta cosa, ed dissi all'omu; — " Sa'
chi cci ha' a diri a Salamuni ?
— Quantu va un'acqua di marzu e d'aprili
Nun cei va nn carru cu chissi dui vili ;
ma avverti a purtàriti 'na bedda jimenta, pi essiri
pronta a scappari, pirchì si t'appuranu, vennu a capi-
tami a mia ^ „,
St'omu scinni a la citati, e coma vidi stu bannu, cci
dici a li ministri di Re Salamiini :
— " Quantu va un'acqua di marzu e d'aprili
Nun cei va un carru cu chissi dui vili. ,
La truppa era pronta; coma 'ntisi sta pruposta, cci
va pi dappressu, e l'agghiunci a la massaria. Ddà cc'era
Marcorfa; ordini d'arresta cc'era; l'arristara. Davanti a
Salamimi !... Salamoili cci spija: — " Di chi morti vó' mò-
riri. ,— " Vò^hiu essiri svinata e misu 'nta 'na tina di
latti ,.
Qaannu Marcorfu stava di mòriri , Salamani si nnì
pintiu; dici: — " Gc'è rimèddiu pi tia , pì stagnari sti fi-
riti V „—" No „, cci dici Marcorfu. — " Ma vera nun cc'ò
rimèddiu ? , Risposta di Marcorfu : — "Un rimèddiu
cc'è.... „— " E chi? ,
—' Cc'è la rosamarina all'ortu,
Ca fa risuscitari all'omu mortu „.
— "E coma? , — " 'Un ti In vogghiu diri; chistu salu
ti dicui ca io nun campu: ma si io caiapava, di hi seni
nni facia nasciri ogghiu * ,. Palermo '.
' Venrm, verranno a trovare u catlurar me.
* Io ntincampu, ecc., io non vivrò; ma se io dovessi vivei'e,
avrei tanta abilità ila tar nasccic olio dal siero.
* Rai^ntata da Domenico lngras3!a.
13:2 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
D.^lla esistenza di Marcolfo nella tradizione siciliana non ^
era trovata traccia fin qui. Questo è il primo racconto nel
quale siffatta esistenza viene accertata; di che ebbi a far cennc
io stesso in una comunicazione alla U* Classe della Società Si-
ciliana per la Storia patria, il 9 Genn. 1880. Vedi Archivio sto-
rico siciliano, an. V.*, fase. MI, p. 5. Palermo, 1881. Ho anche
trovato una frase che ricorda Marcolfo, e nella quale il preteso
fratello di Salomone appare come un uomo un pò* grossolano^
un po' goffo: Arristari comu Marcorfu. Pel proverbio: Qtuintu
va un'acqua, vedi i miei Proo. sic, v. Ili, p. 60. Ma si noti
che siccome il plurale vili può significare tanto vele quanto vUi
(.sing. vile), qui Marcolfo, con un calembour, dà del vUe a Sa-
lomone ed alla sua favorita, per la quale commeltea tante de-
bulezze. Nel prov. siciliano comune : Quantu va un'acqua eoe.
la V. vili significa vele.
•" -..1
La Matri Sant'Anna chi vu)ia jiri a lu tempiu.
A tempi di la Mat'ri Sant'Anna ce' era un sulu tem-
piu , e stu tempiu s' avia frabbicatu pirehi li prufeti
javanu prìdicannu ca avia di nàscili lu veru Misia ; e
cci putevanu tràsiri sulu li donni eh' avianu a prisin-
tari li picciriddi a lu Signuri.
La Matri Sant'Anna figghi 'un n' avia fattu mai, e
'nta stu tempiu 'un cci putia tràsiri ; e nn' era disid-
dìrusa. Quannu fici cinquanl' anni, e 'un appi spiranza
cchiù di nèsciri gravita, cci diisi a S. Jachinu: — 'Pur-
tatìmicci 'na vota a stu tempiu, e macàri sutta lu flr-
riolu ammucciata! „ '. S. Jachinu si pirsuasi, e cci la
purtò. La trasiu , e idda di sutta lu flrriolu java ta-
liannu tutti li mura e tutti li pitturi. Li prufeti eh' e-
ranu 'nta lu tempiu vidianu ca sutta lu firriolu di
S. Jachinu ce' era sta fimmina, ma 'un dicianu nenti,
Quannu lu S. Jachinu stava pi nèsciri di lu tempiu,
cci dissiru : — Eh! Jachinu, Jaehìnu! ammùccia, am-
miiccia, ca tuttu ti pari " !.,. „ S. Jachinu a sta palora,
' Parlalimicci, ecc. Conducetemi una volta a! tempio, anche na-
scosta sotto il (vostro) fcrraiuolo.
Si noli che la narratrice è una donoa di età, e secondo 1' anticii
oso, marito o moglie) non si danno mai dei tzi niodcmo, mft del voi.
La donna poi sta sempre soggetta al marito.
' AaimUccia ecc. nascondi, nascondi, che tutto ti si vede. — Pro-
134 FIABE E LEGGENDE
s'arrabbiau, cà cci parsi un rimproviru; e pi li viola ^
si misi a 'lliticari cu la Ma?ri S. Anna : — * Pi causa
tua appi aViri stu rimproviru !... Ora ti lassù , e mi
nni vaju ! „
Vicinu lu tempiu ce' era un arvulu. Arrivaru 'nta
st' arvulu e iddi ancora si javanu alliticannu. Gei ri-
spunni un Ancilu di supra Tarvulu:—-" Sì, Jachinu, las-
sala, e vatinni, e nun cci turnari cchiù». S. Jachinu,
arrabbiatu ca era, a sti palori la lassa 'n tridici ^ e si
nni va pi li so' mannari, cà iddu era robba di mas-
saria \ La Matri Sant' Anna si nn' appi a jiri sula à
casa.
A li deci anni, mentri la Matri Sant'Anna durmeva,
cci va TAncilu e cci dici : — " Anna, Anna, si' gravità
di 'na rusella eh' havi a essiri la Matri di Nostru Si-
gnuri ! „ Gei arrispunni idda 'nta lu sonnu : — " Ah !
Zocca la vecchia vulia,
'N sonnu cci vinia *.
(Accittò zoccu cci dissi l' Ancilu). Votasi l'Ancilu : --.
* Sùsiti, Anna, e vai a cerchi a tò maritu ddà nni lu
arvulu unni lu lassasti „.
Sant'Anna si susiu, si vistiu, e cu la cammarera si
parti pi jiri nna V arvulu. L'Ancilu si nni iju dunni
^ E pi li viola^ e (nel ritornare a casa sua) per la via (che avea
j tatto o dovea fare).
i » Lassavi *n tridici^ lasciare in asso.
' Cà iddu ecc. giacché egli (S. Gioacchino) era persona di mas-
seria.
* Proverbio volgare, che si suol dh'e quando si ripete sempre una
cosa che si desidera.
LA «ATRI SANT'ANNA CHI VUUA JIRI ECC. , 135
idda, e iju nni S. Jachinu : — " Jachinu, Jachinu, sù-
sili, e vaidrova ad Anna ddà nni l'arvulu unni la las-
sasti; ca èni gravita di 'na rusella, ca havi a essiri la
Matri di Nostm S^nuri ,. S. Jachinu tultu sbauttutu
si susi e parti; e maritu e mugghieri si vannu a 'ncun-
trari sutta l'arvufo.
Comu si 'ncuntraru , deci anni ca 'un si videvanu,
s' abbrazzaru e si vasaru. La cammarera pensu ca
nun la canuscia a S. Jachinu, e cei dissi : — " E tallati
sti du' vecchi ca s' abbrazzanu e si vàsanu punì ! , A
stu malu pinseri lu Spiritu Santu la scumunicò, pirchi.
lu Spiritu Santu nun voli ca nni pigghiamu lu pinseri
à' àutru. Àccussì ficiru paci Sant'Anna cu S. Jachinu,
e nni vinni la Bedda Matri Maria.
Bagheria K
' Raccontata da Angela Pulso.
136
xxin.
Pirchl Sant'Anna 'un havi la so festa \
Quando Maria andava cercando suo figlio Gesù, che
era stato preso dai Giudei, era in compagnia di San-
t'Anna, sua madre.
Stanca ed affannata, lungo il cammino, vide un'erba,
la prese e se la mise in bocca per calmare la fame.
Sant' Anna, veduto quest' atto, la rimproverò così : —
** Oh, che bell'amore porti a tuo Figlio ! Invece di cer-
carlo, pensi a mangiare! »
Rispose Maria:
— "Ou' nun cridi là me dulfa,
La so festa cumannata nun sia ! , *
E perciò Sant'Anna non ha la sua festa.
S. Angelo lo Muxaro.
* Mancandomene il testo dialettale, ne pubblico la versione lette-
rale italiana favoritami dal sig. Emanuele Gramitto-Xerri.
' Chi non crede al mio dolore, che non abbia (per sé) festa coman-
data (dalla Chiesa)!
S. Giuseppi e lu pilu di mìnua '.
San Giusippuzzu jia a dumannari, e passau di 'nta
'na fimmina cliì si facia 'i capiddi. Gei dissi San Giu-
seppi:— " M' 'a facili 'a limosina? „ Ha rispundulu la
donna,e cci ha diltu: — "S Nin vi pozzu fari limosina, chi
mi staju facendu li capiddi ,, A sta donna cci ciancia
lu picciriddu, e si l'iia misn 'nta la minna ', S. Giusip-
puzzu s'ha scippatu 'n pilu di la barba e cci l'ha misu
'nta la minna, e allura a dda tìmmina cci vinni 'u pilu
d' 'a minna.
Poi tumau S. Giuseppi p' 'a limosina arrierì. Idda
nun cci nni vossi fari, e cci dissi: — " No, bon vecchiu:
facitimi stari 'a minna bona °, e vi fazzu 'a limosina ,-
S. Giuseppi allura dissi :
— " Pilu di minna, vattini di ccìi,
E li ni veni 'nta la barba mia,
Fi^hiola a durniiri,
Mamella a ripusarì l ,
E cci fici stari arrieri 'a minna bona.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedi il u. XXXVI del presente volume.
1 Pilli di .lUnn-Xt iiifLiiniUnzione piU'iialc de* condotti galoltofori
* Lo jiìangca il bambino od olla lie lo attaccò alla maminulla.
" Fatemi riguaiire della iiiamiiiella.
* Raccontata da Rosalia Coc:iiiiaiino, e raccolta <l:il sig. ^laiiuno
La Via-Ronelli.
138
XXV.
S. Gìseppi e li picurara.
Gomu nasci' lu Bamminu, S. Giseppi, vidiennu ca lu
picciliddu muria di fridda, piasà' di jiri a circari tan-
ticchia di focu pi scarfari ò Signiruzzu \ Niscì' di la
gruttae ij' 'nti tri picurara, chi eranu jiiitra una màn-
nira ^. SU tri picurara avianu un cani, chi a cu'trasia
ddà jintra lu squartariava a muzzicuna ^ S. Giseppi
trasì' e lu cani 'un cci fici nenti.
Li picurara vidiennu daccussì, dissinu tra d' iddi: —
** E chi havi stasira stu cani ca 'un cci dici nenti a stu
vecchiu?... „ Poi comu lu vittiru tràsiri, cci dissiru: —
" Chi vuliti , bon vecchiu ? „ S, Giseppi cci rispunni':
_« Vurrissi tantìcchia di fuocu. „ — ** E unn'è chi l'a-
viti a mettiri? „ cci spijaru li picurara; e S. Giseppi
cci prisintà' la punta di lu so cappuottu; dici: — " Gcà „.
— ** Ma 'un s' abbrucia ? „ cci dissiru chiddi ; e S. Gi-
seppi:— " Avoglia „ *.
Li picurara hannu pigliatu lu fuocu , e cci V hannu
misu 'nti lu cappuottu.
S. Giseppi si nni ij'; e li picurara pinsaru tra iddi:
1 Per iscaldare il Signoruzzo (il Bambino Gesù).
» Uscì dalla grotta e andò da tre pecorai , che erano dentro una
mandra.
' (Il cane) stracciava a morsi (sbranava) chi entrava (entrasse) li
dentro (la mandra).
* Avoglia^ non fìt nulla.
■3&'
M^^.'-i
S. GISEPPI E LI PICUBABA
139
— " Aviti a vidiri conni s' havi a 'bbruciari lu cap-
puottu stft vecchia!... „ Poi quannu vittim ca lu vec-
chiu nun s'abbrucia', e lu cani 'un abbajà', pinsaru ca
iChistu duvia essiri corchi uomu pradigìusu. 'NU mentri
cumparì' un Àncilu, e cci dissi ca avia nasciatu lu Mi-
sia, e allura! li picurara si pirsuasiru di la cosa, e
jeru a purtari ricotta, cuniglia e palummi a lu Signi-
riizzu,
Naro ':
' Raccontata da Antonio Barragato,
146
ir
\:
f ■
t
XXVL
Li tri Re.
Quannu nascia lu Bamminu accumpariù 'na stidda
a l'Orienti, ca facia un sblennuri mai vistu. Tri Re a
vidiri sta gran stidda si pirsuàsiru allura ca avia na-
* sciutu lu Misia e si parteru ognunu di lu so regnu e*
un dunu l'unu. .
Sti tri Re, unu si chiamava Gàspari, ed era vecchia;
unu si chiamava Batassàru, ed era picciottu, e unuMìr-
cioni ^, ed era turcu \
Gamina, camina, si jeru a scuntrari tutti tri a lu
stissu puntu senza canuscìrisi l'unu di Tàutru, e senza
'nsignàricci nuddu la strata; sulu chi java davanti la
)■ stidda.
Arrivati chi fòru a la Grutta di Bettelemmi, la stidda
si firmò, e traseru. A lu tràsiri truvaru lu Bamminu
■; 'mmenzu di Maria e S. Giuseppi, supra 'n'afifritta man-
Z ciatura e cu lu voi e Tasineddu allatu. Ricanuscennu
ca chistu era lu veru Misia, Taduraru e cci apprisin-
taru ognunu lu so dunu: Gàspari cci apprisintò 'ncensu,
Batassàru mirra e Mircioni oru. Lu Bamminu cci ridiu,
jisò li manuzzi e li binidiciu.
^- A lu partìrisi pi turnarisinni, lu vecchiu, ch'era Gà-
* Gaspare, Baldassare e Melchiorre. — ^Natisi che in Palermo, Gaspare
nome di persona, si dice Gaspxnu, e Gaspare, uno dei tre Re, si dico
anche Gàspari,
• Intendi che era nero.
LI TRI RE 141
spari avia addivintalu picciottu; lu picciotto, ca era Ba-
tassàru, avia addivintatu vecchiu ; e Mircioni, eh' era
lu turca, avia addivintatu biancu comu a nuàtri. Lu
cchiù tintu cci iju Batassàru ', ca 'nvicchiu 'nt' òn mu-
mentu; e vonnu diri ' ca la prima nutizia di la nascita
dì lu Misia lu re Arodi l'appr di stu tirrè '.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Una variante abruzzese dì Roccacasale e Sulmona ne ha il
De Niso, Sacre Leggende, p. 22: Ancora della venuta dei Se
Magi.
La medesima leggenda è ricordata qua e là in libri italiani
di varia lelleratura.
Cfr. J tre Be dell'Oriente, n. 954 dei miei Canti pop. sici-
liani, V. n.
* Lu cchiù liittu, il peggio trattato lu Baldassare.
' E vonnu diri, e voglion dire (e diccsi).
= Ciascuno de' tre re magi è chiamato tirrè, doé uno dei tre Re.
* Itaccontata da Fi-onccscu Amato.
142
XXVII.
La Bedda Matri e li rosi e y.iurl \
Quannu lu Re Eroi * sinti' ca nasci' 'n aatru Re
cchiii suprajuri d'iddu, detti uòrdini d'ammazzallu. Ma
dduoppu chi vitti ca nuii si potti truvari , fici mettiri
unapuocLi d' uomini di guardia, e tutti ddi carusieddi
nielli ^ chi passavanu l'avianu a'ininazzari.
Un juornu di chisti * passava la Bedda Matri, e comu
vitti sii guardii si cunfusi. Lu Bamminieddu pi livàricci
la cunfusioni si liei rosi ^ e /iuri, e mentri chi la Bedda
Matri stava caminannu, U guardii cci dissiru: — " Chi
purtati ? „ E la Bedda Matri cci rispunnì': — ** Rosi e
'/iuri „. AUura unu di ddi guardii, a lu vìdiri sti '/iuri,
si nui pigHà' unu, e la Bjddi Matri si nni ij'.
Arrivaanu a un cortu sigim, li rosi e '/iuri divintaru
arrieri Bamminieddu. La Bedda Matri s'addunà' ca cci
mancava un jiditieddu; lu B un uiaied.lu vidieiiau due-
cussi, si liei 'n'àutra vota rosi e /iuri, e la Bedda Matri
turnà' 'n'autra vota nni chiddi guardii diciènnucci: —
"* Pi cai'ità, datimi lu '/iuri , cà manzannò nunni ^ li
^ Maria 0 lo roseo i flon. — Hedd'i Mitri ixìp antonomasia è la Ma-
donna.— Fluendo ad imprestito la X greca non trovando nel nosti-o al-
fabeto una lettem che meglio ritragga questo suono, molto coiuimc
nelle parlate agrigentine.
» Il re Erode.
' Un giorno di questi (tra gli altri).
♦ Tutti i bambini piccoli.
5 Si fèciy si ti*ast(ormò.
« Manzannò. se no.— Sunni^ non.
LA BEDDA UATRl E LI ROSI E YirRI 14tì
puozzu cumplìmintari sUZiuri „. UnufU chìddi guardi!
cci dissi all'àutru: — " DunacciUu, pirchi nu nn' hai chi
fari , ; e chiddii cci lu detti. La Bedda Matri lu rin-
grazia' e si nn' ij'; e li rosi e "-^iuri divintaru 'n' àutra
vota Barn mini ed du senza mancàricci cehiù nenti.
. Ora cc'era una picciotta, ch'avia corchi vint'anni ca
era nn' 'u Hltu malata \ Un journu di chisti si truvà'
a passari di la casa unni stava sta picciotta la Bedda
Matri , cu lu Baiuminu e S. Giseppi. La Bedda Matri
vidiennu a sta malata, trasi' e cci dumannà' a la ma-
tri: — " Chi havi sta jHcciotta, ca è curcata? , — " Las-
satimi stari, cci rispunni la matti, ca havi vint'anni ca
ITiaju jittafa 'nta un funnudi Hltu cu 'na malatia tinta
tintuna.... „ *. La Bedda Matri pi ddu mumentu nun
cci rispunni'; ma cci dumannà' sularaenti siddu avìva *
tantìcchia d' acqua quanta lavava du' pannizzi a lu
Bamminu. Chidda cci dissi:—' Nasi' ,, e subbitu ij' a
pigliari l'acqua jintra lu lemma; e cci fici lavari li pan-
nizzi. Comu fini' di lavari, ia Bedda Matri cci dissi:—
" Bona donna, cu st'acqaa di li pannizzi aviti a lavari
a vostra figlia, e viditi ca subbitu idda sta bona ,. Comu
cci dissi daccusaì , la Bedda Matri cu S. Giseppi e lu
Bamminu à nni ij'. Dda donna, 'nt' òn dittu e un fattu *,
piglia dd'acqua e lava a so figlia. Mancu l'avia flnutu
di lavari ancora, ca so figlia era già bona comu s'unn'
avissi mai avutu nenti.
' Ora c'era una ragazza, che ila cii*ca vent'annì era ammalata.
' L'haju jittata, la ho giacente in letto con una malattia brutta,
bruttissima.
4
14i FIABE E LEGGENDE
Nni stu fratterapu veni lu patri di dda picciotta; ed
era chiddu stima ca cci avia fattu dari la 7.iuri a la
V Bedda Mairi ^: e a lu vidiri a so figlia susuta si misi
a stricàrisi Tocchi cridennusi ca sgarrava. Carri e si
Pabbrazza, e cci damanna a so maglieri coma fu stu
miraculu. So muglieri cci canta' lu fatta, e iddu si piosà'
ca chidda era la m-xtri di la Bammina G.^sù. Curri pi
ringrazialla e dumanniiiicci la grazia di Tarma. Comu
di fatti Tagghia j V -. Coma agghicà' ', cci dumannà*
sta grazia; e la Bedda Matri cci la cuncidT, cà era un
uomu dabbeni.
«
Iddi arristaru filici e cuntenti,
E nuàtri semu ccà senza nenti.
Naro
\ ^ VARIANTI E RISCONTRI.
s '
La prima delle due parti di questa leggenda , quella , cioè,
ilella trasformazione del Bambino in rose ed altri fiori, in Pa^
lermo corre a parte. Una variante abruzzese di essa è L'eqtU-
vaco benefico delle Sacre Leggende del De Nino, p. 31.
* VA era quello stesso che avea fotte restituire il flore a Maria.
* Di fatti, lo raggiunse.
' * Appena giunse.
* Raccontata da Antonio Ban-agato.
Li Luppinì e la. Madonna.
S' arriceunta ca quannu la Madonna si nni fuiju di
'n Agittu cu San Giuseppi , purtava ammugghiatu lu
Eamminu p' 'un fallu vidiri a li Judei, Caminannu, ca-
minannu, li surdati l'avia di 'n coddu; curri e si va a
'mmìiccia sutta un pedi di luppini, (cà a ddi tempi li
pedi di luppini eranu àuti). 0 fu lu ventu, o zoccu fu,
lu pedi di luppini cuminciau a fari scrìisciu , e quasi
quasi ca li surdali si nni stavanu addunannu. Allura
la Madonna. cci fìci sta furmata mmalidizioni a li lup-
pini:—' Chi puzzati adduintari amari! ^
Palermo '.
VARIANTI E RISCONTRI.
Secondo una Tersioiie abruzzese la cosa sarebbe andata così:
* Dice il popolo che G. C. maledisse i lupini, perchè egli fug-
gendo un giorno dalla rabbia giudaica, si nascose in un campo
di lupini, ma questi fecero ru&ore, e cosi palesarono il na-
scond^lio del Redentore. Allora egli li maledisse con questa
maledizione : Che nisciune che magne de stu frutte se pozza
inaje sazzejà. Ed è cosi davvero., Savini, La Grammatica e il
Lfìsico del Dial. teram. , p. 161 , alla voce Nepine. Torino,
' Allora la Madonna lanciò questa precisa (firmataj maledizione
*■ lupini ; Che possiate dioentai:} aiimre .'
' Raccontata da Agatuzza Messia.
Q. PlTRB. — Fiabe e Lefigende. 10
146 FIABE E LEGGENDE
1881. Altra versione ne ha De Nino, Sacre Leggende , p. 36,
Secondo la tradizione romana , viaggiando Maria col Bam-
bino trovò un campo di lupini che facevano grande rumore;
i lupini, maledetti, inaridirono, e Maria potè accertarsi che
non vi era nessuno che la inseguisse. Allora li ribenedì, e i
lupini rinverdirono dieci volte più. Busk , Folk-Lore of JRo-
we, p. 173. Una versione friulana è fra le Tradizioni friulane
della Percoto, e leggesi anche in Ellero, Scritti minori, p. 45.
Vedi anche la v. Lupino, al cap. Botanica , v. Ili de' mie
Usi e Costumi, ov'è una graziosa leggenda, variante della
presente.
Lo stesso fondo della nostra fola ha la seguente, che è uni
importante variante: O. C, e la Jinestra.
Qesu Cristu e la Jinestra '.
■Na vota lu Signuri caminava jennu 'struennu tutti
li cristiani chi putia. Li Judei , ca nun lu putianu vi-
diri °, circavanu lu modu e la raanera pi pig^hiallu.
'Unca iddu, 'na jurnata' ca sì vitti propria persa, dici:
— " E chi fazzu ! , e ai iju a ricuvirari all'Orta di Gias-
sènii, e s'ammucciò 'mmenzu 'na macchia di jinestra.
Ma chi ! Coma lu Signuri s' ammaeciò, sta jinestra misi
a scrasciri ca nun pari vera, comu fannu l'arviili sic-
chi quannu ce' è un gran ventu. Nni vuliti cchiù ? Li
Judei scattiaru supra sta jinestra ' , e nun cci parsi
veru di truvari a Gesù Cristu. Comu lu catturaru, lu
Signuri mmalidiciu la jinestra cu diri: — " Chi tu, quannu
addumi, pozzi fari un gran scrùsciu ! „
Di ddu jornu , quannu la jinestra si jetta'nta lu
l'urnu pii camiari, fa un scrùsciu curiusu.
Ficarazzi *.
VARLVNTI E RISCONTRI.
Vedi i miei Appunti di botanica pop. sieil., Lett. U", p, 3.
Firenze , 1S76 , e nel cap. Botanica dei miei Véi e Costumi,
V. in, la », Ginestra.
• Jinestra, genista Jungea di Linneo.
• I Qiudei, che l'odiavano.
• J Giudei piombarono (xcaitiaru) bu questa ginesti'a.
' Raccontata da Giuseppe Cordova, contadino.
148
XXX.
Lu Signuri e lu munnu.
Si canta chi lu Signuri dduoppu eh' avia data una
bozza a lu munnu, manna' a San Petru e cci dissi: —
" Petru , va vidi chiddu chi dici lu munnu „. Petru,
obbedienti ò Maistru, caminà' di casa 'n casa pri vi-
diri chi facìanu tutti li pirsuni, e vidia chi tutti cian-
cìanu. Allura San Petru vidènnuli ciànciri si misi a
ciànciri puru iddu, pricchì era troppu sensìbbirì, e li
persuni cci parianu piatusi.
Quannu turnà' n' 'u Signuri, cci dissi : — " Maistru,
tutti ciàncinu. „ — * Nun è giustu lu munnu ancora „,
rispusi lu Signuri.
Ddoppu tanti jorna 'u Signuri manna' arreri a San
Petru pri vidiri si lu munnu era giustu, e Petru vitti
chi tutti ridianu. Allura turnà' n' 'u Signuri tuttu cun-
tenti e cci dissi:—** Maistru, tutti ridunu. „ — " Nun è
giustu 'u munnu ancora „, cci rispunni lu Signuri.
Quannu passànu tanti jorni, lu Signuri manna' ar-
reri a San Petru, e- vitti ca 'nnapocu ciancìanu. Ni
chiddi chi ciancìanu si mittia a ciànciri, ni chiddi chi
ridianu si mittia a ridiri. V n' 'u Maistru, e cci dissi:
— * Maistru, cci sunu chiddi chi ciàncinu e chiddi chi
ridunu „, Lu Signuri cuntenti cci dissi: — " Ora è giustu
lu munnu „.
Caltagirone \
' Raccontata da Antonino Nicastro.
LU SIGNURI E LU HDNND
VARIANTE E RISCONTRI
La morale di questa leggenduola è che in questo mondo
v'è chi piange e v'è chi ride, perchè vi sono dolori e gioie.
Una versione palermitana ne diodi io stesso nelle mie Cinque
NoBtlline pop. sic., d.1: A stu munnu eu' chianci e cui ridi;
la quale è anche tradotta nei miei Prov. sic, v. IH, p. 73. Una
versione abruzzese ne ha il Finahohe, NoveU», p. I*, n. XXXIV,
§ IV.
La prima risposta di S. Pietro è : ' Mahèstre, tutte 'n òme
piagne ,; la seconda : " M., tutte 'n òme ride ,; la terza : * M.,
huojje chi pi^n' e echi ride ,. La risposta ultima di G. C. è:
" Mo' va bbóne, e ffl cche lu munn' è mmunne , sèmbr' ac-
cuse) ce' & da ]ì ,.
150 \
XXXI.
L'occhi di li viddani e lu Sìgnuri.
Quannu lu Signuri fici lu munnu, fici li viddani cu
l' occhi n' 'i jinocchi. Vinutu lu tempu di la messa \ 'i
viddani si ni inu * a mètiri. Mentri chi mitìanu, cci jianu
'i scoppi ' d' 'i ristucci ni Tocchi. Nun ni putennu cchiù,
li viddani cumensanu a santiunari \ pricchì si 'nnurba-
vanu \
'Nna vota passa' 'u Signuri ccu tutti rApostuli,e San
Petru sintennu chi chisti santiunavanu, cci *ncugnà' e
cci dissi : — ** Ch' aviti chi santiunati comu tanti Tur-
chi ? ^ — " Ch' àmmu a'viri, 'Ccillenza •! 'u Signuri ni
fici Tocchi n' 'i jinocchi ', e nuàtri nun putimmu tra-
vagghiari, pricchi 1 scoppi si 'nfiranu ni IT occhi „. *
Rispusi San Petru e cci dissi: — ** Vuàtri aviti a'viri pa-
^ Messa, messe.
* Se ne andarono.
* Scoppi per scroppif sgroppi, fuscelli.
* Santiunari, dire o gettar santiuna=gra.n6i bestemmie, bestem-
miare.
'^ Si accecavano, diventavano ciechi.
* Che vogliamo avere {dmmu abbiamo), Eccellenza ! — Il titolo di
'Ccillenza in gran parte della Sicilia, specialmente nelle campagne^
ne' contadi ecc. vien dato a qualunque persona che sia tenuta un
signore.
7 II Signore ci fece gli occhi su' ginocchi.
* E noi non possiamo travagliare , perchè i fuscelli ci s' infilzano
negli occhi ^'nfiranu, *nfilanu, infilano, entrano).
i \
k'flHm. J^FMLiJ^Mk Wl9-t
r
«
i
l'occhi di U VIDDANl E LU SIGNURI 151
cenza , pricchi si lu Signuri nun l'avissi crittu giustu,
nun vi l'avissi fattu ddocu „, '
Quannu 'u Signuri chiama' a San Petra pri sicutari
a camminari cci dissi : — " Chi hanu sU viddani , chi
sì lamentanu ? , San Petra cci dissi ìa rag^uni quali
era. Allura 'u Signuri sintennu chi si 'nnurbavanu, cci
fQci l'occhi unni l'avìanu tutti II' àutri.
Caltagirone *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Una versione cìancianese messa in poesia letteraria diede il
Hauo, Li CunticeMi di mt nanna, n. X: La rifonna di l'oc-
chi di li viddani pretìsa da S. Petru.
' Non ve li avrebbe Mti costì.— Per la gosbltuione ddl'imperfetto
soggiuntivo al condìzioDale vedi le mìe Fiabe, t. I, p. CL.
' Raccontata da Antonino Nicaatro.
l :
152
XXXII.
l^i tri jorna di lu picuraru.
A tempi di TEbbrei, Turtimu jornu di Carnalivari era
di Sabbatu.
'Na vota un picuraru avia un crapettu 'n coddu e
si java a fari V urtimu jornu a la so casa. 'Ncontra e
^ncontra a lu Maistru. Dici lu Maistru : — " Unni vai,
bon omu ?» — ** Vaju a fari 1' urtimu jornu a la me
casa , cà lu patrunr mi detti stu crapettu , e mi ? he
jiri a manciari cu la me famigghia». — " E chistu 'un è
V urtimu jornu ? Chi cci va' a fari ? „ — "E bonu : mi
nni pigghiu 'n àutru, 'n àutri dui, e macà^:i tri„. — " Ti
sianu cuncessi; e chissi vannu pi tia „.
E pi chissu Turtimi jorna ^ si dicinu II tri jorna di lu
picuraru.
Palermo *•*.
VARIANTI E RISCONTRI
In Parco, Gaccamo, Menfi ecc. il Carnevale ha li tri jorna
di lu picurarUf perchè G. G. una volta in Carnevale vide un
pecoraio e gli disse che se n'andasse in paese a divertirsi.
Una variante di questa leggenda è in Salomone-Marino, A-
neddoti, n. XVIII, dove non si parla di tre, ma di Li du^ jorna
dÀ lu iHcwrarw. Vedi pure i miei Usi e Costumi, v. I, p. 71.
* Gli ultimi giorni (di Carnevale).
* Raccontata da Domeaico Ingrassia.
*"'**. ->.-.* ^ ' . . jfc. ■• «
iifc«^itìp»r*''-«*k^^'- *••••*«
Lu mestru scarpau e Oentu Fetra ',
Sìgnui inmò', si raccunta ehi 'ni vòin c'ia un mestru
scarpau. Gliistu, 'to so paisi, mencu avia travagliu. Ci
parsi di giustu mi si pigliava 'i so' firramìntiti , e mi
jia cammieiinu p' 'u munnu. lllu si purtai dapressu un
pen e ottuen di dion.
Quennu fo on certu puntu, ci cumpaìju un vecchiu e
un giuviri, chi jon, jùn Senlu Petru e l'atra 'u Signu-
uzzu, chi illu mencu 'i conuscia. Sentu Petru quennu
Il maastro aoarparo • S. Pietro (Versione Utteràit).
Sienori miei, si racconta che una volta e' era un maestro
Ecarparo. Questo , ne! suo paese , nemmanco avea travagUo
{lavoro); gli parve di giusto di pigliare i suoi ferramentucd
{arnesi), e di andare (« mi jia) camminando pel mondo. Egli
si portò addosso (dapressu) un pane e otto grani di danaro.
Quando fu a un certo punto , gli comparve un vecchio e
un gio^Mi^i che erano (jon), uno (jàn) S. Pietro e 1' altro il
Signoruzzo [G. C), ed egli nemmanco li conosceva. S. Pietro
quando vide questo scarparo disse, al Signoruzzo:—" Signore,
' Questa traJiiione Ò incompleta, poro'iò tale me la fiivor'i l'egre-
gio Di Pietro-Puglisi, ctie intendeva darmi lui saggio di voci nova-
resi di Sicilia più che un racconto tradìùonale. Tuttavia la pubblico
per la grande importanza del dialetto in cui è dettata ; e la fo se-
guire da una versione letterale.
154 FIABE E LEGGENDE
visti a stu scarpau ci dissi ò Sigiiuuzzu:— " Signui, vaju
unni chillu scarpau e ci dumennu cachi cuosa, pri vidi'
s'illu evi buntadusu „. 'U Signuuzzu ci rispunniu : —
* Che lasso sta' a chillu puviellu! Camadòa cu' ssa di
unni ven chillu puviellu , stencu e mortu di femi ! ,
Sentu Petru ci dissi: — " Ùa deu vogliu jii, pri vidi' chillu
chi mi rispunni „. E iju unni chillu scarpau , e ci du-
inannau si ci vuìja de' cachi cuosa.
'U scarpau ci dissi: — " Deu haju un pen; ti ni dugnu
menzu a tia, e l'àtru menzu resta pri mia ». Sentu Pe-
tru ci rispunniu; — " 'U Signuuzzu mi vi paga 'a caità „...
Novara \
vo da (unni) quello scarparo e gli domando qualche cosa, per
vedere se egli è generoso (buntadusu) „.
n Signoruzzo gli rispose:—'* Lascia stare quel poverello ! In
questo momento (camadòa=^com'è d'ora) chi sa donde viene
quel poverello, stanco e morto di fame I „ S. Pietro gli disse
— * Ora io (àa deu) voglio andare, per vedere quello che mi
risponde „. E andò da quello scarpai'o, e gli domandò se gli vo-
lea dare qualche cosa.
Lo scarparo gli disse:—" Io ho un pane; ne dò mezzo (metà)
a te, e Taltro mezzo resta per me „.
S. Pietro gli rispose: — ** Il Signoruzzo vi paghi la carità l ^
* Raccolta dal sac. prof. Salvatore Di Pietro-Puglisi.
* i^r. *
Lu Tiddanu grinlrusu e lu Maistm.
Quannu ìu Signuri eamiuava cu l' Apostuli, 'na sira
si riduciu 'n campagna vicinu 'na casa d' un viddanu.
Lu Sicuri sì prisintau a lu patrani e cci spijau si li
vulia dda sira fari alluggiari ddà, Lu viddanu cci dissi
di si ; perciò lu Signuri e li dudici Apostuli traseni
dintra, Gomu traseni, eranu stanchi e s' assittaru pri
manciàrisi un vuccuni. Avianu pani schittu evinu. Lu
viddanu avia tri agnidduzzi, e di tantu 'n lantu facìanu
mmèe. S. Petra, ca era mmurritusu, ' cci dissi a lu vid-
danu pri trizziari ': — " Ss' agmddi^zu voi' essiri man-
giatu. Vui chi nni diciti ? , Lu viddìuiu allura si mu-
Htrau gininisu, e rispusi: — " È vem e» nn' haju picca,
ma giacchi vossia lu voli e anchi sti patruna mei, nni
lu mangiamu. Chiddu chi voli Ddiu !... Tutti li spichi 'un
vannu ali' aria * ,. — ' Beni , dissi S. Petru , pri ora
avemmu mangiatu, dumani matinu nni lu mangiamu,
si voli lu Maislni ,. Lu Maistru accunsìntiu e dissi a
lu viddanu ; — 'E veru ca nn' aviti tri, ma, cu' sa, lu
Signuri quarchi vota vi putissi cuntintari...,. L'Àpostuli,
•ddoppu chi ficiru orazioni , si curcaru supra 'napocu
•di r«nu e s' addummisceru pri li fatti soi.
■ Mmurritusu e murritusu, add., capriccioso, biziarro, burlo-
no, ecc. eoe.
' Triisìari, burlare.
' Tullilispichi, non tutte le spiahe vanno alroia (Prov.). Cioè: Koii
tutto va bena |>ei' noi.
15G FIABE E LEGGENDE
Lu 'nnumani, all'arba, si sdri vigliar a e si pripararu pri
pàrtiri. Lu viddanu arrustiu l'agnedduc iìciru 'iisòm-
mula culazioni tutti. Ma mentri facìanu cuhazioni, S.
Petru s' addunau ca vinu 'ntra lu ciascu nu nn* avia
cchiù ; si vota cu lu viddanu e cci dici : — ** Amicu,
aviti tantìcchia di vinu, cà mi fmiu V „— *" Nonsignuri:
la vutti è sicca „ , rispusi lu viddanu. — ** Va piglià-
tinni tantìcchia, sicutau S. Petru; nun cci criju ca nu
nn' aviti nenti „. Lu viddanu allura si vutau cu lu Mai-
stru : — " Signuri, st' amicu nostru nun voli cridiri ca
vinu nu nn* haju. L'agneddu vi lu detti, e lu vinu, si
Pavissi, 'un vi lu darria ? » — " Hai raggiuni „, rispusi
lu Signuri; e vutànnusi cu S. Petru cci dissi: — " Petru,
stu nostru amicu ti dici la virità e nun pò essiri crittu;
ora ripara lu dannu chi hai fattu „. S. Petru allura si
susiu, awjcinau a la vutti , e poi dissi : — * Maistru,
pozzu spinucciari? ^ „'. — ** Spinocela pri sta vota; lu no-
stru amicu lu merita „. S. Petru allura spinucciau la
vutti sicca, ed aflfacciau un vinu russu comu lu sangu
e chi facia un ciàuru di paradisu. S. Petru jinchiu lu
ciascu so e chiddi di l' Apostuli, e fici tastari lu vinu
^ntra la cannata a lu viddanu. Lu viddanu ristau stur-
dutu di lu fattu.
— " Lu Signuri duna a cu' voli, dissi S. Petru a lu
viddanu, e a cui lu merita pri li boni azioni. La vutti
era vacanti, e lu Signuri vidennu la vostra amurusanza
vi la jinchiu di vinu e vi la binidiciu pri li boni tratti
chi nn' aviti fattu. „
* spinucciari^ spillare.
*i7sSGwr« - ^^ -
LC TIDDANtl GINIRU5U E LU HAISTHU 157
Lu viddanu si jittau facci pri terra dicennu : — * Sia
binidittu ddu Ddiu chi mi fici sta grazia ! e sia fatta
la sua santa vuluntati ! ,
L'Apostoli e lu Signuri lìneru di fari culazioni e si
priparani pri pàrtiri. Lu viddanu altura dissi a lu Mai-
stru : — " Signuri, nun mi lassati nuddu rigordu ? „ Lu
Maistru rispusi; — " Si: cogli ss' ossa di 1' agneddu , e
mettili fora, allatu lu muru di la casa ,. Lu viddanu
cugliu l'ossa e li jittau allatu lu muru. Mancu tucearu
terra, e addivìntaru pecuri, crapi, agneddi senza fini,
chi facianu: mmèe, mmèe. — " Eccu lu rigordu , dissi 1»
Signuri. Zoccu fa', t'è fattu. Diu duna e Diu leva ,.
Allura si salutaru, e lu Signuri cu l' Apostuli partia.
Frizzi '.
VARIANTI E RISCONTRI
Gfr. con una leggenda della Bdsk, FoVe-Lore,of Rome, p. 170,
a. 4, e con una parte del Gesti e S. Pietro, n. XXVII delle
mie Novelle toscane.
■ Raccolta dal sig. Salvatore Tortorìci.
158
XXXV.
Lu Maistru e li spichi.
Quannu lu Signuri java pri lu munnu, pridicannu la
fidi, passò p' un siminatu , ca era 'na pena a vidillu:
tuttu sìccu, pirchì *un ehiuvia. Dici San Petru a lu pa-
truni ^ — " Ghistu è lu Maistru. Prigàtilu chi vi manna
l'acqua * ». Lu viddanu lu prigò;e lu Signuri cci là cun-
eensi. E cuminciò a chiòviri e a dilluviari. Ddoppu cci
vulia lu Suli; e lu viddanu— cu lu dittu di San Petru—
cci r addumannò, pi grazia, a lu Signuri ; e lu Signuri
cci accurdò lu Suli. Lu siminatu si fici 'na gioia , ca
era un t>iaciri a vìdiri*li spichi quant'eranu grossi.
Quannu fu ura di metiri, lu patruni va pi vidu^i e trova
li spichi vacanti di dintra '. ** Ah ! mischinu mia, ca su-
gnu cunsumatu ! « E si misi a chianciri e a pilàrisi.
Passa e passa lu Maistru ; e a vìdiri sta scena 'un si
liei né russu né giarnu *. Pig^^hia un mazza di spichi,
e comu l'osserva ca eranu vacanti, ddà ce* era un furnu
chi camiava * » jetta ddu mazzu supra la cappa di lu
fumu. Bici lu viddanu : — ** Siccu ce' era ; ora s' ab-
brucia !.... , •
^ Al padrone del seminato.
* Pr^atelo che vi mandi la pioggia.
' E trova le spighe vuote.
* Più commiemente si dice: ' Un si /tei né vlrdi né giarnu^ non
t^ fece né verde né giallo: non si scompose.
* Là era un forno che si scaldava (veniva scaldato).
* Secco era (il frumento); ora (poi) si brucia (addirittura).
L0 KAISTHU I U SPICHI 159
Ddoppu tempu, chi sàcciu... ddoppu 'napocu di misi,
Ju Signuri si truvò a passari pì la stissa banna; comu
lu viddanu l'abbistau, cci iju a lu 'ncontru e lu purtò
a la so casa '. Dda era lu furnu; dici lu Signuri:—" Pig-
ghiàti ddi bpichi „. Pigghiaiiu ddi spichi, e vidinu— cosn
ma' vista ! — spichi grossi, grossi, e cànichi ca cci vu-
lianu occhi pi talialli. Tutti arristani alluccuti; e lu
Maistru cu la so 'simurtura " dissi : — "Cu acqua e
Suli no, e cu lu focu sì,
Quannu voli lu Signuri
Macàri 'nta lu focu crisci lu lavuri. ,
' Dopo (un certo) tempo, clie so io..., (topo molti mesi, il Signore
BÌ trovò a passare per la stessa parie ; appena il villano lo vide, gli
andò incontro, e io condusse a casa sua.
* Coa la sua disinvoltura, disinvoltamente . u
' Baccontata da Domenico Ingrassia.
Questa legenda è ricordata nei miei l'ai e Costumi, al capitolo
Agricoltura.
IGO
XXXM.
Lu Maistru e li lapi.
Quannu lu Maistru viaggiava pi lu munnu cu li so*
Niscìpuli, 'na vota *sennu vicinu òn palazzu, manna a
San Petru, pri jiri a dumannari un socchi d' ajutu a
lu patruni. Davanzi lu purtunì cc'era un criatu, e 'un
lu vulia fari tràsiri; ma San Petru tantu dissi e tantu
fici ca chiddu lu fici tràsiri, dicennu: — " Taciti cuntu
ca 'un m'aviti vistu ». Trasi 'ntra lu bàgghiu; coma lu
patruni lu vitti, si 'nforma zoccu vulia, e nni lu fici jiri
cchiù tortu ca gritta. San Petru torna nni lu Maistru:
e lu Maistru cci spija: — " Chi ti dissi ? » — ** Chi mi dissi?
pi miraculu *un mi manciò 'ntali robbi. » — * Tòrnacc
arreri, e pregalu chi nni dassi un socchi d'ajutji pi sta-
notti „. E San Petru cci turno.
Lu criatu, comu lu vitti arreri, prigatu e straprigatu,
lu fici tràsiri: — " Faciti cuntu eh* 'un m'aviti vistu „.
Comu trasi 'ntra lu bàgghiu e lu patruni Tabbistò, tira
lu spatinu, ca si San Petru 'un era prontu a scappari,
lu 'nfilava di 'na parti a 'n'àutra. ^
Lu Signuri comu lu vitti: — " Petru, chi ti dissi ? „ —
* Chi mi dissi ? Lu sapi Ddiu comu arristai vivu , ca
mi vulia 'nfilari, c'un spatinu, comu 'na sasizzedda. , —
* Sia fatta la vuluntà di l'Eternu Patri !... Torna 'n' àu-
^ Sfodera lo spadino, (e gli si scaglia addosso cosi furiosamente) che
se S. Pietro non era sollecito a scappare, lo passava (lo avrebbe pas-
sato) da parte a parte.
Ì.V HAI5TRU E LI LAFI 161
tra vota e pr^alu. , — " Maistru, vui chi diciti veru ?
Chissu ora ini squa^^hia. , — ' No, Petru; vacci arreri,
e fa' l'obbidienza ,. San Petru trimannu comu 'na fog-
ghìa fici l'obbidienza. Lu criatu 'un lu vulia fari trà-
siri; poi dici:—' L'aviti a vìdìrì vui; faciU cuntu eh' 'un
m'avìti vistu „. San Petru trasi; ma chi !... comu lu pa-
truni nni senti lu rastu, sciogghi li cani e cci 1' abbia-
Li cani si scatinanu supra lu puvireddu, ca s' 'un era
prontu a cansiàrisi, si lu sbramavanu tuttu, Nun o-
stanti chissu , li cani cci fóru vicini . e nun lu muni-
staru. San Petru turno cehiìi morta ca vìvu. Lu Mai-
stru comu 'ntisi stu bellu trattamentu dici; — ' Sìa fatta
la vuluntà di l'Etemu Patri ! , E siculo lu so caminu-
Avevanu fattu un menzu migghiu, quantu sèntinu un
fraca ssu spavintusu ; si vótanu e vidinu tuttu lu palazzo
spiriri, cà la terra s'avia sbalancatu e sì l'avia ^ghiut-
tutu. — ' Gesù ! dici S, Petru. E pirchì fa cast^ari a
lu patrunì àppiru a mòriri tutti li so' sirvitara ? , —
* Ah! Petru! giusti giudizii di Diu!... ,
Camiiiannu camìnannu, vidinu 'na lapèra. ' Dici lu
Maistru: — " Petru, pigghia ssa lapèra; cu' sa, nni pu-
temu livarì quarchi pocu dì meli ! ,
San Petru si pigghia sta lapèra e si la metti 'mmrozzai
e si l'appoja a lu pettu. Caminannu caminannu, sì senti
muzzicari dì 'na lapa: — ' Ah! uff! , e si misi a strinar
la lapèra a lu pettu ; strìncì, strinci, ammazza tutti li
lapi. Juncennu a certu puntu , lu Maistru si ferma e
s'assetta. — " Petra, posa sta lapèra, videmu chi meli
cc'è. , Comu San Petra scinni la lapèra, tutti li lapi ca-
' raperà, ulveare.
a. PiTRÈ. — Piabe e Leggende. 11
162
FIABE E LEGGENDE
dinu morti.—* Petru, chi facisti ? ,— " Maistru, mi sintia
muzzicari, e 'un putennu arreggiri cchiù, strincivi e ac-
cussi mòrsiru tutti li lapi. Chi cci pozzu fari... ! « — * Ah!
dici lu Maistru, lu vidi ca ti vinniru *nta la facci li to'
stissi paroli ? Accussi fu lu palazzu. Chi cci trasianu lì
servi? ma pi unu àppiru a pàtiri tutti, ph-chì chissi su'
li misteri di TEtemu Patri ! »
Palermo
VARIANTI E RISCONTRI.
Cfi*. Salomone-Marino, Aneddoti, n. V: Chianci lu giustu
pi lu piceaturi, e De Nino, Saere Leggende, p. 70: La rieom-
pensa neU'aUro mondo*
Una variante romagnola diiRimini diede il Bagu, Saggio di
Fiabe e NoveUe^jj^ 17, n. V : J buoni ed i malvagi; una bel-
lunese è in Naivi0-Cibele, Per un zènto porta dàno, p. 6 della
Zoologia palare veneta, alla v. Ave.
La punizione di chi si rifiutò ad ospitare G. C. è in Busk,
Fólk'Lore of Rome, p. 173, n. %
* Racccmtata da Domenico Ingrassia.
# •
. i
^%
xxxvn.
Lu Vónnarl.
'Na vota, a tempi ca Gesù Cristu java pi lu munnu,
successi ca cci vlnni di tràsiri 'nt' òn paisi, ed era mortu
di siti. Era jomu di Vènnari. Lu Signurì vitti 'na fim-
ntina chi si pittinava, e ed dici: — " Mi lu vulìti darì un
Tuccuni d'acqua , cà air^giu di siti ? , — " Haju ehi
fari, 'un è ura d'acqua 1 , Votasi boltu 'ntra bottu Gesù
Cristu :
— ' Mmalidìtta chidda trizza
Chi di Vènnari si 'ntrizza ! ,
E sncutò a caulinari. Gaminannu caminannu vitti 'na
fimmina chi 'mpastava la farina pi farii^ pani— 'Bona
donna, mi lu vuliU dari im vuccuni 4|acquaP , —
* Patnmi ! , e cci iju a pi^hiari l'acqua e cci la detti
Gesù Cristu si vota e dici ;
— ' BinitUtta chidda pasta
Chi di Vènnari si "mpasta ! ,
E di ddocu vinni ca cedi fimmini 'un si solinu pitti-
narì dì jomu di Vènnari.
Poternw \
VARIANTI E RISCONTRI.
CEr. De Nmo , Sacre Leggende : lì bambino fra la massa
del pane, p. 33, e /t batnbino fra le treccie e fra U unghie,
p. 3S.
> RoocontaU d» Agatuzza Hwaia.
164
xxxvni.
L'angrunia di l'avara e S. Petru.
Si cunta e si raccunta.
'Nà vota, quannu S. Petru caminava cu lu Signuri,
'na juraata, mentri passavanu vicinu ón paisi, S. Petru
'ntisi sunari un'angunia \. Siccomu S. Petru era curiusi-
teru *, dumannau a }u Signuri, si ehidd". chi cci su-
navanu rangunladuviajiri 'nparaddisu o a lu *nfernu.
Lu Signuri cci rispusi : — " Petru, prima d' iu dàriti la
risposta, fammi un piaciri: va' 'ntra ssu paisi, e comu
arrivi dumanna a cu* 'ncontri chi si dici, e mi lu veni a
rifiriri. Quannu torni, ti dugnu la risposta ». S. Petru,
pri la curiusitatiii<5urriu subbitu 'ntra ddu paisi. Comu
arrivau, cumindifc a dumannari a tutti chiddi ehi 'ncun-
trava chi si diefa. Tutti cci rispunnianu chi avia murutu
un avaru ed usurariu tintu quantu lu nferannu.Gu' cun-
tava l'avarizia chi iddu avia, cu' cuntava li tirannii ch'a-
via fattu a li puvireddi chi si 'mpristavanu d' iddu li di-
nari, cu' cuntava l'usuri chi facia, cu' cuntava ca quan-
nu vidla li puvireddi e li disgraziati nni gudia; 'nsum-
ma tutti lini dicianu mali.
S. Petru toma nni lu Signuri , e lu truvau chi ar-
ridia vidennu ca pri la curiusitati s' avia cuntintatu
fari ddu viaggiu , e pura pricchi sapia chiddu chi S.
« Anguma per agunidj agonia.
* CuràmterUf abitualmente curioso di sapere e vedere checchessìa.
i- <■
l'aNGUNU di L'aTAHU e &. PETHU 165
Petra avìa 'ntisu diri. Ddoppu chi lu fici arripusari, la
Signuri ed dissi : — " Petra, chi si dici 'ntra lu paisi ? ,
S, Petra rispusi : — " Signuri , murìu un avara ed
usurarìu, e tutti li genti nni dicinu mali. Cuntanu cosi
chi fannu arrizzari li carni ^ ,. Lu Signuri allura ri-
spusi : — ' Vidi, Petra , comu su' li cosi ? , — " Prie-
chi ? , dissi S. Petra. — ' St' avara ed tisurariu è a
lu 'nfemu, rispusi lu Signuri, e, pri tu sapillu, lu munnu
lu cunnanna, e l'hai 'ntisu cu li to' aricchi. Fa beni e
scordatUlK , fa mali e phisacci. Diu havi lu pedi di
chiummu e sapì chiddu chi havi a fari. ,
Frizzi '.
« (di questo nsoraio) da &ire accapponar la carne.
* Raccolta dalSig. Salvatore Tortorìci.
166
XXXIX.
L' occhia di la Signari e S. Petra.
Quannu lu Sìgnuri java pi lu munnu/na vota, ddoppa
d' aviri caininatu 'na menza jumata , vitti un casa-
linu. Dici lu Maistru : — * Petra, vidi si hannu quarchi
cosa di manciari ^. 'Na pirsuna chi ce' era nna lu ca-
salina cci detti pani quanta putia manciari iddu sulu.
Iddi, TApostuii, eranu quarchi setti o ottu (cà ancora
tutti 'un s'avianu arricugghiutu). 'Nca S. Petra 'un
cci purtò nenti a lu Maistru, cu diri ca 'un cci avianu
datu nenti. Lu Signuri fici finta ca cci critti K
Gaminannu, iddu java avanti; S. Petra, darreri; vota
lu primu vuccuni. * — ** Petra ! » chiama lu Signuri; S.
Petra jetta 'n terra lu vuccuni: — " Maistra! ccà sugnu; ,
e sicutò a caminari. Ddoppu 'n àtri du' passi, azzicca
'n atra vuccuni: e lu Maistra: — * Petra !... » — ** Mai-
stra !... ri e jetta lu vuccuni. 'N àtri du' passi, lu stissu;
'nsumma ddu pizzuddu di pani cci iju a truppeddu •,
e mancu nni tastò un vuccuni. Quannu cci parsi ad
iddu lu Signuri s* arripusò; e li Niscipuli ficiru lu stissu.
Chiama a S. Petra:—* Petra „. — ** Maistru „.— ** Cer-
cami la testa, cà mi mancia „. S. Petra cci cerca la
^ Fece vista di credergli.
' Volta il primo boccone (dà il primo morso al pane).
' Insomma quel pezzetto di pane gli andò a traverso, (male, perchè
il Maestro lo chiamava , ad ogni boccone di pane che San Pietro
fiiceva).
L'OGCanj DI LU SIONURI E S
167
testa, e ehi cci trova ? cci trova un occhiu darreri lu
cozzo. — "Ah ! Maistru, e ehi cosa è chistal un occhiu
darreri h cozza ? , — " Sì, Petru; e pi chissu io ti vitti
quannr tu ti Umvì darreri di mia, pi manciàriti lu'
pani... E chi U cridivi tu, ca pirchì lu pani era picca,
'un putia bastari , cu li grazii di 1' Etemu Patri , pi
tutu?,
Palermo \
' Raccontata da Oiovanni VArrico, murifìibbra.
168
XL.
S. Petra e l]i vacili d'argenta.
Quannu lu Signori java caminaiinu s' attruvò a jìrì
nna un niguzianti di furmentu. Danni passava lu Si-
gnuri, li genti aflfacciavanu, cà caininava cu TApostulì,
e li genti cci javanu pi dappressu. Stu niguzianti cci
fici tanta accugghienza, e lu vosi a tavula cu li tridici
Apostuli. A la finuta di manciari cci fici avvìdiri tutti
li so' beni: magaseni, pecuri, vacchi, tuttu. 'Nta un ma-
gasenu cci aveva un vacili d' oru ; lu Signuri si vota
cu San Petru e cci dici: — * Piggliia ssu vacili e am-
mùccialu „. Pigghia San Petru lu vacili e si Tammùc-
eia sutta lu firriolu. Gei addumannaru licenza a lu ni-
guzianti e si nni jeru.
Caminu facennu si truvaru a passari di 'li àutru ni-
guzianti: pigghiò lu Signuri e cci 'ncugnò iddu stissu
senza fàrìsi chiamari, e trasiu 'nta lu magasenu, ch'era
chinu di furmentu. Comu trasiu, lu Signuri sì misi a
taliari; poi si vota cu San Petru : — " Posa ssu vacili
ddocu „. San Petru nesci lu vacili e lu posa supra lu
furmentu. Stu niguzianti nun cci fici cera ò Signuri.
Lu Signuri nisciu e si nni iju cu tutti 1* Apostuli. San
Petru era curiusu; a lu nèsciri cci dici a lu Signuri: —
** Comu, Maistru! ddà,lca nni fici tanta cera, cci livà-
stivu lu vacili; e oca, ca mancu nni taliò 'nta la facci ,
cci lu lassàstivu ? » — " Ah, Petru, tu vó' sapiri assai. Si
io cci lassava lu vacili nni chiddu, iddu 'un putia jiri
S. PETRU E LU VAGILI D'ARGENTU 169
'n paraddisu , {cu' sa qual' era lu fini di Ddiu !...)■ —
" 'Xcannì cliiddu pirchi cei iu lassastivu ? , — ' Pirchì
«hiddu pi jìri ò 'afemu cci mancava ssu vacili ,.
Bagheria '.
VARIANTI E RiSCONTRL
Con qualche dilTerenza di particolari ne diede una variante
romana la Bdsk, Fólk-Lore of Bome, p, 177, n. 5.
La coDclusione richiama a quella di Qesk e San Pietro,
a. XXVU deUe mie NoveUe toscane.
< Raccontata da Aagela Puleo.
170
XLI.
S. Petru e lu nuciuni \
'Na vota San Petnj caminava p' 'i campagni. Tuttu
'nsèmula si firmau e si misi a guardari 'nd' òn ortu
*napocu di macchi di muluna, cucuzzi e tanti àutri pedi
di ssi macchi vasci. * Vidia ddi bediii muluna , cucuzzi
e àutri frutti grossi ca facevunu vèniri lu pitittu. Ma 'n-
tantu S. Petru nun si putia pirsuadiri comu V albiri
jàuti jàuti avianu a' viri frutti nielli, e l'albiri vasci Pa-
vianu a* viri grossi grossi. Un jornu vitti ó Signuri, e
eci dissi: — ** Maistru, ajeri 'un mi putia pirsuadiri di 'na
cosa; a mia mi pari ca Vui n' ò munnu tutti cosi àta
fattu giusti, ma chista 'un mi pari giusta. Pirchì V al-
biri vasci Vasci han' a'viri lu fruttu grossu e chiddi jàuti
jàuti rhan* a' viri nichi? ... A tinuri di l'albiri jàuti cci
hanu a jiri chiddi grossi, e na chiddi vasci cci hanu a
jiri 1 frutti nichi. „ Lu Maistru rispusi: — * A mia mi pari
ca avissi fattu tutti cosi giusti; ' ma tu vói accussì e iu
fàzzu accussì „. Di fatti lu Signuri cumannau, e si tru-
varu tutti cosi comu avia dittu S. Petru.
'Na jurnata S. Petru caminannu a ssi campagni cam-
pagni, nun avia truvatu un albiru pi ripusarisi all'ùm-
mira, pirchì era stancu di lu caminu; quantu vitti di
1 San Pietro e la grossa noce.
« E si misi a guardari^ e si mise a guardare in un orto molte
macchie di poponi, di zucche ed altre piante di codeste macchie basse.
'^ A me pare di aver fatto giuste tutte le cose.
S. PETRO E LD NrCIUMl 171
luntanu 'napocu d' albiri di nuei e si diriggiu pi ddà.
Jantu ca fu, vitti l'albiri belli cu 'i nuci grossi; si curcau
ddassutta all'ùmmìra, e sì misi a dunniri. Dda jumata
ce' era tanticcliiedda di ventu, e S. Petru s'arricriava a
durmiri cu ddu friscu. Tuttu 'nsèmula, mentri ca stava
durmsnnu , cu 'na botta di ventu cadì un nuciunì di
chiddi supra la testa dì S. Petru, e eci scoppp supra la
firuntl S. Petru a sta botta s' arrisbigghiau e sì 'ntisì
cunsumari la testa. " E chi fu! ,. Si misi a pinsarì e
dissi:—" 'Nca raggiuni avia lu Maistru !,„ L'albiri jàutì
certu nun ponu tènirì sti sortì di frutti grossi , perciò
cu 'na butticedda di ventu càdunu , e cunsuraunu un
povuru cristianu; si 'nveci ce' erunu li frutti ca fici iu
Maistru , prima di tuttu ca nun cadia , e lu stìssu ca
cadfa nun mi facfa nenti „.
Basta: S. Petra si 'nfasciau la testa e si ni iju. Comu
'neuntrau ò Maistra , S. Petra cci cuntau lu fattu ca
cci 'ncappau. Lu Signuri si misi a ridiri, e poi cci dissi:
— ■ Cara Petra , iu n'3 munnu fici tutti cosi giusti e
prapurziunati; tu vulisti accussi e accussì fici; vidi chi
ti ni vinia !... , S. Petra si pirsuadtu , e comu lì cani
vastuniati si ni iju dicennu:— " Ora 'un cci dieu cchiU
nenti ò Maistru, pirchì annunca * mi pò succediri qual-
chi mali comu chistu ,.
fVanccfotUe '.
< Altrimenti.
■ Raocootata da Enrico Uìneo.
17:^ FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
Lu pignu e lu znulu.-iJ.
'Na vota S. Petra cci damaiinò a lu Signuri: — *" Pirchì 1d
pi nu accussl gàutu ha vi li fruiti accusai nichi, e lu muluni
accussì nicu liavi li frutti grossi ? , — * Ora li canciamu „ oci
dissi lu Signuri; e accussì fìci: lu pignu lu misi 'uta lu muluni,
e lu muluiii *nta lu pignu.
'N 'àutra vota pri cumminazioni S. Petru durmia sutta un
pedi di muluni; e mentr'era 'nta lu megghiu sonnu, ppulf!
cci cadfu un muluni *n testa , e cci la fìci addivìntarì cchiù
russa di ddu muluni. S. Petru iju arreri nni lu Signuri, ed
cuntò la storia e cci dissi: — * Lassati stari lu munnu compera ,.
Lu Signuri cci rispusi:— '^ Nun mi diri cchiù nenti , pirchì io
fìci tutti cosi giusti j,,
Baudna \
La pedi di pigni e lu pedi d^agghiànoari.
*Na vota un viddanu si curcò sutta un arvulu d' agghiàn-
narL Mentri era ddassutta pinsava: ^ Ora 'un puteva fari lu Si-
gnuri Tarvulu di ragghiànnari pignu, Tarvulu di pignu agghiàn-
nari? Accussl, facennu lu pedi d' agghiànnarì pigna, di chisti
nni vìnissiru assai ,.
Mentri diceva accussì, un* agghiànnara cci cadi *nta un oc-
chiù. Allura iddu si misi a gridari:—* Signuri, Signuri, 'un mi
sintiti! Càspita! si chistu era pignu, povira testa mia!... ,
Palermo •.
* Raccontata da Giovanni Di Marco.
* Raccontata da Agatuzza Messia.
u
San Petru e l'aprocchi '.
Si cunta e si raccunta.
'Na vota San Petru stava jennu 'ntra un paisi, e ca-
minava a passu lentu 'n campala. Arrivatu chi fu vi-
cina 6n limmitu *, s' assittau pr' arripusàrisi. Ddà vi-
cìnu ce' era un viddanu 'ramenzu 'na tinuta di lavuri *.
S. Petru, ca era sempri spiciusu *, cci dissi a ddu vid-
danu : — *' Chi è chissà siminatu ? , Lu viddanu, cri-
dennu chi S. Petra lu vulia trizziari, cci rispusi: — " A*
procchi „. S. Petra allura cci dissi 'ncuitatu : — ' Ti cci
pòzzanu addivintari veni * ! „
Comu lu lavuri cci jeva criseennu , addivintava a-
procchi. Lu viddanu, mischino, chiancia, pinsannu ea lu
siminatu cci addivintava aprocehi. — " Mischina mia !
dicia, e li me' figli comu hannu a campari ?... ,
'Na jumata pri la stessa via passava iu Signuri cu
i'àutri Apostuli. Ctomu lu viddanu li vitti vistati di la
stessa manera di S. Petru, cridia d' èssiricci puru chìddu
chi avia passatu di ddà ; ma quannu vitti ca nun cc'e-
ra, sicutau a chiancirL Lu Signuri sapeva lu fattu pri
la so divina sapienza , e 'ncugnau uni lu viddanu: —
' Apròcchiu, e. m,, eeiOaura ealcitarapa dì Linn.
' L'tmmUu, a. m. limite, confine.
* In mezzo a un campo di seminato.
* Spiciusu, ftdU., faceto, piacevole, bizzarro,
" Che (questo campo) poaaa divenir tale ! (cioè tutto a centaurie).
174 FIABE E LEGGENDE
Pricchì chianci, figliu miu ? Ti successi cosa ? , — ** E
chi m' havi a succedili cchiù di chiddu chi mi successi!
Ah figli mei ! ! ^ — ** Figliu miu, nun ti pigliari colira
dimmi chi fu lu fattu chi ti succidiu, e si si pò ripa-
rari, si ripara „. Lu viddanu s' asciucau li lagrirad , e
cci raccuntau lu fattu: — ^ Era vistutu punì comu a vuàtri
Signuri chiddu chi mi fici addivintari aprocchi iu la-
vuri: e cunsumau la me casa e li me' picciriddi „. A sti
pareli lu Signuri rispusi: — ** Senti, figliu: chissu di 'cui
parri è S. Petru , miu apostulu. Io sugnu lu Maistru;
pirciò ti cunsigliu di cultivari ssa tinuta, cà lu Signuri
nun si scorda li to' picciriddi! In nomu di lu Patri, di
lu Figliu e di lu Spiritu Santu iu binidìciu ss' aprocchi.
Senti, figliu miu, sicutau lu Signuri: tu l'hai a cultivari
comu megliu pòi; e vidi ca si fannu granni ed àuti tantu.
Quannu è ura di mètiri e l'àutri mètinu, tu meti pura
l'aprocchi, 'nfàsciali e pisali 'ntra l'aria *, cà di li pam-
pini nni nesci frummentu ». La parola di Ddiu, ca fa lu
cori tantu e cunsola, lu 'ncuraggiu, e pircu' ^ lu viddanu
misi a cultivari l'aprocchi. Tutti li pirsuni chi passa-
vanu di ddà e vidianu zappari l' aprocchi arridìanu e
si scaccaniavanu di stu fattu *. — * Ch' havi a fari lu zu
Peppi (accussì si chiamava) cu l'aprocchi , l' avemu a
vidiri ! , ed arridìanu.
Di ddu jornu chi passau lu Signuri dd' aprocchi cri-
scevanu a maraviglia, e già eranu a tempu di metiri,
^ Tu meti puru, mieti, anche tu, le centaurie (Vaprocchi), legale a
manipoli e trebbiale neiraia.
• Pircu\ pircui^ percui, perii che, perciò.
> Ridevano e sghignazzavano per questo latto.
SAN PETHU E l'APROGCHI 173
sicchì 'na galantaria ^ Lu vìddanu li mitiu, li 'nfaaciau
e li purtau all' aria. Tutti a stu puntu lu p^liavanu
pri pazzi! e taliavanu vicinu l'aria chi avia a fari. Quan-
nu lìniu di strauliari ', pigliau li muli e misi a pisari.
Tutti lì vìddani di ddà vicinu taliavanu la vista "; ma
ammaluccheru * quannu vìttim di l'aprocchi nèsciri lu
fnunmentu biunnu biunnu comu l'ora.
Mentri pisava, si trova a passari S, Petru, e 'nsèm-
miila cu l'àatri si abbacMau la vista. — * L'hai fattu a
mia, dissi a lu viddanu; ma prì gastima ti jettu chi lu
primu vuccuni di pani di ssu frummentu pozza affucà-
riti ! . ' E S. Petru si nni iju.
Ddoppu *na rancata ' passau lu^ S^uri cu l'Apostuli.
Lu viddanu cci iju a lu 'ncontm : — ' Oh , Maistra 1 bi-
nidittu umù mittiti li pedi e li manu ! , e l'abbrazzau
e lu vasau. " Frummentu mi nni Sci assai; ma chiddu
stissu antura mi jittau 'na gastima ': chi comu mi man-
ciù lu primu vuccuni di lu pani chi s' havi a fari cu ssu
frummentu, mi pozza affucari ,,— " Beni, rispusi lu Si-
gnuri, ca già prividia la cosa. Senti: lu pani chi tu fai
la prima vota mèttilu 'ntra 'na cartedda, e cu tò figlia
■ La centaorìs erano già secche benlaaimo.
■ Strauliari, v. tr., portare i covoni ali'aia.
* Nel (Caletto omnune: a' affustaoaau la vista, A gustaTimo quell&
vista (goÓMoo di quella scena, guardavano).
* SlwIoFdirono.
■ Ha io ti fb un'imprecazione: che tu possa affogarti al primo txx;
eoa di pane che mangerai di codesto frumento !
■ Dopo uQ poco.
< Ma quello atesso (che mi tlace divenire il seminato centaurie) po-
«uzi mi gettò una iaipKtxàaaa tìfostinta).
176 FIABE E LEGGENDE
lu manni a vìnniri *ntra la chiazza. Zoccu havi a sue-
cediri, succedi %. Lu viddanu lu riiigrazkiu, e si licin-
ziaru pri Tafifaruzzi so'. Lu viddanu ristau a' carriàrisi
lu frummentu, e lu Signuri si nni iju pri la so via.
Ddoppu *napocu di jorna , lu viddanu iju a maci«
nari lu frummentu, e la muglieri flci lu primu pani.
Lu zu Peppi r avia privinutu di chiddu chi cci avia
dittu lu Maistru; perciò la muglieri misi lu pani dintra
'na cartidduzza e lu mannau cu la criatura di so fi-
glia a vinniri 'ntra la chiazza. 'Ntra stu mentri pas-
sava lu Signuri cu V Apostuli. S. Petru, comu vitti lu
pani eh* avia dda criatura , la gula cci facia nnicchi
nnicchi *. ~ " Signuri, l'accattu tantìcchia di ssu pani?
Haju un pitittu ca 'un cci pozzu reggiri ,. — * Sì: ri-
spusi lu Signuri, mangia mentri hai fami „. S. Petrii
accattau quatturrana • di pani, e lu tastau. Ddu pani
cci 'mpiccicau 'ntra li cannarozza e s' affucau cu Toc-
chi sbirticchiati tanti *. Lu Signuri cu Tàutri Apostuli
arridevanu dì lu fattu. — " Petru, cci dissi lu Signuri^
chissu, lu pani di lu viddanu è. G::i pensi ? ... chiddu ca
cci gastimasti. Petru ! Petru ! Pri sta vota basta, e pensa
ca cui voli lu mali d' àutru , lu so V havi darreri lu
1 Mettilu^ mettilo (il pane) in un corbello, e con tua fìglia manda
a venderlo in piazza. Quel che ha a succedere (avvenire) succederà:
» Fari la gula nnicchi nnicchi, frase intraducibile, che significa,
branàare ardentemente, aver gola d'una cosa.
* Quatturrana, quattru grana , quattro grani , pari a centesimi
nove di L.
* Ddu pani, quel pane gli si appiccicò alla gola e (S. Pietro) s'af-
fogò, (avendo in quel momento) tanto d* occhi spalancati e le pal-
pebre rovesciate ^sbirticchiatij.
►.
SAN PETRU E L'aPROGGHI 177
cozzu ' ,. Lu pani a S. Petra cci calau , e rispusi : —
■ Signuri, avìji raggiuni; la mancanza la fici, * è veni,
ma vui aviti riparata lattu , pricchi siti lu veni Ddiu
fattu omu ,.
Frizzi '.
VARIANTI E RISCONTRL
n primo motivo di questa leggenda (p. 170) richiama ad un
motivo ornile in una fiaba comimissima (c&. le mie Fiabe)
e in una leggenda riferita dal Marini, Seueia del Criatìano,
cap. XIV, p, 92; del Gnau, Fixiea sotterranea, v. II, lib. V,
cap. 26, p. 272 e dal Mohoitorb, Ddla Stcifia rietreata, v. 1I<
p. 329, elle scrive ; ' A un contadino domandato un mellone
dal profeta Elia in limosina; essendo il euo orto fecondo di
tali fruiti, egli rusticamente rispose che il suo terreno altro,
non produceva che sassi; rispose il profeta Elia : Se san sassi
Man sassi; e d'un subito tutti i melloni si mutarono in sassi ,.
■ Prov. comunìBùnio, che significa: Chi deriderà il male altrui, il
suo è vicino.
* La iPftncHTiffl io la feci.
' Raccolta dal àg. Salvatore Tortorid.
0. PtTBJL — Fiaie a Leggende.
««
178
XLIII.
S. Petru e lu parrina. ^
'Na vota, caminannu lu Signori cu PApostuli, trasiu
*nta un jardinu. Sutta un arvulu ce' era un parrinu
chi cummirciava cu 'na fimmina. Si vota S. Petru: —
** Maistru, Maistru , lu viditi cu' ce' è ddà , sutta dd'
arvulu ? » Lu Signuri cei rispunni:— ** Gamina, e nun
taliari „.
Caminannu caminannu, passàru di 'na chiesa; tra-
seru, e vittiru a ddu stessu parrinu supra l'artaru chi
diceva missa. Pigghia S. Petru e si nni nesci. Lu Si-
gnuri cu Tàutri Apostuli si 'ntisi la missa.
A la nisciuta di la chiesa, S. Petru era davanti la
porta. Dici lu Maistru: — " Pirchì niscisti di la chiesa ? ^
— ** E Vui 'un lu vidìstivu cu' era chi diceva la missa ?
Ddu stessu parrinu di sutta 1' arvulu. , Lu Signuri lu
lassò 'ntra la so 'gnuranza, e nun cei detti risposta.
Caminu facennu, lu Signuri cei fa vèniri 'na gran
siti a S. Petru. — *" Maistru , io staju murennu di la
siti „. — ** E camina, ca agghiriddà cc'è acqua „.
Tanta la siti, ca 'un puteva caminari, S. Petru. Lu
Signuri, cu lu vastuni scattia supra 'na petra, e nesci
un fruciuni d' acqua '; dici : — " Vivi, Petru „. E S.
Petru vippi. — " Gomu ti pari ? „ — " Bella frisca, ca
m' haju 'ntisu arricriari ,.— * Vivi arreri ! , E S. Petru
« S. Pietro e il prete.
• E nesci^ e vien ftiori un grosso sbruffo d'acqua.
■S. PETRU E LU PARRINU 179
vippì arreri. — " Comu ti pari ? , — ' Bella ,. — " Vivi
arreri ,. E S. Petru vippi la terza vota. — " Comu t'ha
parsu ? ,—' Bona, Maistra ,. — ' Ora tale duimi nasci
ss' acqua ' ,. Va pi taliari, S. Petru, e vidi ca dda bel-
l'acqua niscia di 'na testa di cani, ca li verrai facevanu
accussì '. — - " Maistru, Maistru, di 'na testa di cani fi-
tusa nesci st' acqua ? , — "Ma 1' acqua com* è ? , —
" Bella ! „ dici S. Petra. — " Ora vidi : accussi era la
missa: tu eh' avivi a guardari si lu parrinu era bonu
o tintu ? a tia chi ti nni 'mpurtava ? Si chidda era
tinta, la missa era 'na cosa santa ,.
Bagheria '.
' Om guarda donde vien ftiori codest'acqna.
• Dove i vermi facevano (formicolavano) cos'i, — La contatrice nel dir
questo & un movimento delle dita delle mani a dorso in giù per eapri-
mere quello de' numerosi vermi del teschio putrefitto onde sgoi^sva
l'acqua.
' Raccontata da Angela Puleo.
180
XLIV.
Lu cumpari di S. Oiuvanni e S. Petra.
*Na vota ce' era un patruni ch'aveva un famigghiu.
A stu famigghiu — ca era maritatu — cci nisciu gra-
vita la mugghieri. Parturiu, e lu figghiu di lu patruni
(ca stu patruni avia un figghiu) pi prèu cci vosi vat-
tiari. Ddoppu vattiatu, quantu voti acchianava e scin-
nia, stu parrinu si prijava di lu picciriddu. Un jornu
'nta di ràutri,mentri stu picciriddu addattavaju parrinu
si lu vasau. La virità la sapi Ddiu...; cci parsi ad idda,
a la cummari, ca lu cumpari cci vasau la minna, e si
misi a mmurmuriari — : " E taliati : ca havi V ardiri di
vaslari la minna a la cummari !... Ma S. Giuvanni mi nni
paga! „
Comu fu , comu iju : stu picciutteddu , figghiu di lu
patruni, si pigghiò di scrupulu e si vosi jiri a cunfis-
sari. Cerca di ccà, cerca di ddà, nni quali cunfissuri
java java, 'un putia aviri assuluzioni , pirchì cci java
S. Giuvanni a Taricchia di lu cunfissuri, e cci dicia: —
" Nun r assòrviri ! , Lu picciottu, affrittu, dici : — "A
Roma he d'essiri. ,
Si misi stu purci *n testa di vuliri Tassuluzioni di li
so' piccati, e si partiu pi jiri a Roma. Caminu facennu,
vitti un jardineddu ; si cridia ca ce' era lu patruni , e
trasi; trasì e trova 'na casuzza e' un litticeddu,'na zappa,
un vanehiteddu. Si firria, e 'un vidennu a nuddu, dici;
— * Ora m'arrestu ccà ,. E si resta ddà, e cu tantu preu
si misi a curtivari ddu jardineddu.
* -,
LU CVHPARI DI S. GIUVANNl E S. PETBU 181
A ssi tempi lu Si^nuri java caminannu; sapennu lu
Signurì pirchì stu picciottu era nna ddu jardineddu, e
lu viaggili chi 9'avia misu 'n testa di fari, subbila ftci
spuntari 'na chiesa , e sunau la missa 'nsèraumla cu
S. Petra e S. Giuyanni. Lu picciutteddu dici:— ' Oh '■
ccà 'na chiesa ce' è! Ora mi vaju a sentu la missa ,.
Si parti, e va nna sta chiesa. A iu tràsiri, lu Signori
cci dici a S. Giuvannì: — * lo-dicu la missa, tu mi la
serri; e tu (cci dici a S. Petra) cunfessalu si stu pic-
ciottu si voH cunflssari ,.
'Nta menti lu Sìgnuri dicia la missa, S, Giuvanni cci
dici a S. Petra:—' 'Un l'assorviri ! , Lu Signuri sinlia
tutti cosi, e cci dici a S. Petra:—" Bada di pirdunalli
quanti voli vennu „ (e cci sintia diri li piccaturi chi si
jàvanu a cunfissari). S. Petra , strittu e malo paratu,
a cu' avia a sentiri, a lu Signuri o a S. Giuvanni ? 'Un
appi ehi fari, comu chìddu (lu picciottu) 'ncugnò pi
cunfissàrisi, S. Petru cci appi a dari rassulii2ioni,
Cunfissatu chi fu stu picciottu, lu Signuri cci avia a
fari la cumunioni; comu di fatti cci la flci-
Ddoppu chi stu picciottu sì nni iju, lu Signuri cci
dissi a S. Petra:—' Ha' a jiri 'nta ssu jardineddu ddocu,
e cci ha' a jiri a dumannari du' finocchi a lu jardi-
nara ,. Lu picciottu 'nta lu jardineddu *un ce' era: e
S. Petra si li cugghiu iddu: unu si lu manciò, e unu cci
lu purtò 3 Signuri. Lu Signuri poi lu mannò pi lu vinu.
— " Petru, tàstalu lu vinu, 'un ti fari 'niìnucchiari , (lu
Signuri, tuttu sapia). S. Petra lu tastau lu vinu, ma
siecomu s' avia manciatu lu finocchiu , cci parsi bona
lu vinu. Cri porta lu vinu a lu S^nuri ed era s^[ru. —
'•'•
182 FIABE E LEGGENDE
* Ali, dici, Petru, Petru, ti 'nfinuccliiasli !... „ — " Ma io
eh' he manciata finocchi ? „ — ** Comu! 'un ha' manciatu
finocchi... Dimmi: cu' ti lu detti stu finocchiu? lupa-
truni ? „ — ** Mai ,. — ** Ti i' accattasti ? „— ** Mai „.—
" Ti lu cugghisti tu ? „ — * Sissignura „, -** 'Nca vidi
'nta un mumentu quantu mancanzì ha' fattu I^Ti dissi
di jiri a 'ddumannari du' finocchi, e tu ti li cugghisti tu.
Ti dissi di nun ti lassali 'nfinucchiari, e tu ti lassasti
'nfinucchiari... E tu, pirchì stu picciottu fici 'na mancan-
za, 'un lu vulìvi assòrviri... E nun t' avia dittu io di pir-
dunallu ?.... 'Nsignatillu: ca quantu voti veni lu picca-
turi pintutu, s' havi a pirdunari „.
Ddoppu si vutò cu S. Giuvanni e cci dissi: — ** E tu,
pirchì si' accussi minnittusu, ogn'annu, pi la tò festa,
ha' a dormiri tri jorna cuntinui senza arruspigghiàriti
nenti ». E pi chissu si dici ca
Si San Giuvanni tri jorna 'un durmissi,
Oh quantu e quantu cosi nni facissi! *
B(xgheria *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Perchè si comprenda il valore di questa leggenda e la offesa
grandissima a S. Giovanni Battista protettore del comparati-
co, veggasi nei miei Usi e Costumi, v. II, p. 255 : H Campa-
raUcOy dove altre leggende possono leggersi al proposito.
Una versione abruzzese ne ha il De Nino: Sacre Leggende,
p. 83: Cristo perdona e San Giovanni no.
La parte della presente leggenda relativa al v. ^nfinucchiari
è una leggenda per sé. Vedi le mie Fiabe, v. III, n. CXXIL 8.
Petru e lu tavimaru.
^ Oh quante cose (punizioni) ci irebbe !
* Raooontata da Angela Puleo.
S. Pietri! e so cumpari.
Quaunu lu Maistru java pi lu munnu, l'Apostoli cci
javanu ppi d'appressu. S. Pietra era lu cchiù maliziusu.
'N jornu, caminannu, pinsau jirisìni nn' òn cumpari so
pi manciari, chi era putiaru. So cumpari non ce' era
davanti 'a putia, ma ddà avanti ce' era 'na gran pignata
ò solitu, unni lu putiaru cci squadava e vugghia tutta 'a
robba cotta. S. Pietru livau 'a cummo^hiu ammuc-
ciuni, ddà jìntra vitti 'n mussu beddu cuottu; s' 'u pig-
ghiau, s' 'u 'mraucciau ; ddoppu chiamau : — " Cum-
pari ! cumpari ! , So cumpari si 'ffacciau : — "0 cum-
pari Pietru, corau siti ? „ — " 'Un cc'è di mali, cumpa-
ri. Vinni, si mi dati quarchi cosi ,. — " Cumparuzzu,
nentì haju , s' annunca vi sirvia „. — " Ma viditi si mi
putiti dari quarchi cosa di cottu ,. — " Cumpari, nenli
cc'è, s' 'annunca vi la dava,. S. Pietru vidiennu ac-
cussì, — ' 'Ca mi ni vaju, cumpari, s'annunca; ma mi
ni vaju ccu lu mussu ,. — ' Cumpari, chi vi pozzu fari?
ca non appi chi vi dari t , — " Mi ni vaju, ma mi ni
vaju ccu lu musau ,'. ' E 'nfatti sini iju sintennu buffu-
niari a lu cumpari putiaru; e 1' avia buffuniatu pircM
ca cci avia pigghiatu lu mussu di la pignata. Quannu
S. Pietru si ni iju , lu pitiaru circau lu mussu 'nt' a
pignata, ma non truvau nenti, e vitti ca S. Pietru cci
sintt'a parrari di lu mussu di jintra la pignata.
Aàreaie.
< ì^assu, muso, qui è preao tanto nel a^nificaUi naturala, quanto
nel traslato, che vale broncio.
184 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI
Di qui prò quo come questo se ne ha molti nelle novelle
di fattura letteraria. Uno affatto simile al nostro è quello che
chiude la novellina La vostra hedda Grazia! neWà mia raccolta
di Fiabe sic. v. IH, p. 312, nella quale un tale, che ha preso la
moglie d'un altro nominata Grazia^ si congeda da lui dicen-
dogli:— * Io mi fini vaju cu la vostra bella Grazia ,, quasi
se ne vada in buona grazia, in buona pace con Jui.
La sora dì S. Petra.
Un jornu la som di San Pelru iju nni so frati, e cci
dissi ca si %'ulia maritari. San Petru cci risposi: — ' A-
spetta ca prima cci lu dica a lu Signuri, e viju ehi
dici ,. Iju nni lu Signuri e cci dissi : — ' Signuri, niè
som si voii mariiari.... , Risposta di in Signuri: — " Ma-
ritàmula ,. E la som di S. Petru si maritau.
Ddoppu tempu lu marita cci muriu, e nun vulennu
stari sula , turno nni so frati e cci dissi ea si vuleva
maritari 'na secunna vota. San Petru cci risposi : —
' Prima vaju nni lu Signuri; sintemu chiddu chi dici,
e po' ti mariti arreri ,. Si nni iju tiratu tiratu nni lu
S^nuri, e cci dissi : — "Me soru si voli maritari arreri.
Chi diciti •■ „ Rispunni lu Signuri : — " E tu maritala ,.
Accussì San Petm la maritò 'na secunna vota.
Ma ddoppu 'napocu di tempu cci muri'u mmidèmmi
stu secunnu maritu , e idda turno, a lu solìtu, nni so
frati cu diri ca sì vulia maritari 'n' atra vota. San Petm
'un ni putennu tchiù cci rispusì ; — " Maritati tu '.
Roccapalvmha *.
VARIANTI E RISCONTRI
Una variante di BorgeUo 6 in Salomopje-Marino, Aneddoti:^
n. VI; La soru di San Petru.
' la morale è che bisogna eposare una volta sola.
* Raccontata da Antonino Di Cbìare.
186
XLvn.
Lu mastru supra tutti li mastri.
'Na vota lu Signuri java caminannu pi stu munnu
munnu; e ce' era un mastru firraru, chi era cchiù ric-
culiddu di r àtri mastri , e vulia essiri chiamatu Ma-
stru supra tutti li mastri e re di li mastri. Lu Signuri
la superbia 'un l'ha pututu vìdiri mai, tantu ca la misi
'nta U setti piccati murtali. Chi fa ? Pigghia a S. Giu-
seppi, si Tafiferra pi la manu, e va nni stu mastru,
e lu metti a chiamari : — '^ Mastru , su' mastru ! „ ^
Rispunninu li vicini : — " Vih ! accussì lu chiama vos-
sia ?... L' havi a cliiamari : Mastru supra tutti li ma-
stri e re di li mastri^ masinnò iddu cuntu 'un cci nni
duna „. Pigghia lu Signuri, e lu misi a chiamari forti :
— * Su' Mastru supra tutti U mastri e re di li ma-
stri ! 9
Accussì stu mastru firraru cci affaccia e cci arri-
spimni : — * Cosa vuliti ? * „ — * Si mi fa lu favuri: ca
haju a me patri vicchiareddu , quantu lu fazzu addi-
vintari picciutteddu * „ ('un cci potti diri lu firraru: " Co-
mu lu faciti addivintari picciutteddu ? „ masinnò lu Si-
1 Su* mastru^ signor Maestro.
' Cosa vuliti f meno comune di chi vuliti f ma più proprio in bocca
al maestro che volea andare per la maggiore.
* Si mi fa lu favuri. Vorrebbe ella (signor Maestro ecc.) farmi il
favore (di permetteimi di lavorare un poco nella sua bottega tanto)
che io fàccia diventare giovinotto mio padre, che è vecchierello?
LC BUSTBD SlIPRA TDTTI LI MASTRI 187
gnuri cci putia rispunniri : ' 'Unca allura chi mastru
siti?,), 'linea cci rispusi subbitu subbila: — 'Gnursì, tra-
siti ,. Lu Signurì ha trasutu, ha pigghiatu a S. Giuseppi
e 1' ha raisu 'nta ia forgia ; e si misi a ciusciari cu la
màotacia sina ca S, Giuseppi addivintò di culuri di focu.
Quannu addivintò luci ', pìgghia li UnE^ghi, e lu misi
supra la 'itcùnia: pigghia lu marteddu e misi a mar-
tiddiari a S. Giuseppi comu fannu li flrrara cu lu ferra
'nfucatu. Ddoppu 'napocu di martiddati, lu S. Giu-
seppi addivintò un beddu piccìottu sciacqualu ', ca si
putia taliari. Lu re di li mastri guardava e guardava:
quannu lu Signuri finiu di fari novu a S. Giuseppi si
licinziau : — " Mastru supra tutti li mastri e re di li ma-
stri, io finivi, e lu ringraziu „. "
Ck)mu si nni iju, lu mastru dici: — " Comu! io ca su-
gnu lu mastru supra tutti li mastri e lu re di li ma-
stri, 'un pozzu fari chistu cu me patri ?.... Vegna ccà,
ca fazzu addivintari picciottu a me patri. Vinissi ccà,
patri, ca lu fazzu addivintari picciottul ,. * Pigghia a so
patri e lu misi a forgia ; poi afferra la tinagghia e lu
posa supra la 'ncùnia. Vulìstivu vidiri a ddu povira
vecchiu ! addivintau un pezzu di carbuni, e poi cadiu
pezza pezza sminuzzatu *. Lu mastru supra tutti li
mastri si misi 'n cuufùsioni : — " E comu fazzu ora!... ,
' Qu&ndo (S. Oiuseppe in mezzo al fiioco) diventò Aioco.
' Sciacquatti, proepei'OBO, rìgoglioao.
> Maestro ecc. io bo finito fflnivi^^finiO e la ringrazio.
> Vinissi, venga qui, padre (mio), che la fo divmtare giovane (la
ringiOvanÌBco io).
' E poi cadde a pem a pezzi imintBoato.
188 FIABE E LEGGENDE
Curri darreri a lu Signuri e cci dici : — ** Maistru, Mai-
stru !... ^ me patri mariu; pi carità vinìtilu a sarvari...
Vuì siti lu Maistru supra tutti li mastri...; io 'un sugnu
nenti ! » Quannu a lu Signuri cci parsi, si vutò e cci
dissi : — ** Chi vuliti ? „ E lu mastru firraru cci cuntò
la cosa. Lu Signuri nn'appi piata, e cci dissi : — ** Ja*
muninni: videmu chi facisti „. Va a la casa di lu fir-
raru e trova a so patri un panicottu *. — ** Ora va, scupa,
cci dici a lu firraru, e cògghilu tuttu, e mettilu a la
forgia ». • Lu firraru scupa e cogghi tutti ddi pizzudda
di carni. Appena lu misi *nta la forgia, lu Signuri cci
fici la binidizioni, e corau lu firraru java ciusciannu
cu la màntacia , li pizzudda si javanu juncennu e si
'mpiccicavanu *. Quannu 'ncuddau tuttu, lu Signuri lu
pigghiò cu li tinagghi e lu misi 'n capu la 'ncùnia, ^ e lu
fici addivintari arreri com* era prima, no cchiù pie-
ciottu. * Gei fici arreri la binidizioni, e lu fici arrivìsciri.
— ** Ora va , dici ca si' mastru supra tutti li mastri
e re di li mastri !... „ — *' Nenti , Maistru , ca io nenti
^ Maistru, Maestro. — Notisi la differenza che il popolo sempre (a,
tra MastìTu e Maistru» Gesù Cristo che viaggia pel mondo non è
mai chiamato Mastru , ma più pulitamente ed antonomasticamente
Maistru,
• B trova suo padre divenuto un pancotto (una poltiglia).
* Ora va. Su via, dice (G. C.) al fabbro-ferraio , spazza e racco-
glilo tutto e mettilo alla ludna (cioè: raccogli tuttr i pezzi di car-
bone in che si ridusse tuo padr# e mettili al fuoco, perchè io possa
ri&re tuo padre).
* I pezzetti s'andavano riunendo e s'attaccavano.
^ Sulla incudine.
• Ma non già come il fabbro^ferraio lo volea, giovane.
LU HASTRU SUPHA TUTTI LI MASTRI IfW
sugnu g. — ' 'Unca lassa la supsrbia, cà la prima ca-
Terna di lu 'nfernu è la superbia ,.
Baijheria '.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedi la novella seguente e la noia comparativa.
< Raccontata da Angela, Puloo.
190
XLVIII.
Mastru Franciscu e l'ancilu flntu scarpani.
'Na vota si riccunta a vuàtri Signuri ca ce' era un
scarparu chiamata mastru Franciscu. Ghistu aveva tanti
figghi, e nun guadagnannu nenti, 'na jurnata saluta a
so mugghieri e a li so' figghi e si nni va a Ddiu e a la
vintura. Camina, camina: abbanniava e nun lu chia-
mava nuddu. Passau lu primu jornu, scurau lu secunnu,
e lu poviru mastru Franciscu senza manciari. Ddoppu
du' joma di caminu scontra a 'n àutru scarparu (chistu
era un ancilu fintu scarparu). AUura a lu poviru ma-
stru Franciscu cci vinni lu cori, e cci dissi ca si vuleva
cumminari cu iddu, facevanu suciitati,e tuttu chiddu chi
guadagnavanu si lu spartevanu mità 1' unu. L' ancilu
fintu scarparu cci dissi di sì, e tuttidui si misiru a ca-
minari, chiamànnusi V unu cu V àutru ** cumpari „.
Passannu p' un paiseddu , lu mastru Franciscu si
vitti abbilutu: cu' lu chiamava di ccà, cu' lu chiamava
di ddà, e cci misiru pi davanti, p' avilli cunzati, un mun-
zeddu di scarpi. Lu poviru mastru Franciscu si cun-
funniu e cci dissi a lu cumpari : — " Coma facemu ?
mancu pi du' jorna nni putemu allèstìri. „ — " Nun vi
scantati, cci dissi allura so cumpari, pigghiativìnni vui
du' para, e io mi pigghiu» tutti V àutri, mi mettu lun-
tanu di vui quantu armenu nun parramu , e nn' alli-
stemu cchiù prestu .„ L'ancilu si pigghia tutti lì scarpi,
cci nni lassa dui para a so cumpari, si metti luntanu,
MASTRI! FHANCISCU E L'aNCILH PINTU SCARPARU 191
e 'nta un vidiri e svidirì cci cunzau ddi scarpi , raa
tanti puliti e cusuU forti ca nuddu cci potti mettiri
peccu. 'Nt'òn mumentu si ficiru 'na gran summa di di-
nari. Lu mastra Francisco, vidennQ ca so curapari cci
stetti accussi picca pi fari lutti ddi scarpi , cci dice-
va:— ' 0 cumpari, cu' vi cci mannau.... Ddiu ?! Nuàtri
'un n'avemua spàrtiri cchiii: ma avema a stari sempri
'nsèmmula ,: murlu cchiù vidennu ca li picciuli so cum-
pari cci li detti tutti a ìddu. '
Caminannu e travagghiannu di sta sorti di manera,
lu mastra Franciscu aveva fattu 'na gran summa di
dinari; allm-a cci dissi a so cumpari ca nun vulia fari
cchiii dd'arti, e si vulia ritirari a la so casa; ma l'an-
cilu s'appuniu, e sicutara a fari li mastri. Caminannu
caminannu, juncera 'n Pariugallu; appena triisera 'nta
la cita, «ttina tanti genti 'mpinti davanti un pezzu di
carta, unni ce' era dittu ca aveva mortu la fi^gliia di lu
Re, e a cui la faceva arrivisciri, lu Re cci dava o dinari
o la mità di la so curana; ma cui sì prisintava e nun
la faceva arrivisciri , ddoppu tri joma avia dicapitata
la testa:
L' ancilu aìlura cci dissi a mastra Franciscu : —
■ Cumpari, cci vulemu jiri nna stu Re ? , Mastru Fran-
ciscu si misi a ridiri, ma l'ancilu cci lu diceva vera, e
tantu fici e tantu dissi ca fìci pirsuàdiri a so cumpari
di jlricci. Si visiera lulUdui di medici e cuminzara a pas-
siari davanti lu palazzu di lu Re. Li sirvilura di lu Re
< Molto più fmaÌBtette sul desiderio d'aver l'angelo sempre con lui)
quando vide che il compare i quattrini (del guadagno) glieli cedette
tatti a lui.
192 FUBE E LEGGENDE
vidennu sti dui medici chi passiavanu, iu dissiru a lu
Re, e iu Re li fici chiamari. Gomu traseru cci avvirtiu
ca cci facia livari la testa si a li tri jorna 'un facevanu
arri^sciri a so figghia. L' ancilu cci dissi di priparari
'na quadara d'ogghiu pi quantu cci capia la Rigginedda
morta. Poi cu so cumpari si pigghia la quadara , si
metti dintra 'na càramara, metti focu sutta dda qua-
dara e eia dici a lu mastru Franciscu di pigghiari la
morta pi la testa e iddu pi li pedi pi mittilla dintra la
quadara. Ddoppu 'nfilata ddà dintra misiru a 'rrimi-
nari. Quannu la carni si staccau di Tossa e avia addi-
yintatu scuma, scinneru dda quadara e sdivacaru Tog-
ghiu 'n terra. Gomu sdivacaru tutti sti cosi, V ossa e
Pogghiu si nni jeru a 'na parti, e la scuma arristò 'nta
'n'àutra.
Lu mastru Franciscu era spavintatu d' aviri vistu
stu magisteriu, e dissi a so cumpari : — " Si nun v*arri-
nesci, primu vi jettu a vui di sta finestra, poi mi jettu
io, pirchì accussì moru cuntenti. , L'ancilu faceva si-
lenziu e nun cci diceva nenti , ma cu dda scuma ac-
cuminzau a fari li gammi, li pedi, li vrazza, lu bustu,
la testa, e tutti cosi. Poi cci dissi a so cumpari mastru
Franciscu: — * Viditi e stati attentu, cà ora è Tura di ri-
vìsciri ,. Lu mastru Franciscu stava attentu, ma poi
comu fa un muvimentu, Tancilu cci fici la santa bini-
dizioni senza ca lu so cumpari si nn' addunassi , e la
figghia di lu Re arrivisciu.
Vulìstivu vìdiri ailura a mastru Franciscu ! Gomu
va pi nèsciri cu so cumpari e cci cunsign^a la figghia
a lu Re, lu primu a parrari fu iddu. Lu Re cci vuleva
r*i
HASTRtT FRANCISCO E L'ANGILB FINTO SCABPARU 193
dari la mità di la so curuna, ma chiddi cci" dìssiru: —
" Megghìu dinari ,. Lu Re allara cci detti 'na gran
summa di dinari, e li dui scarpara fìnti medici si nn!
jeru. L'anciiu cci li detti a mastru Francisco, e cci dissi:
— " Cumpari, io tì saluto; mi nni vaju ,. Mastra Fran-
ciscu d'atlura cci paria forti a lassEdlu, ma poi si divisi.
'Na jurnata, 'nla l'antri, muriu la Ri^inedda di lu
Re di Spagna. Lu Re sapennu ca cc'era lu medìcu chi
facia arriviscirì li morti, lu manna a chiama. Lu Fran-
cìscu, tisu tisu si nni va a Spì^a, fa priparari la qua-
dara d'o^hin, si cbii^ 'nta 'ha càmmara sulu, e sqnag-
ghia la carni; poi sdivaca l'og^hiu 'n terra, pig^hia la
scuma, fa la pirsuna di la figgMa di lu Re e ddoppu
ca la flniu, cci dissi: — ' Sùsitì ! , Ma chi sùsiri e sìisirtl
Cci mancava la cosa cchiù grossa, ca era la binidizioni
di l'anciiu.
Passali li tri joma vannu a tuppulìanu nni mastru
Francisco (ma già era riccu e si chiamava Don Franci-
scu). Iddu cci grapio e lo Re vìdennu ca ancora nun
l'avia fattu rivisciri, fici priparari la cuUittina pi dica-
pitàricci la testa. Poviru Don Franciscu iju 'n cappella.
Quanno fo ora, l'ancilo finto medico s'addinòcchìa da-
vanti lu Re e cci dumanna di vulìricci cincedirt 'na
grazia: di dari 'n'àotra j'omata dì tempu a lo connan-
nato. Ln Re accunsintio, e li dui scarpara, fìnti arreri
medici, trasero "nta la càmmara di la morta. L'ancilo,
non avenno chi gcosa pigghiàricci, cci dissi ca la pupa
avìa lo naso tortu ; e cci 1' hannu aggrizzatu. Mentri
Franciscu si vota 1' occhi, 1' ancilu cci detti la binidì-
ùoni , e la Rigginedda arrìviscfu. Lu Re allura tutto
Q. PlTRÈ — Fiabe e Leggende 13
194 FIABE E LEGGENDE
cuntenti cci fici milli scusi, e cci detti *na gran summa
di dinari.
Li dui medici si nni jeru e si misiru a caminari.
Junti nna *na chianura, Tancilu, eh' avia fattu finta di
essiri scarparu, cci dissi: — * Franciscu... vidi ca io sugnu
un ancilu mannatu di Ddiu , e nun t' arrisicari cchiù
di mittìriti a fari rivisciri a nuddu, pirchì si la prima
vota ti scansasti la morti, la secunna vota mori, e tò
cumpari nun ce' è cchiù „. Dicennu sti paroli, spiriu.
Cunsiddirati lu poviru Franciscu, ca avia addivin-
tatu ricchissimu! Si cci addinucchiau davanti li pedi, ma
Tancilu 'un cc'era cchiù, e Don Franciscu si nni iju a
la so casa.
*
Iddu arristau filici e cuntenti
E nuàtri sempri ccà chi nni stricamu li denti.
Palermo ^
VARIANTI E RISCONTRI.
S. Pietra e lu soarparu.
Cc'era 'na vota un scarparu, ch'avia un figghiu malu ubbi-
dienti. Truvànnusi pi casu lu Signuri cu S. Pietru a passari
di 'na strara ', lu figghiu d' 'u scarparu cci dissi: — ** Oh Si-
gnuri ! cc'è ma patri malatu, fagìtimi la grazia di fàriru stari
bonu I • » — * Talfa eh' ha' a fari , cci dissi lu Signuri: ardi
1 Raccontata da un sumìnaccaru (trasportatore di sommacco) e
raccolta da mio cognato Giuseppe-Filippo Vitrano.
• Strara per strata, strada.
» FagìHmi.f&torm la grazia di farlo (fàrh'u^fàrilu=sfarlu=:fallu)
nguarire.
MASTRn FRANCISCU E L'aNCILU FINTC BCARPARH 195
'na carcàra e cci menti là diutra a tò patri ,; e lu fi^hiu ac-
eussl fìgi < . Ma avennu vistu ca so patri si stava brusgiannu ',
si vutò e' 'u SigDuri pi fòricci vldiri ctullu ' chi stava succi-
dennu ; altura 'u Sigmiii cci fìgi 'a binìdiziooi , e 'u scarparu
stèsi bonu.
S. Pietru, 6 so solitu, ai misi n testa di Tuliri imitari ó Si-
gnori, e camioannu visti vièniri On carusu chi ciancia *. S. Pie-
tru, comu 'u visti, cci dumannò: — " Chi hai? , — " E ch'haju
a'viri, Signuri I cci dissi lu carusu. Ce' è ma patri ca sta inU'
reunu, e iu nun sàccìu comu hilju a fari ,. S. Pietru, ch'avia
lu dìsiderìu di fari miracuh, cci dissi:—" Menti a tò patri su-
pra 'na gradigghla e dCtnacci fuogu ■ ,. La carusu dntennu C|
avia a brusgìari a so patri, cci vinili 'n IrimuUu e cci dissi a S.
Pietru:—' Chi mi vuliti pigghiari pi babbi] ? ,— * Vaja, loccu,
cci rispunnlu S. Pietru, la zoccu ti dissi iu, e nun ti nni 'nca-
rigarì ,. Quannu lu carusu arrustfu a so patri e visti ca nun
ce' era spiranza d' arrivìsciri, crldèraiusi buffuniatu, 'ffirrà un
pezzu di bastuni e stava 'ncuminciannu contru S. Pietru.
'U Signuri vidennu chi l'affari si fagla seriu, e vulènnuccì ri-
sparmiari 'na mangiara di llgnadj a S. Pietru , si 'nci^nau à
gradìgghia *, unni era lu malatu, cci figi 'a bioidizioni e chillu
stèsi bonu. S. Piero sopra Patti ',
Una versione siciliana è in parte nelle mia Fiabe, v. IH,
n. CXXni: Lu Signuri, S. Petru e l' Apostuli; una toscana di
' P^ per /tei, fece,
' Bruagiannu, per bnicianmi, bruciando; da brusgiari.
' Chillu per chiddu, quello.
* Visti, vide venire un ragazzo che piangeva.
1 Fuof}u per fuocu, fixu, taoeo.
' E vitlÈnnutxi, e volendo risparmiare un carpicelo di legnate a.
.S. Pietro, s'accost^ alla graticola.
' Raccontata da Giuseppe Farad.
196 FIABE E LEGGENDE .
Livorno in Knust, Italienische Màrchen^ n. Il: Ein Erdengang
dea Erldsers] una toscana di S. Stefano in De Gubernatis, No-
veUine, n. XXXI: Gesù e Pipetta; un'altra di Montale in Neruggi,
Sessanta Novelle, n. XXXI: Pipetta hitgiardo; una abruzzese
in De Nino , Sacre Leggende, p. 79 : Gesù Cristo , gli Apo-
stoli e Sant^Eligio. Alla leggenda del Mastru supra ttUti li
masiri si avvicina quella molto breve di Gessopalena del Fi-
NAMOiVE : Come nacque Vorso, inserita ìm^ Archivio deUe trad,
pop., V. V, p. 477, n. VI; e quella tradotta dall'originale di Mon-
TÉpiN nella Illustrazione popolare, v. XXIV, n. 40; Milano, 2 ot-
tobre 1887: La leggenda di Sant^ Migio.
Una versione letteraria è nelle Cento Novelle antiche, ed.
Gualteruzzi, n. LXXV; su di che vedi D'Ancona, Studi di Cri-
tica e Storia letteraria, p. 335.
Vedi anche Eòhler, nelle Gdttingische geleherte Anzeigen
del 1868, p. 1377 e del 1870, p. 1^5.
Ln Haistru e la burglsl.
CaminanQu lu Uaìstru cu li Nisdpuli pi stu munaii
munnu, capitau, a la scurata, una 'na casa d'un bur-
gisi; ma lu bui^ nun cc'era, ca era all'aatu '; e cc'era
sulu so mi^hìerì. San Petra tupputiò e cci dumannò
si pi dda sira li vulfa allu^arì nna dda casa, ca cc'era
lu Maistru. Dda donna cci Ilei gràpiri la pagghialora e
li flci allug^iari ddà; fraditantu, cà M sdnniri pani,
alivi e vìnu prì falli rìsturari.
Toma e torna lu bui^isi; 'ncugna un viddanu: — ■ A
la casa cci su' furasterì; ce' è lu Maistru cu li so' Nisd-
puli. ,— " Lu Maistru a la me casa? E stu gran beni
dunni mi vinni ?... . Gomu trasi dintra e senti, ca tu
Uaistru era nna la pagghtalora, unu fu e centu si flcL
— 'Ah ! sbriugnata donna ! (dici) TGni lu Maistru a la
me casa, e tu lu fai alli^giarì nna la pagghialora cu tan-
ticchia di pani e du' coccia d' alivi ! S'ubbitu ! chi si
fazza acchianarì a la me casa lu Signuri ! , E tira tu
e tira io, lu S^urì acchianò, ed appi fatti ti gran mEin-
ciarìzzi *, ca fu un piacirL
San Petru, 'aia. lu brìu, s'arritìra a lu bur^si, e cci
dici a Varìcchia: — * Dumani uni nni jamu '; pirchi 'un
coi dumannati quarchi grazia a lu Maistru? ,. Lu 'nnu--
> Antu, luogo ove i contadini lavorano.
* Manciariiii, vivande oltre l'usato.
• Domani ce ne andremo.
198 FIABE E LEGGENDE
mani lu Signuri si licinziò; e lu burgisi , 'un sapennu
chi dumannàricci, cci dumannò la grazia di putiri ca-
pili lu linguaggiu di rarmali. — ** Ti sia cuncessa ! „ cci
arrispunni lu Maistru, e cci fici la binidizioni. Gomu
San Petru 'ntisi sta cosa,—*' Chi siti bonu ! ^ cci dissi;
dumannàticci la grazia di Tarma „. Lu burgisi iju, e ce!
dumannò la grazia di Tarma; e lu Signuri cci la cun-
cessi.
Lu burgisi si misi supra lu so barduinu , e iju al-
Tantu. Gomu arriva, trasi nna la stadda, pi vìdiri li
voi chi s' avianu a 'mpajari pi fari T aratura. •Senti e
senti un voi chi dici a T àutru voi: — ** A mia sta jur-
nata mi siddia veni a travagghiari: ora mi finciu ma-
latu, e comu arrinesci si cunta.„— * Va beni! dici 'nta
iddu stissu lu burgisi; ora t'accònciu io „. Votasi cu
lu picciottu: — ** Chi havi sta jurnata ssu voi ca 'un si
'mpaja? „— ** Chi sàcciu.... pari malatu. „ — ** Ebbeni: si
lassa senza manciari ». E lu voi si jiccò 'n terra dijunu
comu un cani tutta la jurnata. La sira, comu turnaru
Tàutri voi, dici:—** Mi sentu veru mortu di fami. Io chi
mi cridia ca lu patruni mi lassava dijunu ! Ma sta cosa
'un mi la sentu ! Dumani a prima matina mi vogghiu
mettiri a travagghiari „. Lu patruni eh' attintava, cci
parsi piatusu, * e cci fici dari 'na manata di fenu; e si
nni turno a la casa cu lu so barduinu.
Juncennu a la casa truvò U gaddini cu lu gaddu sgag-
giati, cà la patruna cci avia fattu jittari lu scàgghiu
pri jìrisi a'ggiuccari '. E si firmò a taliari sti gaddini.
^ CJonie siete minchione !
» Al padrone, che stava in orecchi, fece pietà (il bue).
» Giungendo a casa, trovò le galline col gallo Inori la stia, perchè
LU BIAISTRU E LU BUBGISI 199
Manciannu chi ficiru, dissi lu gaddu:— " Ora va, gad-
dinì mei, jàmunni a risittari, eh' è tarda ,. Ma li gad-
dini, finta d' 'un capiri, sicataru a caulinari e a sca-
lari '. — " Mi sinUstivii, si o no P Jàmunni a risittari ! ' ,
E li gaddini sicutavanu la sua. — * 'Nsumma, lu sapiti
CI io sugnu lu gaddu, e vuàtri li gaddini; e li festi li
cumannu io ? „ E mentri li java cacciannu e ammut-
taanu agghiri a lu giuccu, sicuiava; — " Chi m'aviti pig-
ghiatu pi lu patruni! ca è tatitu bonu ca si fa hvari
di lò muggliieri, ca eci fa tanti bamoUi *, e accussì si
lu 'nfiia 'nta la sacchetta. Cu mia sti chiacchiari 'un
cci su': io sugnu lu patruni, e io cumannu.... ,.
A sèatìii sti discursi lu patruni sbuffò a ridiri. Vo-
tasi la patruna:— " E pirchi ridi? ,— " Ma', pi nenti „.
— " Ma io lu vogghiu sapiri. ', — ° E io 'un ti lu pozzo
diri ,. {Pirchi, — sta cosa mi l' avia scurdatu — lu Signuri
la grazia cci l'avìa cuncessu ammucciuni, cu diri ca 'un
l'aria a sapiri nuddu). Idda si metti lì raanu 'n ciancu,
e nni vulia centu eh' è majorca *, pirchi la maritu 'un
vulia parrari. — ' Taliati, dici lu gaddu, ch'è loccu stu
patruni ! So mugghieri cci nni dici 'na letta ', e iddu
la padronaavea loro Èttogettare il becchime per mandarle al pollmo.
' Scaliarif razzolare.
' {Toma a domandare il gallo alle galline) ; Andiamo a l'assettarci
(al pdl^o).
' Chi m'aoiti, oh che m'avete preao pel padrone! che è cosi min-
chione da lasciarsi persuadere da aua moglie, la quale gli Èi tante
mome {ha-i.olli, bemùtlO.
' E nni vulia, e prese ad apoatrotarlo , a sbottoneggiai'lo, a gri-
dare per voler l'agione.
' Guardato com'è sciocco questo padrone! Sua moglie gliene dice
una atta (di villanie, ingiurie), e lui la lasda dire.
200 FIABE E LEGGENDE
la lassa diri ! Ga si fossi io !.... li vastunati cci li farria
fé tiri ,.Nni vuTistivu cchiù ? lu marita nisciu di quinta \
affeura un santu marrùggiu, e dunni veni? veni di lu
mulinu: la fici stari unni modda e unni dura \ Po:
ordina a li servi di spugghialla e di falla curcari. —
* Ah!' dici lu gaddu comu si iju a *ggiuccari, cci haji
'ntisu lu me piaciri a vìdiri a sta donna prisuntusa, ca
appi chiddu chi si miritava! »
Lu 'nnumàni lu burgisi turno all'antu.— ** E lu voi di
ajeri è ancora malatu ? , dici a lu garzuni. — " Noisi-
gnura ! Havi cu lu scuru ca è 'n pedi ed è bonu 'y. —
^ 'Mpajàtilu! „ E lu 'mpajaru.
A ura di culazioni aggirò a la casa. Passa e passa
arreri lu Maistrn. Vidennu a sta donna curcata:— * E
eh' aviti cu ssi vozza 'nta la facci? * ». Lu burgisi: —
• Nenti, Maistru; prima d'arrispunniri idda, arrispunnu
io. Assira li gaddini, accussì e accussi; (e cci cuntò tutta
la storia). Putia essiri 'mai ca io cci dicia lu sigretu di
la grazia chi Vui m'avìavu accurdatu ? E pi chissu cci
li detti boni. „ — ** Ora beni, comu iju iju: sti cosi nun
su' giusti, e nun s'hannu a vìdiri cchiù. Vuàtri siti ma-
ritu e mugghieri, e v* aviti a vuliri bèniri. Io cuncedu
punì a vui — dici a la mugghieri — la grazia di capìri
la lingua di Tarmali, e la grazia di Tarma. Ma awir-
titi di fari beni, pirchì zoccu facemu nni truvamu. „
Accussi fìciru: e d'allura 'n poi si vòsiru cchiù beni
^ U marito perdette la pazienza e diede in escandescenze.
* La lasciò piena di lividure.
^ É già sano e in piedi fin da quando era ancora buio.
* Oh che avete con quei bernoccoli foozzaj nel viso ?
LU NAISTRU 2 LU BURGISI 201
di prima, e campani filici e cuntenti, e quamiu mòr-
siru si nni jeru 'n paraddisu , cà avianu la grazia di
l'arma.
Ficarazzi '.
VARIANTI RISCONTRI.
La chiusura è poco conseguente a tutto quel che precede.
Più logica è una verisione meno completa, dalla (juale risulta
che la domia, poco fedele, veniva rivelata per tale al marito
dal gallo ; onde il marito la picchiò di santa ragione. Cosi la
facoltà di capire il linguaj^o degli animali non era oziosa
nel contadino, né egli se ne serviva a ratpou di curioutà.
Importante è la variante che segue al n. XLIX.
Cfr. con £é he^ie co7t»igliano , leggenda abnisese del Db
Nino, Sacre Leggende, p, 51
' Raccontata da Giuseppa Furia.
L'armali chi parraau.
'Na vota s'arrìecunta ca unu di Palennu acchianò
Muntipiddirinu '. Saprà MuntipiddirinUj a tempi, cc'i
ranu l'armali. Arrivannu nna lìi prirau riraitu *, s' a
raccumannò a iddu pi prigari a Santa Rusulia ca l'i
vissi scaiisatu di tatti pìrìculì. Arriva nna lu secann
rimitu, e cci dici: — " Ora io vurri'a aviri la grazia
sentiri parrarì a l' armali „. Risposta di la rimitu : -
' Camina cu fidi, ca Ddiu latta ti cuncedi ,, Arriva ni
lu terza rimitu, si cci raccumannò mmìremma: — '
vurria concessa la grazia di putiri sentiri parrari l'a
mali. , — " Ddiu ti lu cancedì; ma si tu parri, mori '
Junci a la grutta dì Santa Rusulia , cci apprisen
lu viaria a la Santuzza *, e poi si nn' aggira !n Pi
lermu. A lu passaggiu saluta li rimiti; torna a la cas
' Moatepellcgrino, l'anticA Ercta, alto monte a settentrìone dì F
lermo, sul quale è il santuarìo di S. Rosalia, patrona della cittì.
* Sulle aoaie del Muatepellegrino «l'ano uà tempo, a varie diatan:
tre te&W limoainanti, conauntjmeute detti rimiti. Le loro. cose, coi
dicoosi tuttavia, sono ancbe oggi delle fermate per cbi sale
monte.
■ Dio te lo concederà (di intendere il linguaggio degli animai.
ma se tu lo rivelerai, morrai.
' Coloro elle fauno il pallegrinaggio a S. Rosalia salendo sul Me
tepellegrino , al giungere alla grotta , ctie vuoisi stata abitata da
'Santa, e nella quale venne poi edificato l'attuale tempio, oQh>DO i
nanzl l'altare a lei consacrato il viaggio.
:^>
l'armali chi PARRASn 203
A la casa st'omu avia tutti sorti d' armali: cavaddi,
pecuri, voi, gaddini. Gorau metti pedi a la casa, guarda
d'una iiriestra ehi spuntava unii'eranu tutti si'armali.
S'avia arricòlu altura aliura di lavurari un voi ', e sta
voi 'un vulia maneiari. 'Na jiraenta chi ce' era vicina
cci dumannò; — " Chi hai ca 'un mmci ? , Rìspunni lu
voi; — " Sugiiu stancu, ca m' hannu fattu travagghiari
assai ,. — " 'Nca sai eh' ha' a fari ? cci dici la jimenta: du-
mani, quannu ti portanu lu maneiari, tu lassi lu man-
eiari, e li jecchì 'n terra fincènnuti malatu ,. Fineru
dì parrari, e lu patruni, ea avìa 'ntisu tuttu, si nn' ac-
ehiana susu.
Lu 'nnumanì, lu giuvini * cci porta lu maneiari a lu
voi, ma lu voi 'un vosi maneiari e si jiccò 'n terra. Lu
giuvini va nni lu patruni e cci dici: — " Lu voi 'un voli
maneiari,. — * 'Un fanenli; 'mpaja la jimenta! , cci dici
lu patruni. Pi^hiò lu giuvini e 'rapajò la jimenta.
La sira, quannu s'arricugghiu la jimenta, pinseri nun
appi lu patruni di scinniri jusu a sentiri chi diceva *.
La jimenta, corau s'arrieujjghiu, dissi a lu voi: — ' Sai eh'
ha dittu 'n campagna lu patruni ? ca si damani ag-
ghiorni malatu, ti fa scannari ,. Lu patruni a sentiri
aecussì si jnìsi a spìsciunari di ridiri *. La patruna era
nna lu scaccheri di la scala ', e comu senti sta gran risata
■ Era da poco rientrato nella stalla, dopo d'aver arato, un bue.
■ Giuvini, qui é l'uomo addetto alla cura degli animali. -
' Li sii-a, la sera quando rientrò (nella stalla) la giumenta, il pa-
drone non ebbi (alti») pensiero (se non quello) di scendere abbaco
a sentila che (cosa essa) dicesse.
' Pi-ese a scompisciarsi dalle risa.
' La padrona si trovava sul pianerottolo della scala.
204 FIABE E LEGGENDE
di SO maritu, vosi sapiri pirchì ridia. So maritu, a sta
dumanna, si misi a ridiri di cchiìi; e comu idda s'osti-
nava a vuliri sapiri pircliì ridia , iddu cchiù di cchiù
ridia, ca 'un si putia tèniri.— * Sì, pi mia ridi ! „— ** No,
ca 'un ridu pi tia. ,— " Sì, ea pi mia ridi ! „ — " No, ca
'un ridu pi tia. ,— * 'Unca s*è chissu, pirchì 'un mi lu
vd' diri pirchì ridi ? , Strittu e malu paratu, lu maritu
si lassò diri:—* 'Unca si tu lu vó' sapiri, chiamami pri-
ma lu cunfissuri, pirchì dicènnuti lu pirchì, io moni ,.
Idda , la mugghirazza \ pi la curiusitati, pigghia e cci
manna a chiama lu cunfissuri, tanta era cicata di vu-
liri sapiri pirchì * ridia so maritu. 'Nta stu midesimu
tempu, iddu siddiatu di st'ostinazioni di so mugghieri,
scìnni pi nèsciri fora. A lu scìnniri, scinni cu iddu lu
cani. 'Nta stu 'stanti lu gaddu pigghia la gaddina \ Lu
cani a vìdiri sta cosa cci dici a lu gaddu:—" E comu
ti spèroia di pigghiari a la gaddina ' mentri ca jeru a
chiamari a lu cunfissuri pi lu patruni , ca havi a mò-
riri ? » Risposta di lu gaddu a lu cani:-—* Lu patruni
soffri sti cosi di la mugghieri, e mori pi idda; no io, ca
lassù a una e pigghiu a 'n'àutra. Lu patruni nn' havi
una e nun la sapi duminari: io nn' haju tanti e li dumi-
niu a tutti * „.
Lu patruni a sentiri stu discursu, chiama lu giuvini
1 Essa, la cattivaccìa della moglie.
* Pigghia^ qui vale morUa.
* E come hai cuore (ti spèrcia) di montare (pigghiari) la gallina ?
* Signiilca: U padrone è uno sciocco, che non ha Tabilità di tenere
a dovere una moglie; io, che ne ho quante ne voglio, ho pm*e la forza
di dominarle.
l'arh&u chi farranu 206
e ed ordina di fari vèniri la varveri. Junei lu cuafis-
surì: — " Cu' cc'è malatu ? , — ' Nuddo, patri mio; me
mu^hieri è foddig. Veni lu varveti; cci dici lu pa-
truni: — " Sagnatimì a me mij^ghierì , ca sta niscenDU
foddi ' ,.— " Ah! ca 'un vogghiu essiri sagnata! , dici
idda. — " Si, Bagnatila di tutti li vini, ca sta niscenuu
foddi ,. 'Un cci fu putcnza di vuliri essiri tuccata: —
' Nenti ! 'un vo^hiu essirì sagnata ! , — ' Sanatila di
tutti li vini I , E cci fìi un custrastu ca durò un'ura.
Quannu la mugghieri vitti ca so marita dicia da veni,
si zittio; e di tannu 'n poi lu lassò stari cuetu: e nun
vosi sapirì cchiìi l'affari soi.
Bagkeria '■.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedi U n. XLVni.
I Solonate mia moglie, che sta uscendo matta.— K noti l'uso aid-
liaoo di.&r eseguire il «alasm ai barbieri; e la pratica di tur cavar
sangue senza miaura a i^ aia o sia creduto pazzo. Del saogoe cbe
vien giù dalle narìd si suol dire: Ltasàiilu nìteiri: à xanja foddi.
Vedi Medicina tra' miei Usi o Coslumi, t. m.
* Raccontata da Angela Paleo.
206
L.
Lu tistamentu di lu Signuri.
Si raccunta ca quannu Gesù Gristu avia a lassari stu
munnu, era cunfasu pinsannu a cu' avia a lassari tuttu
chiddu chi ce' è supra la terra. Pensa, pensa; ** A cui
lu lassù ?... Si lu lassù a li galantomini, li nobbili comu
arrestanu ? E si lu lassù a li nobbili, li galantomini comu
fannu?... E li viddani?... e li mastri?... „ 'Nsumma 'un
sapeva comu fari. 'Nta stu mentri vennu e vennu li nob-
bili: — * Signuri, ora ca vi nn'aviti a jiri di stu munnu,
pirchì 'un lassati a nui tutti cosi ? „ Pigghia lu Signuri,
e cci li spartiu a iddi. Li parrini appurannu ca lu Signuri
si nn'avia a jiri, curreru puru iddi: — * Signuri, nenti
nni lassati a nui ora ca vi nni jiti ? „ — ** Troppu
tardu vinistivu , cci arrispusi lu Signuri , pirchì già li
spartivi a li nobbili. » — * Oh ! diavulu ! „ si vutàru li
parrini. — ** Dunca a vuàtri vi lassù lu diavulu , , cci
dissi lu Signuri. Vennu e vennu li monaci : — * Si-
gnuri, nenti nni lassati ora ca vi nni jiti ? „ — " Nenti,
pirchì già li spartivi a li nobbili „. — * Oh ! diavulu ! „
dissiru li monaci. — ** E lu diaviflu si lu pigghiaru li
parrini „, — ** Pacenza ! „ dicinu li monaci. — ** E a
vuàtri vi lassù la pacenza „, dici Gesù Gristu. A li
mastri cci iju a 1' aricchia ca lu Signuri si nn' avia a
jiri; e subbitu curreru : — " Signuri, a nuàtri chi nni
lassati ? „ — " Troppu tardu : pirchì già spartivi tutti
cosi a li nobbili ,. — " Oh ! diavulu ! , dicinu li ma-
LU TISTAHENTS DI LU SISNURI 207
stri. — " Si lu pigghiara li parrini! „. — ' Pacenza! ,
— ' Si la pigghiara li monaci ,. — " Chi 'mbrogghia ! ,
si vòtanu li mastri. — " E a vuàtri vi lassù la 'mbrog-
ghia ,. Vennu li riddani, mischini, tutti affannateddi e
affritti : — " Signuri , vi nn' aviti a jìri , e nenti nni
lassati ? Sparlìtinni la terra ,. — " Troppu tardu, pir-
chì già la spartivi a li nobbili ,. — " Oh diavulu ! , —
" Si lu pigghiara li parrini ,. — " Pacenza ! , — ' Sì la
p^^hiara li monaci ,. — " Chi 'mbrogghia ! , — " Si la
pigghiara li mastri ! , — " Facemu la vuluntà di Dio 1 ,
— ' E a vuàtri vi lassù la vuluntà di Diu ,.
E pi chistu è ca a stu munnu li nobbili cumannanu,
li pirrini sunnu ajutati di lu diavulu, li monaci hannu
la pacenza, li mastri fannu 'mbrogghi e li viddani
hannu a fari lu setti a forza e bannu a fari la vuluntà
di Ddiu.
Palermo *.
VARIANTI E RISGONTRL
Come si vede è una spiritosa novellina contM le varie elassi
della società de' piccoli comuni, tra le quali solo i vilKci soii
condannati a lavorare per foi'za e rassegnarsi.
Una variante dì Gessopalena è in Fmahore, _Nop^ popò-
Tari abruzzesi, seconda serie.'n. XXIII, nell'^^cAivw deUe tra-
dizioni pop., V. V. 83: il deatino degli uomini.
< Fu raccontato da uno di S. Michele Delta provinda di Catania
a un palermitano, dalla cui bocca l'ho raccolto.
208
./
LI.
Sant'Antrla.
Cc'erunu du' fratùri ^ chi caminavunu cu *i 'nnu-
mali e si 'mmuscavunu 'u pani * pi li muntagni. SU
dui fratùri avevunu 'na surella jintra, chi la vardavunu
comu Tom. Gomu firriavunu chisti lu munnu, scippa-
vunu 'na spica ccà, 'na spica ddà, e sti spichi si ridu-
ceni unu magghiolu (sic) '; stu magghiolu dapò' lu si-
minaru e ficiru 'n' aria di frumentu; ddoppu lu tumani
a siminari, e ficiru 'na bella timogna *.
Ora cc'era Sant' Antria , chi era cu V Apostuli e lu
Maistru, eh' andavunu caminannu. Si vota un fratu di
sti du* fratùri, e cci dici a Sant' Antria: — * Sant' Antria,
vuliti sapiri quaPè la me timogna? È chista; e l'haju
fattu accussì: 'na spica cugghivi di ccà, e 'na spica cug-
ghivi di ddà. Li siminai e fici lu frumentu, lu tornu a
siminari, e fici sta bella timogna. » — * Va beni „, cci
dissi Sant' Antria, e cci detti focu a la timogna, si cci
jittòi iddu di 'mmezzu e si fici un munzeddu di cìn-
« Fratùri e frati, s. m. pi., fratelli; il àng. fìratu e frati, fratello.
* S& guadagnavano il pane.
* Scippaounu, spiccavano (raccoglievano) una spiga (di frumento)
di qua, una spiga di là, e queste spighe si ridussero in un mazzo.
Si noti che magghiolu vale propriamente: sermento spiccato dalla
vite, per piantarsi ; o nodo di ramo d* albero. Nei caso nostro noa
avrebbe nessun significato ae non gli si desse questo di mazzo, ma--
fdpolo ecc.
* Timogna, massa dei covoni di spighe, bica.
sant'antri*, 209
niri. Seàvutiu la cìnniri e trovunu 'na beila puma \ ca
pi lu tantu aduri chi facia, faeia pacclari '.
Di sti dui fratùri, unu era bunieu ', e unu era ma-
l^u. Lu malignu si la vulia manciari sta puma; lu bu-
nieu cci dissi—" No, cci la purtamu à soru „. Gei pur-
taru sta puma à soru, e 'a soru 'a misi 'nt' 'a càscia.
Quannu japria chista donna sta càscia, lu tantu ciàuru
chi facia, cci tumava !u cori *.
Un jornu di li jorna "*, s' ha mauciatu chista puma
sta donna. Come s' ha maaciatu sta puma, d mumentu
ha nisciutu gravita. Un jornu s' arritìraru li fratùri e
vìtturu chista soru gravita. Lu malignu cci vulia tag-
ghiari la coddu à tunna *. Rispunni l'àutru; — ' L àssila
parturìri, e ddoppu nni fai chiddu chi nn' 'òi 'I didda ',
(picclù idda era sincera, chista donna, e lu malignu la
purtava 'nta chistu 'ggettu) •.
Un gomu si vinni a ridducirì Tura chi vinni a par-
turìri, e sta donna liei un beddu figghiu màsculu. Stu
fig^hiolu criscia un jornu pi ddu' *, picchi era Sant'An-
< Puma, della parlata, b. f., mela. 11 dialetto comune ba pumu,
frutto.
• Pacclari, [iiipaziire, andar inatto,
' Bun^ctl, add., buono.
' Si sentiva conlortare.
' Un giorno fra gli altri.
• Le volea tagliare lì per lì il collo del tutto,
' Lassila, lasciala partorire ^ma) , e poi (krai qoel ohe vorrà
(li lei fdi, vuoi; -i, di; didda, ella, lei).
• Ed il tristo {del ditello) la portava a quest' oggetto (a questo
punto).
• E questo bambino cresceva un- giorno per due.
G. PiTBfe. — Fiabe e Leggend», 14
X.
*f
210 FIABE E LEGGENDE
tria, e strallucia 'nta 'a facci. Si ricugghieru li fratùri, e
unu di diddi la vuleva 'mmazzari. Rispunni lu. bunìcu
e dici:—* No, nu rammazzari; lassarcillu 'ddivari lu fig-
ghiolu; quann' èsti 'ranni, e tu fa' chi buò' ^ „.
Lu picciriddu si fici 'ranni, e mmiscòi cu stu ziu lu
malignu:— * Vegnu cu vui, ziu. „— " No, non cci vèniri,
bastardu; si tu veni cu mia, ti 'mmazzu „, So frati, lu
bunìcu, cci dissi: — ** Làssilu vinìri „. Lu picciriddu cci
andau dappessu ; si mintiu avanzi cavaddu. A certu
puntu, ddà cc'era 'na cani e sta cani (parrannu cu pir-
dunu) fici *. Lu niputi cci dissi: — " Ziu, mi biscìcu lu
mussu unni sta cani ' „; picchi lu figghiolu, cu tuttu chi
era picciddu *, era santu e sapia li mali trattamenti
chi lu ziu cci facia a so matri. Rispunniu iddu, lu ziu:
— * Astetta *, figghiu di b...., chi ti 'mmazzu ! „ Rispusi
Tàutru ziu bonur— * Làssilu. stari pi sta vota ! „
Caminaru 'n àutru morsu di strata, e cci scontra genti
chi purtavunu un mortu supra ddu' morsa di ligna.
Rispimni lu niputi: — * Ziu, chi mi bi pòrtinu a bui d'ac-
cussì!... • „. Cci dissi lu ziu:—* Eh figghiu di b....! ora
^ Lassaccillu , lasciaglielo allevare il bambino ; quando è (sarà)
grande, e tu fai quel che vuoi (farai quel che vorrai).
* Ddà Qc'era *na cani, là c'era una cagna e questa cagna (con
buon lispetto parlando) scaricò il ventre (fici),
" Zio, forbitevi (mi biscìcu) il muso dove questa cagna (ha scari-
cato il ventre).
* Picciddu per picciriddu, Piccolino, fenciullo.
> Astetta per aspetta, è in molte parlate siciliane, s^ialmente del
gruppo agrigentino e del ragusano. Vedi a jp. 110-111 del presente
volarne.
* Camminarono (fecero) un altro pezzo (morsu) di sti'ada, e capita
sant'antrìa 211
ti 'mmazzu!... ,. Si vota l'àutru ziu: — " E bonu! non
vidi chi mmuffunia ! ' Làssilu stari... ,. A 'n'àutra parli
'ncuntròi 'n àutru mortu, e jèrinu aggenti boni, picchi
lo purtavinu a sonu di banna (picchi sempri cci sunu
li puvireddi e lì ricciii) '. Non cci dissi nentì a so ziu.
Rispunni lo ziu:—" Eh fìgghiu di b....! ora non mi dici
Denti chi portinu 'nu cavaleri a sonu di banna ! Non
mi lu dici: chi vi putissiru purtari accussi a vui!... ,.
E sicutaru a caminari.
'Rrivaru a un paisi, a Missina, e ce' era 'nu Re cb'
aveva una %ghia malata; e nissnnu cci putevinu 'ccat-
tari * la malatia eh' idda avia. Si vota lu Re: — ' Cu' fa
stari bona a me figghia^ o si la pigghia pi mc^ghì, o
pura cci dugnu zò chi buò' ,. Chistu figghìolu, sintennu
sta cosa, si vutòi cu so ziu: — " Ora cci vaju io „, cci dissi
Rispunni so ziu: — ' Sì, ora tu cci vói pi falla stari
bona!... ,. 'Nchianò cu tuttu ca li surdati 'un lu vule-
vinu fari 'nchianari; e comu vitti la fìgghia di lu Re, sub-
bitu la fici stari bona. Gei dumannòi lu Re: — ' Chi vfli? ,
— ' Nenti : un palu e 'nna pala „ (lu palu pi scavari,
e la pala pì livari la munnizza) *.
Si pigghia lu fig^hiolu sti cosi , e si nni va unni so
ìoeo gente che portava un morto sopra due pezzi di legno. Risponde
(dice) il nipote : Zio, cbe porUno voi fiO coù! (che poMiate morir
voi, ed esacr portato voi a questo modo I).
> E via (£ bonu!) non vedi cbe (il ragazzo) scherza \
* Accenna all' accompagnamento llinebre delle persone agiate o
non povere, e nota la ditferenzB di trattamento aooha dopo la morte.
' 'Ccattari, indovinare.
• Il palo per iacavare (la terra), e la pala per levare la immon-
dezza (la terra).
212 FIABE E LEGGENDE
ziu, e cci dici: — ** Ziu, io la fici stari bona a la figghia
di lu Re; e io non vosi nenti pi cumpensu; mi fici dar!
sulu stu pala e sta pala „. Lu ziu cci fici vuci, cà non
vulia chisti cosi; vulia *u dinaru. Rispunni Tàutru ziu,
lu bunìcu: — " Non vidi chi manca pi *gnurantitati !... „ *.
Si pigghiaru li cavarcaturi e parteru.
Arrivaru a ddu postu chi purtavunu a chiddu mortu
a sonu di banna. Gei dissi lu niputi a lu ziu: — ** Ziu,
vuliti vidiri a chiddu chi purtavimu a sonu di banna? ,
E lu fici tràsiri a lu 'nfernu pi vidiri lu cavaleri mortu,
ca li diavuli si lu 'mmuttavunu * a lu 'nfernu. Cci stèsi
un minutu, e cci parsi sett*anni. — * Figghiu, jamuninni,
cà havi sett'anni chi semu ccà jintra. „ — * No, ziu: nui
ancora avemu a *rrivari a lu 'nfernu „. Nisceru.
Si misiru a caminari, e 'rrivaru a lu postu chi vìt-
tunu a lu mortu supra ddu' morsa di Ugna; e cci dissi:
— ** Ziu, vuliti vidiri a chiddu chi purtavunu supra li ddu'
morsa di Ugna ? „ E cci lu fici avvidiri. Si japriu lu tir-
renu , e traseru 'n paradisu. E stèsinu sett' anni ddà
jintra. Lu niputi cci dissi: — " Ziu, jamuninni, cà havi
sett'anni ca semu ccà jintra. „ Lu ziu r ispusi: — * Comu !
s'ancora avemu a 'rrivari ! E si misiru a caminari,
Arrivaru a lu postu chi s' allurdava la cani '. Si vota
hi niputi, e cci desi 'u palu e 'a pala ò ziu; e cci dissi:
— • Ziu, scavati ccà, carricati U dinari, e fabbricati un
fìumucu, e cci aviti a dari a tutti U passaggeri francu 'u
rigettu ^ non. cci dati cchiù mmattana a me matri, cà
1 * GnuranHtaH^ ignoranza.
* Se lo spingevano innanzi.
* Giunsero al posto nel quale s'era sporcata la cagna.
* Riffettu per ricettu^ risettu^ ricetto.
sant'antrìa
S13
èstl 'nnuccenti '. La puma chi purtastiyu, me matrì si
l'ha manciatti, e nìsciu gravita di mia: io sugna San-
t'Antri'a. Io mi nni 'nchianu 'n celu ; sì bisogna aviti,
mi chiamati ,. £ spiriu.
Lu zia scavòi, e truvòi li gran dinari; carrìcòi lì muli
di ddi dinari, e poi fabbricòi 'a fànnucu. Ognuna chi
passava, s'allacava, senza pagEiri dinari.
Un jornu s'accoi^i lu fannacaru ca cc'era unu morta,
ca l'avia 'ramazzata 'n àutra chi si 'lineava ddà '.
Veni la Pulizia, e ha 'ttaccatu lu fannacaru, dicennu
chi l'avia 'mmazzatu iddu. Si fìcì la causa, fu cunnan-
nata 'n morti. Dici lu fiinnacaru : — ■ Me niputi Sant'An-
tria mi dissi ca si bisognu avia m' 'a chiamava. Ora lu
chiama „, e lu chiaraòi. Ha calata Sant' Antri'a. Già lu
purtavuna a fucilari, e di lantanu Sant'Antria cci facia
mi tìnnavunu *: — " Ferma, fenna! , Coma janciu ddà
fici nèsciri lu morta e cci dissi: — " Morta, rivisci e dici
cu' fu chi ti 'mmazzòi ,, Lu morta parròi, e dissi cu'
fu e ea' non fu, e 'ccussì lu ziu fa Ubbiratu. La som
si la partara li fratùri.
Iddu arristau filici e cuntenti,
E nui ristamu ccà senza nenti.
S. Lucia di Mela ^
' Non date più briga a (non tribolate più) mia. madre, perchè ì
innocente.
* Un giorno s' accorge il (ondacaio (cioè lo ^o di S. Andrea,) che
(dentro il fondaco) e' era un morto , stato ucdso da un altro cbe ii
allogava {avea alloggio) là.
> Facea loro (segno) che fermassei'O.
< Raccontata da Maria Scoglie.
214 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
Cfr. KoHLER, Storia di tm sanfuomo bruciato e rigenerato^
néìV Archivio delle tradizioni pop. , v. II, pp. 117-120. Una
versione abruzzese di Gessopalena è nello stesso Archivio, p^
270: Le stòrije de Sanl^Anduone, del Finàmore ; un'altra egual-
mente abruzzese nelle Leggende sacre del De Nino, p. 65:
SanV Andrea rinasce.
L'interrogatorio del morto ò anche nelle varie versioni della
Leggenda di S, Antonio da me messe insieme nell' Architno
deUe tradizioni pop., v. VI; Pai. 1887.
La Signuri di Luca. '
Si cunta e si riccunta ca 'na vota ce' eranu 'nt' 6n
paisi li 'sarcìzii ' : e ce'era un Patri • di lu Cumtnentu di
la Sìgnuri dì Luca ehi pridicava ; e 'nta lu pridicari
dicia: " Lu S^nuri cumpensa centu pir unu a cu' duna
un dinaru ,.
'Nta la chiesa ce' eranu un maritu e 'na mi^ghierì;
e slntevaau sta predica, Tumannu a la casa, si cunsup-
taru 'nta d'iddi: — " CU cc'è me^hiu nigoziu di chistu ?
ca Ddiu cumpensa centu pir unu a cu' duna un dinaru.
Sapiti chi vi dicu , maritu mio ? Vinnerau tutti cosi e
li damu pi limosina ,. Eccu ca euminciaru a vìnniri tutta
chiddu ch'avianu; quannu chisti dui 'un àppiru cchiù chi
vìnniri né chi manciari, jeru nni lu Patri Pridicaturi;: —
" Ora va, Patri, nui vinnemu tutti cosi, e li dèttimu pri
limosina; cu' nn'havi a panari ora ? „ Rispunni lu Patri
Pridicaturi; — " Lu Signuri v'havi a pagari. , — " E unni
avemu a jiri pi fàrinni pagar! di lu Signuri ? , — " Jiti
a lu Gummentu di Luca, trasiti 'nt'à chiesa, e viditi ca
sutta Tartari cc'è un bellu Grucifissu, Parràticci, e coi
dicìti ca vuiiti essiri pagati ,.
' Luca per Lacca. È oslebre nella traditone BpecàalmeiHe di Pa-
lermo il Cruciftsstt di Lucca; e nella nostra legenda non si parla
se non di un Crociflaso.
* Una volta in un paese si tenevano gli esercizi spirituali.
» Vn patri, un sacerdote, e un frate.
216 FIABE E LEGGENDE
S*hannu partutu tuttidui, maritu e mugghieri. A lu
primu paiseddu chi 'ncuntraru avianu pitittu e 'un a-
vianu chi manciari. Genera 'na taverna, e cci dissiru a
lu patruni: — " Nni vuliti dari a manciari, ca nuàtri sta-
mu jennu nna lu Signuri di Luca pi fàrinni pagari ?
Comu tumamu, pagamu a vui „. Rispunni lutavirnaru:
— " Nni lu Signuri stati jennu ?... E quannu è chissà,
io vi dugnu a manciari, ma m' aviti a fari un piacili:
jennu nni lu Signuri, cci aviti a diri ò Signuri : ca io
haju un locu granni cu vigni; a prima, Pavia a chianu
scuvertu e mi faceva racina assai; ora cci liei lu muru,
racina 'un ni fa cchiù. Pirchì è sta cosa? „ Cci detti
a manciari; si licinziaru e si nni jeru.
Camjna, camina,arrivaru a 'n àutru paiseddu,e 'ncun-
traru a *na fimmina; d'un paisi a 'n àutru avianu ad-
diggirutu, e avianu pitittu, e cci dumannaru: — ** Cura-
mari, cc'è nuddu chi nni duna a manciari V eà stamu
jennu a lu Gummentu di Luca, pi fàrinni pagari di lu
Signuri; cà a la passata poi pagamu „. Sta donna era
cattiva: e avia dui figghi fimmini granni, atti a mari-
tàrisi; dici: — " A manciari vi dugnu, io; ma vuàtri m'a-
viti a fari un fauri: cci aviti a diri a lu Signuri ca prima
ca io 'un cci avia pututu fari la rubbicedda a li me'
figghi, li matrimonii cci vinianu; ora ca cu la grazia di
Ddiu la rubbicedda cci la fici, matrimonii 'un cci nni
vennu cchiù. Pirchì è sta cosa ? „ Ha pigghiatu menzu
vastidduni, cci lu duna, e iddi si nni vannu mancian-
nusillu strata strata.
Gamina, camina, arrivanu a lu Cummentu di Luca.
Traseru 'ntr'à chiesa, e jeru a'durari a lu Signuri. 'Nta*
LU SIGNUBl DI LOCA 217
menti niscevanu li missi e cc'eranu genti, iddi 'un di-
cevanu nenti : prigavanu a lu Signuri cu la 'ntinzioni;
quannu sunau menzijornu e frneru li missi, iddi 'un si
muvevanu di la chiesa. Lu sagristanu avia a chiùjirì;
dici: — ' Fratu2ZÌ mei, quannu vi nni jiti, cà he chiùjiri
la chiesa?, — " Nui nni nni jamu?... comu nni nni jamu,
ca lu Signuri nn'havi a pagari ? ' Quantu prima nni paga,
nni nni jamu „; e nun cci fu putenza Ca vòsiru nèsciri.
Bisugnau lu sagristanu jiri nna lu Priuri , e cci dissi:
— • Patri Priuri, com'hé fari ca cci su' dui ca 'un vonnu
nèsciri di la chiesa, ca vonn' essiri pagati di lu Signuri ?„
Rispunniu lu Priuri:—* Chiuj la chiesa e lassali stari „.
Nni la porta di la chiesa cc'era la gradella; lu sagri-
stanu chiuj e si metti a taliari di la gradella di la porta;
e vidi ca iddi s'addinòcchianu dapanti lu Signuri, e cci
dicinu: — ' Signuri, nuàlri nni vinnemu tulli cosi, e li
dèttimu a li puvireddi, e 'un avemu cchiù comu fari.
Pagàlinni, Signuri ! pagàlinni, Signuri ! , Quannu lu Si-
gnuri si cumpiaciu, si leva 'na sànnula di pelrì priziusi
ch'avia a li pedi, e cci la jetta. Nun canuscennu lu va-
luti di sta sànnula, sèculanu: — ' Signuri, e chisla sula
nni jittati? E comu avemu a fari?... Cumpiacitivi ! ,
Lu Signuri si leva l'àutra sànnula e cci la jetta a iddi,
dicennu: — * Vajitivinni, cà chisU su' cchiù assai di chiddi
ca v'hé diri. , — " Jirinnìnni ?...Prima di jirinninni nn'a-
vili a diri pirchi 'un cci facili fruttari cchiù li vigni a
chidda chi nni detti a manciari. ,— " Gei ha' a diri, ri-
spunni lu Signuri, ca prima muru 'un cci nn'era, e cu'
' Nui, nvi ce ne andiaiuo? Come possiamo noi andarcene se il
^nore d ha da pagare ?
218 FUBE E LEGGENDE
passava e vidìa dda racina dicia: Sa loratn Ddiu ! s'ar-
rifriscava la vucca,e arrifriscava punì airarmi di lu pria-
toriu, e io cci lu cumpìnsava cu dàricci cchiù assai di
chiddu chi li genti si cugghièvanu. Ora ca cc*è lu munì,
racina 'un ni ponnu oògghiri cchiù] e a mia nun mi
lodanu, e io 'un cci fazzu aviri cchiù racina, „ Si vò-
tanu maritu e mugghieri: — " Ora un'aviti a diri: Pirchì
a li figghi di dda povira cattiva 'un cci veni cchiù un
■ matrimoniu , quannucchì prima, ca robba 'un n' ave-
vanu, li matrimonii unu cci java e 'n àutru cci vinia ? „
— " Gei ha' a diri ch'aspittassiru chi cadi lu canali, cà
lu canali 'un ha cadutu „.
Lu fratellu eh* era misu darreri la porta chi taliava
di la gradetta curriu pi nn' 'u Priuri; did : — ** Patri
Priuri, li sànnuli cci detti lu Signuri ». Dici lu Priuri:
— " Chiamali, chiamali, falli tràsiri „. Lu sagristànu li
fici tràsiri, e lu Priuri cci dumannau: — * Pirchì vinì-
stivu ccà a dumannari li dinari a lu Grucifìssu ? „ —
** Pirchì un riligiusu di stu cummentu vinni a pridicari
a lu nostru paisi: Centu pir unti a cu^ duna un dinaru.
Nuàtri cu tuttu amuri nn' avemu vinnutu tutti cosi e
r avemu datu pri limosina „. — " 'Nca aspittati „. Lu
Priuri va a pigghia un saccu di munita d' oru , e cci
ha dittu : — * Vi bastanu chisti, e nni dati li sànnuli ? ,
— * Nni bàstanu „. Gei hannu lassatu li sànnuli e si
hannu pigghiatu lu sacchiteddu , manciaru e si licin-
ziaru; e lu Priuri cci ha dittu :
— * Dia vi binidiea I .
Faciti 'na santa vita ! ,»
Passannu dunni la cattiva, cci dissinu: — *" Quant' è
: .■*■
LU SiaHURI DI LUCA S19
lu menzu vastidduni? eh nui vi la vulemu pagari ,.—
" E lu Sigauri vi pagau ? , — " Nni pagau ,, — " E cci
lu dicìstivu zoccu vi dissi io? ,~" Gei lu dissimu ,.—
' E chi vi dissi ? „ — ' Nni dissi: aspittati chi cadi lu ca-
nali, cà lu canali 'un ha cadutu ,. Gei vulevanu pagari
lu vastidduni , e idda nun lu vosi pagato ; ma iddi,
puntiggiusi, hannu pi^hiatu 'na munitola, e cci l'iiaiinu
Passannu di la taverna, lu stissu discursu:— "Quant'è
lu manciari chi nni dàsttvu ? „ — "E la Signuri vi pa-
gau ? „ — " Nni pagau ,. "E cci spijàstivu di mia? ,
— " Cci spijama ,. — "E chi vi dissi ? ,— * Nni dissi:
ca prima la vigna era a chianu scuvertu... , e cci cun-
taru la cosa, ftcunchiujeru cu diri: — " Stirrabbatì lu
munì, cà la vigna vi frutta arreri ,. — " Vajitivinni, e
arraccumannàtimi 6 Signuri , cà nun vogghiu essirì
pagatu ,. Maritu e magghieri hannu pigghiatu 'na mu-
nitola, cci l'hannu datu, e si nn' hannu jutu.
Arrivati ó so paisi, àutru pinseri 'un àppiru: jiri a
truvari lu Patri Pridicaturi , e cci dissinu : — " Nuàtri
cci jamu nn' ò Signuri di Luca ,. — ' Veru ? E chi vi
dissi ? , — " Ih ! 'anca nni detti li sànnuli , e lu Patri
Primi n'nih caneiau c'unsacchiteddudimunitad'oru,.
— " Vera ? Ebbìva ! Ora vuàtri aviti a fari sempri ca-
rità, cà lu Signuri vi lu cumpensa ,.
Jamu a lu tavimaru e la cattiva.
Lu tavimaru sdirrubbau lu muru, e la vigna misi »
fruttari 'n quantità. Nna lu paisi di la cattiva si sdir-
rubbau un canali e ammazzau 'na fimmina, e lu ma-
ritu poi si pigghiò a la prima figghia di la cattiva; e al-
l'àutra si la pigghiò un parenti d' iddu.
220 FIABE E LEGGENDE
Sti dui divoti ficiru 'na bona e santa vita dannu sem-
pri a manciari a li puvireddi.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
£ nUàtri eoa senza nenti.
Bagheria ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
Turi, dammi 'i dinari (Ragusa Inferiore).
Una Domenica di Quài'esima un campagnuolo va a udire
la predica in chiesa, ed il predicatore dice: * Fate la limosina
al povero; dividete quel che avete, perchè quel che date vi
verrà restituito quattro volte tanto „. Il campagnuolo vende
tutto, e lo da ai poveri. Ai sei mesi, non vedendo comparire
nessuno, vuole dal parroco i quattro tanti del dato. Il parroco
lo fa 'partire per andare dal Papa, e gli dà una lettera di rac-
comandazione per qualunque persona. Nel primo paese del
viaggio è ospitato da un calzolaio, che lo prega di chiedere al
Papa perchè non si presenti partito di nozze per qualcuna
del^e sue tre fighe belle e con buon corredo. Nel secondo, un
proprietario che Tospita vuol sapere perchè la sua vigna, un
tempo mal custodita, non frutti più ora che è circondata da
muri. Nel terzo , il priore d' un convento , ospite anche lui,
manda a chiedere perchè i suoi frati, ogni giorno dopo il praìizo
si tirino gli zoccoh Tun Taltro.
A Roma il campagnuolo va .dal Vicario Generale , il quale
per levarselo d' attorno lo manda a pregare un Crocifisso. La
preghiera del campagnuolo è questa: '^ Atia Turi, dammi 'i
dinari 6 huonu; si no, ti strupptu„. (A te [dico], Salvatore;
dammi il denaro con le buone; se no, ti faccio del male). Il
^ Raccontata da Angela Puleo.
LC SIONDRI DI LITCA 221
Crocifìsso gii getta una scarpa in diamanti e gli dice: ' Porta
questa al P. Vicario , perchè egli ti ridia il tuo denaro ,. 11
sagrestano s'è accorto di tutto e ne (a parte al P. Vicario, il
quale prende la scarpa preziosa e carica di monete d' oro e
d'argento il campagnuolo. Questi si reca dal Papa e compie
le tre commissioni. Risposte dei Papa : 1. 11 calzolaio mandi
le figliuole alla messa del mezzogiorno , in modo che tutti i
giovani le vedano. ^ 11 proprietario abbatta i muri , e lasci i
porerì mangiare un po' d'uva. 3. 11 Priore rìbenedica il refet-
torio, perchè sotto le tavole ci sono diavoli.
Una variante delle province orientali della Sicilia è in Gon-
ZENBACH, Sicil. Màrchen, n. 47: Von dem frommen Jùngling,
der nack Rom ging, ove i tre dubbi sono affatto simili a quelli
della vers. di R^usa. Nella variante di Fabbriche: R Diavolo
fra i frali, n. XXIV delle mie Novelle toscane , le domande
da fersiaii un animate, da una ragazza che parte, son queste:
1. Un locandiere: Dov' è la mia figliuola smarrita? — 2. Un
barcaiuolo: ' Gh è tanti anni che son qui, e non posso risor-
tire dalla barca,. — 3. Un signore; 'Nel mio giardino ci a-
vevo una fontana che mesceva oro e argento; e ora non me
lo mesce più ,. — i. I frati : * L' è tanti anni che siamo qui,
, ma da 10 anni sempre si contende ,. E le risposte: ' 1, La figlia
smarrita sei tu ,. — " 2. D primo che scende nella barca, la-
scialo e scappa via ,. — "3. Nel buco della fontana e' è un
biscio: bisogna ucciderlo ,. ~ 4. Tra' frati c'è il diavolo.
Nella seconda metà de / sette frat^Ui paiummeUi , n. VII
delle I%abe ahruzzesi del De Nino, sono dubbi diversL Le ri-
eposte le dà il Sole invece che il Crocifisso o l'animale.
Vedi Im pieciriddu dàiotu di Picarazzi, n. LUI dì questo
Tohnne.
222
LUI.
Lu picciriddu dlvotu.
Ce' era 'na vota un marita e 'na mu^^hieri. Stu, ma-
ritu e sta mugghierì 'un avianu manca di manciari e
tiravanu avanti ca Ddia la sapi e Maria Santissima ^.
'Na jurnata sta paviredda nesci, e nesci gravita. Pas-
sanna li novi misi , parturìsci e fa un bedda figghia
màsculu« Chi cci avia a darì a sta picciriddu, ca avia
lu pettu siccu ? * Nni parrà cu so marito, e stabiliscinu
di livarisillu : " tantu pi tanta (dicinu) 'un avemu chi
ed darì ,.
Mettinu dintra 'na cascittina stu picciriddu cu la
chiavuzza appizzata ' , e la jèccanu a mari A mail
sta cascittina strapurtata di ccà, strapurtata di ddà,
r abbistau un capitanu e' un bastimentu; fa catari 'na
lancia cu li marinara, e la va a pigghia. Grapi, e trova
stu picciriddu, beddu, beddu, di biddizzi rari. — ** Poviru
picciriddu ! (dici) jittatu accussì a Ddiu e a la vintura! ^
Lu porta a lu so paisi, scinni e cci lu fa vìdiri a so
mugghieri. Iddi, figghi nn' avianu dui; — ** E unu tri ! »
dicinu; e lu cuminciaru a tèniri pi ii^hiu.
* Vivac^^hiavano Dio sa coiufi, cioè miserabilmente. La firase: Ddiu
lu sapi ecc. è tradisioaale e corro spicialmente in bocca a qualche
povero limosinante, il quale grida cosi: Dioutelii, fjLcitiìnilla la
carità, ca haju du" picciriddi dìjuni , ca Biiu lu sapi e Mira
Santissimi, !
* Che latte poteva dare a questo bambino lei che area le mam-
melle secche (senza una goccia di latte)?!
' Col chiavino attaccato (messo dentro la toppa).
Ln PICCIRIDDU DIVOTU 223
Stu picciriddu criscia di jornu 'n jornu, e jucava e
si divirtia cu li, so' fratuzzi (pirchi ìddu sapia ca chiddi
cci vinìanu frati). Li picciriddi, si sapi, ora su' 'n paci,
ora su' sciarriali. 'Na jurnata, mentri si custianavanu '
'nta iddi, unu di li flgghi di lu capitana si lassò diri:
— ' Iddu tu cu' si' a la me casa ? Sa' di cu' si' figghiu,
e uni veni a 'ncueti ccà a nuàtri ?.., , Lu picciriddu 'un
ni vosi cchiù , va nni so patri , e vosi cuntatu una di
tutta. Comu 'ntisi ca iddu 'un cci vinta patri : — "E
quann' è chissu (dici), io mi nni vogghiu jiri di sta
casa „. — " No, %ghiu mio, chi dici ? , -" Nenti, nenti,
0 mi nni facili jiri, o mi nni vaju io ,. E 'un cci fu versu
di trattinillu.
'Nca lu capitanu cci delti 'na bona sumaia di dinari,
un bellu cavallu, e " lu Signuri l' accumpagna * ! ,.
Parti senza manca sapiri unni java , e misi a fari lu
gran caminu. Camina, camina, arriva 'ni' dn paisi e si
ferma. Ddà, cu li dinari eh' avia, si misi a niguziari; e
ii nigozii cci javanu 'n favuri , e si fici riccu. Ddoppu
tempu iju e iju 'nta 'n àutru paisl. Si ferma , e fa 'n
àutru nigoziu ; e li cosi cci javanu sempri 'n favori.
Già avia crisciutu ed era un beddu gìuvini; dici : —
* E di sti dinari chi nni fazzu? sugnu sulu.,.. „ Parti,
e va pi li so' camini. Strata facennu trova 'na chiesa
abbannunalizza, ca l'erva cci avia crisciutu àuta, tantu
e lu pilrulizzu 'nnumiràbbuli *. Chiama genti , e pa-
' S queeiUonavano, ei'ano a contesa.
' (E Io congedò COI dirgli:) Il Signore t'accompagni!
' Cammin (kcendo, s'incontra in una chiesa abbandonala, attorno
alla quale l'evbe eran craaciute alte così fé qui il novelliere faaa
I '
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%
224 FIABE E LEGGENDE
gannii fici livari tutti ddi petri e tutta dd* erva. S' ac-
catta un pezzu dì pani, un pezzu di ricotta, si fa dari
un gottu d* acqua, e trasi *iita dda chiesa. Dici a li vi-
cini : — " Io mi restu ccù dintra ; vuàtri chiujitinai di
fora, e po' jittati la chiavi a mari, cà io nun nèsciu pi
ora „; e spartiu tutti li so' ricchizzi 'nta iddi e *nta li
poviri chi potti attruvari. Finiu ; trasiu ddà dintra , e
nuddu pinsò cchiù a stu giuvini.
Ddoppu tempu, ma assai, assai, li piscaturi'javanu
vinnennu pisci ; un parrinu ddà vicinu dda chiesa si
accattò un bellu pisci grossu e si lu misi a'nnittari \
Va pi tagghiàricci la panza, a lu pisci, e cci trova 'na
^ '. chiavi. — *" Oh! 'na chiavi !... Giista pari la chiavi di sta
chiesa abbannunata: vògghiu vìdiri „. Va a la chiesa,
'nfila, e la porta di la chiesa si grapi. Trasi, e chi vidi?
vidi ddu giuvini addinucchiatu davanti lu Cruciftssu
ca lu prigava cu tuttu lu cori; e un pezzu di pani, di
ricotta e un gottu d*acqua pusati a li pedi di l'artarL
Lu parrinu stunò; 'ncugna adàciu adàciu, e manou appi
curaggia di chiamari a stu santa divotu. Sabbila nni
duna parti a lu vìspicu, e lu vìspicu fu prontu a jillu
a vìdiri. 'Nta mentri 'na palumma trasi di fora , e si
va a posa supra la spadda di lu giuvini. 'Na prucis-
sioni di Cardinala si lu veni a pigghia, si lu metti 'nta
lu menzu , e si lu porta a Roma , cà già iddu era lu
* Papa; pirchì dda palumma era lu Spiritu Santu 'n pir-
suna. Stu santu Papa fici subbitu un bannu: ca cu'
aegno alzando la mano aperta per significare quanto era cresciuta
alta sul terreno VerhaJ, e i sassi erano senza fine.
^ A ripulire delle lische.
!
p4
^ * J' à
LU riCGlRIDDU DIVOTU "zSiit
■dvia piccali grossi e vulia jirisi a cunfìssari cu iddu,
accurdava tri jorna di cunfissioni. A litania curreru li
genti, pi jirisi a cunfìssari. 'Nta l'àutri cu' cci ìju? So
patri e so matri , ca di lu rimorsu d' aviri jittatu lu
figghiu a mari, 'un avianu avutvi cuetu mai. Si cunfls-
saru, e ddoppu l'assuluzioni lu Papa si cci fìci accanù-
sciri pi so %ghiu.E iddi, jittànnusi facci pri terra, 'un
putìanu cchiìi d' addumannari grazia e pirdunu. £ iu
figghìu li pirdunau; ma a li tri jorna lu Signori si la
chiamau 'n paraddìsu.
Fìcaraezi ^.
VARIANTI E RISCONTRI
Si rawìcini a Lu puvireddu di Polizzi- Generosa-, n. CXII
deHe Fiabe siciliwe. dore un poverello si mette in ria per an-
dare in paradiso ; all' LXXXVl de' SieU. Màrcken della Gon-
ZENBACH : Von dem frommen Kinde; alla XXV delle mie No-
velle toscane: Il dito che va a cercare il paradiso; al I. dei
MSrchen und Sagen dello Schneller ; Ber Herrgott von Bdu-
chlein.
Del resto vedi Lu Signuri di Luca, n. Lll di questo volume.
■ lUccontata dal contadino Serafino Ogliastro, inteso Peppi IfASm,
0. PiTRÈ. — Fiabe e Leggende.
#•
• >
r
1
226
LIV.
Li dui Yurdunara.
Una vota si raccunta, e lu beddu cuntu è chistiu
Ce' eranu dui cumpari vurdunara, chi cu la rètiiu
di li muli ^ jianu a carriari frummentu *ntra un pais
vicinu. 'Na jurnata di Dumìnica eranu junti vicinu ^m
chiesa, e unu di li dui dissi all' àutru : — * Guinpari
iu mi vogghiu ììn a sentiri la missa. Gei vuliti vèniri
vui ? A.ttaccati all'arvulu li vestii, ca nni jemu a sen-
tiri la missa ». * — Lu cumpari scantànnusi ca coi ar-
rubbavanu li muli carricati di frummentu, cci rìspusi ca
nun si lini vulia sentiri, ma 'nveci si dicia lu rusariu, *
e guardava li muli carricati. Gcussì ficiru : una si nni
iju a la missa 'ntra dda chiesa 'n campagna, e Pàutru
si dicia lu rusariu.
Ddoppu stu fattu, 'na jumata cci scurau pri la via. *
Era mezzanotti e si truvaru pri via vicinu lu 'nfernu*
Vidianu 'na gran carcàra di focu , e tanti diavuli chi
Tattizzavanu cuntinuamenti.
f A sta vista si spavintàru e s'ammucciaru ^ntra la
gran catasta di Ugna ammunziddati ddà vicinu. E chi
^ Rètina di muli^ redina di muli, salmeria.
' Legate le bestie (L muli) ali* albero , e ce ne andiamo a udir la
messa.
» Cd rispusi, gli rispose che non voleva udirne (messa) ; ma in-
vece (di messa) avrebbe recitato il rosario.
* Un giorno trovandosi essi in via si fece sera.
U Din TUHDUNARA 217
vittinu ? Cu' pniija Ugna, cui stiddiava zucchi, aù por-
tava ligna virdi e l'ammunziddava , cui purtava pag-
ghia, cui purtava frasca, cui sarmenta, cui trava e ciar-
vuni, cui ddisa; 'nsumma cc'era un vaja-vaja ea facia
spaventu. ' Ddoppu un pezzu, s' arricugghiu lu capu dì
tutti, e facia l'eppròsitì ' a chiddi chi travagghtavanu.
Poi dissi : — " Ora si fa la smunta : vuàtri jìti 'ntra lu
munnu a pi^hiari l'anni ddannati, e chiddi di lu munnu
vennu a dari focu. Ma mali pri vuàtri sì dumani notti
nun purtati armi ddannati! e guai a chìddi chi ora
chiamu e nun ni portanu !.„ ,
S' assetta davanti la vucca di la carcàra, supra un
zuccu dì cerza, a lu lustra; si metti 1' ucchialì e poi
chiama: — ' Farfareddu! , — 'Chi cumanna? — " Porta
lu libbra quanta chiamu ìi picciotti; ' è ara dì smun-
tari a chisti, chi su' troppu stanchi dì dari focu, e pir-
ciò r armuzzi di ddocu jintra nun gridanu cchifi, prie-
chi manca !u focu. „ '
Farfareddu cci porta lu libbra, e lu vecchiu capu-dia-
vulu cumincia a leggiri U nomi : — " Virseriu ! „ A sta
parola alfaccia un laìdu diavulazzu e si prisenta : —
' Chi porgeva legna, chi sch^giava tronchi d'alberi, chi portava
Icgne verdi e le ammucchiava, chi portava paglia , chi frasca , chi
sermenti, chi travi e Btronconi fciarvuni), chi ampelodesmo; insom-
ma era un viavai spaventevole.
• Epprùsiti, lo stesso che appròsiti, prosit, evviva.
' Porta qui il registro (dei diavoli) per far r appello dei giovani
cioè (dei diavoli).
• Notisi che la necessità di dar riposo a' diavoli di serviao, il capo
diavolo la vede dal cessare delle grida dei dannati, ai quali e venuto
meno il fuoco tormeatatoi-c dei diavoli stanchi.
,t
228 FIABE E LEGGENDE
'^ Cumanna, su' patroni ?«-*-' Dimmi chi ha' fattu oj
tu 'ntra lu munnu ?» — * Signurì, staju cuntrastannu
cu lu Re, ca cci fici vèniri 'ntra 'na gamtoa 'na finita
chi duna duluri forti, e nuddu medica cci la pò curarif
senza sapiri chi la* marva a dicoziohi , che è cosa di
nenti, cci la fa passari „.— Beni, risposi lo capo-dia-
volo; scàncio di tia, ora cci va Serra-serra, e tu duni
foco ddoco, e smontalo „. Poi sicotau a leggiri 'napoea
di nomi di diavoli, ca manco si putiano cantari; e tutti
si trovavano pronti a la chiamata.
Àirortimo chiamao a Farconi, e si vitti vèniri mi
diavolazzo laido e sconcirtoso , co 'n esercita di dia-
voli, chi portavano armi a lo 'nfemo, eia capocUSaru
cafoddava ^ pri vidiri si cpialchidono era senza arma
pri lo 'nfemo. 'Ntra l'àotri imo di chiddi 'on avia arma
'n coddu; lo capo-diavolo, co lo nervo a li mano, Taf*
ferra : — * Eh vacabbonno scilirato ! chi ha' fatta 'na
jumata ?.... „ E ddoco si misi: nirvati tirribboli, ca ddu;
diavolo si stricava 'n terra bistimìanno senza numianu
Qoanno si potti sosirì, sata di ccà e di ddà pri guar-
dàrisi li botti. E donni arriva ? onn' erano li doi vur-
donara: e pri difinnìrìsi tintao di carricàrisi a chiddu
chi s' avia 'ntiso la missa ; ma era tanto gravoso ca
non appi la forza di movilio. Lassa jirì a iddo e pig-
ghia ali'àutru, chiddu di lo rosario. Ghìsto era leggio
e si lo carricao sobbito, e lo portao a lo capo-diavalu.
Lo capo-diavolo si coitau e pusau lu nervu. 'Ntra un
vìdiri e sediti lu diavuio jetta lo vordonaro 'ntra la
^ E LucifeTO ^ capodiayolo) zombava.
LI DUI VtBDUMAHA SfXi
carcàra; ddà lu Vurdunani flci 'na vampa comu un filu
di pa^hia', e un fetu chifacia scuncirtari. Lu capu-
cifaru ficì smuntali li carcarara, mannau 'ntra lu munnu
'n' àutra partita di diavuli , chiudia lu libbra e sì
nni iju.
Jamu a lu vurdunaru, chi s'avia 'ntìsu la missa. Chistu
vidennu la cosa sicutau a caminari pri l'affari sol. Ar-
rìvannu a lu so paisi, si. misi a 'nfurmari cu' era ma-
lato: e lu jia a visitari e poi lu midicava cu i' ci-vi chi
. avia 'ntisu a lu 'nfernu, e li facia stari boni a tutti.
Sta cosa iju a 1' oricchi di lu Re , e stu Re avia 'na
chiaga 'ntra la gamma, e mannau a chiamari a lu vur-
dunara. Iddu, chi sapia la cosa, pigghiau 'na troffa di
marva, la vi:^h[u e cu dd'acqua cci misi a fari va- ■
gnoli. Lu 'nnumani lu Re era bonu, e cci dumannau:
— " Chi grazia vdi pri cliiddu chi m' ha' fattu ? „ Lu
vurdunaru, 'spertu e maliziusu, cci rispunniu: — " Vog-
ghiu 'na sarma di muniti d'om ed essiri vicerrè mentri
ca sugnu vivu ,.
Lu Re nun si potti jittari 'nnarreri, e perciò cci ac-
curdau la grazia.
Iddu ristau filici e cunlenti,
E nuàtri semu ccà senza di nenli.
Prizzi. '
VARIANTI E RISCONTRI.
H fondo di quesla leggenda può riscontrarsi ne lA dui cum-
pari di Noto , n. LXV delle mie lìabe siciliane ; tuttavia le
TBiianfaitD meduL
11£ T3Lt::C0ÌbD
II
qialirij mnìL rìy-.agsiìnQf ime di
BtoàuBSL owerL. ascanai l'altro.
iopD li ■ IMI III de! fisFOÉc:' fimi:- carc^ajisnu
mondo. «BSte al ccmàliaiMMi òel daroL t&
li i^^pndk eoe ima dilki «r^ tona
«rrkrih. L
L'Anoiln e la Morti.
"Na vota cci fu 'n cavaleri; stu cavaleri era ric-
chìssimu , e siccuomu avia 'n cori granni facia la gran
limuosina, e facia camparì a tanti puurìeddL
*Na vota lu Signori mannau a 'n ancUu e 'a Morti
e cci dissi :— ■ Va pigiati l'arma di ddu tali cavaleri,
€ m' 'a purtati ,. L'ancila e la Morti vìnninu 'nta stu
munnu e vlttinu d cavaleri 'nta 'nu barconi, e di sutta
ce' èrunu 'na picca di puurieddi. — " Pirchì , disdna
l' andlu e la Morti, nn' fimo a piggiari l' arma di sta
cavaleri, mentri ca campa a tanti puurieddi ? , E chi
tìcinu ? vìttinu ca ce' era 'n viècciu; si pipami l'arma
di stu viècciu e la purtarru ò Signuri. Lu S^uri chi
avia bisuognu ca cci avièono a diri ca chidda era l'arma
d' 6 viècciu^? Si nn' addunau allura, e cci dissi a l'an-
cHu e à Morti : — ' Pirchi mi purtastru l'arma dì stu
poviru vicciarieddu ? In 'n vulia eh idda d' 6 cavaleri ? ,
Risposi l'ancilu:— " Patri Maistru, ' ddu cavaleri dima
manciari a tanti puurieddi ; puoi cu' li campa, si nni
p^Igiamu l'arma di stu cavaleri ? , Ha rispuostu lu Si-
gnuri e coi ha dittu : — 'E tu chi 'n lu sai ' ca Io
viècciu campava a tri sooro ? va ora, vatinni , e va
< Si noti che l' angelo e ia Morte chiamano qui Maettro Dio come
gli Apostoli e gU uomini chiamano Gesù Oìrto nd ciclo delle leg-
gende in cui il Salvatore va pel mondo (nn. XXVUI-L).
* B tu chi 'n lu sai, e tu cbe noi sai?.... non sai tul...
232 FIABE E LEGGENDE
campa tu a sti tri suoni ». L'ancilu si nnì iju e s'ad-
duvau prima picuraru , puoi varda-puorci , puoi iar-
zuni, * e puoi curatulu*; " al? urtimu si nni iju 'nta 'n
cavaleri e cci dissi^-^ "Quanta ini dati ca staju cu
vui ? , Lù cavaleri cci rispusi : — "Vi dugnu quattru
tummina di furraìentu, dudici tari, e du* ricotti ó
itlisi, • ^'
Ora rancìlu ^yià a campari è tri suoru sin* a tantu
ca duvia campari *u viècciu. Iddu olii fici ? cuomu lu
cavaleri cci desi la j^imata ijij di notti 'nt* a casa d' 6
Viècciu e cci misi Ma 'na cascia , sutta 'na picca di
stuppat lu ftirmientu; supra la stuppa 'u piattu cu 'i
, dfct*" ricotti, e sutta 'tr* jììattu 'n dudici tari d' argentu.
'\^l Là matìna, comu 'f tìi suoni s' annispiggiarni, e vit-
tìiiu supra là' stùi)pà stu piattu cu 'a ricotta, sa iddu
eli cci parsi 1 spincienru 'u piattu e tnivarru 'u dudici
tari, puoi ierru pi piggiari 'a stuppa pi Alalia e tni-
vami lu furmentu. Prestu prestu si nni ienni 'nt' ó cun^
fissuri e cci cuhtanru tutti cosi. Lu cunfissuri cci dissi:
— * Ch' àta fattu malu ? eh' àt' avutu 'ntrichi cu eoe-
^ {^'angelo se né andò, e si allogò prima (come) pecoraio, poi (co-
me) ^uarda-porci, poi (come) garzone, e poi come castaido.
. * Notiid qui -uno dei pagamenti che nel Ragusano si sogliono dare
a' chi 8i mette ft* servigi d' mi signore. L' angelo finto contadino
deve serTh*e il cavaliere, ed il cav^ere ^li darà: quatti'o tumoli di
.frumento, dodi^ tad,(L.'6.10) e due rìootte al mese.
" La maiina^ la mattina, come le tre sorelle si svegliarono e vi-
dato stdla stopiia questo piatto eoa la ricotta, chi sa (sa idduJ che
ooBa parve locoX alEanxu) il piatto, e trovarono il dodici tari ; poi
andarono (ierrtif per prendere la stoppa per filarla, e trovarono il
frumento;
L AXCILU E LA MORTI Z3S
canino ? „ ^ — " Nonsijnuri ! , eci dissina chiddi.— ' Al-
lupa vi nni putiti serviri, ■ cci dissi lu cunflssuri; chissà
è pruudienza di Diu ,. Li tri suoru accussi ficinu : 'ì
ricotti s' 'i manoìami, 'u dudici tari s' 'u spisunu e d' ò
frumientu si nni ficinu 'u pani; ' e accussi fìcinu sem-
pri ; pirchì 1' ancilu ogni misi cci portava li quattro
tummina, li dui ricotti, e 'i dudici tari. Però l' ancilu
'a fici sta cosa sina ca vinni lo tiempo quannu duvia
mòrriri 'o vìècciu; * puoi chi fici? la prima jurnata ca
nun eci tuccava di purtallu ddà, ' fici tu pani 'nt' 'a
casa d' ó cavaleri stessu. Mentri ca 'u pani era 'nt' ò
forno trasiu 'u cavaleri 'nt' 'a cucina e dissi : — " Oh!
chi sciauru di paradiso ca eci fa ccà ! Chi stai fànnu
Anello ? „ ' — ' Lu pani, cà dissi l'ancilu, staju fàuno.
— ' M"u doni 'n pizzuddu ? , cci dissi 'u cavaleri; e
' CK Sta f<atu malu t Avete voi Mto del male ? Avete avuto da
f^re con qualcuno !
* Allora ve ne potete servire (potets godervi quello che avete tro-
vato).
> Li tri suortt, le tre sorelle cos'i Tecero (cioè seguiroDO i consigli
del confesaore): le ricotte le mangiarono, il Uodid tari lo speaero, e
del ntimento ae ne fecei'O del pane.
< Però (bisogna nolare che) l'angelo fece questa cosa {dì stare ai
servizi del cavaliere e di passare alle orfkne del vecchio morto la sua
giornaliera mercede) fino (a tanto che) venne 11 tempo in cui il vec-
cliio dovea (avrebbe dovuto) morire.
■> La prima giornata che non gli toccava (che egli non avea più
l'obbligo) di portarlo *\\ frumento eco.) ià (alle Borelie).
* Oh che odore di paradiso Ik qui \ Che (cosa) stai facendo , An-
gelo ? — Pare che qui la voce di Atteilu sia nome proprio e non già
comune, essendo ctiiaro che il cavaUere non sospetti neppure di
avere ai servizi un angelo.
234
FIABE E LECNSENDE
Tancilu cci dissi : — ' Avanti ca mandati di stu pani,
v' àt' a cimfissari , e v' àt' a luvari tutti li piccati chi
aviti *,.
Guomu cci dissi accussì, l'ancilu spirìu.
Ragusa Inferiore *.
* Avanti^ prima che mangiate di questo pane, vi dovete confes-
sare, e levare tatti i peccati che avete.
* Raccolta dal D.r Ra£Eaele Solarino.
■ j-
LVL
S. Hartlnn.
Cc'era 'na vota un patri dì famigghia, ca si chiamava
Martinu, ed avia dui %ghi màsculi.
Stu Martinu avia la dispensa china di vinu.
Una nuttata , pensu ca sìnteva siti , e si iju a'ppiz-
zari a 'na stipa di vinu. '■ Nudu nudu va 'nta lu ma-
gasenu e s'afffmcia. ' Comu sì misi a viviri, si 'nzala-
m'u, ' e cadiu 'n terra. La mugghierì 'un si vitti lu ma-
ritu 'nt'ò lettu, e chiamò a li so' flgghi ; — " Tò patri
unn'è? ,. * Si susi lu cchiù granni e va 'n cerca dlsÒ
patri; e lu va a trova 'nta la me^asenu jittatu 'n terra
nudu nudu; si misi a rìdiri e si nni iju nni l'àutru frati:
— ' Sai!... Lu patri è jittatu 'nta lu mt^^asenu nudu
nudu f. Lu frati nicu si susi, p^hia la manta dì la
lettu, cci trasi 'nnarreri 'nnarreri, e lu va a cummf^-
ghia. ' Quannu lu patri rivinni e s' arrusbigghiao, si
tmvò cummi^hiatu 'nt'à dìspenza; si susi e va nni li
so' figgili: — " Cu' fu chi mi cummi^hiau ? , Rispunni
1 Si ITU, andò ad attaccar» tUla cannella di una botte di vìdo.
* E a'attacca con la bocca (alla cannella della botta, e ù inetto a
bere),
' Stordi im poco (col vino).
' Tuo (vostro) padre dov'è!
" n fratello piccolo si alza, prende la coperta del letto, entra (dove
il padre giaceva ubbriaco per terra , con la faccia) in dietro ; e va
a coprirlo.
236 FIABE E LEGGENDE
lu nicu: — " Vinni (comu dicissimu) ^ Ninu, e mi vinni
a diri ca èravu nudu. Haju pigghiatu la manta, e 'nnar-
reri 'nnarreri v'haju cummigghiatu. Iddu vinni ridennu
ridennu , ed io tantu dispiaciutu „. Pigghiò lu patri e
mmalidiciu a lu granni ; e a lu nicu lu binidiciu.
E chistu è lu cuntu di S. Martinu.
Bagheria. ^
VARIANTI E RISCONTRI.
Richiama alla storia di Noè ubbriaco e coperto d'un pallio
da Sem e Jafet, come si legge nella Genesi, e. IX, vv. 21-27.
V'è in embrione la storia di S. Martino vescovo, di cui una
versione popolare di Ghiaramonte è in Gdastella, Le Parità,
p. 2S0, J; ed un'altra nelle mie Fiabe sic, n. GGXGII, ripor-
tata in italiano nei miei Spettacoli e Feste, p. 410.
* Come diremmo, (per dire un nome; p. esempio).
* Raccontata da Angela Puleo.
La Llmpìa dì Sant'Agàti '.
Sant'Agàti avia faltu vutu di virginità, e so patri la
vulia maritari pi forza, 'Na vota idda pi tivarisìltu di
'n coddu cci dissi:—' Ora tannu io mi maritu, quannu
finiscìu di tessiri sta pezza di ti!a ,. Lu patri cci critli.
Ora idda chi facia? Lujomu travagghiava a tessiri,
e la notti poi scusia luttu chiddu ch'avia travaggtiiatu.
Lo jornu ammi:^ghiava, e la notti scusia; sbrugghiava
e jinchia lu sì^ghiu.
E pi chistu quannu ce' è 'na cosa eh' 'un si finisci
mai si soli diri la lirapia di Sant' Agàti.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRL
Salta agli occhi di tutti la rassomiglianza della presente leg-
genda con la nota storia di Penelope e della sua tela. Que-
sta stessa leggenda è stata riferita in ilaliano nel mio Saggio
' Lìmpia, sostantivo femm., corrotto dalla voce Grimpia , oggi
forse non più usato, m^ che lino a' tempi di 0. F. degli Omodei,
sec. XVI, significava it velo di S. Agata (Vedi la sua Descrizione
della SùHlia, lib. I.). IM cosa lunga, Intemiinalnle, usa dirsi; Longa
comu la fila di S, Agati.
Glipa e glimpa si legge anche in alcuni contratti nuziali del se-
colo XIV in Palermo, come quelli del 1293-99 pubblicati dallo Stas-
RAIWA , Arch. slor. sic, nuova serie, an. VUI, pp. 175 e 178, e la
nota 177, n. 1. —In Roma r>ippa o nimpi è un velo bianco che il
caudatario porta sopra le spalle quando segue il suo cardinale nella
festa del Corpus Domini. Vedi Palomba, Li Eomani ^ Bontà,
p. 103. Roma, 1881.
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238 * FIABE E LEGGENDE
^ di Feste popolari sicUianey § S> AgtUa ; nelle Nuove Effeme-
ridi siciliane, serie IH, voL V, pag. 75-76 (Palermo, 1877) e
nel YoL di Spettacoli e Feste, p. 194.
D fatto è nell' Odissea, U, 90, dove uno dei Proci narra cosi
(traduz. di Paolo Maspero):
Udite frodi
Ch^ella seppe inventar. Nella segreta
Sua stanza un^ampia smisurata tela
Ordito ayendo, a sé ne chiama e dice:
Giovani, amanti miei, poiché il divino
Ulisse è spento, tanto almen vi piaccia
Le mie nozze indugiar, che a fin conduca
Questo funereo manto al buon Laerte.
(E la trama sottil non si scomponga)
Ove giaccia il suo corpo, allorché il fato,
Apportator d'eterno sonno, il colga....
Con simil fola agevolmente i nostri
Animi persuase. Intanto il giorno
Tessea la tela e la stessea la notte
I Delle tàd al chiaror
ri
I *
1 •
II
239
LMH.
Santa Barbara.
Ce* era un patri , eh' avia 'na figghia. Stu patri 'na
vota si 'nsunnau ca so figghia avia a mòriuri c'un tronu;
e iddu, p' 'un cci succediri sta disgrazia , cci fici fari
'na casa di chiummu 'n campagna. Finuta sta casa, cci
chiuìju la figghia e cci detti la chiavi a idda stissa: —
• Quannu finisci di truniari, * e ti pari a tia, nesci e ti
nni veni a casa ». E iddu si nni turno a la casa.
Comu turno, cuminzò a chioviri, a lampiari, a tru-
niari tirribbili. * A Barbara cci parrava lu cori, ca 'nta
dda casa di chiummu avia a mòriri: e chi fa ? grapi,
e si nni nesci 'mmenzu la chianura. Comu nisciu , si
iju a'ddinucchiari ddà 'mmenzu, e si misi a prigari ;
ddoppu chi si culau tutta, bbuhm ! un tronu cci squàg-
ghia la casa, e cci cadi davanzi la facci a idda, senza
mancu munistalla \
E pi chissu quannu cci su' trona si chiama a Santa
Barbara cu dìricci:
Santa Barbara 'n campu stava,
Né di trona né di lampi si scantava.
^ AppejQa cesserà di tonare.
* CoWflciò a piovere, a lampeggiare, a tuonare terribilmente.
■ Ddoppu chi si culau tutta , dopo che fu tutta bagnata (dalla
pioggia), im fulmine si scarica sulla casetta (di piombo), e gliela squa-
glia, e le piomba innanzi senza neppur molestarla.
a1
340 FIABE E LEGGENDE
Trona e lampi, stativi arrassu:
Chista è la casa di Sanlu 'Giiassu '.
Palermo
VARIANTI E RISCONTRI.
Una traduzione libera di questa leggenrhiola è nel voi. IH
de* miei Usi e Cofdumi: Meteorologia, e. VII: / lampi e i tuoni,
ove son pure varie orazioni a S. Barbara protettrice dei mi-
nacciati dal fulmine.
^ Santo Ignazio.
* Raccontata da CJoncetta Piiino cameriera.
S. Calòjaru '.
'Na vota cci fu un cacciaturi, ca un jornu di ch-stì
y a caccia n'On vuosca. Mentri cacciava ni sta vuoseu,
vitti 'na cèriva °; subbiti! para la filèccia e tira , e la
'ntrizza ' ni lu cuoddu , e cci lu spìrlusà' di banna e
banna *. La cèriva allura scappa' e sì ij' a 'nfilari jintra
'na grutta. Lu cacciaturi si n'addunà', e subbitu cci ij',
e comu ti'asi' vitti a un viecchiu cu la cèriva allatu, cu
la vàriva " longa longa e la facci niura comu la pici,
Lu cacciaturi cci dumannà' a stu viecchiu:—" Vu' cu'
siti, boti viecchiu ? „ — ' Io sugnu Calòjaru, frati di Santu
Ddecu di Ganiatti * e di San Giurlannu di Giui^enti ,.
Lu cacciaturi cci dumannà' pirdunu di l'offlsa chi cci
avia fattu cu tirar! la filèccia a la so cèriva. San Calò-
jaru la pirdunà' e cci urdinà' di jìri a Naru, e di cun-
tari sta cosa dduoppu un puocu d'anni.
Lu cacciaturi vinni a Naru e dduoppu 'napuocu di
anni svila' sta sigretu. Li Narisi allura e 'napuocu di
parrini videmma jeru cu ddu cacciaturi a la grutta, e
allocu di truvari lu rimitu truvaru l'ossa di S. Calòjaru
e si li purtaru a lu paìsi cu 'na gran festa. Naro '.
' S. Calogero.
* Cèrioa per cerva, cerva.
' E la colpisce ('niriJ3<ii=indirizza).
* E cci Jm spiHusà', e glielo trafisse da parte a parte.
' Vàrìoa per vanta, barba.
* Fratello ili S. Didaco di C«picatd,
■ Raccontata da Antonio Barragato.
Q, PiTRÈ. — Siabe e Leggemie. 16
24S FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
l Secondo la credenza di una parte del popolo di Girgenti j
santi fratelli sarebbero stati quattro, tutti e quattro chiamati
Calogero: S. Calogero di Girgenti, S. C. di Sciacca, S. G. di
Licata, S. C. di Naro; ma il più miracoloso tra tutti sarebbe
stato Tagrigentino; sulla cui festa si potrà leggere un art dd-
Y Archivio delle trad. pop., v. VI, p. 73.
La vuttf di San Oiurlannu *
Cc'era 'na vota un gran latra, ma latru di passu, chi
si chiamava Gìiirlannu. Stu Gìurlannu arrabbava, am-
mazzava di tutt'uri, ed era lu tirruri di li campagni.
'Na jurnata si spersi, e si 'mmuscò 'nt'ón voscu. Ca-
mina, camina, vitti 'na capanna... ca cc'era un rimitu;
dici: — " Santu rimitu, io sugnu un gran latra, eh'haju
fattu ciiianciri cintinara di famigglù „. Arrispunni lu
rimilu:^ — " Zoccu 'un vò' pi tia, ad àutru nun fari „. '
Giurlannu sintennu sta cosa si misi 'n pinseri, e s'ab-
bìò pi la so casa *.
Stu Giurlannu avia la matrì eh' era 'ncantinera (ta-
vimara, dìcemu nui) : vinnia vinu, e cci jàvanu a vì-
viri tutti sorti di pirsuni *, Lu fi^iiiu trasi e si nn'ac-
chiana drittu tiratu susu sernpri pinsannu zoccu cci
avia dittu lu rimitu. Li latri chi facianu lija cu iddu ",
'un vidèmiulu cumpàriri, jeru nna lu paisi a circallu a
a so casa. 'Ncugnanu nna la taverna: — "Ah ! cum-
pari Giurlannu ! Ah cumpari Giurlannu ! „ Affaccia
Giurlannu di la finestra ; dici:—" Chi vuliti ? ,— ' Chi
' La botte di S. Gerlando.
■ Qtwd libi non vis, alien n
' S'avviò per la casa sua.
' Questa cantiniera Tcndea vi
do), ogni sorta di pcraone.
' I ladri che accano lega coi
da lei, a bere {del
244 FUBE E LEGGENDE
veni a diri chi vuliti ?... E cliista eh' è manera di las-
sar! 'n Iridici li galantomini ? „ ^ Rispunni Giurlanna:
— " Zoccu 'un vò' pi tia ad àutru nun fari „, e si 'nP^ù
dintra. — ** Gumpari Giurìannu ! Ah cumpari Giurian-
nu !... „ Affaccia arreri Giurìannu , e cci arrispunni la
stissa cosa. — " Santu di ccà e di ddà !... ^ 'Unca iddu
accussì la pensa? S'affaccia arrori, facòmucci 'na vam-
pa.... „ '. Mettinu lì scupetti 'n sirragghiu * : — " Gum-
pari Giurìannu ! Ah cumpari Giurìannu ! „ Gomu cum-
pari Giurìannu affaccia e dici: zoccu 'un vó' pi tia^ ad
àutru nun fari, bbum ! jèttanu cu 'na scupi ttatuna, e
lu stinKÌcchianu ^n terra ^, Né gattu fu, né dammàggiu
flci \
La povira matri comu si vitti lu figghiu mortu , pi
'na manu nn'appi 'na gran pena, ca 'un si putia dari
paci, pi Vàutra manu pinsò d^ ^un ni fari sapiri nei .1
a la Giustizia, masinnò cci trasia puru idda. E chi fa ?
fa un fossu sutta ^na gran vutti di vinu, 'nta la 'ncan-
tina, e cci vòrrica a so figgliiu: cci jetta terra di supra,
e di supra cci misi la vutti.
^ È modo, questo, di lasciare in asso i galantuomini?
* Santu di ccà e di ddà! bestemmia velata, nella quale si voi*"
rebbe santificare il diavolo.Trattandosi di racconto la novellatrice noa
dice la bestemmia de' ladri adirati della inesplicabile conversione e
dell'inatteso ritiro di Gerlando; ma la fa supporre.
^ Facciamogli (a Gerlando) una fiammata (intendi: facciamogli una
scarica di schioppi).
* Mettono gli scliioppi a tutto punto.
* Tirano una grande schioppettata e lo stendono (morto) per
terra.
* Modo prov. che significa: la cosa passò senza rumore, in silenzio.
Là VBTTI DI SAN GIURLANNU 245
Ora cu ddu catàvaru 'nta la taverna, lu fetu s'avia
a mòriri ', 'Un fu accussi. Ddoppu jorna si cumincia
a sentiri un ciàuru, ea era 'na cosa bella assai. La matrì
di Giurlannu avia a vinniri vinu, spinocela la vutti e
nesci un vinu, ma un vinu eh' 'un sì nn'ha vistu mai:
un sapuri eh' 'un cc'è l'aguali. Sintennu ea cc'era stu
bellu vinu, tutti currianu a 'cealtàrinni; e la matri di
. Giurlanna cuminciò ad aviri 'na vtnnita sforamodu '.
Jamu ca la vutti 'un vinia mai a fini: echiù si livava
vinu, cchiù china si truvava. La cosa si sappi , e chi
è, chi nun è ? vinni a l'aricchi di la Giustizia. Va la Giu-
stizia nna sta 'ncantina, e fa livari la vutti ; scava, e
chi trova ? lu catàvaru di Giurlannu ancora ffiscu co-
ma s'avissi mortu allora, e'un bellu gig'ghia chi cci ni-
scia di 'mmucca (eà iddu quannu muriu era ancora
sehettu °). Altura la matri cci cuntò tuttu lu passaggiu,
e chiddi di la Giustizia, vidennu ca Giurlannu era un
santu, ca lu Signuri l'avia fattu rividiri ', s' addinuc-
chiò e l'adurò pi santu. E la vutti ch'avia statu supra
d' iddu 'un fìniu cchiìi di dari vinu ; e pi chissu si
soli diri :
La vutti di San Giurlannu
Duna vinu tuttu l'annu.
Palermo ".
^ Ora con quel cadavere in cantica, si sarebbe dovuto morire dalla
• Tutti correano a comprare (del vino) ; e la madre di GerUndo
cornicelo ad avere una vendita straordinaria, ^sfOramodu = f\ioii
modo),
' Sckettu, qui vergine.
' Riaìdlri, ravvedere.
' Raccontata da Giuseppa Tòdaro, venditrice dì grasce.
246
VARIANTI E RISCONTRI.
Una variante chiaramontana si legge in Guastella, Le Pa-
rità, pp. 75-78; una abruzzese di Gessopalena in Finamore, No-
velle pop. abruzzesi , 2. serie , n. XVI: S, Vito, nell' Archivio
delle tradizioni pop., V. 76-77.
Di cosa che non finisca o vuoisi o credesi che non debba
finir mai si dice: E ch'è la vuUi di San Giurlannu !
{
w «^v
S. Oiaseppi e In so divotu.
'Na vota, s' amccvmta, ca morsi un gran latra, ma
latra di chiddi di passa. Stu latra era divotu di S. Giu-
seppi; e comu morsi s'arricumannò a lu so santu pra-
tìtturi. Morsi e drittu tiratu si nni iju a lu 'nferan.
Unni patia jiri ?
Comu S. Giuseppi lu 'ntisi, va nni so Figghiu, lu Si-
gnuri, e cci dici: — " Figghiu mio, morsi stu disgraziatu,
ed è a lu 'nfemu. Io vm'rissi falla nèsciri, pirchì era un
divuteddu mìo, ca 'un scappava raèrcari ca 'un mi di-
cia lu patinnostru e tanti beddi 'razioni %. — ' Ih ! patri
mio, dici lu SignurL E comu pò essìrì mai nèsciri di
lu 'nfernu? E poi, unu ca 'n vita sua nni fici tanti e
tanti !.., , — • Ma comu si fa ca io lu vog^hiu nisciutu
di li peni, e lu vog^hiu cu mia 'n paraddisu? , — * Ma
comu si fa ca io 'un vi lu vo^hiu nèsciri ? , E " io
vog^hiu „ e " io nun vog^hiu „ S, Giuseppi si siddiò,
e dissi: — ' Menti è chissu, rumpèmuia.... e 'un si nni
parrà cchiù ! V^na ccà a me mi^ghieri , cà mi nni
vo^hiu jiri. » , Dici lu Signuri:— " Patri mio, mi nni dis-
■ Ca (era cmì devoto verso di me) che non lasciava paaaare merco-
ledì senza recitarmi il patemmti'o e tante belle orazioiiì.
Sì ricordi che il giorno di mercoledi è consacrato a S. Giuseppe,
« si redtono al Santo certe orazioni proprie. I ciechi cantastorie la
Accompagnano col violino innanzi le case di quei divotii che li pa-
cano.
• UnUi, mentre (poiché) è cosi , rompiamola... e non oe ne parli
348 FIABE E LEGGENDE
piaci af?sai ca vi purtati a me mairi , ma io '\m haju
chi fari I... , — * Me mu?;/hieri, dici S. Giaseppi, liavì la
so dota, f: io la pritennu ..— * E tu' pig^hiati villa .!... »
— ■ L'Ancili su' di me mugghieri, e mi li piì?ghiu: TAr-
cancili su' di me mugghieri, e mi li pigghiu: li Chorub-
bini, li Sarafini su' di me mugghiori, e mi li pigghiu. Li
Virgirjfddi , li Patriarchi su' di me mugghieri.... .. Lu
Sigriuri stava a sentiri; d'allura la cosa cci paria cosa
di neriti: quannu vitti ca lu paraddisu cci arristava va-
canti, dici: — "E accussì chi fazzu sulu V... ,. Pinsa. ,.
pinsau, all'urtimu dissi: — ** Ora cuitatiri, patri mio, cà
lu vostru dìvotu vi lu nèsciu di lu 'nfernu „.
E accussi pi la divuzioni di S. Giuseppi Y arma di
ddu gran latru nisciu di li peni eterni, e si nni iju 'n
paraddisu.
Peti ermo
VARIANTI E RISCONTRI.
Questa fola corre anche in forma di leggenda poetica, la
qualo è una delle solite orazioni in onore di S. Giuseppe, ed
io la riferirò nelly mia nuova raccolta di canti popolari inediti.
Nel marzo del 1775 un frate riformato, certo P. Giovan Gri-
sostomrj da Termini-Imerese , patì il carcere della SS. Inqui-
sizione per aver introdotta questa stessa fola in una sua pre-
dica recitata dentro la chiesa di Santa Maria della Kalsa in
Palermo; e ci volle del bello e del buono per liberarsene senza
ulteriori suoi danni. La sua ritrattazione leggesi nel libro par-
più I iMnimi fvegna ccà=iveng3L qui) mia moglie, perchè me ne vo-
glio andare (via del paradiso.)
* liaccontata da Francesca Amato.
S, GIUSEPPI E LD SO DITOTU 218
rocchìale di?i Battesimi di detto anno , a carte 129 , autenti-
cata dal parroco D. Federico di Napoli e dal sac. D. Gaetano
Alessi, consultore della SS. Inquisiziune. Ecco, a titolo di cu-
riosità, quella ritrattazione con tutte gli spropositi grammati-
cali che la infiorano ;
" Fuere. qui magtise pietatis loco dueerent mendaciola prò
religione confingero, ut ait Ioannes Ludovicus Viwes lib. V. de
de trad. discipl. Hujusmodi hoc anno 1775 fuit frater Joannes
Chrisoslomus a Thermis Himerensibus ex Seraphiea, ut ajunt,
Reformatorum familia Sacerdos in divi Antonii Patavini extra
Imjus urbis maeiiia, per majoris joiuiiii ferias coneionator. Ac-
citus hie a Friderico Xaverio de NeapoU, hujus Paereciae Re-'
ctore, ut XIV Kalcnd. Aprilis in hoc tempio coram praeclaris-
sìmis religionis censoribus de Santissimae Gouetricis Dei spoa-
so sacram liaberet concionem, inler alia uarratiuiiculam pia-
rum nugarum refcrlam, et de penu sua conriclain effutiit, ab
Ecdesiae Patre Iraditam ventitans, in quod nimium Sancto
losepho perditissimum hominem in peccato suo morluum pa-
trocinanti, contra divina jura tribuebalur. Plurima seurriiia bla-
leravit ad portentosi mendacii confirmalionem ; quod in co
versabatur, Sanctum videlicet Christi aeternae dannationis sen-
tentiae contra nequam hominem prolatae revocationsm a ju-
dice vivorum et mortuorum oblinuisse, Dciparae ipsius Con-
iugis suae , caelitumque omnium ex Gaelesti Hierusalem di-
scessu a se procurato. Erroribus propterea rite postulatus in
paenitentiales Sanclissimiae Inquisitionis custodias traditur jusù
eorum, qui aderant, violalae Christianae (idei judicum, a qui-
bus illic de mente sua percontatus , ac tutum se expurgavit,
candide fassus se de fide recte sentire, sed ideo fabulam e-
narasse , quia ea popellum ad majora erga sanctum pietatis
250 FIABE E LEGGENDE
officio allertum ire, ratus; imprudentes sui potius religionis
causans , quam mentem Ghristianis dogmatibus reluctantem.
Sapientissimi praesules quamvis rupici bardoque homini igno-
scendum autumarint; ejusque supplicium parcendum, attamen
ad propulsandam rudis plaebeculae malesuandam fìduciam,
quae ex mendacii narrationem potuerit oriri, decreto suo Ghri-
sostomum ad Palinodiam canendam adegere. Ea propter eo-
rum jussu, Ego Gaetanus de Alessi Sanctissimae hujus Sicu-
lae Inquisitionis qualifìcator, et Gonsultor et hujus Parochiae
Cappellanus Sacramentalis retractationis Ghirografum IV no-
nas aprilis Ghrisostomo in carceribus detento subscribendum
obtuli, mox prò sugestu in hoc tempio a se recitandum. Hic
paone gravitatem non deprecatus sequo animo illud in capite,
et calce statim suo nomine obsignat; et deinde in hac sacra
Parrocchiali aede ex pulpito eodem, XV post die ex quo er-
raverat potius quam pecca verat mirahoris alacritate palinodiam
descripto perlegit adstantibus inquisitoribus et ominium ordì-
num clvibus confertissimis. Post haec per me illi indidem obnun*
tum est, ut ad suos facesseret tamdiu concionandi potestate
interdictus donec ab aliquo sicilientium Pontifico expetitus,
sacri exercendi preconii veniam expostulet ab inquisitoribus;
quos iisdem significantibus , promisi, ad revocandae prohibi-
tionis consilium descensuros, ejusque desiderio non defuturos.
* Haec omnia ut perennitatem servent , hic excripsi ; ut te-
statiorem vero apud posteros fidem mereantur, mea subscrip-
tione obsignavi ejusque qui mecum Parochiali cura collaborat.
Kalendis Januarii an. 1776 Ind. IX.
* S. T. D. D. Gaetanus Alessi Gap." Sacr.*' et Santiss." Inq.''
Sic* Qualificator et Gonsultor.
* S. T. D. D. leronimtis Irene^ Capp." Sacram.*" et SS.**
Inq.*" Qualif.' et Gonsultor „.
(Vedi Domenico Faija, Biografia dei parrochi di S. Nicolò
la Kalsa dalla origine della parrocchia sino ai nostri giorni
S. OIUSEPPI E LU SO DITOTU 251
ridotta in ordine cronologico , pag. 152, e seg. Palermo, Tip.
Barravecchk, 1877).
Questa stessa capestreria, con qualche differenza di circo-
starna, è raccontata anche per Napoli da Alessandro Dumas
nella sua storia (&i£oriont (2i ^apoft.La predica sarebbe stata
&tta sullo scorcio del secolo passalo da un P. Rocco a' laz-
zaroni di Napoli n devoto di S. Giuseppe sarebbe stato il ia-
migerato ladro e assassino Gius. MastrilU; e la diserzione dal
paradiso sarebbe stata provocata da S. Giuseppe e fatta in
massa dai Serafìni, dai Cherubini, che tenevano dietro a Ma-
ria per seguire S. Giuseppe, da Cristo, dallo Spirito Santo ecc.
per protesta contro il Signore. Vedi pure Dumas, Impressiona et
Voyagea. Le Corricòlo, I, e. XXIV: Saint Joseph. Paris, Calman
Lévy 1878, riprodotto in italiano nel Libro della Quaresima,
pp. 22-25 Roma, Perioo 1885.
Una variante spagnuola la raccolse nell' Andalusia J. A de
Torres col titolo: La Devocion de San José, cuetUo popidar,
e la pubblicò nella Enciclopedia di Siviglia, 2. epoca, an. Ili,
n. 7, 5 giugno 1879, pp. 111-116.
1
LXII.
La Bedda Matri di la Cava. ^
1 Ce' era *na vota un orvii, un ciuncu e un mutu. Sì
j parteni tutti tri cu diri : — " Si nn' avemu a jiri a fari
j un fossu ^„, cà cci abbisugnava acqua e avevanu a fari
j un puzzu. Unu si pigghiò la coffa, 'n àutru si pigghiò
■ la pala, e Tàutru si pigghiò lu zappuni. Comu junceru
' ddà ^ ca si misiru a 'zzappari pi fari stu fossu, 'ntì-
i siru 'na vuci chi dicia : " Cava, eh' attrovi „ *. E iddi
; a 'zzappari di longu. " Cava , eh' attrovi ! „ e iddi a
i . 'zzappari. " Cava, eh' attrovi ! „ e iddi echiù di eehiù a
'zzappari. Ddoppu un pezzu eh' azzappavanu, 'n funau
'n funnu Torvu s'addunò di 'na 'mmaggini di la Bedda
Matri. — " E vu' cu' siti ? „ cci dumannò lu mutu. —
" La Bedda Matri di la Cava „ , cci arrispunniu la
'mraaggini. AU'orvu cci vinni la vista, lu ciuncu si misi
a caminari bonu ^, e lu mutu si misi a parrari. Comu
stòsiru tutti tri boni, si misiru a ricogghiri dinari pi
fàricci ^na chiesa a sta Bedda Matri. Comu di fatti ar-
rieugghieru li gran dinari, e cci fìciru 'na chiesa ca si
* La Madonna della Cava.
» CJe ne dobbiamo andare a fare (a scavare) un fosso. — Sulla forma
si nni jemu, ecc. di alcune parlate della prov. di Trapani vedi le
mie Fiàhe^ v. I, p. CCX. § 5.
' Appena giunsero là (sul posto, in cui doveano scavare il pozzo).
* Scava, che trovi (scava, e troverai).
5 A camminar bene.
LA BEDDA MATRI DI LA CAVA 253
pò 'rìdiri, fih'è la cchiù megghiu di Marsala, e si chia-
ma la Bedda Mairi di la Cava.
Marsala *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Il fatto della scoperta delia Madouua per opera d'un cieco,
che ottiene la vista, ricorre in una leggenda della prov. di Gir-
genli relativa ad un'altra statua; ed eccola quale la trovo nel
voi. di Alfonso D." Giglio, La Vergine della Rocca, pp, 6-7,
(Palermo, Barravecchia, 1847):
La Madonna della Bocca.
' Una contadina in compagnia ad una sua figlia cieca sir dalla
nascita si portava nei dintorni d' Alessandria per raccogliervi
selvatiche pianticelle. Pervenuta presso la vetta di una collina
che sorge di contro le alture di Rocca Incavalcala, adagia
la giovinetta sur uno spiazzo, e va quindi rampicandosi per
l'erta, onde procurare alimento all'umile sua famiglìuola. Essa
era alla parte opposta del monte, quando una donna di eccelsa
bellezza appare alla figlia, e le dice r Io sono la Regina dei
Cieli; ea al Parroco, ai Magistrati e al popolo tutto, annun-
ziagli , che sarò Io la speciale Protettrice di Alessandria. E
qui dovranno edificare un santuario per adorarvi il mio si-
mulacro serbato in quella spelonca.
' La cieca soggiunge ; " Forse non presteranno fede alle mìe
parole. , E la Vergine palpando le ottenebrate pupille della
miserella, schiude quegli occhi alla luce dicendole : Or vanne
e sarai creduta.
' La visione sparve, e la cieca attonita vide il creato.
' Raccontata da Maria Cancelliera, contadina, all' età di 22 anni.
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254 FIABE E LEGGENDE
* Ritornata la madre, la giovinetta le rapporta Tapparizione,
ed entrambe si conducono* allo abitato narrando ai Primati il
fausto evento.
•;I1 Pastore e gran parte degli Alessandrini si trasferiscono al
luogo designato, e ritrovano la statua di marmo, che portano
j ' alla chiesa parrocchiale.
j , • Poco appresso il barone della Pietra la fa traslare ai Colli,
j ed è scolpita sull* originale altra statua , che si manda in À-
I ■■ lessandria.
I * Un tempio fu eretto sul luogo dello avvenimento, presso a
I cui esiste la pietra di Grazia. „
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Maria di lu Ponti.
'Na vota a la Sicciara ^ un grossu burgisi * avia un
bellu jardinu allatu 'na muntagnola; e 'nta stu jardlnu
ce' eranu tutti sortì di frutti.
Stu burgisi guardava cu l'occhi e li gigghia un gran
pedi di persichi *.
'Na matinata va pi visitari V arvulu, cà chiddu era
lu s6 diliziu *, e cuntannu li persichi cci nnl trova dui
mancanti; chiama lu guardianu e cci dumanna: — * Chi
forsi aviti cugghiutu persichi ? , — " Nonsignuri , ri-
spùnni lu guardianu ; né nn' haju cugghiutu , né cci
haju vistu 'ncugnari a nuddu„. Lu burgisi:—' Vidili
ca ce' è rasti di tappina "; perciò stati attentu si cor-
■ chedunu vi la fa 'nta ll'occhi • ,.
P abbriviari lu fattu, ogni matina, a stu pedi di per-
sichi cci mancavanu dn' persichi, e finiu ca 'un n' ar-
ristau mancu una. Lu burgisi , senza sapiri l^giri e
scrivìri, cci li fici panari a lu guardianu.
1 Sieciarii, Balestrate, comune della provincia di Palermo, da cui
dista 37 miglia , così detUi dalle tante siaci, seppie, che ei pescano
nella spiaggia sottostante.
' Burlisi, ricco ed agiato villano,
* Queatotor^c^guardavaamorosamente e con somma cura UDgran
pesco.
* BUiziu, e. m., delixia.
» Viditi, badate che vi sono orme (rasti) di pianelle.
* Se qualcuno ve la fìi (vi ruba) sotto gli occhi.
/
;
256 FIABE E LEGGENDE
'Na bella jurnata , mentri si squasavanu li vigni \
un viddanu vitti sdari un cuniggliiu ^; e siccomu 'nta
sta muntagnola ce' era 'na gratta, lu cunigghiu si 'n-
filau ddà.
Lù viddanu pigghia 'na scupetta e s* avanza pi dda
gratta ; fici *na picca di passi, e si firniau , pirchì lu
scura si iiddava '; e chi fa ? torna e cci dici a lu pa-
trani ca la gratta caminava *, e pi lu tantu scura nun
si pùtia jiri ccliiù avanti. Lu burgisi , a la livata di
manu '^, chiama V omhii : a dui cci duna li ciàcculi, e
air àutri Parmau. Tutti quantu su' si 'nfilanu 'nta la
gratta, addumanu li ciàcculi, e si fannu avanti cu li
scupetti 'n sirragghiu ® ; camina , camina , arrivanu a
tuccari mura; si fermanu e vidinu a un cantu 'na sta-
tuetta di marmu di la Madonna cu lu Bamminu 'mmraz-
za. La levanu dunn' era e la portanu 'mmenzu la gratta;
era tardu e già avia scuratu; dici lu patruni : — * Fig-
ghioli, a st' ura chi vulemu fari ? Lassamula ccà, e du-
maili nni la purtamu a lu paisi „. Comu di fatti , lu
lassaru, e si nni turnaru a lu paisi, cuntannu ima d*
tuttu.
A la Sicciara s' attruvavanu 'napocu di Partinicoti
1 Squasari, v. tr., levar la terra intorno alle barbe degli alberi
delle piante; qui, delle vigne.
» Vide con-ere un conìglio.
' Il buio s'allettava; era buio pesto.
* E dice al padrone che la grotta camminava (cioè, non era quella
che si supponeva, ma era grande, lunga, l'onda ecc.)
' Alla line del lavoro del giorno.
< E si fanno innanzi con gli schioppi a tutto punto ^n sirrag-
ghiuj.
MARIA DI LU PONTI 257
e 'napocu d'Arcamisi '. Chisti sintennu la nutizia, la
matina, ziltu tu e zittu iu, si nni jeru a lu jardinu di
lu burgki cu la 'ntinzioni di pigghiàrisi la 'mmaggini.
Ma lu bui^si la notti 'un avia durraulu, e la matina,
cu li setti arbori ", avia jutu cu l'omini nna la gratta.
Camina, camina, cerca la 'mmaggini, e nun la trova;
va pri taliari 'n funnu , e la trova a !u stissu postu
unn' era lu jornu avanti; chiama l'omini, e la fa met-
tiri di nova 'mmenzu la grutta, e poi la fa nèsciri lora,
'Nta mentri, jùncinu li Sicciaroti, ma quanto !.„ tutta lu
paìsi '. Cuntenti di sta gran 'mmaggini, si la carricanu
pi calarisilla a lu paisi. Ma la statua mancu si putia
arrìminarì ; e avo^hia di fari furzati , ristava ferma
'il terra *. Si vOta un partlnicotu : — ' Ora vegnu ìu;
mannu a pi^hiu un para di voi, e la portu a Parti-
nicu ,. Risposta di l'Arcamisi : — ' 'Nca nuàtri 'un ni
la putemu purtari, ca vi l'aviti a purtari vui ? , '. Ddocu
si misini a 'lliticàrisi Partinicoti, Sicciaroti e Àrcamisi.
Ddoppu un pezzu di tupirtù , dissira tutti a 'na vuci;
— " Ora llvamu quistìoni: videmu unni voli jiri la Ma-
donna ! , Lu bui^isi manna a pigghia se' paricchi di
' In Balestrate ai trovavano (erano) molti di Partinico e molti d'Ai-
camo.
* PertempìBsimo, prima di tare giorno.
* Frattanto giungono quel di Balestrate, ma quanti (eran di nu-
mero) ! Tutto il paese (era lì).
* E per quanti «foni si facessero (dagli uomini), restava ferma in
terra.
* Dunque noialtri non possiamo portarcela, che ve l'avete a por-
tar voi ì (Oh perchè l' avete a portar via voi , e non l' abbiamo a
|>Teoder noi ?)
0, PiTEk — Fiabt e Leggende. 17
258 FIABE E LEGGENDE
▼oi \ fa carricari la statua supra un carruzzunì, e cac-
cia li voi.
Li voi tiraru versu Partinicu , ma ddoppu quattni
passi, nun pottiru jiri cchiù avanti. Sona vastunati iu
vujara '; li voi appuntiddanu li pedi , si sforzanu , ti*
ranu, ma nun pottiru caminari. Si vota lu carruzzuni
pi Arcamu : la stissa storia ; pi la Sicciara , lu stissu.
Allura 'na vuoi dicenti ^ : — " Gcà vóli ristari la Ma-
donna ! „ e stabileru di fari coi 'na chiesa supra dda
muntagnola, e unni la Madonna 'un vosi jiri cchiù a-
vanti fàricci un bellu ponti; e pi chissu la chiamanu
Maria di lu Ponti.
Ora nun sàcciu lu comu, ddoppu 'napocu d'anni li
Partinicoti vulevanu 'mpusissàrisi di sta statua e pur-
tarisilla a lu paisi; ma la statua 'un si potti moviri.
Allura li Partinicoti pinsaru di fari un quatru di sta
'mmaggini; e stu quatru si teni sei misi a Partinicu e
sei misi a la so chiesa, a setti migghia di lu paisi.
Partinico *;
VARIANTI E RISCONTRI.
n fondo di questa leggenda è il medesimo della seguente;
ma per le circostanze clie accompagnano il rinvenimento della
statua richiama ad un gruppo di altre leggende, che qui vuol
essere rappresentato. In generale però, il tipo di questo motiva
è la Madonna di Gihilmama, la Madonna di Trapani, ecc.
* Prende sei pariglie di buoi.
« n boaro picchia fortemente (i buoi.)
* Una voce dicentes.
* Raccontata da Antonino Giannòla.
La Madonna di Oìbllmanna.
Supra !a muntagna di Gibilmanna cc'era un rimila.
Stu rimitu 'na notti si 'nsunnau ca 'nta lu portu cci
era un bastimentu cu tanti Madonni, e cci nn'era una
ca li 'Nglisì cci la pagavanu a pisu d'oru '.
La matina, comu s'arruspigghiau, pri vìdiri si era vem
sonnu. scinniu di la muntagna, e si nni iju a lu portu;
acchiana supra un bastimentu chi cc'era, e dumanna
a lu capitanu s' iddu avia Madonni. Lu capitana cci
dissi di sì; comu di fatti, supra cuverta cci nni fìci ab-
bìdiri 'napocu ; ma siccomu chidda chi s' avia 'nsun-
natu lu rimitu nun la truvava, cci dumannò si nn'a-
veva ancora àutri. — " Gnursì „, cci dici lu capitanu, e
lu fìci scìnniri sutta cuverta,
Ddà cc'eranu tanti Madonni, e lu rimitu sì firmò 'nta
una, e si pirsuasi ca chidda ora la Madonna chi s'avia
'nsunnatu; votasi cu lu capitanu e cri dici: — "Mi la dati
< (ìl'lnglesi entrano di (tequentc nelle tradl/Loni eìdiiitne, ed en*
trano con grandi disegni , con molte riccheziie , potenti , prestanti.
Oltre quello che ne scrissi io medesimo a p. CXCn del voi. I de" miei
Prov. sic. secondo la tradizione popolare palermitana gì" Inglesi a-
vrebbero chiesto una volta il permesso di buttare gììi 11 Montepel-
legrino,' e ci sarebbero riusdti per davvero!... Gl'Inglesi tOano sem-
pre all'amore con la Sidlia; gl'Inglesi son d'accordo con qualunque
governo per prendere la nostra Isola per conto proprio: e si ricorda
che a templi di li 'Sgrisi (ne' primi di questo secolo) si e
supra li pejisa di dudici lari, tìoè si era prosperi ed agiati.
260 FIABE E LEGGENDE
chìsta? ^— " Ma chi siti loccu? , rispunni lu capitana;
li 'Nglisi mi la pagana a pisu d* oni , e vui la vuliti
dalai... »— " 'Nca si vni nun mi la dati, nun putiti jiri
né nn'avanti, né nn'arreri ,. Lu capitanu si misi a ri-
diri, e lu rimitu si nn'acchianò a la so casuzza ^
Jamu ca lu bastimentu lu ddoppupranzu ^ a^ia a par-
tir! e nun putia caminari pi daveru. Allura lu capi-
tanu, cunfusu, manna a chiama lu rimitu e cci dici:
— • Ora pigghiativilla, e comu arrinesci si cunta „, e
cci detti la statua. Comu cci la detti, lu bastimentu si
misi a curriri, e guadagnau lu tempu pirdutu. A certu
puntu li marinara, pi ordini di lu capitanu, spàranu,
p* ammazzari lu rimitu, tri corpa di cannuncinu ; ma
lu rimitu, friscu comu li rosi, pigghia li palli a una a
una cu li manu, e li posa 'n terra. Li paisani, vidennu
stu miraculu, s*arribbillaru, e vulianu la Madonna: ma
lu rimitu, chi sapia comu avia a fìnìri, dissi: — " Face-
mu 'na cosa : annurvamu du' voi, e li facemu caminari
suli stanotti; unni si fermanu pi tuttu dumani, si metti
la statua „; e accussì ficiru.
Li voi, ddoppu un pizzuddu, si firmaru a lu paisi;
stettiru un'ura fermi, e sicutaru a caminari, e jeru a
pusari allatu la casuzza di lu rimitu , e 'un si suseru
cchiù mancu a càuci e a puntariddati '. Accussì ddà
si fabbricau 'na chiesa, ch'é 'na billizza; cci misiru la
f Sul rimitu e sulla sua casa^ vedi la nota 2, p. 202.
' Lu ddoppupranzu, nelle ore pomeridiane.
' E Jeru a pusari, e andarono a posarsi (fermarsi) allato il ro-
mitorio, e non si alzarono più neppure a cala e a pungolate.
LÀ MADONNA DI GIBILMAKM 261
Madonna, ca fa li gran miraculi; e ddà sunnu ancora
li palli. Palermo ',
VARIANTE E RISCONTRI.
D motivo di questa leggenda è de' più diffusi in Sicilia e
fuori; io stesso ne ho raccolto sette versioni dalla tradizione o-
rale e nove dalla scritta, la quale, a sua volta, è anch'essa po-
polare; tutte e sedici siciliane. Ecco riassunte quali le udii, e
riportate quali le trovai nell' opera più sotto citata del P. Al-
berti questi sedici leggende:
La Madonn* di Trapani (Palermo).
Un giorno una nave pisana proveniente dall'isola di Cipri fu
condotta da' venti in Trapani e vi lasciò una cassa con una
immagine di Maria. Su quella cassa un povero storpio ot-
tenne salute; e la cassa fu aperta e toltone Ìl prezioso tesoro.
I Pisani , tornati in Trapani , reclamarono la proprietà della
sacra immagine; i tribunali decisero che la si dovesse collo-
care in mezzo la piazza e farla tirare da due buoi a discre-
zione loro; pigliando essi per la via della marina, toccherebbe
a' Pisani, pigliando per quella della campagna, a' Trapanesi.
Alla prova, vinsero i Trapanesi.
Questa leggenda popolare in versi, raccolta da me in Pa-
lermo, continua cantando vari mi racoli della sacra immagine;
ma io la tronco qui, rimandando il lettore alla p. ^5, n. 945
dei miei Canti pop. sic, ove è anche citata la Scelta della I,
IJ, III, IV parte deUa Istoria di Trapani di Ghiseppe Fran-
cesco Pugnatore, fatta in Trapani da Gregorio l'amio 1792,
ras. Qq F. 61, p. 53 e seg. della Biblioteca Comunale di Pa-
lermo. D Mondello, La Madonna di Trapani; Memorie po-
lì dnqiiaDt* anni, ser-
^62 FIABE E LEGGENDE
trio-storica-artistiche (Pai. 1878), ha tutto un cap. (il I) sopra
la VentUa del simulacro di Maria di Trapani^ e cita tredici
altri lavori editi ed inediti, che riferiscono la leggenda. Egli
stesso pubbhcò un lavoro sul? argomento : La Madonna di
Trapani; Sunto storico sulla venuta del suo simulacro (Pa-
lermo 1877).
Lu Cruciflssu di Murriali {Monreale),
Due palermitani e due monrealesi viaggiavano per mare.
S'avvennero in un bastimento di Turchi, e comprarono da
essi un Crocifisso. Giunti a Palermo questionarono a chi do-
vesse toccare; e decisero di posarlo sopra un carro da far ti-
rare a un paio di buoi. I buoi tirarono da Porta Felice in su
il carro, e uscirono fuori Palermo per la via di Monreale. I
palermitani picchiavano gli animali per farli fennare, ma essi,
duri, tirarono la loro fin sotto l'Albergo di Monreale, dove fu
piantata una croce entro una cappella. 1 monrealesi picchia-
rono , e i buoi entrarono in paese , e si fermarono stabil-
mente verso la Garrubbedda , dove fu innalzata una chiesa,
che ora ha il nome di Gollegiata, e dove si venera il Croci-
fisso ^
La Madonna di rudiensa {Sambuca- Zahut).
Una volta un contadino andò a raccogliere erbe sulla mon-
tagna di S. Giovanni per farsi una minestra. Neil' acchinarsi
sopra un cesto di cicoria s'accorse di qualche cosa di strano,
e scoprì la statua di una Madonna. Sceso in Sambuca, ne die.
iV>tizia a' capi del comune, i quaU salirono sulla montagna, e
presa la statua la adagiarono sopra un carro tirato da buoi
per portarla al paese. Quivi si pensava di collocarla nella Ba-
* Raccontata da Giovanniiia contadina.
'A
LA MADONNA DI eiBlLHANNA 253.
dia di S. Caterina, ma giunti innanzi il convento del Cannine,
ì buoi non vollero più saperne, e si fumarono stabilmente.
Allora fu ^uocoforza collocarla in quella, chiesa, dove si ve-
nera col titolo di Madonna dell' Udienza , ed è la protettrice
del comune '.
La Kadonn* di la Nlvi {Francofonte).
Fu trovato in Passaneto , presso Francofonte, in mezzo ad
un roveto, un quadro di Maria, da alcuni cacciatori. Questi per
prenderlo , con le falci cominciarono a tagliare il roveto. La
punta di una di quelle falci toccò sulla fronte la immagine,
e ne venne fuori del. sangue, che fu fatto rist^nare con co-
tone, il quale è tuttavia attaccato alla tela.
I cacciatori erano , altri di Vizzinì , altri di Francofonte, e
nacque tra essi questione a chi dovesse tanto tesoro appar-
tenere, a Vizzinì o a Francofonte.
Allora fu stabilito di posarlo sopra un carro tiralo da buoi,
e lasciar questi andare a loro discrezione. 1 buoi camminarono,,
e camminarono; ma a certo punto si fermarono inginocchian-
dosi. Quivi scaturì dell'acqua, e i buoi bevvero, e ripresa via
s' indirizzarono verso Francofonte, ove ad onore della sacra
ìnunagine rinvenuta si alzò una chiesa, ha.- Madonna fu detta
della Neve , perchè in quel giorno , 5 agosto , cadde molta
Uaria di In Mu^ti (Becalmuio).
Una volta un signore di Castronovo via^iando per terre,
lontane trovò in una grotta una statua di Maria in marmo; la'
< Baccoatata dal sac Giuseppe La Marca da Sambuca.
■ Raccontata da Enrico Mineo,
264 FIABE E LEGGENDE
prese e la portò con sé. Tornato in Sicilia e sbarcato in Gir-
genti, volea andare a Gastronovo-, fece caricare sopra un carro
tirato da buoi la statua e s'indirizzò pel suo paese. Giunto a
Recalmuto il padrone di quella terra volea venduta, anche a
gran prezzo, la statua ; ma il proprietario non gliela volle ce-^
dere, e ordinò che si proseguisse il cammino. I buoi però non
vollero più saperne di andare avanti , e quel signore dovette
asciare in Recalmnto la sacra immagine, alla quale venne al-
zato un tempio \
La Madonna di Libera-inferni (Cianciano).
Una statua in marmo della Madonna di mezz* agosto, (alla
quale fu poi dato il titolo di Madonna di Libera-inferni) ve-
niva trasportata sopra un carro tirato da buoi. Essa partiva
da Sciacca , ed era indirizzata nelV interno della provincia.
Giunti i buoi a S. Rocco, quartiere esterno di Cianciana, fe-
cero sosta; nò si vollero più muovere. Si capì che quello era
il posto voluto dalla Madonna ; e poiché non lontana era la
chiesa maggiore del comune (Gianciana), quivi fu portata la
statua, dove anche oggi é in grande venerazione « „.
L*o8sa di S. Furtunata (Baucina),
Uno di Baucina e uno della Mìlicia (Altavilla) trovandosi a
* Raccontata da un campagnuolo di Recalmuto. La medesima tra-
dizione fu raccolta , scritta e drammatizzata con maggiori partico-
lari da B. Caruselli, Maria Vergine del Monte in Recalmuto^
jyramma sacro , ecc., Palermo , Natale 1856. Egli assegna al fatto
la data del 1503 e racconta che ogni anno in Recalmuto si ripro-
ducea con im spettacolo sacro il fàusto avvenimento ; di che vedi
i miei Spettacoli e Feste^ pp. 66-68.
> Comunicazione orale del Comm. Gaetano Di Giovanni.
LA MADONNA. DI CtBILHANNA 265
spiarla di mare scoprirono le ossa di S. Fortunata e st cre-
dettero in diritto d'impadronirsene ciascuno per conto del pro-
prio paese. Non sapendo altrimenti fare, collocarono quelle re-
liquie sopra un carro di buoi lasciando questi a discrezione.
C'era la via che dal mare in su divìdevasi in due: una che
conduceva a Baucina, una diritta alla MUicia. 1 buoi presero
per quella via, e cosi i Baucinesi si godettero il prezioso te-
soro.
In Baucina le reliquie furono messe nella madre chiesa, ma
il domani furon trovate fuori, nella piazza. Ricondotte in chiesa,
vennero collocate sotto un altare a destra; il domani, nuova-
mente in piazza. Rimesse in chiesa; lo stesso ; finché ì Bau-
cinesi dovettero porUrle in un'altra chiesa, che si chiama ' U
CuUeggiu, dov'è una cappella per la santa '.
S. Maria dell* Scala In Meialan.
• Venuto che fu, nel porto di Messina, un l^no mercantile
da Levaiite , diede fehcemente spaccio alte mercalanzie , che
avea di' là portare, e prese a nolo per non so quale altro
paese, con tutta presfezza sciolte le ancore, spiegò le vele al
vento, che era molto propizio al suo viaggio. Ma per divina
virtù il legno si vide così forte inchiodato in quel porto, che
non ostante il rimorchiarlo che fecero altri legni, non potè
muoversi di quel luogo. 11 fatto fu slimalo miracoloso da tutti
i pratici : onde il Capitano fattosi ad esaminare la sua co-
scienza, e quanto avea d'in su la nave, non trovò altro, che
una Immagine antica della SS. Vergine tolta da non so quale
città della Palestina. Quanto egli ben si apponesse, moslrollo
l'esito, appena l'Arcivescovo con una divola processione ven-
ne a levar dalla nave quella sacra Immagine , che la nave,
* Baocontata da Oìovaanl Di Marco.
^TT
266 FIABE E LEGGENDE
stata fino a quel punto immobile, sciolse prosperamente dal
porto, e navigò senza veruna dimora al destinato termine.
* Con ciò avea ben dichiarato la Vergine , che quella sua
Immagine dovea rimanersi in Messina. Gol prodigio, che se-
gjue , volle dichiarare il luogo , dove voleva ella essere rive-
rita. Questa benedetta Immagine in toccar terra, divenne così
immobile, che mise in nuova confusione il Prelato. Perciò si
consultò col Magistrato, e alla fine si deliberò , che siccome
TArca del Testamento posta un tempo da' Filistei sul carro
tirato dalle vacche , era stata da Dio guidata secondo il suo
volere; così ora si facesse di questa Immagine della sua SS.
Madre. Adunque fu apprestato un carro di buoi, sul quale
bene addobbato fu collocata la prodigiosa Immagine , e nel
medesimo tempo i buoi si diedero a correre velocemente fino
a' colli di Sanrizzo, e ivi fermatisi dinanzi la chiesa di Santa
Maria della Valle, ov'era allora un monistero di sacre vergini,
che viveano sotto la regola del Patriarca S. Benedetto ; coi
lieti muggiti significarono, che quello appunto era il luogo e-
letto da Dio per quella Immagine. E ivi subitamente fu col-
locata con ogni solennità e devozione su T aitar maggiore in
quella chiesa „. ,
Alberti, Maraviglie di Dio in onore della sua Santissima
Madre riverita nelle sue celebri immagini in Sicilia, e nétte
isole circonvicine, parte I, p. 400-401. In Palermo, 1718.
La M»donni di G-ulfL in Cliiaraaionte.
** Non si sa donde sia venuta questa sì bella Immagine. Si
89. solamente per tradizione degli antichi, che un dì fu ver
duta venire in Gulfi su un carro tirato da due buoi salvatici,
i quali in arrivare al luogo, ove ora è la sua chiesa, vi si fer-
marono così immobili, che niuna violenza, che lor fu fatta, a
passare più oltre, potè smuoverli punto a dare un passo più
LA HADON-KA DI GISILUAN'S-A 2(>7
. Qui duQque i ciltudini le fabbricarono chiesa ,. 0">
p. I, p. 196).
La SS. Nn nauta dL Bickrra.
' Una nave miracolosamente vien fermata al Castello di
Brolo, né passa oltre, se prima non lascia in terra Ìl simula-
cro della SS. Nunziata. È condotto alla Ficarra; dove nel de-
corso degli anni vi suda piìi volle sangue ,. (p, I, 207).
S. Murla di a«BÙ cella Tsrra di (aat-nla di Naso.
' Si ha dalla comune tradizione, che una statua cosi nobile
^pera del Gagini) crasi già indirizzata alla città di Tortorìci:
ma la Vergine non volle che quel suo Simulacro passando di
Castania ne fosse portala oltre. Si fermò ivi cosi immobile,
eh» non fu possibile rimuovernelo a qualunque uman sforzo.
Quivi dunque si fabbricò una chiesa In onore della Madre
di Dio.
' Poscia nel 1571 vi si fabbricò anche il Convento. Dicono
che in quel medesimo luogo, dove allora sì fermò da sé la
statua della Vergine , scaturì subitamente una polla d' acqua,
che appresso si ridusse in un pozzo, il quale ha questa ma-
ravigliosa proprietà, che ne cresce, né manca d'acqua, eziandio
se per piCi giorni non se ne attingesse né pure una gocciola, o
al contrario se ne cavasse fuori gran quantità. Dì quest'acqua
si vagliono gì' infermi per ottenere dalla SS. Vergine riposo e
salute ,. Cp. I, 332-333).
La MadoAua dalla QrAaia, d«ttB dalla Caitanàa.
' Lungi da Messina non piCi che cinque mislia, uo Cara*
lìere, che ivi di presso al Paro avca un suo podere, osservò
268 FIABE E LEGGENDE
un dì arrestata una nave a quel sito, e maravigliatosi, ch'ella
si fosse fermata a vento prospero , e a mar tranquillo , e in
luogo, dove non v'avea seno, né commerzio, nò traffico, volle
informarsi del fine di quell'arresto, ma i marinai non ne sa-
pevano altro, che quell'effetto di vedersi ivi inchiodata la loro
nave. Proseguì il Cavaliere a far loro varie domande , e sa-
puto, che venivano da Levante, e tra le altre merci recavano
alcune Immagini della B. V., egli tre di queste si comprò, tutte
antiche, e alla Greca. In cavarsi della nave queste tre Imma-
gini, ella tosto da sé si scostò velocemonte dal lido , e ben
mostrò che niun'altra remora ve l'avea colà intertenuta, se
non la volontà della Reina del cielo, la quale voleva, che si
venerasse in quel luogo alcuna di quelle sue Immagini, come
in fatti lo mise in cuore a quel Cavaliere. Egli dunque l'anno
1400 0 circa, in quel suo podere, e su quel poggetto amenis-
simo fabbricò una chiesa collocatavi la più bella di quelle tre
Immagini della B. V. sotto titolo della Madonna della Grazia
detta ancora la Madonna della Castanéa, perché questa Terra
è non molto di là lontana „. (p. I, 336-37).
8. Maria di Custonaci in Monte S. Qiuliftno.
** L'anno 1570, o in quel torno, navigava per quel mare un
legno Francese carico di ricche merci, le quali tutte nel pre-
gio erano di gran lunga inferiore ad una bellissima Immagine
di N. S., che da Alessandria si conducevano in Francia. Non
volle la Madre di Dio che quella sua Immagine navigasse
più oltre , e si elesse per interprete al suo volere una forte
e pericolosa tempesta, che cominciò a micacciare a' navi-
ganti l' imminente naufragio. Non lasciò 1' arte marinaresca
di farvi ogni suo sforzo, ma tutto invano, perchè quanto più
vi faticavano in torno, tanto meno vi profittavano. Ricorsero
LÀ MADONNA DI GIBILHANHA 269
tutti inginocchiono , e cogli occhi pieni di lagrime, a quella
yenerata Immagine della N. Vergine, e tulto insieme si senti-
rono dire al cuore, ch'ella voleva rimanersi in quel vicino lido
della Sicilia.
• Tutti a un medesimo tempo promisero a Dio con voto,
che se li campava pur ora di quel naufragio , avrebbero , in
■ prender ten-a , depostavi quella immagine , e in memoria di
quel miracolo, le avrebbero fondata una divola cappella. Que-
sto voto mise silenzio alla tempesta , sicché fattosi Ìl mare
tranquillo, e ridente, presero terra su la riviera del BugUùto,
spettante al Monte di S. Giuliano. La prima cosa, che fecero,
fu il soddisfare al voto. Scesero dalla nave in processione e
portando seco l'Immagine della loro Liberatrice, le resero con
ogni affetto le grazie di averli presentemente campati di quel
naufragio, e della morte , che ad ora ad ora si vedevano di-
nanzi asVi occhi: e senza dimora si diedero a pigliar lìi^ua
del come potessero fabbricare ivi ad onore della nobile Im-
magine, o una Cappella , o per più decoro , una Chiesetta ,.
Quivi però, perchè esposta alle invasioni de' Turchi, non vol-
lero i contadini del luogo fabbricar la chiesa , e salirono sul
monte Enee, dove l'anno 1575 sorse il santuario (p. 1, p. 410-13).
Vito CarvinJ nel 1687 ne scrisse una relazione.
Nostra Slifoors dell'Alto, fuori Poliui.
' Al lido del mar Tirreno , che bagna quel tratto di terra,
presso alla Roccella , capitò , gittatavi da una fiera tempesta,
una cassa di l^no , forse piccolo avanzo d' alcuna nave, che
pali naufragio in quel mese troppo adiroso. Corsero i più cu-
riosi a vedere qual cosa vi fosse dentro rinchiusa, e apertala,
vi trovarono una statua di marmo della Madre di Dio , alta
non più di 4 palmi ,. Volevano portarla a Termini, ma la statua
270 FIABE E LEGGENDE
non volle, e resistendo sempre a' nuovi disegni dei fedeli, li
fermò tutti presso (Polizzi, in una crocevia, ove le si eresse
una chiesa (p. II, p. 224-225).
S. Maria del popolo in Marsala.
In Marsala ** capitò una nave con dentrovi una bella Imma-
gine della Madre di Dio. I Frati Carmelitani ... in vedere quel
simulacro marmoreo così fortemente se ne invaghirono, che
a loro istanze ne sborsò la valuta al Capitano della nave
P. Maestro Lodovico Petrulla, e postala in una cappella, pel
gran concorso del popolo fu chiamata così „. (p. II, p. 230).
La Madonn 4 di Dinnammare in Messina.
** Due mostri marini nuotano di conserva , recando sulle
schiene, e sostenendo con le loro aliette, una Immagine della
B. V., e la lasciano in sul lido. I pescatori accorrono ad a-
dorarla, e la ripongono sul monte vicino, ond'ella prese il nome
di Dinnammare. „ (p. U, p. 312).
La medesima leggenda corre per S. Rainero di Bagno ne-
gli Abruzzi: De Nino, Leggende sacre, p. 162; in Toscana per
un Crocifìsso di S. Miniato al Tedesco: Rondoni, Appunti so-
pra alcune leggende medioevali, n^^ Archivio delle tradizioni
pop,, V. VI, pp. 307.
SERIE TERZA.
'U pisciaru '.
'Na vota ec'era 'nu marìnaru e avia setti figgi. Stu
marinaru campava e' '« piscari pisci e 'i raannava a
vlnniri 'nt'òn paisi vicinu, ò ceiù piccilu d' 'i so' f^gi,
ca putia aviri coccu dudici anni ". 'Na vota, mentri ca
stu picciuottu passava di 'na strata e vanniava: OpÌ~
sci vivi, 0 pisci vivi! 'u vitti di 'nu barcuni 'na pie-
ciotta, e dissi: " Oh cli'è simpaticu stu picciuottu !.., „ 'U
fici eiamari, e cci spijau: — " A tia, quantu nni vuoi tuttu
ssu pisci ? „ 'U picciuottu cci dissi quant'è ca cci vosi
diri: tri, quattru, cincu tari, a secunna di quant'era 'u
pisci. Cfiidda chi fici ? 'u fici manciari, e puoi cci desi
pi du' voti dì dinari di quantu cci avia dittu iddu, e
nn' 'u mannau. Però avanti ca un' 'u mannau cci dissi:
I mandava a venderlo (U peace) in un pa
n il più piccolo de' suoi Agii, il quale avea dodici s
272 FIABE E LEGGENDE
— ** Ogni vota ca puorti pisci, *u puorti nni mia... 'u
sienti ? „ Dduoppu ca passau quantu avissi passata,
stu picciuottu arrieri cci purtau 'u pisci e chidda ar-
rieri cci desi assai dinari. Gei 'u purtau 'a terza , 'a
quarta , 'a quinta vota ; all' urtimu 'a picciotta , ca si
nn' avia 'nnamuratu, 'n potti stari cciui e cci dissi: —
** Cci vuoi stari cu mia ? „ 'U picciuottu cci dissi : —
** Prima ha' diri a ma patri ^; si vò', iu cci stajil ».
'A picciotta 'u mannau a ciamari idda stessa ò pa-
tri di stu picciuottu, e cci 'u dissi: — " Mai, cci dissi 'u
marinaru; chi sugnu pazzu ca bi dugnu a ma figgiu!
E puoi cu' m* 'u vinni 'u pisci ?... „ 'A picciotta 'u pri-
jau, 'u straprijau, ma chiddu, nenti. AU'urtimu 'a pie*
ciotta cci dissi : — " Si m' 'u dati, bi dugnu 'na gran
summa di dinari ora, e puoi sempri vi nni dugnu, di
'na manera ca stessu ca nun vinniti 'u pisci, putiti cani-
pari " „. 'U marinaru vitti ca cci cumminia, e cci dissi
di sì. Chidda cci ha datu *na picca di dinari, e s'ha ti-
nutu ó picciuottu.
Ora sta picciotta era flggia d' un nicuzianti riccuni,
e stu nicuzianti avia jutu a fari 'nu gran viaggiu. A-
viennu passatu siei anni ca chista avia a stu picciuottu
'nt'à so casa senza fallu vìrriri a nuddii, e so patri cci
scrissi ca stapia viniennu , idda chi flci ? piggiau 'na
picca di dinari e 'i desi ò picciuottu e cci dissi: — ** Tieni
sii dinari; vai a piggiari 'na picca di robba, e puoi vieni
ccà e 'a vinni a ma patri, ca sta viniennu. 'U picciuottu
1 Prima Tho a dire a mio padre.
* Di modo che anche quando (stessu) non vendiate pesce, potrete
vivere.
N
'e PISGIARU , 273
accussì fici: iju a piggiari 'a robba, turnau e 'a vinniii
daveni ó patri d' 'a picciotta. Ghistu, comu 'u vitti,
dissi: — ■" Buonu fórra stu picciuottu pi m^ figgìa..,, ,.
Tutti r àutri nicuzianti ammitarru stu picciuottu a
pranzu , pi virriri si cci piacia una d' 'i so' fl^i , ma
iddu nun vosi a nuddu ', Ali' urtimu 'u 'mmittau 'u
patri d' 'a picciotta, e cci dissi si cci piacia so fig^a
e s' 'a vulia pi mug^eri. Iddu, chi 'n ni vosi àutni, ec
dissi di si ". Si fidnu prestu prestu 'i bsnni, 'i capituli
e tutti cosi, e si spusarru. A ura di curcàrìsi, 'u pic-
ciuottu si curcau prima e fici finta ca s'addummisciu.
'A picciotta, a ura di curcàrìsi, cuomu 'u vitti ca dur-
mia, dissi: — " Tale ch'ha fattu!,.. Stasira m'ha' a curcari
e' 'u figgiu d' 'u pisciani !... ,. ' Puoi si curcau. 'U pic-
ciuottu nun cci dissi nenti; cuomu 'a vitti ca durmia,
adduniau 'u lumi, si visHu e si nni yu. 0 'nnumani 'a
picciotta e so patri, cuomu 'n lu truvarru, ammurta-
lierru: — ' E pirclù si mii iju senza fàjicci nenti?... , *,
Lassamu ad iddi e piggiamu ò picciuottu, ca si fin-
ciu mutu , e tantu fici e tantu nun fici ca 'u Re s' 'u
piggiau cuomu cammarieri. 'U Re cuomu 'u vitti ac-
cussì beddu, cci parsi piccatu a 'ssiri mutu, e fici jit-
' Tutu gli altri negoziane, invitorono a pranzo questo gioTane per
vedere se a luì piacesse (qualcuna) della proprie Ogliuote ; ma egli
BOB volle Dessuna.
'-* BgU, che non t(^ altro, gli disse di al.
-■ StaHra, (sta a vedete Cbe io) (baserà m'ita a coricare col figlio
• Al domani, la ragazaa e suo padre, come non lo trovarono (ap-
pena s'accorsero che egli non c'era), morirono (Hmasero come morti).
B'perctLG se ne andò, senza &rgU ni^?... (fissero.
O. PiTKB. — Fiabe e Leggewit. tS
274 FIABE E LEGGENDE
tari 'nu bannu, ca cu' coi facia vèniri 'a parola, cci
dava 'nu gran premiu; ma però cu' 'nta tri giorna nun
cci a facia vèniri, ce era 'a pena d' 'a testa. Clci ierru
tanti e tanti, ma nun cci arrinisciu a nuddu. AUur-
timu 'u vitti unu ca u canuscia, e chi fici ? si niii iju
'nt' 'a figgia do mircanti e coi cuntau u fattu. 'A pie-
ciotta chi fici ? si ^^stiu di ditturi, e si nni iju iifò Re
e cci dissi: — " Mi fidu iu a fàricei vèniri a parola ,.
Cci desimi tri giorna di tiempu. e a lassarru sula e* a
picciuottu. Acciunìnzau a parràrìeci. a diricei:— ■ E clii
'n hi sai cu' sugnu iu ? Chi nun mi canusci oa su:rnu
tò muggeri? , Ma 'u picciuottu nun vosi panari, né
'u primu. né *u secunnu, né *u liei"zu juornu. A nic-
ciotta coi dissi: — " E cu quali «uragjiu mi puoi rari am-
mazzari ora V... Parrà, pirchi nun vuoi parrari ? , Ma
'u pi;<'iuottu mv.tii. Eccu ca pi::rgiarru a idda e a par-
tami à 'ullittìna. Iddìi s*aii;ii'i:iu à fmèseia. e lui-ritri
ca i'Ida aoi.ianava supra la «Mlìittina. idda cci 'Ì!s>i: —
" 'Xjra parrai parrai... pirli: :.i"h i' a lari animazi ìri ?
Chi o.^ri di cani oa hiai I . T liiviuottu *n risiiV..si. ma
qua:\:i'i vi'ti oa '-.i staunu t ; jj; i^nu 'a -està:—' F::-:na-
tivil - '■ ;i dissi. Tutti t;hi«l li «M -iTiM ddà, cuomu '::::>iaii -
par:*:: vi ■'• V'iov-iuo::.:. dissi:.'::---" ìJvni, beni, 'a p;\:-tva eoi
fici vv:iii'! .. 'U Re coi vi^it iU:-i a sta griin ditturi *u
predai 1. ma *u y-i':ÌMottu coi ••u:.:au "u laltii. e roi dissi
ca ob.idda er;i i::..:..:r.a. t-d *ra so mug;reri. Puoi si vò»ta
cu s'-' r:v.:-Jvr: :— " Tu m'arri ■:his'i. ma iu ti salvai *a
vita -. T Re, dduoppu oa 'litisi tuttu u fattu. nn' 'i
mai::. a:;: v idi: si !:ri ierru ^ oasa d*ò patri d' a y:-.s lot-
ta, e oiL-v'a:*: .; i'ioi e eu:i:'.-:::i. BagHsa Lr\ .' ..> \
' Ra:.v.:vi ìaI pr»Df. Carlo ^iii^aLi.
^•a
275
LXVI.
Giustizia e' morta.
Si ciinta e si racciinta ca 'na vota cc'era un sicrita-
riu d'ò Re. Stu sicritariu era 'nnamuratu di 'namug-
geri di pannieri, e sempri era jittatu a la putia circannu
'u mienzii cuomu putiri fari niuriri lu pannieri e spusà-
risi a la niuggeri d'iddu.
'Xu vota vinni un uordini di lu Re, ca tutti chiddì
unni si truvàvinu dinarifàusì avissinu a 'viri taggiata la
testa. Lu sicritariu allura appi l'abtiilità di fari mintiri
'na gran quantità di dinari fàusi nnì )i cascióla d'ò pan-
nieri, Vinni la Giustizia, travau stl dinari, e lu pannieri
appi taggiata la testa.
So muggerì canusci'u lu tradimentu, si sbinniu tutti
ìi panni, si nn' iju uni lu paisi d'O Re, s'affittau 'nu pa-
lazzu, e di fora 'u fici cumniiggiari tuttu di niuru, e cci
fici scrivivi a littri d'oru: " Gkigtiski è morta „. Tutti
chiddi ca vidièvinu sta cosa nu la capièvinu ; e iorra
a cuntiiilu a ki ile, 'U Re si vistiu e iju cu li ministri
a virriii sta casa. Trasìerru nni stu palazuu e na l'ur-
tiiuu càinniira truvarru 'na signui'a cu /nu velu niuni
nni la testa, e ciaucia. Lu Re cci spijau chi avia, e la
Signura cci" cuntau ca lu sicritariu pi fari mòrriri a so
maritu cci avia fattu lu tradimentu di li muniti fàusi.
Altura lu Re ordìnau ca davanti a sta signura si tag-
giass< la testa a lu sicritariu. E accudì fu fattu.
'U ciintu ii cuntiitQ,
E mangiàmuni 'ii stufatu.
Ragusa Inferiore '
1 Riiccoila dal prof. Carlo Simiani.
276
LXVIL
Lu sciurtunatu.
'Na vota ce* èrinu du' frati, unu riccu e Tàutru po-
viru. Lu poviru avia tri figgi, e 'u riccu nu li putia
vìrriri a nuddu. ^ 'N juornu lu poviru si nn' iju a du-
mannari pi li campagni, e giungiu nni 'na campagna
unni ce* era *u euratilu ca facia ricotta. — " Oh! a vui,
chi giti furriannu nni sti loca ? „ — " Viegnu, eci rispusi,
pi la carità: datimi armenu *na scutidduzza di ricotta „.
— * 'Nea trasiti, vidiemu ». Mentri ca lu massaru cucia
la ricotta, si misinu a parrari, e lu puurieddu eci di-r
eia : — * lu sugnu a la limuosina e haju 'n frati tantu
riccu !... „ — * E comu si clama stu frati vuòsciu ? „ —
* TaU e taU „ pir esiempiu. — " Oh ! e chissu è *u pa-
truni di sta cabbedda, e vui siti tantu poviru ! „— =^** Ma
chi eci putimu fari ! accussì vò' Diu „ — ** lu , eci
dissi *u massaru, haju *n puorcu d* ó patruni, ca mi
sta muriennu ; iu vi lu dugnu e eci dieu ca muriu, e
vui 'u faciti mangiari é vuòsci figgi ! „ — ** *U Signuri
bi paja *a carità ! „ AUura 'u puurieddu si piggiau lu
pureidduzzu, s' *u 'mmattiu davanti , e si nni turnau
à casa. 'I so* figgi cuomu vittinu 'u pureidduzzu spijami
a so patri cu' eci 1' avia datu, e iddu eci euntau 'u
fattu; 'i figgi *un lu vòsinu ammazzari, s' 'u mmanti-
nièvinu a pampineddi, e li vicini si davinu ^a testa p' 'ì
mura dieiennu: — * E cu* eci *u desi stu beddu puorcu?.,.
« E il ricco li odiava tutti (U fratello e i tre figli del fratello).
^
LD SCIURTUNATU 277
A cu' 'u rubbau ?... , 'Na vota parò vittinu ca 'u puor-
cu avia 'a 'nzinga d' 6 frati d' fi puurieddu, e cci fi-
cinu 'a spijunata '. 'U riccu lu maniiau a ciamari e cci
dissi :— " A tia birbanti, tu ti nni jisti nn' 'a mia cam-
pagna e m' arrubbasti 'u puorcu ; o m' 'u duni , o ti
fazzu a bìrriri iu !.., ," "U puurieddu cci cuntau 'u fattu,
di" acci ca 'u purciddnzzu stapia muriennu , e 'i
massari cci 'u dèsinu pi limuosina; e cci dissi ancora
ca 'u puorcu nun cci 'u dava. Aliura 'u frati riccu cci
tràu 'na qualera '. Sta qualora fu purtata ò tribbu-
nali di Palermu. 'U puurieddu, miscliinu, si misi quat-
turrana 'ì pani suttp 'a 'scidda e partiu.*
Aggicatu a un certu puntu, seuntrau a 'n uòmminu,
ca ci avia cadutu 'a sciccaredda, e cci dissi: — " Oh!
buon uomu, m' ajutati a spincilla ? » Aliura 'u patruni
d' 'a scecca 'a pi^au p' 'a testa e 'u puurieddu p' 'a
cuda. Ora mentri ca 'a spincièvinu , 6 puurieddu cci
arrìstau 'a cuda d' 'a scecca nn' è manu. 'U patruni, cu-
mu la vitti, vulia 'a scecca , ma 'u puurieddu cci ri-
spusi I — ' Una e una dui; a Palermu nn' 'a vidirau „.
E si misi di nuovu a caminari. Avissi fattu 'n àutru
piezzu 'i via, truvau 'na 'urza cìna di dinari d'ai^enla:
'i piggiau e senza cuutalli s' 'a misi nn' 'a sacchetta. 'I
vurdinari ca avièvinU piersu sti dinari, di luntanu s'ad-
dunarru ca 'u puurieddu sì caiau; 'u giungierru e c;i
spiarru s' avia truvatu li dinari. 'IT puurieddu cci dissi
' Fecero saperlo aeg.-etamente al padrone, cioè al fratello del povero.
' 0 l.i Tal ò veder io ! (o ti concerà io).
' Gli trasse una querela,
' Il povereDo ai mise 4 grani di pane (un pane da i grani) sotto
l'ascella, e partì.
278 FIABE E LEGGENDE
di si. — " Ma parò, avanti ca v' 1 dugnu, m' àt' a dari 'nu
rialu „, 1 vurdinari cci nni vulièvinu dari picca dinari;
iddu nni vulia eciù assai: 'nti stu mentri passarru uo-
mini e dissinu ó puurieddu : — " Nun cci dati aliura 'i
dinari „. Ma puoi 'i vurdinari cci dèsinu quanta vulia
e 'u puurieddu cci desi 'i dinari. Finiu, e si misi sulu
a caminari.
Garainannu caminannu pinsava di quantu era sciur-
tunatu; quantu vidi di luntanu 'nu pricipiziu, e si nni
iju a gittarisi di ddà pi muriri. Aggicannu supra 'u
pricipiziu si jittau ddassutta ; ma 'u diavulu vosi ca
cadiennu iju a càrriri supra 'na fimmina, ca cu so ma-
ritu passava di ddassutta, e 'a fimmina cadiu e muri"
Lu maritu comu vitti ca 'u puurieddu arristau vivu,
e so mùggeri morsi, lu 'ffirrau e cci dissi: — " Dati^^
la muggeri, osinnò a Palermu bi fazzu mintri carza-
ratu „. — " 'Nga dui , e una tri „, dissi 'u* puurieddu,
e partiu. Junciu a Palermu, ddà cc'era so frati 'u riccu
ca cci avia jutu 'n carrozza.
Si Yapiu *u tribbunali , e 'sciu \i judici. — " Dunca
eh' avimu ? „ cci dissi. E 'u puurieddu accuminzau a
cuntàricci 'u fattu, e prima chiddu d' ò puorcu. AUura
'u judici si vutau ò frati riccu e cci dissi: — " 'U puorcu
cci 'u lassati stari; anzi cci àt' a dari mità d^ 1 vuòsci
ricchizzi „, Puoi cci cuntau *u fattu d' 'a scecca, ca pi
spincilla si nni vinni 'a cuda. E 'u judici urdinau ca 'a
scecca s' 'a duvia piggiari 'u puurieddu pi girisinni a
cavaddu. Finarmenti cci cuntau ca iju pi ammazzà-
risi, si jittau di un pricipiziu, e scànciu di mòriri iddu,
scuppau supra 'na fimmina; la quali muriu. 'U judici
-^
LU SCIURTnNATU 279
cuomu 'ntisi st' 'àutru fattu si vulau cu 'u maritu d' 'a
fimmina eh' avia munitu e cci dissi : ~~ ' Chisto v'am-
mazzao la muggere; ora voi ammazzale a isso ,. — " Ma
cuomu Thè 'mmazzari, signuri ? , rispusi 1' uòmminu,
— ' Tu vai a mintòriti sopra li precipezio , unni era
misu isso; isso sì minte onni era tò muggere; puoi tu
ti "ietti di ddà sopra e ammazzi ad eddo^ „, L'uòm-
minu accussilfici ; si nni iju cu lu puurieddu, ma cuomu
si lassau jiri, muria iddu, e 'u puurieddu, cu la mità
di li ricchizzi di so frati si nni turnau à so casa.
Iddu ristau Mei e cuntenti
E iiìatri ccà senza nenti
!i Ragusa Inferiore '.
VARUNTI E RISCONTRI
Cfr. con Poverdlo, n. XXV, parte I, § I dei Omtes pop. de
V Uè de Gorge dell'ORTOLi.
' Si noti la lingua italiana con lo quale il novelliere f& parlare il
giudice.
• Raccolta dal prof. Carlo Smiani,
280
Lxvni.
Chiddu di Pova vugghiuti.
'Na vota ce' era un puvireddu , chi java addiman-
nannu. Cu' cci dava un pizzuddu di pani, cu' cci dava
un guranu. Jennu pi li campagni, 'nt' òn straluni vì**-
'na tavirnara, chi vinnia ova vuggliiuti. Dici:—" Mi li
vuliti dari dui, curaraari ? cà, comu aggira, vi li pagu ? „
— « Gnursì, cumpari „.
Stu vicchiareddu 'un cci passò cchiù pi pagàric^-
Tova. La tavirnara, ca era 'n'usurarla, cuminciò a ma-
chiniari 'nta la so testa : ** Io st'ova li mitti'a sutta la
ciocca, e mi scuvàvanu dui puddicini. Sti puddicÌT-ì
criscìanu, e mi facìanu 1' ova; e l'ova di sti puddic^'^"
li mittìa sutta la ciocca; e accussì putia arricchiri.
Quant'haju persu io ?... „. Pensa, pensa, e cci manna la
citazioni ^ a lu vicchiareddu. Povir'omu, si misi 'n cun-
fusioni, e 'un sapia a quali santu raccumannàrisi. Ga-
minannu caminannu , scontra a 'nàutru vocchiu. —
" Cumpari, cci dici stu vecchiu ; eh' aviti , ca siti ac-
cussì siddiatu ? „ — " E ch'hé d'aviri, cci ardspuani lu
puvireddu; chistu e chistu „: e cci cuntò tuttu lu pas-
saggiu. Dici chiddu: — " E vui un'aviti tistimonii ? „ —
" Gnimò, cumpari; 'un haju a nuddu „. — " 'Unca si lu
judici v'avissi a dumannari tistimonii, diciticci: Ora veni^
cà vegnu io a fari vi di tistimoniu „.
Comu va ^n tribbunali, cci cercanu li tistimonii; dici
' E gli manda la citazione pel pagamento.
CHIDDU DI L OVA VUGGHrCTI 281
lu purireddu: — " Ora veni lu tistimoniu.... ,, Aspetta,
aspetta, e lu tistimoniu 'un vinia. Ddoppu tantu aspit-
tari, cumparisci lu vecchiu. Dici lu jadici:— " Ppuh ! mi
cridia cui avia a essiri stu tistimoniu! , — ' Vossia mi
havi a scusari, cci dici iu vecctiiu, ch'haju persu tempu.
Appi a vùgghiri quattru favi, e l'appi a jiri a sìminarì
' campagna ,. — ' Scioecu ! cci dici lu judici. Com'è
pussibbili ca li favi vi^ghiuti ponnu nàsciri 'n chian-
tànnuli ! „ — ' E com'è pussibbili ca l'ova vugghiuti pon-
nu fari puddicini ! „ cei arrispunni lu vecchiu.
Accussì capiu lu judici la càuda chi cci dava lu vec-
chiu '; cà la taWmara avia tortu, e cci la dicisi cen-
tra , e 'n favuri a lu vicchiareddu. E tutti cci ficiru
'appròsit di sta bella sintenza chi detti,
Terrasini ".
VARIANTI E RISCONTRI.
Cfr. pienamente con La storia dei tre gof (uova) di Mei
nella Zoologia pop. veneta della Nardo Gibele.
Il calcolo della tavernaia è Io stesso di quello del Fura-
3teri e lu trattari, in nota alla VHI delle mie Fiabe sic,
D giudizio e r apologo del vecchio testimonio ha un fondo
molto simile a' quello della Fama chi parva, n. VOI delle
stesse mie Fiaie sic. ed a quello della Griselda, n, XV delle
Sessanta Novèlle montaìesi del NEnrcci,
Sui Cagtdìi in aria G.' Gozzi ha quest'aneddoto :
Andò ta sciocca
Villanella al mercato, e un vase aves
1 Dari la càuda, mordere con parole,
* Raccontata da Loreta Zangàra.
I =
282
FIABE E LEGGENDE
Pien di latte sul capo; e fra suo core
Noverava il danar. Ne toglica i polli,
Indi un porco e, con quel, vitello e vacca
Tutto a memoria; e fra se dice: « Oh, quanto
Lieta vedrò balzar fra Talti-e torme
Il mio vitello ! » e per letizia balza.
Cade il vase, si spezza e versa il latte.
i
/
r
La Re e la flgghia. dì lu 'mircantì.
'Na vota ce' era un mircanti. Stu mircanti avia 'na
fibbia fimmina, eh' era vera 'ncignusa. 'N facci di stu
mircanti cci stava lu Re, e stu Re era crapicciusu
assai.
Un jornu stu Re manna nni lu mircanti cu l'ordini
ca cci avia a mannari 'napocu di duri a pezza : pena
la morti si nun cci li marinava. Poviru mircanti si misi
'n cunfusioni : — "E unni cci l' he truvari sti ciuri a
pezza ! . , . „ e 'un sapia comu fari. 'Nta la cunfusioni
acchiana nni so figghia , e cci dici la cosa. — 'E chi
vi cunfunniti ? , cci dissi la tigghia. Ha pigghiatu un
pezzu di musulinu fìuratu ', tagghìa li ciuri, li menti
'nta 'na 'nguantera, e cci li manna a lu Re. Lu Re si
l'arriciviu, e cci piaceru.
Ddoppu jorna cci manna arreri, cavulia un buttig-
ghiuni vacanti-chinu. Si cunfusi arreri lu mircanti pi
putiricci cumminari stu buttigghiuni vacanti-chinu.
Chiama a so figghia e cci dici la cosa. La figghia scinni
'nta la cavallarizza '; pigghia 'na vii^a, e curaincia a
cafuddari a li cavalli, quanta cci fici nèsciri 'na gran
quantità di scuma dì 'mmucca. Pigghia un buttigghiunì
e lu jinchi di sta scuma, e cci lu manna a lu Re. Lu
' Fiuraiu per ciuratu (ohe non è in uso) è vpoe applicata soltanto
a drappi a cose simili : fiorato, a fiori.
• Cavallarizza, b. f., scuderia.
284 FIABE E LEGGENDE
Re 'un appi chi diri : cà lu buttigghiuni era vacanti
e chinu. Vidennu chistu, cci vinni sfllu di un bicchieri
di latti di 'na picciotta schetta, Putia essiri mai ? Ma
iddu , lu Re , lu vulia : e lu mircanti si misi la tigna
'n cunfusioni ^ La figghia pinsau, pinsau; poi cci
rispusi a li cammareri di lu Re : — " Tannu havi lu latti
di 'na picciotta schetta , quannu lu Re uni 'mmita a
tavula cu iddu a mia e a me patri „. Lu Re li mannò
a 'mmitari a tuttidui. A tavula tutti Tàutri signuri man-
ciavanu, e idda 'un mandava nenti. — " Signurina, cci
dici lu Re, pirchì nun mandati ? „ — " Pirchì di zoccu
vogghiu io, ccà nun cci nn^è „. — ** Gomu I 'n casa di
lu Re nun cc'è di zoccu vuliti vui ?.. E chi vuliti vui?„
Io vogghiu un gaddu d'Innia di eira 'nfurnatu '.. „ —
" Subbitu — ordina lu Re — chi si facissi un gaddu d'Innia
di eira 'nfurnatu ! „ Lu cocu, loccu loccu, va a 'ccatta
la eira , fa lu gaddu d' Innia , e lu metti ad arrustiri.
Putia arreggiri mai la eira supra lu focu ? Squagghiau.
Accatta Tàutra eira: la stissa cosa; accatta eira 'n'àu-
tra vota: la stissa cosa ; 'nsumma fu 'mpussibbili di fari
stu gaddu d'Innia. Quannu lu cocu iju nni lu Re e lu
cocu cci grapiu li chianti di li manu ®; lu Re cci dissi
a la picciotta: — " Gom' è pussibbili un gaddu d' Inaia
di eira 'nfiirnatu? . . . „ — " E com'è pussibbili, arrispunni
la flgghia di lu mircanti , un bicchieri di latti di 'na
picciotta schetta ? ... »
* Il mercante entrò m gran costernazione. Tigna per <• pD.
« Un tacchino di cera infornato.
' Gràpiri li chianti di li manu ad unu, vale : significare ad uno
di non aver fatto o di non poter fare nulla a favore di lui , essere
nella impossibilità di farlo ecc; e però vale anche : mandar con Dìo.
LtJ RE E LA FIGGHIA DI LU UIRCANTI 285
Lu Re si pirsuasi e capiu ca sta picciotta era 'na
picciotta 'sperta, e facia pi iddu. La vosi pi mugghieri
e finiu.
Iddi arristaru lìlici e cuntenti,
Nui semu ccà e imi munnamu li denti.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI
U tipo della ragazza è quello de' Sìcil. Mdrchen, n. 1.
' Raccontata da Antoaina Oambìno, servetta.
S86
LXX.
Lu patri chi Sci tistamentu.
Ce' era 'na vota un patri , eh' avia tri figghi mari-
tati; granuzza nn' avia ^, e pi campari spicciu , pinsò
di giusta di fari tistamentu lassannu tutti cosi, senza
disparità, a sti figghi: cu pattu ca iddi V avevanu a
campari.
Pi li primi jorna sti figghi e U nori cci ficiru cera ,
pirchì li dinari eranu frischi '^; ma passannu un certu
tempu cci cuminciò a stuffari ^, e cuniinciaru a dispriz-
zallu . e il fàricci pruvari la fami. Poviru vecchiu, cliian-
cia e 'un avia cu cu' rispitfiàrisi ^ , pirchì unni java
java di li figghi, truvava la cani figgluata ". Quann'era
sulu si rispitti'ava 'nta iddu dicennu: " Un patri basta pi
centu figgili, e centu figgili 'un bastanu p' un paLri !... ,,
Staiuai di sta sorti di vita, 'na jurnata pensa di jiri
nn' òn cuinpari so pi fàiisi 'mpristari cinquant' uiizi,
ca ddoppu 'na quaLimia di jonia cci ii turnav^a ^. ilo-
m'appi sti dinari, si uni ijii diittu tirata 'nta la so
càniuuira, si 'nchiaìju e si misi a cantari facennu scrù-
sciri ddi pezza di dudici, eh' era un piacili.
■* Tre lìgli amiuogliati; qufttt'-ini (egli) ne avea.
' I quattrini gli ave vaitejfcricev Liti i)ii poco.
^ Cci. r}/,n linciò, comiuclèSl padre) 'a venir loro in fastidio.
* E non aveva con chi latiìcntarsi.
* Perchè in qualunque casa de' figli andasse trovava come cani
morditori. — Si ricordi che cosa è la cagi^ia dopo figliata.
6 Che dopo un quattro giorni gliele avrebbe restituite (le cinquanta
onze).
LD PATRI CHI FIGI ■nSTAMKNTD 287
Li fl^hi e li nori a sentiri ddu scrùsciu currèni a
'tUntari darreri la porta ^ , e dicevanu 'n sutta vuci :
— " Càspita li gran dinari chi havi !... , Lu patri pig-
ghiava ddi dinari , li mittia 'nta lu saccu fincennu di
sarvallu, poi lu piggiiiava arreri, fincennu eh' era 'n
àutra saccu, lu sdivacava, e cantava. Quannu cci parsi
a iddu: 'nciiiuìju la càscia e nisciu.
Lu 'nnumani lu stissu magisteriu. Lu ddoppudumani
arreri. 'Nsumma pi quattro joma 'un fici àutru chi
cuntari , assummari e sarvari : tantu ca li fi^hi e li
nori eranu alluccuti. A li quattru joma , stu vecchiu
cci iju a purtari li cinquant'unzi a lu cumpari.
, Ddoppu stu tattu, 'un si pò diri li tinnirizzi di li fig-
ghi e di li nori pi stu patri: Nunim ccA, nunnu ddà... '
Cu' lu vistia, cu' lu pittinava , cu' cci cucia lu man-
ciari, cu' cci cunzava la tavula; e iddu cuntintuni di
sta cosa. La eàscia la tinia 'nchiusa, e tutti sapevanu
ca dintra ce' eranu li belli pezza di dudici , e la guia
cci facia nnicelii nnicchi di vintiariccilli °. Ma lu patri
'un niscia ecliiii di la casa. Un jornu vidennu ca tutti
abbraniiivanu pi sta càscia, si li chiama a tutti e cci
dici : — " Fig'^lii mei, io 'un haju àutru chi a vuàtri :
quannu moni, zoecu cc'è 'nta sta càscia vi lu spartiti
aguali porzioni senza sciarri. E Ddiu vi binidiea !... „
A chistu, ecliiù di celiiìi li flgghi e li nori si 'nfirvu-
' A seutii-c quel suono (di monete d'argonW. e arsero ad origliare
i^'etro la porta.
' Nunn'4, secondo il popolino che va all'antica, padre.
> E nveano una gran voglia di portarglieli via (i perni da dodi'-i
tari, i quattiini).
.■>
•i
■1
288 FIABE E LEGGENDE
raru a fàricci càrizzii e attinzioni; e lu vecchiù 'nta iddu
dicia : — ** Si, minchiuna; quannu moru viditi... „ .
P'accuraari, stu vecchia cadiu malatu e muriu. Mancu
avia arrifriddatu , ca li figghi si jiccaru , comu gaddu
a pastu, supra lu càscia e la scassaru ^ Gràpinu e
trovanu 'na tuvagghia ; levanu sta tuvagghla e nni
trovanu 'n' àutra; levanu e nni trovanu 'n' àutra, tri-
mannu tutti pi la cuntintizza. A la terza, chi trovanu ?
'napocu di ciachi 'na mazza e *na scrissioni chi dicia :
Cu* pi figghi e pi nori s'ammazza
Coi sia datu 'n testa cu sta mazza! *.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Una versione letteraria raccolta dalla bocca del popolo ne
ha ilCASALiccmo, L'utile cól dólce, dee. IV, arg. III: Che setto-
pre Vamore interessato de' figli verso il padre ; un' altra del
Napoletano il Sobima, Cento Racconti per divertire gli amici
nelle ore oziose, n. CX, p. 188 (Napoli, Chiurazzi).
* Nq^pure il cadavere s'era rafi^eddato , che i figli si buttarono,
come il gallo sulla intrìsa, sulla cassa, e la scassinarono.
* Prov. comunissimo, che ha ima variante nei miei Proterbi sic.
V. H, p. 203.
^t > Raccontata da Agatuzza Messia.
LXXI.
Cumpari Cricchi e Cumpari Cruoccu.
Cumpari Cricchi dissi a eumpari Cruoccu: — ' Coi jimu
à fera? , Cumpari Cricchi pìggia un saccu e lu jinciu
di capiiccia ' , e cumpari Cruoccu jinciu lu saccu di
lippu di mari ', ch'avia a vìnniri pi sita, e 'i capuccia
di cumpari Cricchi avièunu a passari pi marruccliìna.
Arrivannu unni parsi ad iddi, dici cumpari Cricchi a
cumpari Gnioccu: — " Cumpari, lu vulirau fari 'n nicuò-
ziu, ca nni canciamu la robba ? , — ' 'Nga, dici cumpari
Cruoccu, canciamu „; e canciarru. Arrivarru à fera e
nun puòttinu fari nenti tuttidui, e tumarru. Ora, sic-
cuomu cumpari Cruoccu avia 'n %giu ca si clamava
Manicu-di-sascu, e cumpari Cricchi avia 'na fìg^a, dis-
sinu:— ^ A chi nun puòttimu fari nicuòjiu à fera, vu-
limu fari 'i nuòsci fìf^i ziti ? , * Arrivami Ò paisi e fi-
nierm 'u zitatu '.
Eccu ca partiu Manicu-di-sascu e si nnì jju a vinu "
e 'nta du' carratedda ccì misi acqua e dui li lassau
vacanti. Arrivau 'nt' 'a dispensa e si jinciu 'i dui va-
' Jinciu , riempì il «acco di cappucd. — Capuccia, e. m. pi. di
eapucciu, cappuccio.
* Lippti di mari, lichene m&ilDO.
* A ehi, poiché noD potemmo bre (nesaim) oegozio &lla Aera, vo-
■ gUamo Tare sposi i noatrì figli?
' E finiernt ecc., e conclusero il matrimonio.
° E se ne andò a (comprar) vino.
0, PiTRÈ. — Fiabe e Leggemie. 19
f
a
990 FUBE E LEGGENDE
canti *. A ura d' ó pattu cci parsi cara e dissi: — * Ccà:
cà v'abbuccu 1 carratedda ca avia inciutu ,". Ma scàn-
ciu di piggiari chiddì e' 'u vinu, piggiau chiddi cu l'ac-
qua, e cci abbuccau V acqua, e si purtau lu vinu. —
ì * Ora cci manca lu pani ! „ *. Si pìggia 'na vièstìa e si
nni va a piggiari lu pani 'nti *na picca di panittierì^
e si fici fari pani di tutti. Cuomu fu fattu, s' 'u piggiau
e \\ carricau à vièstia. 'I panittieri cci dissinu: — * Ora
cu' è ca nn'ha a pajari ? „ — * Viniti cu mia, dissi Mani-
' cu-di-sascu, ca 'b' 'u fazzu pagari ^, e s' 1 purtau 'nti
! 'na crièsia, e truvarru 'nu cunfissuri assittatu. — " A-
I spittati ca cci 'u dicu ca vi paja „. S'accustau ó parrinu
e cci dissi: — * Signuri, viditi ca cci sunu 'na picca di
fuoddi ca cci sfirrau ca sì vuonnu cunfissari „. 'U par-
rinu cci fici 'nzinga , e Manicu-di-sascu si nn' iju , e
tutti 'i panittieri arrimasira. Quannu finiu 'u cunfis-
suri, mi ciamau unu, e cci dissi: — ** Va, cunfissativi „.
Rispunni stu panittieri: — ** Signuri, si n' àti a pajari 'u
pani ... Dici: — *' Quali pani? in nu nni sàcciu nenti ,.
— " Cuomu, signuri ! nu nni sapiti nenti ? Chiddu ca si
nni iju chi vi dissi? .. — ** Mi dissi ca vi vulièvuvu cun-
fissari ^. — ** Xonsignuri, ^'uliemu essiri pajatu 'u pani „.
Lu parrinu piersi a pacienzia: — " Giustu dissi ca èruvu
fuoddi , e si nni iju.
' Arrivau eoo. Giunse alla dìspciis;ì Cai magazzino dove avea a
cario irò vino), e si riempì i due (c;ì rateili) vuoti.
* A Ufi. quando fu l'ora del i»atto (di stabilire il tanto e il quan-
to i*c\ iviiramento, il prezzo) gli parve oaro, e disse: (Prendete) qui:
che ^•i riverso c=abbHrcHj il caratello che avevo riempito.
^ Queste parole le dice Manicu-di-sascu.
L ■«"
E CCMPAHI CRUOCCn 291
Manicu-di-sascu cuomu lassau 'u pani dici: — " Ora cci
vò' 'a carni „ , e si parti'u pi jiri a pi^alla , e si nni
iju 'nti 'na costa iàuta iàuta, e si misi a diri: — ' Oh
chi viju, oh rhi viju ! , e stetti 'un jùornu sempri di-
ciennu: " oh chi viju ! , Arrivata la sira, cc'era 'n vid-
danu ca lavorava, e sì nni iju a vìrriri chi era ca vi-
dia chiddu supra la costa. Arrivatu, cci dissi: — " 'Nga
chi è ca vidi ? ' ca havi 'n journu ca nun prièdichi
àutru ? „ — " Cuomu ! chi viju ?... Viju ca aviti lavuratu cu
'na vacca sula ^. Si vota lu viddanu e vitti ca 'mmieci
di du' vacchi cci nn' era una , pirchì 1' àutra si l'avia
piggiatu lu patri di Manicu-di-sascu, giustu cuomu a-
vìunu cumminatu.
Arrivati a casa Manicu-di-sascu e so patri , cu lu
vinu, lu pani e la vacca, ficinu lu zitatu.
'U cuntu è cuntatu,
Maccarruna e' 'u stufata.
Ragusa Inferiore '.
VARIANTI E RISCONTRI.
Sono proverbiali in Sicilia Cricchi, Croccu e Manicurdi-
eiascii , tre nomi che si citano a proposito di persone tristi,
legate a filo doppio. La frase 6 anche citata in vari sensi e
per varie occasioni.
l due temi dei quali si compone questa novella: lo scambio
del vino, cioè, e l'invito al confessore, corrono divisi e uniti ad
1 Dunque: che è clie vedi? (ebbene: che coia. vedi tu?), 'N^a per
'nca, 'ca, dunca, adunque,
' Raccolta dal prof. Carlo Simiani.
292
FIABE E LEGGENDE
altri temi. D primo Tabbìamo ne L'uòmminu curiusu (L'uomo
curioso), nov. medita di Ragusa; il secondo si riscontra nella
novellina di Borgetto col titolo Lu PUralisi, nelle mie Fiabe
sic, n. CLin, ove st)no de' riscontri , ai quali bisogna aggiun-
gere: Vacalerio (G. Sagredo), L'Arcadia in Brenta, p. 165. In
Bologna, MDCXCm.
EtȣSSB^^
. ~- /
Fìrrazzanti e li latri.
Si cunta un fattu dì Firrazzanu, chi appi 'na manera
tutta nova di nun farisi arrubbari di li latri. 'Na sira,
ntra ^ mentri s'arricugghia, Firrazzanu s'adduna ca
la porta di ta so casa era aperta, e trasianu e niscìanu
'napocu di pirsuni. Vulènnusi vìdiri la vista , si misi
darreri 'na cantunera e stetti ddà 'nsina ca li pirsuni
chi avia vistu si carricaru 'napocu di robba 'n coddu
e nni li vitti jiri. A stu punta Firrazzanu curriu e
trasiu 'nta la so casa, e la truvau ca si cci putia ti-
rari a la scherma, pirchì nun cci avianu lassatu mancu
'na se^a. Sulu s' addunau ca 'ntra 'na gnuni cci a-
vianu lassatu un pagghiuneddu tuttu arripizzatu; e ehi
pinsau di fari ? si carricau lu pagghiuneddu e si misi a
curriri appressu a li latri senza diricci mancu mensa
parola. Li latri , comu arrivaru unni avianu ad ani-
vari, unu appressu a l'àutru, traseru dintra, e Firraz-
zanu appressu cu lu pagghiuneddu 'n coddu. Vassia si
figura comu arristaru U latri quannu si vittiru a Fir-
razzanu pri davanti ! Si taliavanu 'ntra iddi , ma nun
sapianu chiddu chi avianu a diri. Altura Firrazzanu, fa-
cennu vìdiri ca nun s'addunava di nudda cosa, pusau
lu p^ghiuneddu, supra l'àutra robba, e sì vutau e cci
dissi: — " Signuri mei, avennu trasutu 'ntra la me ca^j,
e avennu vistu ca v'aviavu scurdatu stu pagghiuneddu,
haju 'ntisu fari lu me duviri di purtarivillu ,.
9M
FIABE E LEGGENDE
Ma 'na pinsata megghiu di chista nun la putia fari
nuddu; pirchì li latri, vidennu chi avianu statu canu-
sciuti, nun sulu ca cci turnaru la robba a la so casa,
pigghiannucci la scusa ca cci vulianu fari 'na trizziata,
ma sparti si lu purtaru a la taverna, e cci ficiru fari
'na tayulidda comu cumanna la liggi \
Palermo '.
VARIANTI E RISCONTRI.
Questa stessa storiella si racconta in Toscana in perdona
del Piovano Arlotto. Vedi Burlette, frizzi e buffonate del Pio-
vano Arlotto, del Faoiuou e del Mani, p. 24: / ladri. Una ver»
sione fiorentina è nelle mie Novelle toscane, n. LXXIV : U
Fagiuoli e i ladri.
* E gli fecero uno spuntino a modo.
• Raccontata da M. Filippo. Vedi U Amico del popolo, an. XVUI,
n. 82. Palermo, 26 marzo 1877.
'U Re d' 'i dùdicì cìncatì '
'Na vota cc'era 'nu Re, ch'avia 'na ^gia, ca 'un ar-
ridia mai. Slu Re desi 'nu bannu ca cu' facia arrìdiri
a so Eì^a, cci 'a dava pi muggeri. Gei ìerni tanti mar-
chisi, baruna , principi, e nuddu 'a putìa fari arrìdiri.
Ora tutti chiddi ca nun la facièunu arrìdiri, 'u Re 'i
facia spuggiari, e cci facia dari dudicì cincati.
'Na vota cci ijti unu, e chistu cummattiu quantu cum-
mattiu , e nun cci potti arrinèsciri a falla aEridirì. A
ura ca cci avièunu a dari 'i cincati, chi fìci ? senza fà-
rini addunari a nuddu si nn'iju, e 'ncuntrau a 'n cum-
pari so, e cci dissi: — " Cumpari, b' 'i vinnu dudici cin-
chi ? , — " Pirehi no ? , cci dissi so cumpari. Cummi-
nierru siei pezzi , e ce' '1 desi, e' 'u pattu ca si 1' avia
a pìggìan nn'ò Re.
'U cumpari si nni va nn' 'u Re, e cci dici: — " Maistà,
datimi 'i dùdici cinchi di ma cumpari „.''U ficiru trà-
siri, 'u ficiru spi^giari e puoi cci dèsìnu dudici cuorpi
di cinca. Chiddu, tuttu spavintatu, cci dissi: — * E plrchi
mi stati daimu sti cuorpi P lu vuoggiu 'i dudici cinchi
ca ma cumpari mi vinniu slei pezzi , e cci desi 'i di-
nari ,. Ghiddì cci spijarru , e cuomu 'ntìsinu ca era
chiddu ca si nn'avia jutu senza dàricci 'i dudici cuorpi
di cinca, si misinu a ridiri. Guntarru sta cosa à fi^ia
d'ò Re, e chista si misi a ridiri. Ciamarru a chiddu ca
< CinaUa, cingtaatA, ifenata. S più sotto cinca, cinghia.
'J
296
FIABE E LEGGENDE
s'avia vinnutu *i dudici cincati e cci dèsinu 'a figgia d'ó
Re pi muggeri.
Ragusa Inferiore ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
Richiama alla capestreria di FirrazzanUj n. GLVI, § 10: Lù
centu Ugnati delle mie Fiabe sic.
Il tema di una principessa che non ride e che si cerca di
far ridere, è comunissimo nelle novelle; ma lo stratagemma
del nostro furbo non suol essere Tespediente dell'ultimo for-
tunato giovane che tenti l'impresa. ^
* Raccolta dal D.' Raffaele Solarino.
Lu scravagrgrhiu.
Gc' era 'na vota un parrinu, eh' aveva du' camma-
reri: unu màscuìu e una flmmina. Stu parrinu era sfir-
riusu granili ' , e 1Ì cammareri 'un cci putiaiiu cum-
mattiri. Un jornu si vota la camtnarera e cci dici a lu
criatu ; — "Cu stu patruni 'un si cci pò arr^giri, Go-
mu vi parirria si pigghiamu un scravaggtiiu e cci lu
'nfilamu 'nta lu lettu? ' Accussì lu scravagghiu si cci
'nfila 'nta l'eccetra, ' e pò essiri ca nni cuitamu ,. —
" Bella ! bella! „ dici lu criatu. Eccu ca !u parrinu la sira
si iju a curcari: lu scravaggliiu fìrria, sfirria, si cci va à
'nfìla 'nta lu pirtusu. A lu 'nnumanì si senti granciu-
liari la panza, poviru parrinu. Dici : — " E chi voi' es-
siri ?... Ah ca sugnu gràvitu !... gràvitu, gràvitu sugnu!..,
E si eritti gràvitu.
'Na jurnata passa e passa di 'na pinitenti sua. —
* Dicitimi, cummaruzza: aviti abburtutu mai ? „ — " Sis-
sigTiura, patruzzu mio: 'na vota „. — " E cu chi ? „ cci
spijau lu parrinu. — " Cu 'na cassata , *. Lu parrinu,
< Questo prate era grandemente fastidioso.
• Come vi (che ve ne) parrebbe se pigliassir
glielo mettesaimo entro il letto?
' 'Nla l'eccetra, nel deretano.
' Notisi che il prete crodendoai indnto e desiderando a"" Ttirsi,
chiede ad una sua penitente come e percbè si Tosse ella abortita una
volta. — Questo richiama al Tatto dei desideri e delle voglie delle
donne gravide; di che vedi nel v. II dei miei Usi e Costumi, p. 11!^
scarafaggio e
298 FIABE E LEGGENDE
mischinu, va a la casa; chiama a lu criatu, (mittemu
ca si chiamava Peppi) : — " Peppi, te' ccà dudici tari;
va pigghiamì 'na cassata „^ Peppi 'nt' ón dittu e un
fatta cci ha purtatu dda cassata. — " Peppi , dici lu
parrinu, manciatilla cu Vanna « (cà lu parrinu vulia ad-
disirtari '). Lu criatu 'un vulia; ma all'urtimu, iddu a
diri no, e lu parrinu a diri sì, si Pappi a manciari.
Poviru parrinu avia li pàsimì ; lu stomacu cci java
'ngrussannu, e d'abburtiri 'un si nni parrava. 'Na jur-
nata va nni 'n' àutra pinitenti sua : — ** Cummaruzza,
aviti abburtutu mai?» — " Sissignura, patri, 'na vota ,.
— *E cu chi?„ — * *Na vota cadivi di la scala, e
mancu passò un' ura ca jittavi zocca avia ' „. Va a la
casa, lu parrinu: — " Peppi, Vanna, viniti ccà (era nna lu
scaccheri) ; datimi un càuciu e 'n ammuttuni pi quantu
mi vaju a tegnu a li pedi di la scala K „ — ** So Rivi-
renza chi dici ! (arrispunninu iddi). Sta cosa nuàtri 'un
la facemu né ora né mai „. E " si, ca l' aviti a fari »;
e " no, ca nun la vulemu fari »; poviri criati, àppiru a
fari lu setti a forza ^ : Peppi jetta e' im càuciu; Vanna
cu 'n ammuttuni: cci ficiru cuntari tutti li scaluna. —
* La cassata è un dolce palermitano solito mangiarsi per le feste
pasquali.
* (Perchè il prete volea abortirsi) (spirandosi dal desiderio insod'?;
a£Bktto di mangiare quella cassata).
' Jittavi^ gettai ciò che avea (dentro Tutero; cioè, mi abortii).
* Piddu^ Giuseppe, Giovanna, venite qui: (era egli nel pianerottolo)
(fttjiM scala): datemi un calcio ed uno spintone, tanto che io vada a
Indurmi (precipitando) a* piedi della scala.
■ Ebbero a fare la cosa per forza, — ^Pare che la frase Fari lu setti
# forza sia preso da un, giuoco di cartj9.
LD SCRATAGGHIU 299
' Ahi ! moru ! chi dulurì ! , figurànnusi ca abburtia '.
Currìna li cammareri, lu spincina e lu portami supra
lu letta. Sta du' jorna curcatu; ma 'un curaparsi nenti.
A li du' jorna si susi, e va nni 'n' àutra plnitenti sua:
— " Gummaruzza, aviti abburtutu mai ? „— " Sissignu-
ra : 'na vota ,. — " E cu chi ? , — " Cu tri rnizi di sali
'ngrisi „. Va a la casa e si fa aecattari menzu ròtulu
di sali 'ngrisi ; pigghia ddu sali 'ngrisi e si lu scàrrica
'ntra lu stomaca vivèonueci la graan' acqua di supra.
A lu capu di du' uri cci scattia un gran duluri di sto-
maca ca paria ca raureva. Nta lu raegghiu cci veni di
fari '; s'assetta supra la silletta e ddoca si stava jittannu
li vudedda. Quannu si susiu, va pi taliari la silletta e
vidi 'na cosa niura; votasi e dici : — " Ah flgghìu miu,
eu lu rubbunedda ti liei l Quant' baju patutu pi tia ! ,
Currinu li camrnareri : — " So Rivirenza eh' havi cosa? ,
— " 'Un 'u viditi ca tigghiavi e fici un picciriddu ma-
càri cu lu rubbuneddu ? , — " Ma So Rivirenza chi di-
ci ?... Ghistu è scrava^hia ! , — ' Chi scravagghiu e
scravagghiu !... ,
Ma avògghia di diri ch'era scrava^hiu. Lu parrinu
arristò pirsuasu ca avia fatta un picciriddu cu lu rub-
buneddu; e criju ca ancora cci cridi.
Terraaini ',
VARIANTI E RISCONTRI.
Una versione è nelle mie NovelU toscane, n. LXV: Il Prete
pregno.
* Cosi gridava il prete, penruuo che foMe li lì per aborUrai.
» Nel meglio (a certo punto) gli viene di Hoaricare il ventre.
* Raccontata Av Loreta Zi ngàra.
300
LXXV.
'I Cucuzzi.
'Na vota cc'era 'un nicuzianti, ch'avia 'nu figgiu. 'U
patri era 'spertu, e 'u figgiu era babbu. 'N juornu 'u
patri desi cenVunzi a stu figgiu, e cci dissi: — " Tieni»
ti dugnu cient'unzi, va a tali paisi a cumprari 'nzoccu
cridi, pi nicuòziu ». Chistu parti, cu 'a 'ntinzioni di cum-
prari quattru testi di vistiami picciuli. Mentri era 'n
viaggiu, camjna, camina, cci attuppau 'na sciumara e
vitti ca ce' erunu 'n munzieddu di cucuzzi ; ciamau 6
sciumararu ^ e cci dissi: — ** M' 1 vinniti quattru di chì-
sti, ca vi dugnu cient' unzi ? » pirchì cci paria ca 'n ogni
cucuzza cc'era 'n vitidduzzu. 'U sciumararu cuomu un-
tisi cient'unzi, attintau, e cci rispusi: — " 'Nga pirchì no ! „
Arriva chiddu, cci duna 1 dinari, pìggia 'i cucuzzi e s'
'i porta supra 'na muntagna , 'i posa , e tantìccia si
stapia alluntanannu ^. 'Nta stu mentri passau di dda
muntagna 'n cacciaturi ca sparava aciedda, tira a dui
ca èrunu ó cantu d' 'i cucuzzi, ma scànciu di còggiri
é aciedda, cuggiu e cucuzzi ; chisti cuomu iàppunu a
botta d' ò ciummu, 'utarru, e si mìsinu a ruzzulari, e
scattiarru ddassutta *nt' *a cava *. 'U figgiu d' ò nicu-
* Sciumara per ciumara, fiumara.
* E si stava un po' allontanando.
* Ma scànciu, ma in cambio di cogliere (colpire) gli uccelli, colse
le zucche. Queste, com'ebbero il colpo del piombo , voltarono , e si
misero a rotolare (giù per la montagna), e piombarono là sotto nella
cava.
'i cucuzzi 301
ziantì s' adduna di stu fattu , e accumenza a pinsari :
" Cuorau ! iu cci spisi cient'unzi, e l'appi a perdiri ! Ma
ora vaju nn' ò sciumararu, e mi nni piggiu quattru am-
mucciuiii ,; e accumenza a calari; e mentri parrava tra
d'iddu ': — " Ora 'i piggiu di chiddi d'Ò sciumararu... si-
curu.... m' 'i piggiu,,.. ,; e stu discursu Iu facia a vuci
fuorti. 'TI sciumararu era jintra, e 'ntisi a chistu ca fa-
cia sta sorti di discursu, e dissi: — " Aspetta, ca t' 'i du-
gnu buoni 'i cucuzzi ! , Piggia 'a sculetta, e aciddu a-
ciddu nescì 'n ciana; cci lira 'na scupittata e 'u 'mmaz-
zau. Guomu appuoi 'u vitti muortu, amminnaiiu, e pin-
sau : " E ora cuomu fazzu ?.., „ Puoi pinsau; e chi ficì?
s' 'u carricau 'n cuoddu e di notti va darrieri 'na pa-
nittera , tuppulia e senza fàricci ■vìrriri ddu muortu,
cuomu cci grapierru cci dissi ca vulia 'na vastedda di
pani, 'A panittera toma ddà jintra, pi piggiariccillu;
mentri, stu sciumararu situau 'u muortu à'ddritta da-
vanzi 'a porta e si nni curriu. 'A panittera toma e' 'u
pani, cci 'u proj a chiddu, ca stennì 'i manu: — ' Ti-
niti ,; e ehìddu, sìlenziu. All'urtimu 'a panittera s'ad-
duna ca avia 'n muortu pi davanti; si spirdau, ma puru,
s' 'u càrnea e va 'nt' 'a crièsia. Ddà cc'era 'u saristanu
e cci dissi: -" Sunati *n' angunia ,. 'U saristanu 'ntisi
accussì e si nn'acciana nn' ò campanaru *•, comu stapia
accuminzannu a sunari pinsau, quasi dici: * Di cu' ha
'ssiri st' angunia: dì fimmina o di uòmminu? *, Scinni e
' E mentri, e frattanto parlava tra sé e gè.
< Se ne sale sul campanile.
' Di cu\ per ohi dev'essere {sonata) quest'agonia: per donna o per
§
9
I '
iì
302 FIABE E LEGGENDE
va a spìjari a chidda ca cci avia dittu di sunari. Ma
'a panittera sì nn' avia jutu è quattru e cinca \ e avia
lassata 'u muortu appujatu a porta. 'U saristanu comu
arrivau nn'ò muortu cci spijau, dici:—" Di chi Phaju a
sunari: di fimmina o di uòmminu ?» E chiddu nun cci
rispusi; cci spijau 'n'àutri du' voti, e nenti; alPurtimu,
quannu s'addunau ca era 'nu muortu, si cunfunniu: —
" E ora cuomu fazzu !... „ Pensa, pensa... e 'u vistiu di
parrinu ; puoi 'u 'ssittau 'nta 'nu cunfissiunàriu. O
'nnumani matinu s'arricuggièunu 'i parrini -; vienu 1
cunfissura ca avièunu a cunfissari 'nta ddu cunfissiu-
nàriu , vìttinu ca ce' era unu assittatu e aspittàunu.
Aspetta, aspetta, ali' urtimu si cci 'utarru: — ** 'Nga su-
sìtivi ! „ e chiddu, nenti. Sìcutarru, e chiddu, nenti; al-
Turtimu cauriarru, e accuiainzarru a 'bbiàricci 'nzoccu
avièunu vicinu ^. Jamu ca ddu parrinu nun si cutuliava.
\ Quannu s' addunarru ca era muortu , dici: — "E ora
cuomu si fa V Piensu ca si sintia tintu,vinni ccà e morsi„.
Ali' urtimu piggiarru 'nu cavaddu l'ìiusu d'unu d'iddi;
cci aLt.i::c.ii*L'Li 'a sc'apotli 'iiL* ò ni i;iu d' ù maorcu, e
puoi ó stissu muortu 'u prisaggiarra 'nt'ò varduni d' 'a
viòstia ^ caccinrru 'a vièstia 'nti 'na campagna. 'A viè-
stia si misi c-imina camina; arrivata a 'nu cicrtu puiitu
' So ifera sceso subito e precipitosamente.
• Vuol 'il 'sùttau , poi lo sedette (il morto) al confessionale. Al
domani mattino, rientravano (in chiesa) 'i preti.
5 Sicutfrrru , seguitarono, e quello, niente (innnobile) ; airultlmo,
si riscaldarono, e cominciarono a tirargli quel che aveano vicino.
* Lo legai'ono al basto del cavallo. — Prisaggiaìi, non ha questo
significato nel dialetto ; anzi gU stessi vocabolaii non lo registrano
in nessun modo.
.y
'i CDCuzzi 303
cc'era 'nu picuram, e siccuomu 'u muortu avia attac-
cata 'a scopetta di manera ca 'a portava 'n facci 'u
picuram, chiddu dissi: — " Nni mia veni; a mia v6' spa-
rari.... Aspetta, ca iu prima ammazza a tia, peddi pi
peddi!... „ Afferra 'n timpuni e cci 'u coggi nn' 'a lesta,
, ca 'u muortu, accusai attaccatu cuorau era,abbannunau '.
Lu picuram dissi: — " Bih ! 'u 'mmazzai davem !... E ora
l'haju a 'mmucciari, osannò, povtra 'i mia ! „ 'Mmanu
ammanu fa 'n fuossu, cci.'u 'bbiau,' puoi 'u vurricau;
ò cavaddu cci desi 'n amminazzuni e nn' 'u fìci jiri '.
'U figgili d'ò nicuzianti morsi ammazzatu, e so pa-
tri ancora l'aspetta cu 'i cient'unzi di capitali.
Ragusa Inferiore '.
VARIANTI E RISCONTRI
Cfr. con Fra Ghinìparu, n. CLXV delle mie Habe; con Lu
harzone de lu mtdenère delle NoceUe abruzzesi del Finamore,
n. IX; con 11 tnorio a cavedio del Batacchi.
' Afferra una grossa pietra e gliela scaglia solla testa (così forte-
mento) che il morto, cosi legato com'era, rovesciò,
' E ora, e adesso devo nascoiiJei'lo (quest'uomo ch'io ho ucciso),
altrimenti povero di me! — Subito scava un tosso, ve lo getta den-
tro, poi lo seppellì; al cavallo diede imo spintona e Io Teee andar via.
' Raccolta dal prof. Carlo Simiani.
304
LXXVI.
Don Libranti e Donna Miluni ^
*Na vota ce' era 'nu maritu e 'na miiggeri, ca si eia
màvanu Don Libranti e Donna Miluni. 'N juornu Donnj
Miluni avia a macinari un saccu e nun avia a cu' ce
mannari *; e 'u dissi a Don Libranti: — " Don Libranti,
cci jiti ò mulinu a macinari 'u saccu ? pirchì nun haju
a cui mannàricci „. — " 'Nga pirchi no ? „ dici Don Li-
branti. — " Ma viditi ca prima d'abbiallu vuòggiu vìr-
riri comu veni 'a farina ' ». — " Nun cci pinsati , ca
v' 'a mannu o v' 'a puortu 'n pugnu * „. Allura Donna
Miluni cci desi 'u saccu, e chiddu si nni iju ó mulinu.
Comu 'u jittau e nisciu 'a prima farina, nni piggia 'n
pugnu e dissi ò mulinaru : — ** Aspittati quantu 'a
mmùsciu a ma muggeri "^ „. Siccuomu 'u milinaru ca-
piu ca chistu era 'n piezzu d' ofu ®, cci dissi : — ** Chi
bisognu ce' è d' arrancàricci vui ? Jittàtila ó vientu, e
idda cci va ^ „. E *ccussì Sci Don Libranti.
1 D. liberante e Donna Mellone.
* Un giorno Donna Miluni avea a macinare un sacco (di frumento]
e non avea chi mandarvi (al mulino).
' Ma badate che prima di avviarlo (mandarlo), voglio vedere come
venga (buona) la farina.
* Non ci pensate, che ve la manderò o ve la porterò un pugno (d
tkrina).
' Aspettate che io la mostri (questa farina) a mia moglie.
* '-y piezzu (Tofu^ un mincliione, uno sciocco.
^ Che bisogno v*è egli d*andarci voi (da vostra moglie a farle ve-
dere che tanna è quella del grano molito)? Buttatela al vento, ed
essa (la fìirina) ci va (andi'à) da sé.
DON UBRANTI E DONNA IdlLUNI 305
Comu fu tuttu macìuatu, Don Libranti si càrrica 'u
sacca, e s' 'u porta à casa. Vidènnulu , Donna Mituni
cci dissi :— ' Cuorau ! nun v'arrigurdai àutm ca vulia
virriri 'a farina ' „. — ' E iu 'un v' 'a mannai e' 'a vien-
tu ? Chi nun v' arrivau ? , — " Va, ca siti 'n piezzu di
bajoccu lisciu: e sintiti, burrittu ': su 'n' àutra vota
faciti 'na ci^giuniata di chisti , vi mannu fora d' 'a
casa ,.
O 'nnuniani 'u raannau a cumprarì 'napuoeu di sau-
sizza ; 'a cumprau e s' 'a misi pi bastunì. Arrivata a
casa, 'a pusau supra 'na cera *, e puoi dissi: — " Ora
veni Donna Miluni e voli manciari ; mieggiu ca fazzu
ca cci pì^iu 'napuoeu di vinu ,, Mentri ca mìttia 'u
vinu, trasi un cani, e si pi^a 'a sausizza. Lassa per-
dili 'a vutti e si misi a'ssicutari 6 cani; ma nun lu
potti piggiari e si nni turnau à casa a truvari 'u vinu
.casa casa. — " Vih ! ora su veni Donna Miluni si nìchia
a virriri sta vagnatina, Mieggiu cci saliu 'a farina * ,.
Cuomu s'arricu^iu Donna Miluni e truvau stu fracassa.
nn' 'u raannau d' 'a casa, e 'u poviru di Don Libranti
si nni iju fora d' 'u paisi, e si curcau 'nti 'na ciusa *.
'A notti, cu' fu de' buoni cci t^giau 'a varva, e 'a mati-
' Come! non Ti disa'Lo che volea vedere (prima) la farina!
' Va, andate, che siete un pezzo di baiocco liscio (qui; uno scioccone):
e sentite, ridicolaccio: se fsiij un'altra,vol£a&t«una coglionata di que-
ste, io vi manderò Aiori di caaa.
» Cera, sedia.
* Ahimè! ^i>ik!j adesso se Donna Miluni viene, s'inquieta a vedere
questo bagnato ((tadicio). Meglio che io vi sparga della farina sopra.
* E si coricò in una chiusa.
PiTRÈ — Fiabg e Legende. 20
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306 FIABE E LEGGENDE
na cuomu si arriviggiau, vitti ^ ca cci mancava 'a varva.
e dissi : — " Sugnu o nun sugnu Don Libranti ?... Ma
a mia mi pari ca assira era Don Libranti 'n carni e
'n ossa ; ma pirchì nun haju 'a varva, nun sugnu Don
Libranti cciù. Gaspitina! assira era Don Libranti, e
stamatina 'un sugnu cciù iddu.... Eppuru iu mi sientu
essiri Don Libranti... vidimu: facimu 'na prova: jimu nni
Donna Miluni: su m' arricivi, vò' diri ca sugnu iu; .su
mi nni manna, signu ca nun sugnu iu „. Accussì fici.
Donna Miluni cuomu 'u vitti, si fici 'na scatasciata d^
arrisu *; ma puoi cci fici cumpassioni e 'u fici tràsiri
jintra, e pri castiju 'u calau 'nt' 'a 'stema *, e cci lassau
'a sula testa fora l'acqua; e cci dissi : — " 'I faciti cciù
sti cosi * ? , — * Gnarnò, nun li fazzu cciù; ma 'sciti-
mi fora, pri carità, osannò fazzu 'a morti d' 'u purci , *
.1 Ragusa Inferiore •.
* Alla f^dJ notte, non si sa chi fti, gli tagliò la barba, e la mattina
tome si svegliò, vide.
* Si fece una sollennissima risata.
» *U fici tràsiri, lo fece entrare in casa, e per castigo io calò gitì
nella cisterna.
* IjC fate più queste cose?
* Gnomo, non lo fo (farò) più ; ma uscitemi fuori per carità, al-
trimenti fo la morte della pulce (muoio annegato).
« Raccolta dal Bj Raffaele Solarino.
La TÌddanedda maritata.
'Na vota ce' era 'na viddanedda. Sta viddanedda di
nica nica guardava li gaddurinnia; quannu fu granai
sì maritò , ma 'un sapia fari li cosi di lu cucina. La
maritu ccì dissi : — ' Quannu vugghi la pignata , cci
cali la pasta, cci metti lu salì, e cci ciùsci. Com'è cotta,
la sculi 'nta lu sculapasta, e la 'mplatti, ^ „ La picciotta
accussi fici. Quannu la misi 'nta lu sculapasta, e vitti
nèsciri tutta l'acqua di li pirtusa, si misi a gridari :
— ' Gesù ! chi foca granni !
Di tutti banni spanni!
Comu sugnu cunfusa!
Comu l'attuppu tanti pirtusa t ,
Palermo ".
' Quanmi vugghi, quando la pentola bolie, versavi la pasta, get-
tavi del sale, e soffia (sul Aioco). Appena cotta, còlala nello scotitoio,
la scodelli.
' Raccontata da Agatuzza Meaaia.
308
LXXVIII.
Ciaramuntanu, cciùl... \
Era tempo di vendemmia, e c'era un chiaro di luna,
che rallegrava. Un villano di Chiaramonte, ma di quelli
che hanno le orecchie lunghe, se ne tornava al paese,
a cavalcioni dell'asinelio, in mezzo a due corbe di uva
fresca, spiccata allora allora dalla saa vigna. Vito era
allegro e cantava; ed ecco che un gufo, accovacciato
sopra un cipresso, comincia a cantare in modo sì ri-
spittusu, che parca gli si spiccasse Tanima. Il povero
Vito avea , egli è vero , le orecchie lunghe , ma avea
un cuore di Papa; e si rattristò del lamento del gufo,
e pensò che piangeva forse per fame. Sicché vinto dalla
tenerezza, gli gridò: — " Gufo mio, vuoi un grappolo di
uva?... „ Il gufo seguitò a cantare: ccih!—'' Come! Non
ti basta un grappolo ? Ne vuoi forse due ? „ — ** Cciù ! „
— ** Oh, che gran fame che hai ! Ne vuoi un paniere ? „
— • Cciù! r, — " Ma, santa morte ! tu sei incontentabile;
ne vorresti forse una corba? „ — " Cciù!... „ — ** Va al
diavolo ; io ho moglie e figliuoli , e non posso darla
tutta a te! * ,. Comiso '.
* Chisuramontano, più.— Di questa e della seguente facezia non a-
Tendo il testo dialettale pubblico la versione letterale.
* Con questo palleggio da Comisani e Vittoriesi si dà la baia a
quei di Chiaramonte ; ma da Modicani e Notigiani sì dà la baia a
quelli di Avola.
* Raccolta dal Barone S. A. Guastella.
CIARAMUNTANn CCit
VARIANTI E RISCONTRI.
Una versione di Borgetto col titolo; Lu rmirrialisì elu ekiò
ne diede il Salomone-Marino, Aneddoti, n. XXIX; neWArchi-
rio delle Irad. pop., t. III,
Un'altra del secolo scorso è negli Avvenimenti faceti rac-
colti da un anonbno siciliano ndla prima metà del tee. XVIII,
n, 59 : Barbaggianne in Trapani. Palermo , Pedone Lauriel
MDCCGLXXXV. {Curiomtà pop. tradie., v. II).
4
310
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LXXIX.
L'Ecce-Homu ca parrà.
Signore , ha da sapere che in Comiso si strappano
gli occhi tra i Nunziatari e i Matrichlsiarl, e che nella
Settimana Santa è miracolo di Dio quando non avviene
nulla di tristo *. Ora il Cristo della Nimziata era logoro
e rosicchiato dai sorci, e al contrario,quello della Chiesa
' Madre era nuovo e fiammante. I Nunziatari aveano
; scritto a Roma per un altro Cristo, ma si era già al
Martedì Santo, e Cristo non era ancora venuto. I Ma--
! trichisiari saltavano dall' allegrezza, e diceano ai loro
j avversari : — " Nunzio, è vero che il Crocifisso è an-
dato a pascere ? „ I Nunziatari pareano tanti scorpioni,
e, a salassarli, non sarebbe loro uscita un'oncia di san-
gue. Ed ecco che uno dei pezzi grossi della Collegiata
suona campana di consiglio, e dice ai canonici, grat-
tandosi la fronte: — " Il rimedio è qui dentro. Conoscete
il figlio di Don Ciccio F.... ? È magro, secco, ha la barba
bionda, ha i capelli alla Nazzarona, ha le gambe che
gli natano nei calzoni.... è un Cristo migliore di tutti
i Cristi che possano venire da Roma. Ebbene: diamo-
gli una colazione, e una sommarella, l'attacchiamo alla
colonna e diremo che è il Cristo che si aspettava „.
La proposta fu accolta, e se ne parlò al giovane, il
quale facea unicamente difficoltà pel disagio di dovere
* Vedi in proposito Guastella, Canti pop. della Contea di Mo-
dica, p. LXXXV^e i miei Usi e Costumi, v. Il, p. 9.
L'KCCE-HOUn CA PARRÀ 311
stare una dozzina d'ore immobiie , muto , e morto di
sete: ma siccome il Decano gli fece osservare che, fa-
cendo da Cristo, godrebbe dell' indulgenza plenaria, e
che tutti i rosarji che gli reciterebbero i divoti an-
drebbero a profitto dell'anima sua, il giovane vi si ac-
conciò volentieri. Venne , come Dio volle, il Venerdì
Santo, e il figlio di Don Ciccio comparve sull' aitare,
nudo come il verme , con una fascia fra le vergogne,
coi capelli sparsi sul volto , con le ginocchia tinte di
minio e di verderame, attaccato alla colonna di l^no,
e in mezzo a due giudei di cartapesta. Le genti an-
davano e venivano , e dicean maravigliando: — " Ve',
ve' ! il nuovo Cristo somiglia come una fava partita al
%lio di Don Ciccio !, — " Compare Suzzu \ vedete: non
pare di vera carne? „. — "Oh oh, mastro Leli ', non
vedete che ha financo i peli sotto le ascelle? Gran
scultore dovette essere chi lo fece ! , Ultima fra tutte
venne la zia Nina, una vecchiarella cenciosa, che avea
più grinze che capelli.
La zia Nina cominciò a recitare credi su credi che
non la finiva più , sopratutto che il sagrestano mag-
giore le avea detto che il nuovo Ecce-Homo era dieci
volte più miracoloso di quello che e' era. Dopo aver
recitati adunque quindici credi pei quindici misteri, e
quindici poste di rosario, tutta piagnucolosa si rivolse
all'Ecce-Homo, battendosi il petto, e dicendo con fer-
vore:^" ^A, Santissimu Cri siuu....'U me fìggiu dtt-
mani all'avrà s" '« portanw 'i sbì....rrii, 'itsbirri 'u wÈ
> Sutmi., Biagio,
« Leti, Raffaele.
312 FIABE E LEGGENDE
f%...ggiuu. .S" 'un cri puortu setti tari, resta carzarat»'»
me p....iji/iuv. 'Xra rui mi l' hCttì a darì, Santiesim»
Cri stuH, rui mi l'ktìti a (lari asi setti tariii ',. H fi-
glio (li Don Ciccio , che per non poter muoversi né
parlare sinluva freddo, e bestemmiava ad onta della
indulgenza plenaria, all'udire la vecchiaccia non potè
più contenersi, e proruppe sdegnato: — ' AJi, EÌcciazza
fl....tciitii.' in Maju ccà ppi ne' tari, stajit cca....a; e t»
vuoi di mia setti tari, vuoi di mi....aa. Setti m... ! si 'Ì
vuoi, s* '( vu....oÌii a * , La zia Nina all'udir parlar l'Ecce-
Homo, fece un salto nell'aria, urlando come un'anima
dannata: — " Gesù! Gesù! Gesù !,., chi è tnalaccrià....tuu
ssu Saiitissimu Cristu, ca vì....n>iii '.
Chiaramonte *.
* In queste e nelle seguenti parole in dialetto è ritratta con vaa,
certa caiìcatura la parluta, o, come diccni in siciliano, la 'ncareata,
de' Comisani. La vecchia prega cosi il Cristo; * Ah SS. Cristo, mio
Aglio, domani all' alba, se lo [lortano i birri, i bin'i, il Aglio mio...
Se non porto loro fi:cij sette tari, resta carcerato il Aglio mio. Dun-
que voi me l'avete a dare, SS. Cristo, voi me l'avete a dare questi
■ette tari ».
I punti interrogativi e le ripetizioni son pure una carii-atura deHa
(brina interrogativa e ripetitiva onde a' Chiaramontani ed agli abi-
tanti de' comuni vidoi a Comiso sembra che parlino i Coimsani.
Notisi la tradizione dell'antico costume di dar la libertà a" de-
tenuti per danaro: e perù la strapotenza de' birri.
' Ah vecchiacwa fetente ! Io sto qui (legato a fare il Cristo) per sei
tari, sto qui; e tu vuoi da me sette tari, vuoi da me. Sette e... Il
se li vuoi, se 11 vuoi 1
' Oesù, com'è malcreato questo SS. Cristo che venne !
' Raccontata da Vito Migliore, inteso Pignolo, famiglio e raccolta
dal auastella.
LECCE-HOMO CA PARHA
VARIANTI E FUSCONTRI.
Di aneddoti e facezie come questa, nelle sacre rappresenta-
rioni popolari se ne racconta molte e dovunque. Negli Avvt-
nimenti faceti, nn. 1 e 2: Verbo, Settimana Santa, Passione
e Crocifisso, ve ne sono due curiose molto. Un'altra in Salo-
mone-Marino, Aneddoti, n. XXXI : La finzioni dì la Passioni
a Murriali; neìi' Archivio delle irad. pwp., v. HI, p. 572.
>
314
LXXX.
Lu Ballafranchisi.
A Petrapizzia, primu avìvanu ppi protetturi a Santu
Rusciànniru, e a Ballafranca a Santu Roccu. Ora sU
Santi quanta li Ballafranchisi, quantu li Pizzisi li pur-
tavanu 'ntra 'na chiisa ca jè vicinu di Ballafranca e
vicinu di Petrapizzia. A li Pizzisi Santu Roccu nun cci
piaciva, e pinsaru di canciarisillu ccu li Ballafranchisi:
e la còsa la ficiru succediri davcru 'nti ddu jurnu ca
si purtavanu li santi 'nti dda chiisa. Li Ballafranchisi
ppi r amuri eh' hannu a Santu Roccu , ognadannu,
quannu li Pizzisi cci fannu la festa, cci vannu tutti.
'Na sira di stu jurnu di festa, un maritu e 'nna mu-
li Barrafranoliese (Versione letterale).
A Pietraperzia, prima (una volta) avevano per protettore S.
Alessandro , e a Barrafranca (avevano) S. Rocco. Ora questi
Santi tanto i Barrafranchesi, quanto i Pietraperzesi li porta-
Tano entro una chiesa vicina a Barrafranca e vicina a Pietra-
perzia. Ai Pietraperzesi S. Rocco non piaceva , e (essi) pen-
sarono di cangiarlo con (quello) de' B., e la cosa (= il cam-
bio) la fecero succedere da vero in quel giorno che si porta-
vano i Santi in quella chiesa. I B. per Tamore che hanno a
S. Rocco, ogni anno, quando i P. gh fanno la festa, ci vanno
(accorrono) tutti.
Una sera di questo giorno di festa, un marito e una moglie
barrafranchesi andarono (jiru) ad abbeverare Tesino; e sicco-
^
LO BAU.AFRANGHISI 315
glieri ballafranchisi jini a birvirari lu sceccu; e siccu-
mu ce' era 'n cìlu la luna, sta luna spìcch'iava 'nti
l'acqua di la brìvatura. Lu sceccu accuminzà' a biviri;
QCCu ca 'na nivula cummiglià' la luna, e 'nti l'acqua la
looa nun si vitti cchiù. La muglierl, nun vi<linnu cchiii
a luna, tutta spannata, cridinnu ca si l'avìa vivutu lu
aceccu, grida a lu maritu, eh' iera a cavaddu; dici: —
■ Lu sceccu si vippi la luna ! Tale ! , Lu maritu, cchiù
asinu di la muglieri, accuminzà' ccu lu vastuni a ea-
fiiddari a lu sceccu grìdannu: — " Vùmraica la luna ! ,
ma lu poviru sceccu chi avada a bùmmicà' ? l'acqua ?
Doppu, la nivula passa', e la luna si vitti arriri 'nti
1' acqua ; allura lu ballafranchisi si nni ìj' tuttu cun-
tenti ch'ava fattu vummicari- la luna a lu sceccu.
Pietraperzia *.
me c'era in cielo la luna, questa luna rispecchiava sull'acqua
dell'abbeveratoio. L'asino cominciò a bere; ecco che una nu-
vola coperse la luna, e nell'acqua {dell'abbeveratoio) la luna
non si vide più. La moglie, non vedendo più la luna, tutta im-
paurita, credendo che se l'avesse (!a fosse) bevuta l'asino, grida
al marito, ch'era a cavallo;^ " L" asino si bevve la luna ! guar-
da ! , Il marito, più asino della moglie, cominciò col bastone a
batter l'asino gridando :— ' Vomita la luna! vomita la luna I ,
Ma il povero asmo che avea a vomitare ? l'acqua P
Dopo, la nuvola passò, e la luna si vide di nuovo nell'acqua;
allora il barrafranchese se ne andò tutto contento di aver fatto
vomitare all'asino la luna.
' Raccontata da Francesco Fulco.
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316 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
E una facezia che si racconta in molti comuni per dare il
ridicolo a qualche comunelle, per lo più vicino. Ecco qui una
variante in dialetto piazzese, che fu raccolta e pubblicata da
R. RoccELLA , Poesie e Prose nella lingua parlata piazzese,
p. 191, e che io riporto nella grafia, per me discutibile, del-
l'autore :
u a*s8òr.
S' conta e s' racconta eh' ggh' ora 'ng'sser, eh' d' nòit cu
'nscecch carriava gess a Ciazza. Quann r'và v'sgingh d' nà
b'v'raòra, ggh' era 'nlustr d' dduna com giorn chiaru, e a
dduna sp'cchialiava n' l' egua e parca eh' avessa stàit dintra
a b'v'raòra. U scecch avea see; 'ncugnà na b'v'raòra, e cum'nzà
a bev, e u g'sser a cavadd sp'ttava eh' avessa f nùit. 'Nt' si'
mentr a dduna s' muccià 'nt' na nìvula, e u g'sser non v'denn
ciù a dduna n' l'egua, s' cr'dea, eh' u scecch s' l'avea b'vùit;
allora cu 'mbastong cum'nzà a de dd'ignadi au scecch, e mirra
eh' t fuma, ggh' d'sgèa: — * vòm'ca a dduna, svòm'ca a dduna „.
Dop eh' avea saccufiàdt dd' armau a bastunadi, a nìvula passa,
e a dduna cumparì arrera na b'v'raòra, e cr'denn eh' u scecch
l'avea davveru svum'càit, s' n' annà, p' l'afferi soi a venn u
gess. Mentr u scarriava, cuntà a passada ai manuàu, e tutti
u cum'nzanu a cngghiuniè, e ogn' vota eh' v'néa a Ciazza u
'ngiuriàv'nu : svòm'ca a dduna.
Giufà e la Giustizia.
Giafà nni fici quantu Cinchedda ', e 'na vota nni fiei
una tanta grossa ca la Giustizia lu ìju a 'rristari. Lu
patri di Giufà nn'appi 'na sìntura e lu fici spirìri ". Virmi
la Giustizia, e a Giufà 'un lu truvò. Finiu *, Ma Giufà
arristò scriltu a libbrazzu *, e li sbirri, di ccà, di ddà, .
lu circavanu sempri, Quannu cci parsi a iddu, so patri
si lu purtò a la casa, e lu fici ammucciari. Vennu li
sbirri: — " Uno' è Giufà ? „ Votasi so patri: — " Ma 'nsuiu-
ma, coma vi l'haju a diri ca me fìgghia muriu ?... Me
figghiu muriu, e 'un si nni parrà cchiù !... , Giufà, ch'era
ammucciatu, sintennu diri di so patri ch'era raortu,
jeeca 'na vuci: — " Chissà è minzogna ! Io si^u vivu ! ,
E ddocu vi lassù ! Palermo '.
VARIANTI E RISGONTRL
In Catania corre questa specie di affabulazione in forma di
paragone: * Tu fai comu Giufà, ca quaon'era ammucciatu pri
< Fàritmi qujntu Cinchedda, fame di tutti i colorì , (àrnc delle
belle; e si dice anche: fàrinni quantu Giufà!
Cinchedda a Cinghedda , uome leggendario , di cui con soq riu-
scito a. saper nulht, e che ha una certa analogia e forse identità con
Ciringhedda, uno dei diavoli della tradizione popolare.
* n padre di Oiutà n'ebbe sentore (cioè, che la pohxia cercava Qiutà
per arrestarlo), e lo fece sparìre.
■ Non se ne parlò più.
* BestÙ scritto nel libro della Polizia.
. * Raccontata da Agatuzza Messìa.
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318 FIABE E LEGGENDE
non essiri pigghiatu carzaratu, sintennu diri a so patri ca iddu
era mortu, gridau: Chissà è minzogna ! E si dice a chi, dopo
un lungo silenzio, dice cose che gli riescono di danno o di-
sonore. Richiama al pecorino del contadino da Dicomano, che
questi avea posto in un sacco per frodarlo alla gabella; e che,
non avendo mai fatto zitto per tutta la via, cominciò a belare
alla porta della città , (Castagnola, Fraseologia aicolo-toscana,
p. 171. Catania 1863), e all'aneddoto del maiale travestito da
barone per poter esser messo dentro città sfuggendo a' gabel-
lieri; e grugnì proprio davanti a costoro, quando era stato si-
lenzioso fino a quel punto.
Oiufà. e lu frìscalettn.
Giufa 'na vola si vistiu beddu puiitu, eh' avia a jiri
a la fera. Lu canuscevanu tutti, e tutti cci spijavanu: —
■ Unni vai, Giu^? , E iddu:— " Ala fera ,. Lu primu
chi lu 'ntisi, cci addumannò pi favuri d'accattàricci un
friscalettu ^ ; ma dinari 'un cci imi detti. 'N àutru :^-
' GivSk, senza 'ntressu, vogghiu purtatu un friscalettu ,.
— " Gnursì „ ; e dicia 'nta iddu : " Ma tu nun vò' fri-
scari ' ,. La stissa cosa 'n àutru:—" Giufà, a chi vai a
la fera, fammi un piacìri; portami un friscalettu , eà
turnannu ti lu pagu. „ — " Gnursì „; e dicia 'n suttavu-
ci: ' Ma tu nun vó' friscari „. E tanti lu vittiru, tanti
cci dettiru la cummissioni d'un friscalettu cu diri ca a
la cunsigna cci davanu IÌ dinari ch'avia spisu; e Giufà
dicennu sempri : " Gnursì „ a vuci forti ; " ma tu nun
vò' friscari „ adàciu. All'urttmu cci capitò un canu-
scenti so e cci dissi: — " Giufà, io vurrissi fattu un pia-
ciri: vurrissi accattatu un friscalettu; e ccà ce' è li di-
nari. ,— " Ah ! dissi Giufà , vuì vuliti friscari da veru:
e io vi lu portu „. E, comu di fatti, jennu a la fera,
primu pinseri nun appi , accattàricei un bellu frisca-
lettu.
Palermo '.
' Gli domandù per favore ciie gli comprasse un zu(blo.
< Ma, tu non vuol fischiare (sonare il zuiblo; altrimenti mi daresU
anticipatamente i quattrini per comprarlo). — Questa frase è proverbiale.
* Raccontata da Domenico Ingrassia.
320 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
Una versione ciancianese è nel XX. dei Cimtifchli di t
nanna del Mamo: Giufà e VamicL
Un aneddoto simile di un marinaio si racconta al Dorgo
l.u znarlnaru {Palermo).
Una volta un marinaio dovea partire per Londra; e andato d
parenti ed amici intimi per congedarsi, ebbe da quasi tutti de
commissioni di compre: da clii con danari anticipati, da chi c(
promessa di pagamento alla consegna. Giunto a bordo scris
in polizzini le commissioni e mise questi sulla carrozza della e
fnera posando sulle commissioni pagate anticipatamente il d
naro ricevuto, e lasciando le altre scoperte. Quando questo 1;
voro fu finito, s'acchinò sul margine della carrozza^ e vi sofl
fortemente a fior di tavola, sicché i polizzini liberi andaron vi
Giunto a Londra eseguì le commissioni pagate , e non fe(
altro. Al ritorno in Palermo consegnò tutto , ed a quanti g
domandavano gli oggetti ordinati e non pagati rispondeva: -
• Che volete che vi faccia ? Quando montai a bordo, posai
vostra commissione scritta sopra la carrozza della camera; ui
ventata mi portò via tutti i polizzini, lasciando soltanto que
sui quali avevo posato il danaro ricevuto con anticipazione
(Questa novella corre in molti comuni dell'isola, e ricordo
averla letta, forse n<^\i' Arcadia in Brenta),
La morale è che chi dà una commissione di compra de^
pagarla anticipatamente.
La medesima novella è tra Le facezie del Piovano Arlot
ed. Baccini, (Firenze, Salani, 1884), n. 122.
Lu dubbiu di lu viddanu di MenSci.
Va viddanu di Mòniìei ' 3'avia a maritari, e ija nni
lu parrinu pi ciinfissàrisi. Lu parrinu, a prima giunta,
■ccì flci sta dumanna:^" Quantu sunnu li ptrsuni di ia
SS. Tirnitati ? „ — " Quattordici, .arrispunni lu viddanu:
setti ciirpurali e setti spirituali. , — ° Quantu?..., —
" Quattoi'dici !.„ „ Lu parrinu sturdfu a sentiri sta gran
spropositu; e vidennu ca lu viddanu era veru a palit-
tuni % cci detti pi cunsigghiu di jìrisi a fari 'nsignari di
lu so propria cunfissuri '. Lu viddanu però 'un si smuvia,
e cci vulia fari accapiri ca iddu sti cosi li sapla boni.
Pensa, pensa, all'urtimu cci fa stu dubbiu ; — ° So Ri-
"virenza mi sapi a diri Gesù Cristu ddoppu 1' ott' anni
unni trasiu ? * „ -Lu parrinu arristò, e 'un cci sappi ar-
rispunniri , e cci dumannò tri jorna di tempu. Ma la
risposta 'un cci vinia, tantu ca iju nni l'Arcipreti e cci
cuntò la cosa. L'Arcipreti arristò puru; pigghia un lib-
bru , nni pigghia 'n àutru , grapì, sfu^hia: 'un trova
' Mènfici, Menti, comunello nella provincia di Girgenti.
» n villano era minchione da vero, seioochisBimo,
' Di Strisi, dì andarsi a fate iasegaare (ammaestrare nella Dottrina
erialàana) dal auo proprio contessore.
' Sua (Vostra) Reverenza mi aaprobbe dire, G. C. dopo gli ott'anni
dove entrò?
Si noti l'equivoco della domanda, basato tutto sulla voce tràsiri
sentrare. Il villano dà ad essa il BigiiìBcato di cominciare; il prete
qnello materiale di entrare in. un dato luogo,
G. Prntb. — Fiabe e Legende. 21
322 FIABE E LEGGENDE
nenti; tutti li libbra antichi chi potti aviri, li misi tutti
suttasupra; ma sempri 'nutili *: 'un truvava nenti. Eccu'
ca chiama a tutti li parrini di lu paisi e cci fa stu di-
scursu: — ** Signuri mei, aviti 'ntisu sta sorti di dubbiu
chi fici stu viddanu, ca nuddu ha avutu anghi di sciug-
ghillu *. Pirsuadèmunni: stu viddanu 'un pò essiri un
'gnuranti : chistu havi a essiri un omu 'spiratu di lu
Signuri. E 'un vi un'aviti a fari ca pari un panturru *,
pirchì lu Signuri spissu si servi di sti menzi pi mu-
strari la so putenza divina. 'Unca io haju pinsatu, si
tantu vuàtri l'aviti a piaciri , di chiamavi ccà 'nta la
chiesa stu viddanu, fallu acchianari supra lu pùrpitu,
e stu dubbiu sciugghillu iddu, càiddu sulu lu pò sciòg-
ghiri, ca parrà pi 'spirazioni dì Ddiu „. — " Bella, bella ! „
tutti appruvaru.
Stabbileru lu jornu: e la chiesa era china sina 'mmuc-
ca: 'un cci capia mancu 'n' augghia *. L' Arcipreti cu
li parrini jeru a la casa di lu viddanu, e si lu jeru a
pigghiari 'n prucissioni. Comu trasiu 'nta la chiesa, e
acchianò supra lu pùrpitu , un parrinu si misi pripa-
ratu c'un gran fogghiu di parciminu pi scriviri li pa-
lori di stu viddanu; 'n àutru, vicinu a iddu, pi suggi-
riri quarchi parola chi chiddu si scurdava: e tutti cu
tanti d'occhi sbarrachì'ati pi vidiri a stu viddanu. 'Nta
la chiesa 'un si sintia mancu 'na musca. Lu viddanu
* Sempre inutilmente, invano.
* Nessuno ha avuto abilità (anghi=mo\e) di scioglierlo.
* Panturru, tanghero.
* La chiesa era piena fino alla porta: non vi capiva neppure un
ago (o, come dicono i Toscani, un chicco di panico).
LU DUBBIO DI LU VIDDANU
323
s'assittò, sì ciusciò lu nasu facennu tutti li musioni chi
sòlinu fari li pridieatura; quannu cci parsi a iddu , sì
Susi e cu 'na gran magna (dici sti furmati palori ' :
— " Signurì mei, lu patri Arcipreti in' ha 'nunitatu pi
seiogghiri lu gran dubbìu: Gesù Oristu, ddoppu V ottu
anni, unni trasiu. Ora stu dubbiu vi lu levu io 'nta du'
palori, pirchi mi vogghiu maritali prestu prestu: Gesit
Cristu, ddoppu l'atfanni, trasiu 'nta li mn^annif...
Zoccu successi, a sta cosa, 'un sì pò diri: vuci, bat-
tarìi, un veni casa di diavùiu. Lì parrini eranu morti
pi r affruntu , pi la rabbia contra di stu vìddanu , ca
l'avia minchìuniatu di sta sorti di manera : e s' 'un e-
ranu 'nta la chiesa 1' ammazzavanu a vastunati. Ma
tant'è, ca ddoppu jorna lu vìddanu l'àppiru a maritari.
Palermo ^
' Il villano ai sedette, si sofflò ii naso facendo tulle quelle mosse
(mìisionij ctie sogliono fere i predicatori; quando parve a lui (il mo-
mento opportuno), si alia e con ima gran gravità fmagna) , dice
queste precise parole.
' Raccontata da uno di Menfi vÌESuto lungamontc in Palermo.
324
LXXXIV.
Lu porcu e lu viddanu.
Un viddanu avla un fiji^^'liiu unicu, e lu vulia far
'stniiri c'un punlu d*avaiil;i|j:;:iu: ed eccu ra lu manne
nnV)n maistru di scola. Jamii ca stu pirciottu la testa
Tavia dura, e \\n capia 'na uiiii:ilidilta. 'Xa jurnata li
maistru parrannu cu so pai ri si lassò di diri:--" Meg-
gliiu 'usignari òn p(MTu ca a voslru figghiu ! „ Lu vid-
danu 'un si lu fui diri la sccnnna vota; e metti pi patti
oa lu maistru cci avia a 'nsi^'nari òn porcu. Lu mai-
stru, cchiù malizinsu di lu viddanu, chi fa ? pi^^^'hia ur
lil)brn,e cci metli pa^'ina pi pa;^Miia 'na fava, e accuss:
lu porcu cu lu mussu avia a jiri sullivannu li pagin:
pi manciarisi li favi chi cci attruvava.
Ddoppu quattru misi lu maistru porta lu porcu a la
rasa di hi viddaim pi fari la prova , ma favi 'un cci
uni metti 'nnnen/.n lu libhru. Grapi lu libbru, e lu porcu
cerca li favi; vota cu lu nmssu la prima pa-^'ina, e nun
trova nenli; vola la secunna, neiiti: vota la terza, nenti;
e accussì siua a la lini. Lu viddanu maravigjhiatu dici:
— ** Veramenli, lu porcu fìci cchiù prufittu di me fig-
ghiu, cu muncu sapi gràpiri un libbru I ,
Ora *uu sì sapi cu' era cchiù sceccu lu patri o lu
figghiu. Palermo \
^ Hat\x>utata da un anitadiao nativo di Portioello, venuto a fiire il
ti*aapoi*tatoiv di fen\> in Palonuo.
Cft*. voli Lu Citf/i/hitistrUìiiitt^ cmifn di G. Meli.
Lu paiTìnu maliziusu.
'Na vota cc'erà 'na ridua. Sta vidua avia inalata la
jumenta, e lu mastru firraru clii la curava, nun avennu
ecliiù chi fàricci, si licinziau di la vidua, dicènnucci:—
" Cummari, iu haju fattu tuttu lu pussibbili; min resta
nenti a fari; sulu , però , putiti fari diri 'na missa pri
l'arma di st'armaluzza ,,
La vidua, chi la vuiia beni, pinsau ca la cosa era ri-
gulari , e pircìò va 'ntra l'Arcipreti e ed dici ca vulia
ditta 'na missa pri l'arniia di la jumenta. L'Arcipreti
si misi a ridiri prima, ma poi cci dissi:—" Bona don-
na, l'armali sunnu senza arma, e perciò missa nun si
cci nni pò diri „. La flmmrna sicutau a primari all'Arci-
preti, ma nun lu potti pirsuadiri. Vidennu poi ca tuc-
cau duru, iju 'ntra li canonaci; ma h canonaci cci ri-
spunneru di la stessa manera. 'Un si pirsuadennu di
sta risposta, iju 'ntra tanti parrìni , ma fu trava^hiu
persu. All'urtimu va 'ntra un parrinu so vicinu , e lu
parrinu , maliziusu, cci dissi: — " Bona donna , iu la
missa vi la dicu ; ma quantu mi dati ? „ La fìmmina
cci risposi: — -".Dui tari „ — "Uh! mancu si sapissi di
addivintari Papa vi la dicu ^ n^" Ma vossia quanta
voli ? , — " Iu vogghiu un' imza , e trenta gucciddata,
masinnò vi nni putiti jiri ,. La fìmmina, pri nun jiri
' Kon ve la direi neppure se mi facessero Papa.
-.- V
./.
• .*
'"^^
326
FIABE E LEGGENDE
circannu ad àutru sapennu ca chistu coi la dicia, cum-
minau la cosa: ma cu pattu però ca idda s'avla a jiri
a sintìrisi la missa pri la jumeiita.
La Duminica lu parrinu la iju a chiamari, e jeru a
la chiesa. Si vesti a missa e cumincia a diri la missa
pi li fatti soi. A la finuta cantau sta caiizunedda :
— " Gloria biddòria,
È Missa cavaddòria.
Uiiza mia e gueciddata trenta
Vaiiiiu pri Tarma di la tò jumeuta.
A la facci di li parrini di Quadari ^
Ca 'un si nni vòsiru apprufittari ! ^
Frizzi *.
* Questo Quadari (Caldaie?) parrebbe il comune, il casale, i cui
preti non aveano voluto celebrare la messa per V anima della giu-
menta.
* Raccolta dai signori Tommaso Mercadante-Carrara e Salvatore
Tortorici.
Lu cavalerì e li tri soru.
Cc'era 'na vota un cavaleri. Stu cavaleri era 'nta 'na
lucanua, e vuUa fari carità a versu d'iddu. Cc'era un
puvireddu, ch'avìa trì figghi fùnmini; scarsi chi erann,
.dissim:— " Si nni jemu nni dda cavaleri ' ?... cu' sa nni
duna quarchi cosa ,„ Hannu jutu a la iucanna nni ddu
cavaleri e tuppuUaru. Acchiànanu , e lu cavaleri si lì
riciviu cu diri:— " A mezzijornu manciati assemi cu
mìa „. A mezzijornu 'n puntu sti picciotti jeru aman-
ciari cu stu cavaleri.
Ora lu cavaleri, a la finuta di manciari, curiusu, cci
spijò a la nica: — " Tu comu ti chiami ? , — " Ih ! cava-
leri, jeu niacàri m'affruntu a dillu, , — " E bonu! dim-
millu „. — " Cavaleri, jeu mi chiainu M-cacu ! „ Bispunni
lu cavaleri: — " Oh chi laidu nnomu !„. „ Si vOta cu la
mizzana: — " E tu comu ti chiami? „ — "Ih cavaleri ! Jeu
haju un nomu cchiù ladìu di chiddu di me soru. „ —
" Basta: comu ti chiami ? „ — " Cavaleri, mi chiamu: Mi-
cacai. „ — " Clil ladiu nnomu !... , Si vota cu la granni:
— " E tu comu ti chiami? , — " M'affruntu a dillu. , —
' Ma dillu ! „ — " Mentri lu voli sapiri, mi chiamu M'haju-
cacalu ,.— " Oh chi ladii nnòmira ! macàri jeu m'affruntu
a chiamàrivi ,.
Stu cavaleri li mmilò a ristari nn'iddu la notti, cu
diri ca li vulìa fari risturari tanticchiedda '. La nica
• Un poeliino.
■ Ce ne andiamo (voglìam noi andare) da quel cavaliere 1
.■ ,'■''
3^ FIAHK E LEGGENDE
si nii'acldiinaii di l;i ^ntiir/ioiii di lu cavaleri... e cci dissi
a li som:—"* Iddìi (mtcii di jiri aì sacchetta a niatri \
e iiTatri ;ivriiiu ;i jiri 'ii siicchulta a iddu „. E chi ficì!
lu sira 'nibriacò a lu cavaleri, e lu cavaleri s'addum-
iiiisciu. Iddi si pig^'hianu lutti cosi, macàri li robbi di
lu cavah.'ri, la bilici, li picciuli e si uni jeru lassànnulu
bcddu 'n[.aiciatu '\
La nulli lu cavaleri si 'l'rispi^-'i/liiau e cumincia a chia-
mali:— " Mi-rttcfi !... Mi-rarif L.Mi-racH ! !,„„ Lu patroni
di la iucauua si 'rri.s[)i^'^liia e chiama a so mugghieri:
— " iiusidda, liLisidda, cci \\ mitlisli lu càutai'u ó ca-
valeri y ^ „ Uispuimi la mu^i^'hieri: — ** Sì, cci lu misi
sutta ò letlu „.
Lu cavaleri ddoppu 'ii àutru pi/zuddu dici 'ntra iddur
" Mi-cacu 'un rispuiuji; ora chiamu a la mizzana: — Mi^
cacai ! Ml-cacal ! „ Lu lucamieri siniomiu accussì chia-
ma arreri a so mu^^^^hieri: — " Rusidda, vidi ca lu ca-
valeri lu lettu cacai! ! „ Si susi e va darrcri la porta
di lu cavaleri: — " Cavaleri, cavaleri, vidissi ca sutta lu
lettu cc'òsti lu cantarli *„. Si vota li i cavaleri e dici: —
" Oh caspita ! jeu 'un vogghiu lu cànlaru: jeu vogghiu a
Mi'Cacu, Mi-cacai e MhajU'cacatu! „ — *' Ma iddu chi cci
su' sti sorti di nnòmira ? „ Rispunni lu cavaleri : — ** Chi
veni a diri ! 'Unca ddi tri fìmmini chi vinniru ccà oggi .
comu si chiamavanu ? „ Accussì lu cavaleri va p' ad~
* Egli (il cavaliere) cerca di far danno a noi ingannandoci.
* Esse presero tutto, anche le robe (gli abiti) del cavaliere, la va-
ligia, i quattrini e se ne andarono lasciandolo ben cotto.
» Mettesti (preparasti) il vaso da notte al cavaliere?
* Veda che sotto il letto v'è fcc'èstij il vaso da notte.
LU CA VALERI E U TRI SORU
329
dumari lu lumi, e nun vidi li robbì. Allura capisci ca
ddi tri fimniini cci avianu fattu 'na gran buffuniata.
E ancora li cerca !
Marsala ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
IiiBRiANi, La Xoi'ellaja milanese, p. 46, ha 'qualche punto
elio ricoi-da la nostra novella. Una donna SÌ chiama succes-
sivamente ; Vof/Uo-ffà', Aggio-ffatto e Venemm'annetta.
Una certa analogia pei nomi presi dalle tre r^azze si trova
ne Le tre parole di Fabbriche, n. LXXI delle mie Novelle tose.
> Raccontata da Maria Cancelliora,
cm. ■< ii j*w'^
330
LXXXVII.
Li monaci Cappuccini.
'Na jurnata dì friddu dui monaci Cappuccini jianu
caminannu a fari la cerca ; ma siccomu lu 'nvernu
era friddissimu, nun truvaru a nuddu 'n campagna e
pirciò jianu ucchiannu unni putìanu scurari, cà stava
facennu notti. Eccu ca vittiru 'na casuzza e si 'nca-
minaru pri ddà. Arrivati chi fóru , si prisentanu a la
porta dicennu :
•* Pri lu -nostru San Franciscu,
Facìtinni la carità
Di fàrinni arrisittari;
Gà stasira cc'ò friscu ^.
Lu viddanu e la mugghieri, ca eranu dui vecchi, a-
preru la porta e li ficiru tràsiri. Avianu cuciutu 'na pi-
gnata di favi a maccu, e la sira , a du' uri di notti,
ficiru li piatta a li dui monaci e manciaru tutti. La pi-
gnata , chi era ancora mezza china di maccu , la mi-
siru 'ntra lu furnu. Poi a li dui monaci cci cunzaru
un jazzu 'n terra, comu Tavianu iddi, pri curcàrisi.
Sti dui monaci si jeru a curcari, e ddoppu lu primu
sonnu fra Giseppi, chi s'avia sdrivigghiatu, si sintia 'na
fami lupigna; sapennu unni avianu misu li favi, si susi
adàciu adàciu, e va davanti lu furnu; si manciau 'na
panzata di favi, e poi nni pigghiau 'na cucchiarata pri
jìrila a dari a fra Micheli, ch'era lu so cuUega. Si persi
d'arca a lu scuru, e iju 'ntra lu lettu unni eranu cur-
cati li dui vecchi, patruna di casa; spinci la frazzata,
e cu la cucchiara a li manu chiama a lu fratellu. Avia
Li monaci cappuccini 331
jutu giustu giustu a truvari la vecchia, scànciu di fra
Micheli, e siccomu sta vecchia jittau un pìditu 'ntu-
natu adàciu adàciu , cci parsi ca cu ddu ventu valla
arrifriddari fra Micheli li favi.^' Frlddl su' (suttavuci),
friddì su', Micheli ,; e vidennu ca nuddu si piggh^fiva
la cucchiara comu cridia iddu, si siddiau, e cci la sbarra
'ntra lu letta. — ' Diavulu! nun mi fari aspiltari! , Poi
va a posa la cucchiara, e si va a curca prì l'affari so'.
La vecchia, cu dda cucchiarata di maccu di favi 'nta
l'eccetra giusta giustu, critti ca fici lu so bisogna 'ntra
lu letta, e sdrivigghia a so iriEiritu, e adàciu adàciu cci
dici : — " Ninu , mi cacava tutta; anni è la linazza,
quanta mi stuju ? , Lu marita rispusi : — " Aliata lu
jazzu dì li monaci ccà vicina ,. La vecchia, a lu scura,
stenni la manu e , scànciu di la linazza, afi'errau la
varva a fri Micheli. Fra Micheli, nun sapennu, 'nsun-
nacchiatu, la cosa, jia appressa a la mana chi tirava:
e ccussì la vecchia si stujau lu darreri cu la varva di
lu monaca. Fra Micheli , chi crideva essiri la cullega
chi la tirava, cci dicia 'n suttavuci 'nsannacchiatu : —
" 'Un ni vogghiu favi, no, lassali perdiri ! „ E quannu
la vecchia si stujaalu darreri cu la so vai'va, critti ca
fra Giseppi, pri la stizza, cci untau lu massu e la varva
ca lu maccu, e si jia a curcari inmurmarìànnusi.
Ccussì finiu la scena, e lu 'nnamani all'arba partera
arreri pri lu cummentu; unni, poi, dumannànnusi 'ntra
d'iddi, si vinni a scupriri lu fatta ed arridìanu tuttidui.
Frizzi \
' Eaccolta dai sig. Tommaso Mercadante^^arrara e Saly. Tortorìci.
332
LXXXVIII.
Lu viddanu eh' 'un vulia zappari.
A un viddanu cci annujava di zappari cu lu magàg-
ghiu, e pinsau di jìrisi a l'ari inonacu. Lu Priuri di lu
cummentu un jornu cci dumaiinau : — " Chi facivi tu
a lu paisi ? „ — " Jeu zappava, e mi fici monacu pirchì
m'annujava ddu travagghiu. „ — " AUura talà ch'ha' a
fari: vani ^ 'nta la saristia, pigghi lu matacubbu, e poni "^
ti dugnu lu sirvizzu jeu „. Lu monacu iju 'nta la sari-
stia, e truvau un magàgghiu sulu, lu pigghiau e quannu
l'appi 'nta U manu cci dissi:
— " Lu nnomu ti canciasti :
Di magàgghiu, matacubbu ti mittisti „.
Menfi ^.
VARL^^NTI E RISCONTRI.
In una variante di Vittoria da me raccolta il villano lascia
la -2;a;;7;a, perchè Tha presa in uggia, e quando va a farsi frate
(fratelliOj il superiore gli ordina che vada a lavorare con uno
strumento che si chiama matacona. Nel megho il villano s'ac-
corge che, mutando nome, lo strumento da lavoro è il mede-
simo, e volgendosi adirato ad esso canta:
Lu nnomu ti canciasti, traditura:
Di zappa ti mittisti matacona.
La novellina è curiosa per la diversità de' nomi che un me-
desimo strumento, la zappa, prende ne* vari paesi dell' isola,
nomi che, s'intende, nessuno de' nostri vocabolaristi registra.
* Vani, per paragoge, va\ vai.
• Poni, per paragoge, po\ poi, dipoi.
' Raccontata da Giovanni Di Marcx).
Pensu e rìpensu....
'Na vota cc'eranu un frati e 'iia soru, eh' era mari-
tata, ed avia un flgghiu.
Successi un jornu ca, 'un sàcciu pirchì, avlanu a ,iiri
a morti du' omini : un patri e un fì^hiu, e cu' s'avia
a 'mmazzari priinu, l'avia a diri 'na fimmina. Eecu ca
fu chiamata 'n tribbunali sta fimmina, e 'un sapia eomu
rispunniri, pirchì forti cci paria di darì 'na cunnanna
di sta sorti di manera. Quannu lu judici la misi a li
slritti, rispusi 'n cunsunanti :
— " Pensu, ripensa e m'assiittigghiu ; ^
Figghi noi fazzu, mariti nni pigghiu;
ma frati né nni pozzu fari, né nni pozzu aviri cchiii ,.
Accussì jeru a morti lu marilu e lu figghiu.
Lu muttu arristò, e quannu unu è 'n pinseri e si cci
dumanna : " Chi pensi ? , e iddu dici : " Pensu.... ,, sì
cci rispunni :
" Pensu, ripensu e m'assutti^hiu :
Fi^hi nni fazzu, mariti nni pjgghiu ,.
Palermo '.
^ La tradizione viene da Uciìa e la raccolsi dal (anciuUo Bene-
detto Moraaca, il quale non la ricordava bene.
334
XG.
Lu tignusu, lu rugnusu e lu murvusu.
Gc'era 'na vota un tignusu, un rugnusu e un mur-
vusu, e javanu tutti tri 'nzèmmula. P' 'un fàrisi avvi-
diri Tunu di i'àutru, facevanu accussì: lu tignusu si grat-
tava la testa e facia: — "Ah ! ca vennu li galeri ! Ah
ca vennu , ah ca vennu !... „ Lu rugnusu s' arraspava
li vrazza e facia: — " Unni su' ? unni su' ?... „ e lu mur-
vusu si stujava lu nasu cu lu jìditu, e dicìa — ** Alli
ddà! alli ddà ^ „,
Palermo ^.
*
VARIANTI E RISCONTRI.
Eccone una voriante inedita raccolta dalla bocca di Maria
Pierazzoli di Pratovecchio nel Casentino :
Tre omini jn barchetta.
C'era tre omini, e andavano in mare : uno aveva la tigna,
uno la rogna e uno le caccole al naso. Mentre erano in bar-
chetta, per non farsi conoscere l'un dall'altro, (che ciascuno
aveva il su' difetto), quello che aveva la tigna avviò a dire:
' Le parole dei tre sono accompagnate dagli atti che essi fanno.
La narratrice al primo atto si gratta il capo con tutte e due le ma-
ni; al secondo, con la mano destra si gratta l'avambraccio sinistro;
al terzo,(il moccioso; struscia il dorso deirindice destro sotto le narici.
* Raccontata da Agatuzza Messia.
{
IGNUSU, LU RUGNUSU E LU MURVUSU
335
Ilo Tò il mare! ^ e intanto si grattava. Quello
)gna, avviò a dire: — " Oh ! bene si va in bar-
tanto si scoteva e faceva il su' servizio. Quello
il naso sudicio, 'un sapeva come si fare, e a'
li diceva: — " Che bei palazzi che c'è lassù ! ,
su il naso.
1
I
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j \
I
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■■ -t
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■ \
336
XGI.
La varva franca.
*Nca 'na vota si canta f:a un varvcri liei vuLu ca
cci stava bona so niu^^^liieri, ch'era 'n Uni ili iDorLi, id
radia pi un annu di cunlinuu li so' paiiuciiuui sor
pagarisi. Comu vosi Ddiu, sta fiunuiaa ìii.s.iu di pj
culu e stetti bona; allura hi varvuri a[)piz/.ò (hivanti
putia un carteUu ca dicia: SI rwìl soizu pijxri.
Passa e passa un cristiana \ conia dicis.siiiiìi un vi
danu; vidi stu carteUu e s])ija :— " Mousà -, chi dici <
cartcHu? „—" Dici ca ccà si radi franca, pirchì io 1
stu vutu, ca p' un annu avia a radiri scjnza pagari
Ddu cristiana, ca la varva l'avia bedda crisciuta o 'i
avia un guranu 'n sacchetta ^ dici: — "" 'Unca mi vu
rìssivu radiri a mia senza picciuU V * „ — " E pirchì no j
cci dissi lu varveri; e cci cuminciò a fari la sapunal
Quannu lu cuminciò a radiri, Matri di lu priatori
comu cci fìci stari la facci ! FiddaUuna ccà, fidduliur
ddà ^: lu sangu chi cci chiuvia di tutti li lati. Lu pi
vini riddanu si tirava, si sturcia, 'un avia risettu , <
lu bruciuri era forti; ma nuri puteva lassallu ^n trìdic
* Un cristianu, un uomo.
* Monsù (fr. Monsieur), nome dato ai barbieri ed a' cuochi.
' Un guranUy un grano; qui, un quattrino.
* Senza quattrini?
* Madi»e del purgatorio (Maiia SS.) ! come gli fece diventare
faccia ! Tagliuzzi di qua, tagliuzzi di là.
■ vJ
LA VARVA FRANCA
337
pirchì la prima passata mancu avia flnutu. 'Nta stu
mentri senti un gran «f'-epilu: 'ttguì 'nguì ! un porcu
ehi lu stavanu scannannu. — " Figghioli, e chi è ? , dici
lu varvcri.— " Nenti, monsù , rìspuiini lu viddauu : è
un porcu, ca cci stannu livannu la varva franca comu
a naia „.
Palermo '.
VARIANTI E RISCONTRI.
In una variante palermitana il barbiere è un giovane ap-
prendista, che rade un povero villano , il quale ad ogni mo-
vimento del rasoio china la testa in giù; il barbiere gli chiede;
Chi durmiti ? E quello: Gnumò, cà comu ora, mai ké statu
Una versione di Gianciaoa è il XV de' Cuntieeddi di me
nanna del Mamo: La varaa gratis.
Pei numerosi riscontri letterari, italiani ed esteri di questa
facezia, vedi l'erudito opuscolo di G. Papanti : La barba per
carità, nooelletta del can. L. Pamciatichi. In Livorno, Vigo 1878
{per nozze Banchi-Brini). A queste varianti bisogna a^iun-
geme un'altra del Salasi, I/uomo allegro in conversazione,
p. 82. Firenze 1882.
< RoccODtata da Oomemco Ingrassia.
0. Pitrì! — Wiabe e Leggende.
338
xcn.
Lu monacu e lu filu di lu munnu.
'Na vota un monacu vitti ca lu munnu era 'mpin-
nuliatu a 'na 'ugghiata di filu. Si talia la tonaca, e si
vidi un sfarduni; pensa di cusirisillu cu ddu filu, e chi
fa ? pigghia la fòrficia e allonga li manu pi tagghiallu.
L'aggenti chi cc'eranu vicinu si nn' addunaru; spavin-
tati cci gridaru: — *^ Chi f aciti ? ca nni pirdemu tutti ! „
— * Chi nn'hé fari ! rispunni iddu. Cu' si perdi perdi,
basta eh' 'im perdu la me tonaca ! „
Palenno \
11 frale od il Allo del mondo (Versione letterale).
Una volta un frate vide che il mondo era appeso ad una
gugliata di filo. Si guarda la tonaca , e si vede uno strappo;
pensa di cucirselo (rammendarselo) con quel filo , e che fa ?
piglia le forbici e allunga le mani per tagliarlo. Le genti (le
persone) ch'erano vicine se ne accorsero; spaventate gli gri-
darono:— Che fate voi ? ci perdiamo tutti !...— Che n'ho a fare
(che m'importa !) risponde lui. Chi si perde perde (perdasi chi
vuole), purché io non perda la mia tonaca.
* Raccontata da Felice Settegrana, fruttivendolo, già guattero del
convento di S. Francesco di Paola.
8EKIE QXJ^RT^
XGin.
La Sicilia.
Si cunta e s'arriccunta ca ce' era 'na vota un Re e
'na Rigina, e avianu 'na picciridda, figghia unica, bedda
quanti! Diu la potti fari. Slu Re e sta Rigina si sin-
tìanu filici ca avianu a sta Ri^nedda, e la guardavanu
cu l'oechi e cu li gigghia. La picciridda avia fattu set-
t' anni e menzu. Passa e passa 'na vecchia annivina-
vinturi.— " Oh (dici lu Re), vulemu fari annivinari la
vintura a nostra figghia ? „ — " Bonn è (dici la Bigina),
f'ìcemuceilla annivinari „. Accussi ficìru. Chiamaru la
vecchia: — " Ccà cc'ò cincu pezzi di dudici (dici); annì-
vinàticci la vintura a sta picciridda „.
La vecchia coi talia la chianta di la manu a la pic-
ciridda, poi la talia pri davanti e darreri, cci metti li
manu 'nta li capidduzzi biunni, e tistia senza diri nenti.
Spija lu Re: — " Vaja, bona vecchia, nudda vintura nni '
diciti? , — ' E chi pozzu diri, Maistà? „ — " Comu, chi
pozzu diri? (dici lu Re): o parrai i , o parrati. „ Cu-
340 FIABE E LE(J«;E.\DE
stritta, la vecchia appi a parrari e dissi: — " 'Xoa sap-
pia, Maistà, ca sta fi^;/liiola curri i)inciihi assai; a 'u àutri
sett'anni e monzu, quannu idda (rasi appuntu 'atra i'
quindici anni, liavi a vòiiiri 'jia lurii iiòggliia e un tri-
mulizzu di tirrimotu, e 'uta la cilà si vidi spuntnri lu
Grocu-Livanti sutta forma di (.JalLu Mauiuiuiii, : si
min la guardati a sta picciridda (ma lu j^Miardalla è
'nùtili!), povira ligghia! lu iirccu-Li vanti si Ta^^j^aunfa
e si la mancia „.
A sta mala nova, lu poviru patri e la povira matri
ficiru la morti cli'àppiru di lari, (.ilii si la ? chi ni::i sì
fa ? nudda 'spiricnza piggliiavanu, e Tanni passavanu
belU belli. Lu cuntu 'un porta tempu; la picciotta avia
quattordici anni e se' misi, e li mischini patri e matri
chiancianu, si pilavanu tutti, ma nun sapìanu chiddu
chi fari e chi uprari: certu ca a 'n àutri so' misi la fig-
ghia era persa. Un jornu lu Re cala a mari, ca vuh'a
sfugari a chiànciri senza faricchmi sentiri nenti a la
figghia. Pri cumminazioni vidi ddà 'na varcuzza senza
patruni, senza rimi e senza vili: cci grapi la menti e dici:
— " Ddiu fu chi la mannau : tutti cosi su' aggiustati „;
e turnau a cursa a lu palazzu a pigghiari a so figghia.
Comu di fattu, si la purtau a mari, a la ligghia. Dici:
— " Senti, Sicilia, (cà idda, la giuvina, si chiamava Si-
cilia), Ddiu mi detti lu menzu pri tu sarvàriti, e nun es-
siri manciata di lu Grecu-Livanti; mettiti 'nta sta varca;
oca cc'è tisori 'n quanti tati; ccà e c'è pani, vi^u e cum-
panàggiu; Ddiu ti la manna bona, e unni voli lu mari
e la fortuna ti portanu a sarvamentu „.
La varca si partiu cu U primi cavadduna. Sbatti di
LA SICILIA 341
ccà, sbatti di ddà, la povira Sicilia stetti tri misi supra
mari, senza sapiri sutla quali cclu era, e senza vidiri ■
mai 'na facci di cristianu. 'Nflni, lu pani finiu, e idda
cuminciau a sentiri la fami; dissi:^" Ora moru pri da-
veru ! g e si jittau a lu funnu di la varca. Ma , a la
pirutu pimtu, Ddiu cci duna ajutu. Veni un forti ma-
rusu, e un cavadduni d'acqua tantu, si càrrtca la varca
e la porta di bottu supra terra. Chi cummina la fur-
tuna V ca sta terra era chista nostra, unni abitamu nui,
e Sicilia si truvau fora di lu pìriculu di lu mari , e
chidda ch'è cchiù, cu tutti li so' tisori a latu,
Caminannu pri la terra, Sicilia attruvau lu vera beni
Ddiu: fratti, meli, aceddi , furmentu, tutta sorta d'ar-
mali, 'nsumma chiddu ch'addìsia la prena e la maiala:
ma un omu nun cc'era, nun si vidia chiddu chi dicissi
l'umbra di 'na pirsana. * E comu fazzu (dici) sula sala?
Veru ca sugnu 'nta un paraddisu, ma 'nta un disertu
manca l' armali stannu boni ! „ E mischlna, chiancia,
ca, o di cricchi o di crocea, era sempri sbinturata. Idda
si sintia persa, e stava veramenti dimisa. Ma , comu
vosi Ddiu, a capu di In misi, mentri jiltata 'n terra si
lamintava a vuci forti, si vidi cumpariri un oma, beddu,
longu qaantu un stinnardu, — " Cu' si' ? chi hai {die'), o
bella giuvina, ca chìanci ? „ Rispunni: — " E comu nun
he chiànciri, (dici), ca la sorti l 'haj'u tutta eontra di
mia? Sintiti... ,. E cci cunta tutta la so storia, Dd'omu
allucehiu: poi tutta cantenti cci dissi: — " E bona, nun ti
dubbitaii, ca tutti cosi aggiustati su', e nui saremo fi-
''ci. Ha' a sapiri ca 'nta sta terra vinni la pesti (lun-
tana sia !), e mureru l'abbitanti tutti, tutti, finn all'ul-
342 FIABE E LEGGENDE
timu; eu sulu arristai pri me' disgrazia, sula a cliiàn-
dri , comu un omu cunnannatu 'n galera a vita. Ora
bon' è ca vinisti tu, lu Celu ti cci mannau ! „
Sulu iddu , sula idda , picciotti e beddi tuttidui , la
cosa nun si putia cumminari di meg^^hiu; e tuttidui uni
fòru cun tenti quanti^ si pò 'mmaginari.
Accussì si 'nguaggiaru, Sicilia e st'omu (mittemu ca
si chiamava Pippinu), omu veramenti abilitusu, curag-
giusu quantu mai , e un veru Cavaleri a li formi. E
ddocu, patruni di tuttu stu Regnu, cu tantu massenti
di tisori, sparti di chiddu chi la terra pruducia, lu Pip-
pinu si 'ntisi filici , e a Sicilia la stimava quantu la
pupidda di Tocchi soi; e pr' amuri didda a sta terra
la vosi chiamar! Sicilia, e comu 'nfatti si chiama sem-
pri accussì.
Ddoppu, sti dui spusi filici àppiru 'n asèrcitu di fig-
ghi, tutti putirusi, 'ncignusi e beddi comu lu patri e la
matri; e di patri 'n figghiu lu Regnu si pupulau arre
e megghiu di prima.
Iddi camparu anni ed anni filici e cuntenti,
E nui ccà nni munnamu li denti.
Partinico ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
Il Salomone-Marino nota : " A chi ben guarda, questo rac-
conto non è in fondo che l'antica favola della troiana vergine
' Raccontata da Ninfa Lobàido e raccolta e pubblicata dal Salo-
mone-Marino nella Tradizione e Storia; nelle Nuove Effemeridi sic.^
serie m, V. IV, p. 329.
/
LA SICILIA 343
Egesta, abbandonata dal padre Ippola su piccola barca alla
fortuna delle onde, perchè non fosse pasto del mostro marino,
che veniva a' lidi troiani terribile esecutore delle vendette di
Nettuno sul fedifr^o Laomedonte. La favola è riferita da Ser-
vio a illustrare quei versi di Virgilio, nel V della Eneide, ove
si fa menzione di Àceste , figliuolo appunto di Egesta e del
fiume Criniso o Cremissa; e gli scrittori siciliani dei passati
secoli non hanno trascurato di registrarla quante volte han
dovuto scrivere alcun che della famosa Segesta. ,
rf
:m
xciv.
Sicilia sciurtunata !
*Na volii cc'era 'un iKilri u jiviii 'iiu lìggiu e 'na fig-
gia, bioddii quaiitu lii suli e hi liuiu. Slu patri un'era
gilusu di sta fìggia , e iiiaiicu viilia ca jia à missa. 'N
juoniLi cci dissi la pie-ciotta:—" l^dri laiu, chi puozzu
stari seuipri jintraV pirelil 'ii mi faciti 'sciri cu ma frati?,
r Risposta di so patri:— "lu 'un ti mamiu a nudda parti:
t sulu chi ti lazza jiri 'uà v(jta ogui tanta cu tò frati ,.
f Eccu ca 'na juruata stu patri la liei 'sciri a cami-
l' nata. Caminannu la scuutrarru tri j)ic(iuttieddi, H qua^i,
cuoum la vìtturu, 'scioru fuoddi. Idda si un' accurgiu,
ma 'n cci dissi neuti a so frati, pirchì osaimò so patri
'n la facia 'sciri cciù.
ì 'Nti la casa sta giuviuedda avia 'na picciuttedda pi
crìata, e 'a mannau nn'ù tri picciuotti ch'avia 'ncun-
tratu e cci fici sapiri ca quannu vuliòvunu vidilia, pas-
savuuu d* 'a so casa e la vidiùvunu.
'Na vota sti picciuotti cci passarru ; idda si nn' ad-
dunau e abbiau 'n anieddu a chiddu d'ò miezzu. L'àutri
dui s'affisuru, e dissuru: — " Vò' diri ca nui/n cci facìmu
simpatia.... „; ma unu di li dui vosi vuTÌri dd'anicddu;
Tàutru cci 'u musciau \ e vìtturu ca cc'era lu nouiu di lu
picciuottu. Stu picciuottu puoi cci mannau un lazzu cu
lu scrittu: " Mia cara, tu divi durmin cu mia; e si m'hai
* L'altro glielo mostrò.
f
i
SICILIA SCIURTUNATA 345
vieni aiHiiri, mi divi diri In tò iiomu ,. Idda cci rispuai e
cci mannau a diri ca si ciaiiiav.i Sicilia scìurtunala e
pirduta.
E chiata ò la nostra Sicilia.
liagum Inferiore ^
VARUNTl E RISCONTRI.
Nulla ili cuiioso e di atlriieiito è in questa tradiziono, nella
quale però bisogna vedere una allegoria.
' Raccolta dal prof. Carlo Simiani.
r^
346
XCV.
Comu lu Papa livau la scuminica a la Cicilia.
Dici chi ddoppu chi cci fu lu Vespri Cicilianu, lu
Papa cci jittau la scuminica a la Cicilia; e nun cci la
vulia livari cchiui. Li Giciliani allura fìciru di modu e ma-
nera chi iddu cci Tappi a livari pi forza. S'appattaru cu
'napocu di Cardinali, e chisti cci dissiru a So Santità
si vulia vèniri a vìdiri *na gran machina, chi cc'era 'nta
un bastimentu. Lu Papa cci iju cu tantu piaciri. Men-
tri chi stava cuntimprannu dda machina, ficiru cami-
nari lu bastimentu. D^allura So Santità nun si nn'avia
addunatu; ma poi capiu la cosa, e 'ncuminciau a gri-
dari:— ** Tradimentu ! tradimentu ! „ Allura cci dissiru:
— * Nenti, Santità 1 Nun aviti paura ! Èsti ^ chi vi vu-
femu purtari 'n terra di Cicilia pi binidicila e iivàricci
la scuminica „. Lu Papa arrispunniu: — " La binidiciu di
ccà stissu „. Ma nonsignura , nun si cuntintaru. E lu
scinneru a Pantiddaria.
Comu fu 'nta ddr' isula, lu Papa appi a fari lu setti
a forza, e livau la scuminica a la Cicilia. Dipoi cci
ufifreru pi cumprimentu 'napocu di pàssuli. Lu Papa
li accittau tantu, e vosi vidiri la chianta chi li facia, e
la binidiciu. E pi chistu dici chi lu muscatiddruni di
Pantiddaria * veni di ssa bella qualitati. Certuni però
Tonnu diri chi pi scherzu cci avissiru prisintatu la
» GU é.
* E per questo (si) dice che il vino moscatello della Pantelleria.
GOHU LU PAPI UVAD LA SCUmInICA
347
chianla di l'amareddl ', e chi lu Papa l'avissì bìnidi-
ciutu e avissi ditta: " Chi pozza fruUari du' voti l'an-
nu ! , Comu 'nfatti dici chi èsti accussì: chi l'amareddi
fruttanu du' voli l'annu. Ma di sta cosa, s'è veni, metta
la virità a so locu.
Alcamo '.
' È il robus fruticosus di Linneo.
' Raccolta dal prof- Fr. M. Mirabella.
r>
348
XGVI.
Palermu.
Guntanu li cchiìi granili ca a tempi antichi, ma an-
tichi assai, cc'era un Signuri ricca 'n faniiu, chi jìa viag-
giannu di ccà e di ddà pri so piaciri. 'Na vota cci suc-
cidiu ca cci vinni mi forti marusii, e iddu s'attruvò sulu
supra mari 'ntra 'na varcuzzedda. Sbatti di ccà, sbatti
di ddà , lu mari nmi si 1' ag^diiuttiu pri miraculu ; e
ddoppu tri jorna e tri notti di timpistiari, quannu chi
iddu stava murennu di fami e di abbattimentu, veni
un forti cavadduni e lu jetta cu tutta la varca supra
sta terra nostra. Vota e giria, ccà nun cci abbitava ne-
sciunu; ma cc'era la pruvidenzia di Ddiu di fratti e àutri
cosi di manciari, e ddu Signuri, ch'era già menzu mortu,
s'arricriò pi daveru.
A stu fattu, ddu Signuri si 'nnamurò di sta terra, ca
cci parsi lu veru paraddisu tirrestri; e pirchì nun cc'era
nuddu assolutu, e iddu era riccu quantu mai, pinsò "**
fari vòniri ccà 'na gran quantitati di 'ncigneri e capi-
mastra e cci fici frabbicari sta bella citati di Palermu.
Si chiamò Citati di Palermu^ pirchì fu iddu. chi la fici
frabbicari, e iddu si chiamava Palermu. Li stissi 'nci-
gneri e capi-mastra chi la ficiru, cumpuneru la statua
di màrmura a stu Signuri riccuni , patri e patruni di
la Cita, ca poi era fattu vecchiu; e ssa statua è chidda
chi si trova 'ntra la Chiazza di la Feravecchia.
Palermo \
* Raccontata da Francesca Buscemi e raccolta dal Salomone-Ma
lino nella Tradizione e Stmna, loc. cit., p. 312.
^ 1
VAR'\NTI E RISCONTRI.
Si ravvicini alla XCIII. È superfluo il dire che l'origine della
statua in marmo del Genio di Palermo nella Piazza della Fie-
ravecehia, non ha nulla da fare con la leggenda della origine
della città, la quale dev'essere assai più antica. Questa statua
raccolse sempre e tradizionalmente le simpatie del popolino
palermitano.
350
XGVII.
Gugghiermu lu Bonu e Gugghiermu lu Mala.
'Na vota si riccunta e si riccunta ca ce' eranu dui
frati: unu si chiamava Gugghiermu lu Bonu e Tàutru
Gugghiermu lu Malu. Gugghiermu lu Bonu era Re di
Palermu e Gugghiermu lu Malu era Re di Murriali.
Tuttidui pinsaru di fari dui tempii, unu 'n Palermu,
'n àutru a Murriali, e 'ncuminciaru a jittari li pida-
menti.
Gugghiermu lu Bonu fici 'n Palermu un tempiu bella
di fora e làdiu di dintra. Gugghiermu lu Malu a Par-
riversa. Pinsaru poi di fari di la siguenti manera: Gomu
unu di li dui fineva lu tempiu , lu mannava a diri a
l'àutru; e comu li dui tempii eranu lesti, si partianu
unu di Palermu e 'n àutru di Murriali pi vidiri Gug-
ghiermu lu Bonu lu tempiu di Murriali, e Gugghiermu
lu Malu chiddu di Palermu,
Gugghiermu lu Malu prima di vèniri 'n Palermu vur-
ricò lu so tisoru sutta un pedi di fìcu chi si truvava
'ntra la via; e comu agghiunciu 'n Palermu , vidennu
dda biddizza, scuppò 'n terra comu un mazzu di ca-
vuli e arristò sutta la botta. Gugghiermu lu Bonu jun-
cennu a Murriali e vidennu ca la chiesa di fora nun
sirvla \ pi sfròggiu mancu si binignau di tràsiri; ma poi
^ Non valeva nulla. — Si noti che nello stato aituale, da un se-
colo in (jua, dopo i vandalici ristauri fatti dall'Architetto napoj^tano
Ferdinando Fuga, la Cattedrale di Palermo, bellissima airesterno e
/.
GDGGHIERMU LU BONU E GUOGHIERHU LU HALU 351
pinsò e dissi: — ' Ma lu tisoru di me frati unn'è ? , E
stanca di lu camìnu, s'assìttau sutia ddu pedi unni so
frati avia vurricatu lu tisoru, e si misi a dormiri. Mentri
era 'ntra lu megghiu, ccì accumpariu la Madonna , e
cci dissi: — " Vidi ca lu tisoru di tò frati è vurricatu
ccassutta „. Gugghierinu lu Bonn accuminciò a diri: —
■ Olà ! olà ! , e chiamò li so' sirvitura dànnùcci 1' or-
dini di svurricari li dinari, eli crìati ca li tìinmiina si
purtaru tutti li dinari 'n Palemiu.
Palermo '.
VARIANTI E RISCONTRL
^ Questa legenda riunisce e confonde insieme i primi due
Guglielmi normanni re di Sicilia sfiorando appena la tradi-
zione comune sul famoso tempio di Monreale, che ha una leg-
genda propria nelle mie Fiabe sic., n. CCVIII , come una ne
ha tutta sua Guglielmo il Malo (n. CGVII). Alle illusiraziom
di entrambe quelle legende potrà far capo il lettore che cer-
chi delle notizie tradizionali e storiche sull'argomento.
quasi nello stato primitivo dal lato del prospetto occidentale, non
ha nulla di bello all'intemo. 11 tempio dì Monreale, niente bello al-
l'esterno, è maraviglia d' arte antica all' intemo.
' Raccontsta da Domenico Ingrassia.
I
I
352
§
• I
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XGVIII.
: ; Lu gran tisoru di la Zisa.
'Na vota vinni di l'Urienti un Grecii-Li vanii. Stu (jic-
cu-Livanti era amica di tutta la Signuria di Palermu; e
comu lu Re di Spagna avia bisognu di dinari pi 'na
guerra ch'avia, mannò 'n Palermu pi sti dinari.
P'allura sti dinari coi li mannàru, ma quannu vìt-
tiru ca lu Re lacia })iggliia-e-addumanna, pigghia-e-
addumanna , 'un si la 'ntìsiru cchiù, e flniu. Eccu ca
stu Grecu-Lìvanti cci ha dittu: — " Mentri lu Re voli pìc-
ciuli ogni pizzuddu, veni a diri ca vi spussedi. Sapiti
chi facemu ? arricugghiti tutti li vostri ricchizzì, e io If
*ncumulu pi sipillilli 'nV ón suttirraniu „. Li signuri
accussì ficinu.
Comu stu Grecu-Livanti appi tutti li ricchizzi di li si-
gnuri di Palermu, li flci purtari a lu palazzu di la Zisa;
ddà chiamò un scarparu e cci dissi: — " Nn' aviti curag-
giu?... Io vi lassù tutta la me casa com' è, abbasta ca
comu io vi dicu d'ammazzàrimi, mi dati un corpu di pu-
gnali 'ntalu cori „. Risposta di lu scarparu: — * Haju
curaggiu pi vui e pi àutru ! „
Eccu ca 'na nuttata, a menzannotti, si pripara tutti
cosi , pigghia lu libbra di lu 'ncantu , 'na virga e un
lumi, e cumincia a fari 'ncantisimi. Quannu fu ura, cci
detti lu signali a lu scarparu, e chiddu cci cafuddò 'na
botta di pugnali accussì forti ca lu Grecu-Livanti quag-
ghiau, si 'ncurpurau cu un turca e spiriu cu lu tisoru
e tutti cosi. Lu scarparu arristò patl^uli di la casa.
[ LU GRAN TISORU DI LA ZISA 35ìt
! Quannu passàm 'napocu di jorna e lu Grecu 'un si
■ vidia, li signuri misiru a circari. Cerca, cerca, v'mniru
a sapiri di lu scarparu comu avia jutu la cosa, e 'ntra
iddi accuniinzò la gran guerra; — E " tu fusti! , —
e " fusti tu ! ». Scavaru , ma 'un pòttiru truvari nenti,
• pirehj 'un si sapi lu Grecu-Livanti unni si li strapurtò
■ sti tisori.
Sta guerra 'ntJstina la vinni a sapiri lu Re di Spa-
- gna; e chi fici ? — ' Ah! (dici) io vulia 'mpristati pìc-
, ciuli pi la guerra, e vuàtri fincistìvu ca 'un n'avìavu;
■; mentri ii dinari l'avìavu e vi li facìstivu ainmucciari. Ora
; vegnu io Ha vinutu 'n Palermu, e ha misu li gran
; pisi ali populi, e chiddu eh' 'un cci avianu datu pi fa-
f, vuri, cci l'àppiru a dari pi forza „.
Ora vonnu diri ca stu lisoru è 'neantatd i
eamina: pi trentasé' mi^hia ■ suttaterra , pi sina a la
Chianotta d'Arcamu. 'N Custantinòbbuli cc'è 'na scris-
sioni a littri turchi, ca nuddu la sapi leggiri; e dici ca
lu Gransignuri dumanna: — " Fu pigghìata la Banca di
la Zisa ? , — " No. , — " Povira Cicilia ! ,
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
1 del tutto diversa da quella che col mede-
simo titolo si legge sotto ÌI n. CCXCVl delle mie Fiabe sic,
alla quale si lega pure la CCXVIr lA Diavvli di la Zisa. E
non È questa sollanto la leggenda che il popolo palermitano,
anzi tutto il popolo sicitian'), ha creata o applicata al famoso
palazzo di Re Guglielmo il Buono, dove pare al popolo di
■ Raccontata da Domenico Ingrassia.
G. PiTBB. — Fiabe e Legende. 23
354 FIABE E LEGGENDE
vedere e di sentire fate, demoni e anime incantate d'ogni ge-
nere. Su questo palazzo (1161-1166) vedi Amari, Storia dei Mu
sulmani di Sicilia^ v. Ili, p. II, p. 491.
La domanda del Sultano di Costantinopoli ricorre pure ne
nn. GCXVI , GGXXX , GGXXXI delle mie Fiabe sic; nella
leggenda del tesoro di Salvateste nel territorio di Novara se-
condo il sac. S. Di Pietro Puglisi, Novara di Sicilia, (nelle
Nuove Effemeridi sic., serie III, p. 144); nel tesoro di Cala Fa-
rina di F. Maltese (Firenze 1873) ecc.
a. «ic
XGIX.
Li tri donai marci -e-bbinnì.
A Petrapizzia cc'è un castièddu anticu, ca 'u fabbri-
cara li Saracini. Sutta stu castièddu cci sunu tanti cara-
mari quantu li jorna di l'annu.
'Na vota tri donni vùtru scinniri 'ndi stu suttirràniu ';
e accuininzaru a caminari. 'Ndi sti càmmari cc'era lu
Jazzu pi nun pirdìrisi nuddu; e U donni cu 'na manu
jivanu tininnu lu lazzu, e cu l'àutra jivanu tininnu la
cannila. Mentri ca tallavanu 'na cosa, un sàcciu sòc-
chi era, ardìru lu spacu, e si pìrsinu a mizzu li càm-
mari, senza putiri nèsciri cchiìi; e pir chissu cci mì-
siru a li donni lu nnomu di li tri donni marci-e-bbinni;
marci, pirchì caminavanu, e bbinnl, pirehi cci abbinni
stu fattu, Pietraperzia -.
VARIANTI E RISCONTRI.
il titolo di questa leggenda locale doiiebb esser questo Tu
donni, e chi mali cci abbinni! sotto il quale cone una leg
genda popolarissima in Palermo Cfr le mie Fiabe sic ii
CGXGV. Qui si racconta una storiella che fa i pugni con la
etimologia.
Abbiamo un richiamo al laberinto di Creta nei Hlo che le Ire
donne tengono girando il Castello di Pietraperzia.
itrà) questo sotterra neri. .
^56
G.
La Tavula di Baeli \
Signuri, cchiù a ddavia, sutta lu Gapu a mari, e 'est ui
-scògghiu comu 'na ciappa bellu lisciu ^ e lu chiamanu
Ja Tavula di Baeli, Ora dici: Pirchì sta nòmina ? — Ve-
:gnu e cci dicu ' :
A ddi tempi, va spijàticci ora quant'havi, cc'era 'ntra
Milazzu un tali di Baeli, ca era lu cchiù riccuni di lu
paisi, ed avia lu palazzu 'ntra lu chianu, unni ora sta
lu Marchisi *.
Stu Baeli, signuri, ca era daccussì riccu, si spassava
finennu sempri cinati ^ a tutti li soi amici. A ddu tempu
lu mari era cchiù vàsciu , e ddu scògghiu supraniava
€chiù; stu Baeli, vidennu ddu scògghiu d'accussi chianu
comu 'na balata , avia lu piaciri di fari ddassupra li
^oi pranzi, ddà cci mintia li beddi tavuli e tuttu lu
restu e cci mandava cu li soi amici,
A dd'èbbica sti signuri ^ avìanu tutti l'apparicchi dì
1 liR mensa di Baeli. — Questo scoglio leggendario è nel Promon-
4iorio di Milazzo.
* Signor (mio), più in là, sotto il Capo (di Milazzo) a mare , e' è
«mo scoglio come una lastra molto liscio.
' Ora dice (ella che mi ascolta mi potrebbe domandare) : Perchè
^questa denominazione? — ^Vengo e glielo dico (eccomi a dirglielo io).
* Il Marchese Cassisi.— Questa piazza ha tuttavia il nome di Piazza
Baeli.
^ Dando sempre delle cene.
* A quell'epoca, a quei tempi, questi signori.
LA TAVULA DI BAEU 357
la tavuia d'aj^entu. Ora dicinu, (signuri, s'iddu è veru
nui nun lu sapemu), ca 'na vota , a la fìnuta di una
cinata di chisti, lu Baeli 'ntra lu divirtimentu, 'ntra lu
trippu, jittòi a mari tutta l'ai^ntaria. Di tanna 'n poi
a ddu scòg^hiu lu sentina ' la Tavuia di Baeli.
Ora chistu , signUri , coma era riccuni , era suvìr-
chiusu, ed avia quarchi 'nnimicizia 'ntra la paisi; e co-
ma fìniu ? ca 'oa vota, mentri era a cavaddu 'ntra la
Marina, unu cci sparùa, sba^hiùa a iddu e piscòi a la
so juraenta '; sta jumenta finita si misi a fùjri; iddu
cascùa e rìstau 'mpìcciatu a 'na staffa, la jumenta sì
la strascinòi p' ansina a lu palazzu. Davanti lu purti-
catu ce' eranu quattru culonni, ca cci sunnu camorar
lu sbatttu 'ntra una di ddi culonni, e l'ammazzùa. D'ac—
cussi, signuri, fìniu BaelL
Milazzo '.
' D'allora in poi questo scoglio lo intendono.
' Unu cci spirita, uno (sconosciuto) gli sparò, sbagliò e colpi la-
aua giumenta.
' Raccolta dal sig. avv. Pasquale Prestamburgo.
:{oS
CI.
Lu Passu di lu picuraru \
Havi a sapiri. siguuri, cu li crapara fannu 'nchia-
nari seiiipri li crapi 'ntra li sipàli pri lavkvi nianciari
quarchi lìlitta d'orba ^
Ora a stu puntii, ca lu cliiamanu lu Fcfssu di la pl^
chtrarii, cùntanu ca 'na vota , mentri 'nt'òn morsa di
vigna ce' era un viddanu chi putava , passila na lu
strìttu un picuraru * ; li pecuri cuminciaru a 'nchia-
iiari 'ntra hi sipàla: iddu s' assittùa e si misi a inan-
ciari. Sti pecuri manciannu manciannu si 'nlilaru 'ntra
la vigna e si stramiaru ccavia e ddavia *; lu craparu
però, Ccillenza, dicinu ca non n'avia vistu nentì.
'Nt'ón corpu lu viddanu vitti a li crapi, 'nchiana sa-
prà la sipàla, chiama lu craparu e cci nni misi a diri
quantu si nni miritava. Lu craparu pitulanti cci rispun-
nia 'nsurtànnulu. Jamu ca lu viddanu strambila ^ avia
'ntra li manu lu runcìgghiu e si stava abbintannu sa-
prà lu craparu; cliistu, si cridennu ca cu lu vastuni cu
lu croccu non si facia arrivali, cci mmiscùa un corpu di
^ Questo passaggio è in contrada Archi in Milazzo.
* Ha da sapere, pv/nor (mio), che i caprai fanno salire sempre le
capre sulle siepi per far loro mangiare qualche filo d'erba.
» Mentre in un pezzo di vigna c'era un villano che potava, pass^>
per lo stretto un pecoraio.
* E si stramiaru^ e si spai-sero di qua e di là. — Stramiarisi o striti
minar isi^ sparpagliarsi, sparnazzaci.
* Si esaltò.
t
LU PASSA DI LC PICDRARU 359
lif^nu '; ma lu viddanu fu cchiìi lestu d'iddu, timpera
c'un corpu di runci^hìu e lu sbaccòi davanti; lu cra-
paru mmiscùa 'n terra e muriu ".
Ora pri chistu ddocu lu chiamanu lu Possm di lu pi-
curar».
Milazzo *.
' Gli die un colpo di legno.
■ Tintjxra, scaglia 'an colpo di ronciglio e lo spaccò (per lo mezzo)
d'innanzi; jl capraio cadde per terra e mori.
' Raccolta dal sig..BW. Pasquale Prestamburgo.
1
3(>0
CU.
La travatura di Beddumunti.
A Beddumunti celèsti 'na truvatura, e pi spignalla
cci voli ca s' havi a fari 'na sarbietta di tuttu punto,
*n tempu 'na jurnata; s'ha a fari 'u filu, s'ha a tessiri,
s' ha a 'bbianchiari, e s'ha a purtari .a BcddumuntL A
Beddumunti chiddi chi fannu sta sarbietta e s' 'a por-
tinu ddà, cònzinu 'a tavula, e ddà mancinu, e spigninu
'a truvatura. Ora sta truvatura non si poti pigghiari,
pirchi la sarbietta s'havi a tessiri di suli 'n suli, s'havi
a 'bbianchiari, s'havi a'bbiari ddà; e lu tempu non cci
basta. La fata sula 'u pò fari, cà è fata; ma già ora
sti fati non cci nni èsti cchiù; a tempi antichi èrinu li
fati.
A Beddumunti èsti 'na bedda cciappata ^ , ed èsti
un beddu munti daveru. Comu unu s'assetta e mancia,
jsi japri lu tirrenu , e si vidi lu gran tisoru di munita
d'oru. Li dinari l'hannu 'ncantati li dimonii.
'Na vota successi ca 'na fimmina la fici sta sarbietta,
e cci mancava a fari 'u ciliu ^; arrivòi a ddavia, e co-
mu arrivòi, li diavuli cci dissiru :
— * 'A facisti e non la sapisti fari :
D'unni vinisti, ti nni poi annari ,.
S. Lucia di Mela \
* Pianura.
* La bollitura del filato per biancheggiare la tela.
* Raccontata da Maria Scoglio.
Munti Scud«rl.
A Munti Srudcri re' ósli 'na finiti tnivatiira. Oiinii si
trasi veni 'na intiutiijrna hUta s|i;i(vuta a loiijiu , e si
cumunìra en hi citiinàni di In Ittvm di l.intinì.
Ora 'nn vota si truvaii a pitssari un iiarriiui, o bar-
dava sta muntafina; pi^iiliia *• |iif»rliia labatTii: allla-
natu, ccicadi la taliaccliicra: " iHiI (dici) pirdii 'a me
tabacchiera!... , K si niit aiiiiaii.
Passati! 'iia pina di jonia 'luliiànunti tri sbannuti
pi tràsiri 'nta sta iinintatrtia di Miiidr Sntdorì; fannu
un ponti pi scìnniri 'iiti sia fiirlizza, <> pifi^biari li di-
nari chi cci su', l^onin 'ntnini, di facci vitliru 'u dia-
vulu. — " Unni annali, bona fronti?.., (cri dissi In dia-
Tulu). Stu dinam non In piditi |ù}!};biari ,, Sintennu
sta manora, li sbannuti fit uni annàni.
Passati 'na picca di joriia, s' arriuiuTU tridici sban-
nuti, pi pigg:hiari sii dinari: ma la ponti non ce' era
cchiù, cà s'avia rnniputu. Ntì sti tridici cc'era unu ca
l'àutri dudici non In vidcvarui: e pnisàru di jittallu
'nta la spacca di .sta ninntajrun, Coniu di fatti lu jìt-
tàru, e scinnèru 'nta sta fui-ti/./.a. A la 'ntrata, 'ntraru
libbiri. Coniu si fannn aviinli , cci cumpàrinu diavuli,
e sèntinu li gran caununati chi sparavanu. Li sban-
nuti 'un si persinu di curaggiu: si calanu e toccanu 'u
dinaru; ma appena t occann iu dinaro nasci un sirpenti
grossu, chi si nienti a ciaurari a tutti , e poi si nni
362 FIABE E LEGGENDE
trasiu 'nt'òn mutu chi cc'era ddà, un mutu picciriddu \
cu cu' si menti V ogghiu 'nt' è buttigghi. A vidiri stu
sirpenti 'ccussì grossu, chi si 'nlìlau 'nt'òn mutu 'ccussl
picciriddu, si spavintaru e chiamaru a Maria 'Ddulu-
rata. Sùbbitu fòru jittati fora sparpugghiati : cu' si truvò
a 'Ntinnammàri *, cu' a Napuli, cu' 'nt'é Calabrii.
Lassamu a chisti e pigghiamu ò parrinu, chi annau
a Lintini. Cc'era ddà 'na lavannara chi lavava; mentri
lavava , vitti 'na tabacchiera ; la pigghia. — " Bona
donna (cci dici lu parrinu), lassatimilla vidiri. Ghista
èsti 'a me tabacchiera „. La lavannara cci la proj, e cci
eranu jintra tri dubbuluna d'oru. — " Eppuru, dici lu
parrinu, staju vidennu cu lu fattu chi la spacca di lu
Munti Scuderi currispunni cu sta ciumàra di lu Biveri
di Lintini... „ Messina ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
È comune credenza in quel dì Messina che la enorme fen-
ditura che è nel monte Scuderi vada a formare una fiumara
che fornisce acqua al Lago (Biveri) di Lentini; che questo monte
abbia uno tra' principali tesori incantati di tutta la Sicilia; che
il demonio ne sia il guardiano, ecc. Vedi, del resto, il mio scritto
Tesori incantati, nel v. IV degli Usi e Costumi.
^ Un imbuto piccolo.
* Dinnammare, la montagna più alta che sta a cavaliere di Messina.
^ Raccontata da Sara Barbiera, ragazza sui 30 anni , analfabeta,
a' servigi della famìglia Crescenti.
CIV.
La storia di !u Gialanti e di la Gilantissa '.
Gc* era 'na vota un Gialanti e 'na Gilantissa; la Gi-
lantissa era cammarota *.
Iddu niscia 'nt'è Cammàri e si manciava un omu 'u
jornu. So mugghieri, com'era cristiana, non pretinnia
di manciàrisi iddu òn omu ; sunava 'a campana : tatti
mi si rritiravanu ', e 'ccussì 'u Gialanti non ccifacia mali.
Idda, pi fallu manciari, coi priparava un boi sanu.
Cu 'u tempu, appòi, cci ficiru 'a turri, (chi èsti 'a pri-
senti, chìsta unni su' li càrciri).
Lu Gialanti e la Gilantissa jucavanu 'nta sta turri,
e sta turri si la fabbricau iddu stissu.
Un jornu lu Gialanti annava caminannu p' 'i strati;
e si truvava propria ò Chìanu di la Matrici.
Pi cumminazioni si trova un figghiolu chi bucava c'un
pezzu dì canna cu la petra dintra 'ngagghiata, e la gira-
va '; a lu gìrari chi fici, scappa 'na petra, e lu 'nzir-
tau 'nt' 6 sonnu, e cascali d' 'u cavaddu; e 'ccussì muriu.
Idda poi di la pena nni muriu ddoppu tantu tempu.
Messina ".
■ La storia del Gigante e della Oìgantessa.
' Del villaggio di Cammàro, a circa quattro chilometri da Messina.
' Sua moglie, essendo ctistiana, non permettea (che suo marito)
maagiaase un uomo al giorno; (e che ti racera ì) sonava la campana
(e cosi) tutti (coloro che si trovavano li vicino) si allontanavano.
' Accenna al giuoco fanciullesco consist^ite nell' incagliare alla
estremità d' una canna fessa un sassolino, e nel lanciarlo. È una
specie di (tombola.
' Raccontata da Sara Barbiera.
r
364 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
Questo ragazzo (figghiolu) che colpisce alla tempia (.<om«?/)
e uccide il Gigante, ricorda il pastorello Davidde, clie uccide
€on la frombola il gigante Golia, nel 1** lib. Regum e in S. Au-
GusTiNi Enarr. in Fsalm. 143.
Sulla leggenda del Gigante e della Gigantessa in Messina,
alla quale son da riportare i famosi colossi a cavallo , cono-
sciuti coi nomi di Cam e Rea, vedi G. Bonfiglio e Costanzo,
Messina, città nobilissima, p. 76, ed i miei Spettacoli e Feste,
pp. 133 e 362.
X
i*^^-^.
La storia di la Qlalanti Pisci.
Un lempu, di ccà di lu Fani passavanu li gran ba-
stimenti, e cc'era un bellu cantu 'nt'ò mari; era tantu
bellu , ca li marinara si 'ddrummintavanu : ed eranu
ddui Sireni ca facevanu stu canta, una si chiamava
Sciglia e l'àutra si ciiiamava GarìUa.
'Gcussi li bastimenti si prufunnavanu tutti.
Ora ce' era un Gialanti, ca misi 'na scummissa cu 'i
Calabrisi, di pigghiari a sti Sireni. Stu Gialanti era unu
suggettu bruttu, e sapia natari comu un pisci : e iddu
m'appi l'abbilità di pigghialli.
E chi fa ? Si fici mèntiri 'na campana à testa , si
pigghiau un pocu di pani , un pocu di furma^iu, cà
non sapia quantu tempo avia a stari 'n funnu; e mi
si jetta a mari. Cc'era 'na corda cu 'na campana fora
di l'acqua : quannu tirava 'a corda e 'a campana sa-
nava, vò' diri ch'era vivn; quannu non sanava, vò' diri
eh' era mortu. Eccu ehi cala 'n fannu e 'ccuminzau a
'ncatinari 'a prima Sirena, eh' era la cchifi bella , ed
era Sciglia. La secunna circava di fàricci mali, ma iddu
appi la nianera m' 'a 'ncatina p' 'u coddu e p' 'i mani ',
e 'ccussi Carilla non si potti cchiìi mòvìri. Li 'nchianau
supra, e comu li 'nchianau ciancìvanu, pirchi non vu-
levanu essiri 'ncatinati. Quannu fòru supra, pigghiau
e cci li cunsignau a li genti-
' Itla egli ebbe modo di incatenarla pel collo e per le mani.
36(5 FIABE E LEGGENDE
Sti ddu' Sireni fóru 'mmarsamati i)ropriamenti coiiiu
iddi nisceru d' 'u mari.
Fu tantu la valintizza dì stu Gialanti ca li Missinisi
eci fioiru la statua, e cci la ficiru tantu a iddu quantu
è Sireni. Finuta la statua, si misi cu 'a mani arredi \
e dissi :
— " Mici cari Missinisi,
Tiegnu 'n culu è Galabrisi , ;
pirchì li Galabrisi non si putievinu cridiri chi iddu ar-
rivava a pigghiari a sti Sireni. Li Riggitani nni fòru
tantu cuntenti di sta suggizioni chi cci livau stu Gia-
Innti cu pigghiari asti Sireni, chi cci dèsiruun dunu,
comu dicissimu 'na rènnita.
Ddoppu chi cci ficiru la statua, stu Gialanti campau
'n' atra pocu d' anni e muriu ; ma muriu figghiohi , e
muriu pi forza di summuzzari, cà sunmiuzzava di ccà
() Faru ^ d' *u Faru 'n Calabria , jennu sempri sutta
mari.
Memna '.
VARIANTI E RISCONTRI.
E chiaro il ricordo classico di Circe e delle Sirene, com-
misto qui a quello di NeUuno: e tutti fusi insieme e ripor-
tati, per un processo di mitologia iconografica, alla statua del
Nettuno, comunemente detta lu GilantL
Celebre è nel Porto di Messina la Fonte di Nettuno, opera
^ Con la mano indietro (nel didietro).
• Cd, perchè soppozzava da qui (dalla città di Messina) al Faro.
* Raccontata da Sara Barbiera.
LA STORIA DI LU GIALANTI PISCI 367
di frate Giovanni Angelo Montorsoli, chiamalo in Messina verso
l'a. 15t7. Sono in essa * quadro facce di scale , che salgono
tre gradi, e quattro altre minori mezze tonde, sopra le quali
posa la fonte ad otto facce, che mette acque in quatiro pile
ovali di marmo, che stanno a' quattro angoli, e l'acqua cade
in esse per due maschere arliliziose intagliate. Nel mezzo della
gran vasca è un basamento, che tiene agli angoli quattro ca-
valli marini, e ne' fianchi otto mascheroni versanti dell'acqua :
sopra del basamento è la statua marmorea di Nettuno più
grande che natura, che tenendosi il tridente nella sinistra,
stende la destra in segno d'impero. Due piedistalli laterali sor-
reggono le statue di Scilla e Carìddi , per mezzo donne , per
mezzo mostri marini.
' L'opera è condotta con una forza ed una espressione me-
ravigliosa, e la maestria di quell'abile frate tutta si rivela, a
me pare, nella stupenda figura del Nettuno, ove, e lo studio
della muscolatura , e la robustezza delle forme , e la maestà
del viso ben ti ricordano le opere del Bonarroti.
' Né meno è la Irellezza delle due sirene, che si dibattono
incatenate, mostrando nelle truci loro forme tutta la terribile
poesia, che gii anUchi seppero riunire nelle favolose Scilla e
Cariddi ^.G.LaFamua, Messina ed i suoi montinn;»»), pp. 23-24.
Messina. Fiumara, 1840.
Tra le iscrizioni , che diconsi di Fr. Maurofico , apposte a
questa fonte, ecco i distici relativi alla statua di Nettuno :
Hic palagi l'ector (remitum Jcdiscit et ìvam,
Hac recreat fessas in statione l'atea.
Sotto la statua di Scilla :
Impia nodotis Mhibetur Scylla catenìB.
Pergite securae per freta nostra j-ates.
E sotto Cariddi :
Capla est praedatris siculique infamia ponti,
Nec fremii in mediis saeva Caribdis aquis.
iJtó
evi.
Cola Pisci.
Ci^la Pisci era un farotii \ ca sapìa natari nit-u'^'hiu
d*un pisci , basta diri ea java di Missina a r.itania i-
di Catania a Missina, sempri sutl'acqua.
'Xa vota vinili In Ke ooà a Missina , e sintiu diri
oh' aviann a Missina st' omu niaravigor||iu^u ^ ^h' era
hi prima natatiiri. Sinlennu aicuss'i, lu vosi vìdiri. « '.ola
fu chiamata o si prisintau a lu Re. — * Dimmi: è v ru
feci dici hi Re) ca tu sai ben natari V . — • Maistà. si! ,
Alhira hi Re cci jittau 'na spada a mari, e Cola si caiau
e ramiau a piitghiari. Vidennu chistu , la Ri^':jina cri
jittau 'n aneddu , non cci cridennii chi Cola Pisoi lu
putia pi^hiari : e Cola Pisci lu pitr^hiau. — " Aliura
m' hai a Siipiri a diri chi cosa cc'est sutta lu pedi d" "u
Sarvaturi * ,. cci dici lu Re. Cola si jetta a muri: os-
5erva e torna: — " Sapiti chi ce" t*. Maistà r tic' est 'ria
caverna 'chi porta un gran' Ilvu ,. Lu Re non ri-tau
sudistattu di sta cosa ': dici : — " Nenti: non mi sàj.':<ti
diri nenti. Ora si ce* è ssa caverna e tu mi sai purtari
la cinniri di ssu locu. io ti l'azzu un bonu «.uuìprLiL>.:i-
* Forte 1.WÌ S5>. Salviror^. al.* es:r».*:.i'> bra.vLo •iella L^ -Te :•!:-• •::
* Per cinuprenòriv .^ri^sra ■.'i:ri..'¥i:à bi'!4.-»i:i_i >a:'*?re jlit. >.•:■ -.ì"
la ^'ivtLeriza pi^poìart-. li Sicilia e '^"•sCcfmLi «la :r»? et.-ùc.:»- s ■"
r::ie. ohe ne :orjLi.i..> .\'.il«.i ">:é»so :=.::iè'«^ ^ M-^e.
/«%;a
tUy- Sdniua LiT^rl O:»-^- irriràu à-.i;if;s-i:tliu >i braciai!
la raiiJ e si l^ *L:L,-.r.--:.. — * E:-:.!. Miìslii!, e coi
prisinldu Ik l.ì:_ ì-"_.Aì:.-.. Rif;»:»^:.^! d: ^.i Rr: — •Non
so' cuLifiiLÌ dii'.'O.-i. Tj; hi' i iTÀ^ih jlntra di la ca-
• Riaii J4il=-;i ... <il--' O.'Ial >1 io sfiriiiTi. r.o 'noliia-
nu cchiii -ui*r:i: :-iJ -i* ?::-ira - uV Cola l^>cì ini eoi
parravi in cori t. L u Rr pi fcii^n jà^^jrhiarì lii puiitu, ocì
dissi Chi un oL^u v:ilen:: nc.n havi nìai paura di nuddy.
— * T'bli ac'CiLi^.r io ju lazziu hìa io ocì perdii la vita ,.
Mi si pigghiii 'na ferra: — ' Si sta fornì ^lììcìf 'iìoIii;uia
bruciati, oli diri su^u mortu; si non è bruoiatiU su-
^u vivu ,.
Scinniu e Irasm. cu sta ferra nta la manL j intra sia
caverna. 'A ferra si bruciau e vinnì *n sunuua. Cola
Pisci arristau bruciatu e non nehìanau oohiÌK
Lu Re fici chistu pi vìdiri si oni voru ohi la caverna
currispunnia cu suttaterra, ed era unu di lì suslo^nì
di la Sicilia. M^ssifia \
VARUNTl E mSCONTRt
Cola Pisci.
A Missina ce' era un omu cliì lu cliì;unav;uìU /V>nyi f Wii,
Chistu aveva h jìdita junciutì : elùdili dì lu pi>dì puru ooiuu
chiddi di h aceddi d'acqua : e lì gargì conni li pìsci ; o ogni
jornu si jittava 'nV ò Portu dì Mìssìnu » pi dìvìrtìrìsi,
Vinni a Missina la Riggìna« e ccì cunlaru o« co' era st' omu
purtintusu, chi stava a mari comu un pìsci. \a\ Ilìggìua uuu
« Raccontata da Sara Barbìern,
G- PiTRÈ. — Fiabe e Leggende. ti
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r •
370 FIABE E LEGGENDE
cci vosi cridiri 'n principiu, tantu ca lu chiamali a la prova
e cu 'na lancia riali si lu purtò a lu Garofalu ', a lu Faru; t
cci dissi: — •* Gcà cc'è sta coppa d'oru; io ti la jettu a mari; s
tu ddoppu un'ura la va' a trovi, è tua ^.
Ghiddu aspittau un'ura, e si jittau 'u funnu; ddoppu du' ur
assummau cu la coppa d' oru è manu. La Riggìna cci du
mannau ch'avia vistu nta lu funnu di lu mari , e Cola ce
dissi ca cc'eranu dui grannissimi ca verni, chi sucavanu l'acquj
di lu mari, e avevanu comunicazioni cu lu Muncibeddu.
Ddoppu jorna, prima di pàrtiri, la Riggina lu chiamò arreri
e cci dissi : — ** Io ti jettu 'n'àtra coppa d' oru cchiìi grann
di la prima, a pattu ca tu ha' a vìdiri sina unni arrivanu st
cavami „. Rispunni Gola : — " Maistà, sì „.
Lu 'nnumani matina la Riggina iju supra locu; jittò a mar
la coppa; ddoppu du' uri si jittò Gola Pisci , e fmu a st' un
s'aspetta clii torna 'n sununa.
S. Agata di Mllitéllo,
Cola Pisci.
I
Gola Pisci era unu mezzu omu e mezzu pisci.
Gliistu avia sunmiuzzatu nni tutti li gurfi di lu munnu , e
ddoppu avilli firrVatu tutti, vinni a Siculiana.
Gcà piglia' amicizia e' un arginteri, e ddoppu 'na pochi di
jorna misiru 'na scummissa, ca Gola avia a pigliari funnu
nni lu gurfu di Siculiana.
Gola accunsintlu e cci dissi accussì : — ** lu scinnu ddà jusu;
si ddoppu mezz'ura affaccia una scocca di sangu, ti nni va' pi
l'aflari to', cà i' nun vegnu cchiù „.
E daccussì successi.
Lu puntu unni Gola Pisci muri' è vicinu lu Scogliu d' '«
russeddu. Sicidiana *.
* Torre di Garofalo,
* Raccontata da Giuseppe Atanasio.
COLA PISCI
Lu mariiiBra e In Sirena di la mari.
'Na vota s'arrieciinLT ca un marinara trasfu 'n cunfìdenza
cu la Sirena di lu niari, e misi scummissa, 'un sàcciu di ehi,
ca idda 'un si fidava dì jiri piscina 'n (unnu < a pi^hiari 'n
aneddu. Lu marinaru lu sapfa ca la Sirena sull'acqua 'un cci
pò slarì assai, cà cci ammanca lu ciatu : e sta cosa ccì l'a-
via cuiifidatu idda stisaa, "na vola. Misa sia scummissa, la Si-
rena cci dissi a lu marinaru : — " lo ora summuzzu '. Ma si
'n capu a nienz'ura 'un cumparisciu, e al!ocu di mia tu vidi
assummari ' quarchi slizza di sangu, ritfcni ca sugnu morta e ti
uni vai ,.
Eecu ca lu marinaru cci jiceò Taneddu elfavia a lu Jìditu :
e la Sirena summuzzò; ma 'un si vitti cchiù. Ddoppu menz'ura
si vitti l'acqua russigiia : e lu marinaru caplu.
Palermo *.
Presso Io Urogliu d' '« russeddu, detto cosi perchè una volta
vi fu ucciso un fn.weiiii* quanto un bue ' (1), l'acqua è chiara, e
si scorge in fondo una pietra lucida coni ; madreperla. Presso
a questa si annegò Cola Pesce, e in direzione di quesla specie
di madreperla si vide X'anello di sangue di lui. (SiciUiana).
In Siculiana, nella contrada Gialunardii, sotto la torre delle
Pergole, c'è una casetta a pianterreno, a forma di capanna sviz-
' E Misi scuntìiiissa, e mistì scommessa, non so (per) che (cosa),
che esai non sarebbe stata buona di andare in fondo al mare.
* Io adesso soppozzo. — Kotiai che un posto dulia marina di Palermo
con la vìa che ad esso conduce ò lUiaiuato Saini>tu:iii (:= Buììv-
mMzzu), dove i Palei'uiUaui vanno a b:ignai-ii in estato.
* E in vece mia tu vedi venire a gala (ossuiHìnarU .
' Raccontata da Giovanni ITinii fu e, i)esuatorc del sestiere del Bor^o.
La medesima tradizione ho anche da l^iiuuliana.
> liusscddu, ranocciiiaia, ardea purpurea L.
a
\
y72 FIABE E LEGGENDE
Zeni, elio guarda il inaic Nella lacciaia ò rappresentato in
cocci (li tegoli allac(;ati alla calcj.' (»<1 alla sabbia Cola Pesce,
la mela d' un uomo comunt?. La mela superiore del corpo
è di uomo, con le dita delle mani imile come (fuelle delle oche;
la iiKìlà inferiore tulla di j)es(re, (ron is< piarne.
N<'gli stabilimenti di bagni cIk' annualmente si ra])bricaiio in-
torno nella marina di Messina, uno ha sempre nome di Gola
Pesce.
Un marinaio messinese testò nominava indilleren temente al
mio amico T. Cannizzaro Cola VUcl e Pisci Nicolosi^ dandogli
a vedere che entro V acqua Clola fosse un pesce , e fuori un
uomo.
Li tutta Sicilia Gola Pesce è chiamato Piscicola, o Pisci Cola,
e si ritiene un uomo-pesce misterioso ed anche pauroso. In
una poesia di Andrea Pappalaido , poeta illetterato di Gala-
tania, si dice {Raccolta ainpliftsitna, n. 4111):
E iu cci vegnu conni Piscicola
Ppi salutari a Stefana La Sala \
In Palermo mi fu additata come figura di Piscicola un Orione
inquartato in uno stemma gentilizio entro l'atrio del palazzo
della Piazzetta G. Meli, in Palermo.
Per la storia bibliografica e tradizionale della nostra leggenda
rimando il lettore al mio studio sopra Cola Pesce, nell' Ar-
chivio delle tradii', pop., v. VII.
* St. La Sala, il più famoso de' poeti illetterati viventi deUa Sicilia.
Vedi i miei Studi di Poesia 2)0p.^ p. 102.
La storia di Don Giuvanni d'Austra.
Don Giuvanni d' Austra era un valenti virreri cri-
stianu antica. So patri era saracinu, e curamattia cen-
tra la cristianità. 'Xta 'na verrà chi cci fu, lu figghiu
livau l'occhi ó Celu, o cci dumannau grazia a Ddiu di
fari 'n' àutra ura di jornu, e Ddiu cci lu cuncidiu. Ac-
cussì ha vinciutu 'a battaggliia, e lu figghiu mi si mintiu
la testa di so patri sutta li pedi.
E chissà è la statua di Don Giuvanni d'Austra.
Messina K
VARIANTI E RISCONTRI.
Cosi iiilei-prela il popolo la positura della statua in bronzo
di D. Giovanni d'Ausfria, figtio di Carlo V (in via Corso, Piazza
Nunziata), opera di Andrea Calamech da Carrara, la quale rap-
presenta il vincitore di Lepanto (1571) in atteggiamento di
schiacciare la testa al Turco, secondo la descrizione che ne
troviamo in G. La Farina, Messina ed i suoi monumenti, p. 26;
in Salomone-Marino , Belanione delle feste della città di Pa-
lermo a D. Giovanni d'Austria, dopo la vittoria di Lepanto,
neUe Xtwve Effemeridi sic, serie III , v. I , pp. 20-60 (Paler-
mo 1875) e in altri scrittori. Abbiamo anche qui un nuovo
esempio di demo -mitologia iconogi'aiica, a proposito del quale
giova leggere G. Paris, La Legende du mari atix detix fem-
mes, p. 6 (Paris , MDCCCLXXXVII) : Salta poi agli occhi il
richiamo a Giosuè col suo Sol ne movearis (Josuè, 10, 12), che
pure si riscontra in altra novellina siciliana: Peppi spersu pi lu
iHunnu di Salaparuta, n. XXVII delle mie Fiabe sic, v. I, p. ^0.
' Raccontata da Sara Barbiera.
374
CMII.
1 Cientu Puzzi.
Si canta o sì raoi.unta . ca 'mi viì-v.ciii. in lisJru di
scola, liiii.i i iliaviili nni la tabb-.i cli'/ra, v li cuuian-
nava coma valla i.Ulu. Fatta sta • i na vìt i ìu inai-
stru si nni iin ;i --.ola o si siurdri la taMia-ih».Ta à
casa. C-jiva e riv-t/r-ja nna tatti li sno-.-ht-tti J" i làasi,
d* ò cilecca e d" *a raorliinu, r.u la i.».'**i travari.
Allura pinsaa di b^>ni di iiiaui.-iiì à «-asa : ciaina a
'n picciuotta e coi di:i : — " Va' à casa a p:j:-:iàriini 'a
tabbacchera; ina r::*api ì*''iix«.i a i:u la ;^'r-;piri ..
*U sculara :;u a oasa d' 0 niais-.ru, e si ilei dari 'a
tabbacchera. Oiw inerr.ri oa caiiii:: iva. vi vi:.:.! *u disiu
"i gràpiii sta taL'i'v^chvra. e a"v;:i si vì:ti i.:rs.i:i *na
picca di diavvi!:. :à 'j-jì dissinu : — " Cuinaniia oliildu
ca vuoi ,. T' p:.::!::o::.i si spavì:.':ìu: e pireh: ssi i jca
èrinu scarsi d"d;;j-i.;, e ji dissi : — - VaOjr^'iU ■:!■>:. tu
puzzi ..
Accussl ÌLppuiiu origini *i CUìitt4 Puzzi.
Iìa^i4^'.i L.f'.r'-.r-. '.
V.IFOANTI E RlSCLLNTFd.
Intoni.' i '^i-E:?:: pizzi dt-I terr::>r:.' i Rigisa. -;.: zi^\
che mi >:rlTr . in-.r.-r^^it.' in prop.-^s:::' . il D." Riii^rl-r fila-
rino. iH^iTi'.irr ITO IO Ilio d-ri oc-muiL d-r-i C.-i.:-^^ li M. ilia;
m un Cinipi -1. pxni ectàr- staimi iisìcni-n^i: ':^ nirjutà
*I CIENTP PUZZI 375
^ pozzi manufatti, in parte interrati , in parte pieni di acqua
bellissima., ed in vicinanza ai pozzi grandi mucchi di pietre
grezze, disposte a fabbriche senza cemento e d'un'arte primi-
tìva, che potrebbero avere qualche somiglianza ai monumenti
descritti da Pellouttier. La leggenda popolare dice che quei
pozzi furono scavati da un esercito di diavoli , che , scappati
dall'inferno non si sa per quale avventura, dovettero rien-
trarvi per quei buchi. La tradizione vorrebbe allribuire quei
poni all'esercito cartaginese, che si fermò in quelle contrade
«Spettando i Siracusani e scavando il terreno per averne ac-
qua. Per noi la leggenda e la tradizione si equivalgono nella
loro inattendibilità: giacché non è presumibile che un esercito
ffl accampi in un luogo sprovvisto d'acqua, e non è credibile
che si sia risolto a rintracciarla nelle visceri della terra in un
punto e ad un'altezza in cui non c'era alcuna presunzione di
trovarne. È più logico il ritenere che ivi solvesse qualche cen-
'^tro di popolazione, al periodo greco e pregreco , di cui sono
vestigia i pozzi, i ruderi di fabbriche e alquanti sepolcreti posti
a breve distanza di là, nei fondi di Buttino ,.
*'Siif^ ''''^"i'ji, <'''C allora ora cliiiR^ „. ^jj^^i -^J disiu
%i ''^y';\'/,denza di quei mulino. - nièsciri 'na
'""* ''ó'^una quindicina di giorni il mugnaio e&jje'Mi-iV-^
1/1 di aver salvato la vita di un voctchio , elio forse
era un ebreo, e se ne confessò con un eremita di quei
contorni; e V eremita gli disse : — ** Prima dovrai ve-
rificare se sia ebreo, o pur no. Tu di questi giorni hai
scannato il porco; portagli un po' di salsiccia. Se non
vorrà mangiarla, è giudeo di sicuro „. — "E nel caso
che è un ebreo , che debbo fare V ^ — " Scannarlo,
mentre dorme „. — "E i tesori che ha con lui ? „ —
** Ne farai una grande e ricca chiesa alla Madonna
Santissima „.
L'Ebreo ricusò mangiar la salsiccia, e allora il niu-
' Questa e le tre leggende che seguono mi vennero comunicate in
forma italiana. La CX e la CXI sono sacre e partecipano di quelle della
serie seconda di questo volume.
• In uno scavo occidentale, pochi anni addietro, vi si trovarono i
vestigi d*un mulino.
376
GIX.
L' Ebreu di la Gratta d' 'i Funnacazzi ^
In una notte tempestosa d'inverno, un vecchio spau-
rito e con barba lunga picchiò alla porta d'un mulino
vicino alla grotta dei Fondacazzi '. li mugnaio apri, e
il vecchio inginocchiandogiisi innanzi, lo pregò di sal-
varlo dai persecutori, che lo cercavano a morte, e che
erano per sopraggiungere; se lo salvava, sarebbe rimu-
nerato largamente. Il mugnaio lo condusse nella Grotta
dei Fondacazzi, che allora era chiìifcJa^ chiave, ed era
una dipendenza di quel mulino.
Dopo una quindicina di giorni il mugnaio
polo di aver salvato la vita di un vecchio , che forse
era un ebreo, e se ne confessò con un eremita di quei
contorni; e V eremita gli disse : — " Prima dovrai ve-
rificare se sia ebreo, o pur no. Tu di questi giorni hai
scannato il porco; portagli un po' di salsiccia. Se non
vorrà mangiarla, è giudeo di sicuro „. — "E nel caso
che è un ebreo , che debbo fare ? „ — " Scannarlo,
mentre dorme „. — "E i tesori che ha con lui ? „ —
" Ne farai una grande e ricca chiesa alla Madonna
Santissima „,
L'Ebreo ricusò mangiar la salsiccia, e allora il mu-
* Questa e le tre leggende che seguono mi vennero comunicate in
lorma italiana. La CX e la CXI sono sacre e partecipano di quelle della
serie seconda di questo volume.
* In uno scavo occidentale, pochi anni addietro, vi si trovarono i
vestigi d'un mulino.
l'ebreu m lA tiiìirrA n" i fuxnacakzi
377
gnaìo si nasropif' m'Ha j.'rotlii, i' ;i])|ii'nii vide ('he il vec-
chio si era addoniicnliiln, ^11 riiii|)0 il fi-anio con un
martello. Ai.t.',sc la l;iiilcni;i («-in- i-ra di iinttc) e ve-
rificato prima clii' il vi-cr-liio l'ra innrlc» , si diede a
voler traspoptiirc !■' ltimihII vu-c\i<y/:/.i' di lui ; ma non
appena era '^'ià p-v iKcin-, ciic 1! nioHo, snrfjcndo im-
provvisamente e alT'TiMrid'i il ninsiniiio , pronunziò
sette parole biandio f selli' ]iiirnli^ iit>ro, picchiola
terra col pindc: e quella ^i aprì iii!,'liiolton(lo l'ebreo,
il ml^;naio e i tesori. ChUimmonte '.
< Raccolta <la1 Iki
Su questi
Costumi: Tfsoi
n\K Gus
La Chiusa di S. Qiuvauni '.
Erodiade, dopo aver fatto tagliare la testa di S. Gio-
vanni, spinta dal rimorso e dalla disperazione, si portò
il tesoro del Re e andò vagando per tutto il mondo;
ma tutto ciò che toccava stillava sangue vivissimo. Ora
un giorno arrivò nella Chiusa dì S. Giovanni, dove al-
lora c'era una città \ e non potendo sopportar qaeUa
vita, cercò placar S. Giovanni innalzandogli un tempio
magnifico. Ma non appena fu esso terminato di fab-
bricare che sgoi^ò da terra un fiume di sangue. Ero-
diade , disperata , si buttò entrÒlìSii^flume , il quale
allora s'internò sotto terra e inghiottì Ia1ftsgJSS-6f!l"-
dele. Non mori però, perchè morrà il giorno del Giu-
dizio, Ma nella notte di San Giovanni esce da terra,
tutta imbrattata di sangue nelle vesti e ne' capelli, e
urla disperatamente implorando la Misericordia Divina.
Ckiaramonte *.
' Vi sono copiosi rottami di vasi d'ogni specie, in argilla.
* In contrada Favarotta, territorio di Chiaramonto.
* Raccolta dal Ouastella.
d
ritte eIlìj- \.-. : ,1 ■; .. . ^;-. t. .-.. -.v-;!-, ;^
ebb-r L .i-r~:r: i. ^i .....r. .: ; i^r=.v. aì :-.• cz^àxaa m
voce di terrori' : — * v* >,>.":.» Mirt^hirni
me, che porlo ì! voslrv» nonio I . E 2*. _
parve al inomonto, iHirtaiuloiii mann \
la quale uociso il eulului». Intanto j
porcai, altrui li dal lorrihilu' grido 4
lora S". Miii-Klii'i'ilii onliiu'i in i
la grotta, rliiiNa <lii iittiiì lato.*
sportalo W. vìW\\w\, K la (
nata <lu un nmniviglìoso 1
maiAf:, 'li im\ rj'in r:
.4^>^
FIABE E LEGGENDE
Le ossa de' bambini erano sparse sul pavimanto , e
mandavano un odore di paradiso. Quella grotta per
opera di porcai fu convertita in una chiesetta, dedicata
a S'. Alarghorita; ma prima che la Santa tornasse in
Cielo, incantò il diamante. Questo non può trovarlo
nessuno , altro che colui il quale faccia a piedi scalzi
il pellegrinaggio ai Luoghi Santi , e tre giorni e tre
notti digiuno pianga sopra il Monte Calvario. Tro-
vato il diamante, Io porterà al Granturco, perchè egli
restituisca Gerusalemme ai Cristiani.
Chiaramonte '.
• Raccontata da Giovanni Fomaro, di'tto loia, tegolaio, e l'accolta
<lal Guastella.
--■ •^'*it:i:a««<^
381
GXir.
La Gratta di crapa d'oru \
Quando i Saruceiii furono costretti a fuggire dalla
Sicilia, uuo de' capi fuse tutto l'oro che possedea e ne
formò una capra e due capretti; e incantandoli in una
grotta, volle che il tesoro si aprisse a quell'uomo che
avesse baciato la soglia (sogghia) di essa grotta.
Ora avvenne una volta che un soldato di nome Ber-
nardo Caprera, essendo a caccia per quelle contrade,
inseguì un porco selvatico: e siccome il porco era en-
trato nella grotta, Caprera, inseguendolo, cadde sul li-
mitare, dandovi sopra la bocca. Ed ecco che sente dei
belati, e nel tempo stesso vengon fuori dalla soglia della
grotta la capra e i caprettini d'oro.
Il Caprera se li porta in Palermo , e inginocchian-
dosi innanzi al Re gheli offerisce ; e il Re , volendolo
rimeritare, gh dice: — " Alzati, o Conte Caprera „. —
** Grazie, o Maestà; ma non posso alzarmi da terra „.
— ** Alzati, 0 Capitan Generale di tutte le mie truppe „.
— ** Grazie, Maistà; ma non posso alzarmi „. — ** Al-
zati , o Conte di Modica „. — ** Grazie , o Maestà „. E
allora si alzò, perchè non solo era divenuto Conte è
Capitan Generale, ma anche Conte di Modica.
Il Re però non godè di quel tesoro, perchè i tesori
incantati non possono regalarsi ; e la capra e i due
caprettini tornarono nella grotta.
Chiaramonte '.
* Nel territorio di Ragusa.
* Raccontata dal cocchiere A. Roccalumera e r iccoita dal Guastella».
^'.'^
>
■*■-** frw«f-**i*
SERIE QUINTA.
CXIII.
'U Lupu ch'ammazzau 'a Jìmenta e 'a Mula.
'U Signuri, quannu fici a tutti rarmali, a ognunu cci
dissi quantu dannu putia fari ppi manciari, e ò lupu
cci dissi ca putia fari quinnici grana di dannu 'u juornu.
'U lupu accussì fici : ogni juornu facia quinnici grana
di dannu e mandava, e puoi, 'a sira, 'u Signuri cla-
mava a tutti l'armali, e cci facia diri tuttu chiddu dannu
eh' avièunu fattu 'nt'à jurnata.
'Na vota 'u lupu, mentri ca caminava, vitti 'nta 'na
ciusa 'na jimenta flggiata, cu 'a mulicedda.Tira 'n sàutu,
afferra 'a jimenta p'ó cuoddu, e 'a scannarozza ^; puoi
tira ^n àutru sàutu, e scannarozza 'a mula; si manciau
chidda ca si vosi e si potti manciari; e puoi si fici 'u
cuntu : " 'N carrinu 'a jimenta , cincu grana 'a mula,
*
^ Una volta il lupo, mentre camminava, vide in una chiusa una
giumenta figliata, con la muletta. Fa un salto, afferra la giumenta
pel collo e la scanna.
38t HAbE E LEGGENDE
f siiiiitu (iLiiiiiiiii irranii „ : moiitii i-a ';i jimuiita putia
valili 'lui liiiiimiilina d'unni, e 'ii mula sciupìi 'navìn-
tiaa d'uiizt fci jia.
'A sira si inisiiilariu tulli rariuali davanti ò Signuri,
o 'u Siijtiiuri ciaiiiau ù lupu e tei dissi: -" Tu eli' ha'
falUi, lupu':- , 'U lupu ccirispusi:— *■ Nenti, Signìm: quin-
nici t'i'iii'ii di daniiu ,. 'U tìignuii lìu sapia cli'avia ain-
mazzatu 'a jimuiita e 'a mula; chi ce' ora bisognu ca
i'avia a'viri ditlu d'àulni'? o cci dissi:— * Ma chi è eh'
ha' faltu y dimmillul , 'U lupu 'n prima imn cci 'u
vuiia diri, puoi cci dissi: — " Ellu ', Siguuri: ammazzai
'na jiraenta e 'uà mula; 'a jimenta 'n carrinu, 'a mula
ciiicu grana; e sunnu quinnici grana. , — " Guonìu ! cci
dissi 'u Signuri: 'na jimoiita e 'na mula quinnici grana?
Va vatijxni: chiddu ca vuoi fari fai; ma iu nun ti vardu
cciui: si li tocca 'na parata di ciummu, t'ha' a piggiaH;
'n cuorpu di palu, e t'ha' a piggiari; si ti ciàccunu 'nta
'na ciàncula, cci ha' a phisari tu a sprùggiàriti; cu mia
'n ti cci ha' a vutari cciù ' ,.
'U lupu sì nni iju, e chiddu ca cci ammattia di fari
facia. E pi chissu lu lupu la cciù danni di l'antri ar-
mali. Bagusa Inferiore *,
' Si ti locai, se ti toccherà una scarica di spiombo (una adiioppet-
tata), te l'Imi n pigliare (te la porterai); uà colpo di palo, e t« l'tiai
a piRlìnro ; se ti flacolieranDO un Hanco, cci avi'aì a pensare tu a
cavartela; a me, non ti ci avrai a rivolgere più. — Sprùggiàrisi =
spidagghiàrisi, ed ajiche shntgghiàrisi , uscir d' Intrigo , d' ìmba-
• Raccolta dal D.' Raffaele Solarino e dal prof. Carlo Simiaiii.
385
»
CXIV.
La Vurpi malantrina.
'Na voto ce' era 'na vnrpi , chi v.ili.i .".i.I ììh liadi-
mentu a 'lìupocn (Vnniiali. 'Mniil:') In .4^ . ■ 'i.i^.d u laii-
t'àutri armaluz/i cu dìricfi ca 'iila la su ^riilui avia a
tèniri baiichettu. Puntò la juriiala; (.m-cm ca la juniata
stabilita, alPnra di la tavula, tulli l\ii.iivii >i juLsiru a
ricògglìii-i 'nta la grulla. Ouaiiuu la . ^.' wJl ca tutti
eranu ddà, si nielli davanti la grulla di^T'unu: — " Ora
di ccà nun nesci nuddu! „ e si li misi a ^ [ìizziiiiari a-
dàciu adàciu. Quannu arrivò a lu sp^^rr-irr ^j^ ],i j^oviru
armaluzzu la misi a prigari coiivi )■ "-■ ■ "•■ >' ^^i carità,
cumraari vurpi, nun mi faciti ^*:v' '^ '!i di l'àutri,
cà io sugnu accussì nicu ra '- ^ .'"* ■':.■: niancu un
vuccuni „. La vurpi si uslinò. — " 'Xca rJluj'a, dici lu
sperciagai, facemu accussì: vui yì grapiti li vucca , e
io mi 'nfilu; quannu sugnu 'nta li ca:r:.v:\o:^za, a-uì mi
agghiuttiti „. La vurpi accunsintiu, e ^^-ipfu la \aicca.
L'acidduzzu cci flci eh! e si uni r^^-v;,;*:-. e la vurpi ar-
risto cu la vucca aperta.
Cu' buffuniò 'na vurpi Tr!nA\:i*j';];i?
'N aceddu quantu un còccia 'i papariiia.
Palermo \
* Raccontata da Rosa Brusca, cieca.
G. Pitrì — Fiàfje e Leggende,
25
1 -V*'
\
386 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRL
Questi due versi fanno supporre una forma poetica deliaci
favola.
Richiama alla conclusione della CCLXXK delle mie Fìàht
sic/.Zff lupu e lu cardidduzzu,e si avvicina aUa GGLXXVHI:
Uacidduzzìi, Qualche cosa di analogo ha il principio de La
lodala j n. LUI , e molto II gallettOy n. LFV delle mie Novelle
toscane.
«eau-^
387
CXV.
L'Acula e la Cucca.
Cc'era 'na vota un'àcula, chi si pasceva di jìrisi man-
ciannu l'acidduzzi chi truvava 'nta li nidi. 'Na jurnata
la scontra la cucca:—** Gummari acula bedda, dici, nun
mi tuccati li picciriddi mei, pi carità !„ -— " Gnimò
cummari cucca; dicìtimi quali su' li vostri picciriddi,
e stati sicura „. Arrispunni la cucca:—-" Li cchiù beddi
chi viditi, cummari acula: chissi su' li me' picciriddi „,
L'acula allura critti ca eranu li pàssari canàrii li fig-
ghi di la cucca , e li lassò, vivi. Li primi chi si man-
ciò chi fòru? li cucchiceddi.
La povira cucca, quannu s'arricugghiu, e 'un truvò
li cucchiceddi, curriu uni l'acula: — ** Cummari acula,
chi facìstivu ? vi manciastivu li me' picciriddi ! „ —
" Gnirnò, cummari cucca. Vui mi dicìstivu ca eranu li
cchiù beddi, e io li lassavi: li pàssari canàrii. ,— ** Chi
cci trasi li pàssari canàrii ! Chi su' chissi li me' figghi ! ,
— " 'Nca r avìssivu dittu ca eranu li cchiù làdii, e no
li cchiù beddi. „— " Cummari acula mia, a mia li me'
figghi mi parìanu li cchiù beddi di tutti; pirchì si soli
diri ca
Ogni scravagghieddu
A so matri pari beddu „.
Palermo ^
* Raccontata da una donna, che rapprese in Vittoria.
r
388
CXVI.
Lu Riiddu \
'Na vota tutti ranriddi ^ dissiru ca cu' vulava lu ccliiir
àvutu avada a ossiri chiamatu Re.
Tutti r anciddi vularu , ma lu rllddu *, essinnu pie-
ciddu picciddu , pinsà' di mittìrisi supra V ala di Ta-
cula ; e r acula acruminzà' a vulari. Lu cravàcchiu *
àvadii a bìdiri cu' iera lu ccliiù àvutu. Quannu l'a-
cula si vitti avuta assà\ si firma'; e allura lu riiddu»
coma la 'iitisi firmari, satà' di supra l'acula, vulà' tan-
ticcliicdda, e daveru lu cchiu àvutu si vitti ca iera iddu.
Allura lu cravàcchiu dissi: — " Lu re è iddu * „. E accussi^
cumu auciddu lu cchiù picciddu, lu riiddu è chiamatu
He, ma l'acula, cumu lu cchiù 'rranni di 1' anciddi, è
cliiamatu lìr mmidè. Pietraperzkt *.
VARLVNTI E RISCONTRI.
L* A cula e lu Bilddu.
'Na vota l'acula e lu riiddu mìsinu pi scummissa cu' tu-
lava cchiù gàutu. Lu riiddu chi fici? s'ammucciò sutta Pali
1
Lo scricciolo, ììwtacilla troglodytes di Linneo.
' Anciddi^ della parlata, per acieddi, uccelli.
' Altri dicono lu cacamarrùggiu,
* Scarafaggio.
s Da ciò il popolo vuol trarre la origine riiddu =^e iddu, re lui.
« Raccontata da Antonino Tortorid.
Ltl RODDD 389
■di l'acula , e coniu idda yuIò , si Iruvò a tulari puru iddu.
■ Vola, vola, l'acula stancò; allura lu riiddu nesci di 'mmenzu
li pinni di l'acula e si melli a vulari cehiù gàutu di l'acula.
e viiiciu la scummissa.
Palermo '.
La medesima favoletta col medesimo titolo fu poetizzata da
G. Meli: L'aquila e lu riiddu.
Questa Tavoletta si racconta in Piemonte pel basilisco e l'a-
quila. Vedi De Gubernatis, Zoóloglcal Mythologi/, 11, pag. 1^;
e ili Toscana per l'aquila e lo scricciolo; ma si racconta an-
che di un lupo e di un graiiciiio che corsero insieme, e il
granchio aìTcrrandosi al lupo vinse per astuzia il lupo stesso.
Vedi la prima delle CinceUe da bambini del Nebucci: Far' e
patti, e a pag. 613 della Nonetlaja fiorentina dell' Ihbreani, se-
conda edizione.
' Rnecontata da Francesca .\mato.
La Musca e lu Lapuni.
Cc'era 'na vota un viddanu ; stu viddanu arava la
terra. Mentri arava, supra lu cornu di lu voi si cci pusò
'na musca, e si stava a l'ucchiddu ài lu suli. Passa e
passa lu lapuni; cci dumanna:— " Cumraarl, chi faciti ? ,
— " Araniu „, cci rispunni la musca. — " Cummari mu-
sca, si stassi a vui 1' arari, lu mulinu 'un putissi ma-
cinari ,.
Palermo '.
• Raccontala da una donna, elio l'apprese in l'ittoria.
So mal non ini appongo, la foiina siciliana primitiva e forse arti-
Htica di questa Civolctta dovrclib'csscro una ottava; e no è argomento
la concluaiunc, elio io traBci'ivorci eosì :
^Cummari musai, chi facili? >—« Aramu».
—* 0 Cutnniari, si stasai a vui l'arnri,
Lu mulinu 'un pulisci macinarì ».
dei P'-oc. sicil. voi. IV, p. 331,
391
cxvm.
Lu cunsigliu di li Surgi.
'Na vota 'na picca surgi ^ tìnniru cunsigliu e dissirur
— "Pi nun fàrinni mangiari di lu gattu cci àmmu a
'ttaccari la campanedda ^ „. — " Giustu è, giustu è „, dissi-
ru tutti. 'Ndi stu mentri rispunni 'u surgi vicchiu, eh' ava
^ntisu tutti cosi, e dissi : — " La pinzata è bona, ma cui
cci Tappènni la campanedda a lu gattu ? „ Tutti li surgi
ristaru alluccuti, e lu cunsigliu si sciuglì'.
Pietraperzia '.
VARIANTI E RISCONTRI.
È una delle favole, esopiane che pur venne raccontata in
prosa e in versi dal Faerno nelle sue favole latine, n. 63;.
ediz. 1564; dal Verdizotti, Cento FavolejU. 32;Venetia,Zileti 1570;
dal Pa VESTO, Il Targa , c7te contiene 150 favole , n. I ; Vene-
zia, 1576; da G. B. Fagiuoli, da Lorenzo Pignotti, da Vene-
rando Ganci (in siciliano) ecc.
Una versione è messa in bocca al Piovano Arlotto, ed è
la 93 delle sue Facezie, ediz. Baccini. Vedi, del resto, Ristel-
HUBER, Les Contes et Facéties 6/ Arlotto de Florence avec in-
troduction et notes, n. LXXIV. Paris, MDGGGLXXIIL
* Un certo numero di sorci.
* Dobbiamo legargli (al gallo) il campanello (al collo).
* Raccontata da Antonino Tortorici.
392
CXIX.
Lu Surci e lu Oaddu.
'Na vota ce' ora cumpari gaddu e cumpari surci.
Dici cumpari surci a cumpari gaddu : — "Si uni jemu
ó minnulitu ^ V „ — Jemusinni „, cci lìspunni cumpari
gaddu.
Jom ó minnulitu, e cumpari gaddu acchianò ò pedi
'a monnula -; iddu scutulava; e cumpari surci si man-
ciava li mònnuli e cci diceva : — " Datimi tempu, cà a
picca a picca vi spirtusu ^
Lu cumpari gaddu qnannu finiu di scutulari scinniu
e comu \dtti ca tutti li mènnuli eranu vacanti , aacu-
minzò ^ 'ssicutari a cumpari surci.
Cumpari surci 'un si nn' addunau , e cadiu nn' òn
puzziteddu *. e lu gaddu cci cadiu di supra; e mòr-
siru tuttidui. Marsala ^
^ Ce no andiamo al mandorleto? — Andiamvi.
* E comparo gallo sali sul mandorlo.
= Iddu^ egli (coni par gallo) abbacchiava, e compare sorcio se le
mangiava le mandorle, e diceva ad esse: Datemi tempo, che a poco
a jìoco vi fòro. — Probabilmente da questo aneddoto e da questo
motto ha origine l'affabulazione nostra (cfr. Prov. sic. v. HI, p. 362).
Dissi lu surci a li nuci : datimi tempu^ ca a picca a picca tutti
vi spirtusu,
* Compare sorcio non se ne accorse, e cadde in un piccolo pozzo.
^ Raccontata da Maria Cancelliera.
393
GXX.
Lu Scravàgghiu e la Fretta.
'Na vota lu scravàgghiu avia a jiri a 'na banna: ed era
troppu luntanu. Gamina, camina, avia primura, e vulia
arrivari prestu. Ora curreiinu, cederà un fossu cu l'ac-
qua; cu la fretta, 'un si iin' addunò, e cadiu ddà din-
tra. — " Mmaliditta la fretta e io ca la fìci ! „ dissi lu
scravàgghiu; e muriu ddà dintra annijatu.
Ora pi chissu vonnu diri ca la fretta la fìci lu scra-
vàgghiu. Palermo ^.
VARIAiNTl E RISCONTRI.
Lai Prèaoij.
'Na vola 'u scravàgghiu java ima la zita, e avia fretta. Ar-
rivaimu a cerlu puiitu, cc'era un fossu cu 1' acqua : lu scra-
vàgghiu satau, e arrislò annijatu. La zita era affacciata e dissi:
** MmaUdittu tu, la prèsela e cu la 'mmintò puru * 1 „.
Palermo ^,
In una versione di Borgetto riassuntami dal Salomone-Ma-
rino, il motto Mmaliditta la prèsela ! dissi la Tartuea , è
messo in bocca a questa quando , ita da mammana per un
parto, e arrivata dopo 21 anno, capitò tra la folla della caval-
cata che accompagnava come prete novello il figUo unico della
donna , per il cui parto essa Tartaruga era stata chiamata.
Pigiata, rovesciata e pestata dalla folla , essa uscì nel motto
in parola, perchè (aggiungeva) se non fosse stato per la pre-
mura di arrivare, non si sarebbe trovata a quel parapigha e
a que* malanni che le capitarono.
1 Raccontata da Agatuzza Messia.
• Maledetto (sii) tu, la prescia ed anche ^uruj chi la inventò.
» Raccontata da Domenico Ingrassia.
394
CXXI.
Pirchi lu Signuri manna' li puoi \
'Na vota ce' era ^na vecchia chi facia la filatura di
cuttuni, e nun avia mitatcdda *; e prijava a lu Signuri
dicènnucci : — " Signuri, datimi travagliu, cà 'un haju
chififàri „.
Lu Signuri cci mann.V tanti pùci, e chidda vecchia ad
ogni muzzicuni chi ricivia, li azzuffava ' e li scacciava *.
Scàccia ora, scàccia dumani, cci 'mmardunà' ^ e cci
dissi a lu Signuri:—" Signuri, nun mi nni dati cchiù! „
Ma lu Signuri cci rispusi: — " Cosa disidirata, 'un ti pin-
tiri „. E cci li lassa'. SicuUana ^
VARIANTI E RISCONTRI.
Li Purci.
'Na vota ce' era 'na vecchia , eh' 'un avia ehiffàri ; si vota
cu lu Signuri e cci dici: — ** Ah ! Signuri, e mannàtimi ehiffàri!
macàri mannàtimi quattru purci „. Lu Signuri 'un vosi àutru,
e cei mannò tanti purci ea la vecchia si eunfusi e cci dissi:
^ Perchè il Signore mandò le pulci (nel mondo).
» Mitatedda, qui canape da filare. Dari a mitatedda, dare a fi-
lare una data quantità di cotone, dividendo poi a metà il filato.
^ Azzuffarti della parlata, acciuffare, prender con le dita.
* Scacciarla schiacciare.
* "" Mmardunari, della parlata, seccare, venire a noia.
* Raccontata da Giuseppe Attanasio.
PIRGHl LU SIGNUHI MANNA' L! PDCI 395
— ' Ah 1 Signori, e tutti chisti m'avislivu a mannari? , Ma si
l'appi a purtari "n santa paci.
E pi chislu vìnniru a stu munnu li purci; e quannu cci su'
purci assai, e nun si ponnu pigghiarì, si soli diri; MinalidiUa
dda vecchia magàra ehil'addiaiau! Palermo '.
'Na vgfii 'na vecchia vitti un pillici, e lu piglia', e dissi: —
' Clic bcllu ! 6 lu picciddu di tutti l'armali !... , E cumminzà'
a prijaii notti e jurnu a lu Signuri pi mannariccìnni 'na
picca.
Lu 'nraimani si susi' d' 'u litfu, e truvà' tanti pillici, e tutti
ca la muzzicavanu. Idda smtiimusi muzzicari accumminzà' a
diri:—" Signuri 'un ni 'ugliu cchiti 1 ,
Chista l'ammiscà' a l'àutri adenti, e ora l'hannu tutti '.
Pidraptrzia *.
Una variante palermitana è nei miei Usi e Costumi v. Ili:
Zoologia, alla voce Pulce; una di Borgetto in Salomone- Ma-
RLNO, Aneddoti, n. VII: Li purci e li pidocchi, neW Archivio
delle tradizioni popolari, v. II, p. 555.
' Raeeoiilata da Rosa Minaft, moglie d'un pescatore al rione del
Borgo.
» Costoi lo attaccò (le pulci) alte alti* persone , e adesso le han
tutti.
' Raccontata da Antonino Tortorici.
39G
CXXII.
Pirchi si chiama cacamarrùggiu.
'Ndi Pàutri anciddi cc'è 'n ancidduzzu, ca li viddani
lu chiamanu cacamarrùggiu : e lu chiamanu accussì,
pirchi 'na vota 'na picca viddani spiddìru di travu^'liari
e jiru e mangiari lassannu li zappuna. St' ancidduzzu
si jè a pusari supra lu marrùggiu di lu zappuni, e cci
caca' : e pir chissu cci miitìru cacamarrùggiu.
Pietraperzia \
Percliè si oìiiaraa cacamarrugrgìu (=forasiepe)
( Versione letterale).
Tra gli altri uccelli v'è un uccolluzzo, che i villani chiamano
cacamarrùggiu : e lo chiamano così, perchè una volta alcuni
villani, finito di travagliare, andarono a mangiare lasciando gli
zapponi. Quest'uccelluzzo andò (jè) a posarsi sopra il manico
del zappone {marrùggiu), e vi cacò (sopra) : e per questo gli
misero (per nome) cacamarrùggiu.
^ Raccontata dal contadinello Salvatore Coglinivì, soprannominato
lu Canalaru.
/
f
■f
397
cxxm.
Pìrchì la Taddarita havi la 'friggi di lu diavulu ^
Qiiannu lu Signuri criò tutti V armali, lu diavulu si
pigghiò di 'mmidia, e nni vosi criari puru iddu; e chi
fici ? pigghiò un pezzu di crita, e nni furmò un armali,
aceussì comu veni veni , e lu jiccò all'aria. Dd'armali
pigghiò allura lu volu, e addivintò taddarita.
Difatti, la taddarita havi sta mala 'frijrgi , pirchì fu
fatta di lu diavulu ^
Palermo ^
' Perchè il pipistrello ha l'effigie del diavolo.
* Di fatti, il pipistrello ha questa bi'ut!:i ^fTl^ic (fornia), perchè fu
fatta (venne formata) dal diavolo.
^ Raccontata da Francesca Amato.
398
CXXIV.
Pirchi lu sceccu havi la cuda.
'Na vota lu sceccu taliànnusi la cuda dissi : ** Ora
pirchi he 'viri sta cuda ? A chi mi servi ?...„ ìju uni lu
Signuri, e si cci iju a lamintari, diceimu : — '* Signuri,
e chi nni he fari di sta cosa 'nùtili ? Livatimilla „. Lu
Signuri cci la livò.
Jamu ca lu sceccu, comu fu senza cuda, li muschi
si lu jeru a 'Uappari pi darreri ^ Lu sceccu 'un avennu
la cuda pi cacciarisilli, si cuminciò a tirari, a tòrciri, a
muzzicàrisi di mala manera. Ma chi cci avia a fari ! li
muschi si lu manciavanu, Poviru sceccu, si strincia
tuttu, jiccava càuci, bistimiava lu suli e la luna. Allura
s*addunò pi chi cci sirvia la cuda; e a cursa a cursa iju
nna lu Signuri e lu prigò : — " Pi carità, Signuri : mit-
titimilla 'n'àtra vota la cuda, cà staju murennu cu li
muschi „. Lu Signuri nn'appi piata, e cci detti la cuda
arreri.
Ora pi chistu si dici ca lu sceccu capiu chi era la
cuda quannu 'un Tappi cchiù. Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Questa novelletta forse si racconta un pò* dappertutto; certo
però che il proverbio finale corre popolarissimo, come può ve-
dersi nelle varie versioni che io ne diedi nei miei Prov,
^ Le mosche gli si andarono ad avventare al didietro.
» Raccontata dal capraio Benedetto Tutone.
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■- ^' ipi»-'-.'
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399
CXXV.
Pirchi lu Sceccu havi l'aricchi longhi.
S' arriccunta ca quannu lu Signuri criò lu munnu,
ci puru tutti l^armali, e cci misi a ognunu lu so nno-
lu. Fici e fici puru lu sceccu. Dici iddu: — " Signuri
omu mi chiamu io ? „ — " Tu ti chiami sceccu ! „ Lu
seccu tuttu cuntenti si nni iju. Gaminannu caminannu
i scurdò lu so nnomu: aggira nni lu Signuri: — " Sl-
nuri , comu mi chiamu ? „ — " Sceccu ! „ Camina
amina: ddoppu un pezzu aggira arreri: — " Pirdunati,
lignuri, comu mi chiamu io ? „ — " Sceccu, sceccu ! „
iU sceccu vota e si nni va. Gaminannu caminannu si
a scurdò ^n' atra vota; aggira : — " Signuri, chi vuliti !
li scurdai comu mi chiamu. „ Lu Signuri 'un ni pu-
ennu cchiù, Tafferra pi l'aricchi, e ddocu si metti tira
hi ti tira: " Sceccu ! sceccu ! sceccu !! „ Cu lu tantu ti-
àricci Taricchi, l'aricchi cci allungaru; e pi chissu è ca
X sceccu havi l'aricchi longhi, e p' ^un cci fari scurdari
i cosi a unu si cci stiranu l'aricchi.
Palermo K
^ Raccontata da Rosa Brusca, cieca.
400
CXXVI.
Pirchi lu Sceccu ciara lu pisciu ^
Quannu lu Signuri fici a l'armali, a cu' lu fìci bcddu
ed a cu' bruttu, a cu' cci detti li corna, a cu' cci detti
l'ali, a cu' cci detti l'ugna, a cu' cci fici la bona vista,
e accussì cu' appi 'na cosa e cu' nn'appì 'n'àutra. Ma,
a £(tu munnu, cu' è cuntenti ? E accussì fòru l'armali :
e tutti jeru ognunu nni lu Signuri, e cu' cci adduman-
nava li pinni , e cu' vulia la forza , e cu' pritinnia di
essiri gammiolu '^ pri cùrriri, 'nzumma tutti vulianu es-
siri rifurmati a modu so.
'Ntra l'àutri, va lu sceccu davanti a Dominiddiii, e
cu vuci airata cci dici : — ** Signuri, pirchi mi facìstivu
st'aricclii longlii, ca su' pisanti e mi fannu stari cu la
testa a piiinuluni , e nun mi facìstivu 1' ali ? Eu 1' ali
vogghiu; pirchi un armali chi havi sta bella testa e stu
])ellu pirsunali , nun è dignu d' aviri l' aricchi longhi,
ma diva aviri 1' ali e jiri vulannu pri tutti li celi „. —
" E bonu ! cci rispunni lu Signuri : pri chissu si' sid-
diatu ? Ora , chiddu eh' è fattu è fattu , e nun pozzu
rimidiari. Tu raggiuni hai, pri tia l'ali cci vonnu; ed eu
ti li darrò^iu. Ma sai quannu? quannu lu pisciu di
vuàtri scecchi, chi fa funtaneddi 'ntra li trazzèri, sapi
di acqua nanfa ', tannu eu vi fazzu la grazia, ed altura
' Perchè l'agino odori il piscio.
• CrammioliP^ acid., di gambe lunghe : gamberone.
* Quando il piscio di voi asini, che suol ftir delle posze ne' viot-
toli, saprà di acqua nanfe.
PlUGHt LO SCECGU GIARA LU PÌSCIO 401
v' accurzanu Y arìcchi e vi nascimi 1' ali comu li vu-
iiti vuàlri ,.
Lu sceccu , arragghiannu pri la cuntintizza , si nni
iju. E di tannu 'n poi, ogni vota chi 'ncontra 'na fun-
tanedda di pisciazza 'nta li trazzeri, o punì piscia iddu,
la ciara pr' un pizzuddu, e po' jisa lu mussu a lu celu
aminustrannu li denti. Vonnu diri l'antichi, ca cu sta
fattetta lu sceccu (pirchì vidi ca lu pìsciu fa fetu, e no
ciàuru d' acqua nanfa) , cci senti dumannari a lu Si-
gnuri : " 'Nca, Signuri, quann'è lu tempu chi pisciamu
acqua nanfa ? „
Ma, avògghia di ciarari ! lu sceccu sempri sceccu è,
e cu' nasci di natura mancari nun pò.
Borgetto '.
VARIANTI E RISCONTRI.
'Na vota li scecchi si junceru tutti 'naèmmula e disairu :
— ' Avemu a parrari a lu Signuri e cci àmu a diri : 'Nca pir-
ohl li jumenti e li cavaddi sunna cchiìi grossi di 'n àtri ed
hannu a'viri l'aricchi ccliiìi picciuli; e 'd àtri, ca semu cchiù
nichi, avemu a'viri l'aricchi cchiù longhi ? „
Risurveru e cci jeru a parrari dicènnucci ca siddu nun cci
cuDcidia sia grazia di gricci accut'zari l'aricchi, avianu a fari
'na causa ',
< Raccontata da Oiuseppe Valenza, villico, e raccolta dal 0.' Sal-
vatore Salomone-Marino.
* Avrebbero intentata una causa se egli , il Signore , non avesse
fìktto a loro, agli asini, le oreccbie più corta di quelle de' eavalli.
O. PiTRB. — Fiabe e
402 FIABE E legge:?de
Lu Sigiiuri cci dissi : — " Va beni : taìiiui i'u vi cuncedu la
grazia , qnannii vi junciti tutti e po' pisciati ; si la vòscia pi-
sciazza arriva a mari, iu v'accurzu Y aricchi ; si no , arristati
comu siti,. Eccu ca li scocchi si juncoru tutti e pisciaru: ma
siccomu lu tirronu s'assurhiu la pisciazza, nun potti arrivari
a mari.
Ed è pir cliissu ca li scoccili, quauuu piscianu, ddoppu chi
liiiiscinu, affunciaiiu ni l'aria, sintonnu significari ca siccomu
la pisciazza nun pò arrivari a mari, accussì è 'mpussibuli
ca lu Signuri cci accurza l'aricchi.
Sicuìlana '.
Con notevoli circostanze diverse cfr. con La congiura de-
gli asini di Archi, delle Novelle pop, abruzzesi del Finamore,
ueW Archivio delle tradizioni pop,, v. V, p. 20G.
Il Guerrazzi , nell' Asino ricorda un consimile aneddoto.
L'asino domandava a Giove l'immortalità, e Giove la promise^
e come segno della concessione volle che uno pisciasse acqua
rosata. L'aneddoto è tolto da un Autore incerto della Ra^:-
cólta di poesie bernesche, t. II; Venezia, e. I, v. 29, il quale
conchiude :
E qui nasce che rAsino che ha ingegno
Fiuta ogni piscio, che per terra trova
Poi alza il CI pò, e dice : È questo il segno ?
1 Raccontata da Giuseppe Attanasio.
403
CXXVII.
Pirchi la Scecca sta prena tridìci misi.
Lu Sìgnuri , ddoppu chi fici V armali , si chiamau
a li fimmini^, e cci dumannau chi tempu vuhanu pri
putiri fari ognuna li so' figghi. Ogni armaluzza dissi
lesta lu tempu chi cci bisugnava, a secunnu di lu statu
so, e lu Signuri cci Taccurdau subbitu. Vinni l'urtima
la scecca , tutta mutriusa, cà si sintia cosa granni , e
vulennu essiri la cchiù curta di tutti Tarmali 'ntra la
prinizza, si misi 'n testa di dìricci a lu Signuri ca idda
vulia essiri prena e figghiata 'n tempu tri misi.
Lu Signuri cci spijau : — " E tu chi tempu vói ? „
Rispunni, 'mparissi ca s'affruntava ^ e cu la lingua
'mmenzu li denti : — " TriiL.. misi ! „ ma lu dissi tantu
adàciu e tantu strascicusu, cu lu Signuri 'ntisi Tridici
misi; e perciò arrispunniu : — "E beni, tridici misi ti
sianu accurdatil»
La scecca spinci Taricchi e dici : — ** Signuri, eu tri
misi vi dissi ! „ — " Nun cc'è cchiìi chi fari ! (rispunni,
lu Signuri) : zoccu è dittu è dittu. Tu pirchi parrasti
vàsciu, cu la lingua 'mmenzu li denti ? Eu tridici misi
'ntisi ! „
E accussì fu ca la scecca sta prema tridici misi, lu
cchiù assà' di tutti Tarmali. Borgetto ^
* *Afpari5si, fingendo che si vergognasse.
* Raccolta dal Salomone-Marino.
AMr
CXXVIII.
Pirchi la Porcu havi la fùncia.
Si cunta e s'arriccunia ca quaiinu lu Signuri fici lu
munnu e fici tutti l'armali, cri nn'eranu certuni ca e-
ranu senz'ali. 'Xta chisti cc'era punì lu porcu. Lu porcu
vidènnusi senz' ali , accuminzò a laniintàrisi cu lu Si-
gnuri, ca facia a cu' figghi a cu' figghiastri *. Lu Si-
gnuri, p'attuppàricci la vucca -, cci fici Tali, ma di chi
eci li fici ? di eira. Vulistivu vìdiri lu porcu comu si
vitti Tali ! vola cuntintuni , pi fàrisi vìdiri di tutti ; e
'nta Tarla si java friccichiannu tuttu, cà tutti lu talia-
vanu '. Vola, vola, si nni iju a li parti di menzijomu,
-e lu suli cci picava di fittu. L'ali cci squagghiàru, e lu
porcu s'agghiummariau, e scuppau 'n terra. A lu càdiri
'n terra detti lu mussu, e si fici 'na fùncia tanta *.
E pi chistu lu porcu è senz' ali e havi dda gran
fùncia. Palermo ^
* Fari a cu* figghi^ a cu* figghiastri^ usar particolarità con uno
più che con un altro. É frase presa dal buon trattamento che si fa
ai propri figli e da quello cattivo che si & ai figliastri.
» Per turargli la bocca, per non farlo più lamentai'e.
' E neiraria si andava ciondolando tutto, perché tutti lo guardavano.
* E lu suli, il sole lo sferzava diritto. Le ali gli squagliarono,
ed il porco cascò improvvisamente , e piombò per terra. Al cader
per tarra, diede il muso, e si fece un grifo tanto !
* Raccontata da Rosa Brusca, cieca.
La favola richiama ai miti d'Icaro e di Fetonte, ed alla favola: La
■testuggine e i due uccelli d'acqua del Firenzuola.
40&
CXXIX.
Lu Sceccu e lu Porcu.
Ce' era 'na vota un viddanu, eh' avia un seeceu e
un poreu: lu seeceu pi travagghiari , lu poreu pi fallu
'ngrassari e poi seannallu. Li seeeehi, si sannu, hannu
a earriari ligna, fumeri, virduri , petri , ea maeàri eei
nn'è lu muttu: Travagghiari quantu un sceccu^ e poi ehi
nn'hannu ? tantìeehia di pagghia , du' trunza di vròe-
euli, tantìeehia di eanigghia, ed è festa quannu man-
cianu du' favi. Li porci, a lu euntrariu, mancianu centu
voti megghiu: eanigghia, favi, manciari arristatu, ea si
fannu tanta di panza.
'Unea lu seeceu a vìdiri com'era trattatu iddu e co-
m'era trattatu lu porcu, nn'avia un so' ehi di 'mmìdia,
dieennu: " Taliati ! Io travagghiu di la matina a la sira,
stancu mortu, pi dari a manciari a lu patruni , e poi
nn'haju pagghia e trunza di vròcculi; e stu porcu fitusu,
eh' 'un fa nenti , ehi si striea 'mmenzu la rimarra e
tutti li fìntizii , havi megghiu manciari di mia !... „ E,
poviru seeceu ! nun eei putia appàciri ^.
Vinni e vinni lu Carnalivàri. Lu poreu era fattu gros-
su e grassu ea maneu si putia guardari. 'Na jurnata
(criju ea era lu Jòvidi Grassu) lu viddanu chiama un
cumpari so, pripara un cuteddu di uccèri; pigghianu
* E, povero asino, (riflettendo, alla maniera, com'era trattato) non si
sapeva dar pace.
f
■ i»»^. ■■
406
FIABE E LEGGENDE
l
I
tultidiii lu porcu, r attaccanu beddu pulitu \ e lu scàn-
nanu pi fàrisi lu Carnalivàri.
Lu sceccu, ca era ddà davanti, 'n vidennu sta scena,
capiu chi eranu li gran trattamenti chi si facìanu a lu
porcu, e 'nta d'iddu stissu flci: Megghiu sceccu ca porcu !
E nn'arristò lu muttu.
Palermo ^
^ Lo legano perbene.
* Raccontata da Agatiizza Messia.
t
407
GXXX.
L'Apa.
Lu Signuri fici V armali e fìci puri 1' apa. A chista
cci fìci fari lu meli; e cci dissi ca nn' àvada a fari tan-
ticchiedda ogni jurnu ^. L'apa cci ij' 'nd'ò Signuri ar-
rìri, e cci dissi: — "E pirchì accussì picca, Signuri, mi
nni facili fari ? „ Piglia lu Signuri e cci dissi:—" Pirchì
lu meli è duci , e jè la meglia cosa di lu munnu „ ^.
V umini, ca li primi voti nu nn' avànu vistu mai meli, -
accuminzaru a pigliariccillu. Piglia' Papa e accumminzà'
a muzzicari a tutti. Lu Signuri la chiama' e cci dissi:
— " li' ti detti la facnltà di fari lu meli, ma però ha'
a fari beni a lu prossimu, no ca tu mùzzicchi a tutti.
E pi chissu ii' ti dugnu pi castiju: ca quannu tu mùz-
zichi, tu ha' a muriri „.
E pi chissu jè ca l'apa, ddoppu ca mùzzica, mori.
Pietraperzia ^.
1 A questa (all'ape) fece fare (dio virtù di produrre) il miele, e le
disse che ne avea a fare un tantino ogni giorno.
* Perchè il miele è dolce , ed è la miglior cosa di questo mondo.
— Notisi particolarità della voce rìiegghiu o megliu nel dialetto di
Pietraperzia, dove diventa aggettivo variabile, mentre nel dialetto
comune è invariabile.
' Raccontata da Antonino Tortorici.
_..^-rf.M*^iV '■ -•-■■•-'■ :-".-"^Tl'» ;. ,-' - ■»-■"'- -^ -■•:••■•
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408
CXXXI.
La Pecura e la Lapa.
Quannu lu Signuri fici 1' annali, a ognuni! cci detti
lu so 'ncaricu, e Tobbrigau a stari suggettu all'orau.
Ora siccomu nuddu ò cuntentu di lu so statu, la pe-
•cura e la lapa si jsru a laniintàrisi nni lu Signuri. Coma
arrivaru, la pecura cci dissi: — " Signuri, pirchì mi dà-
stivu stu pisu , ca he essiri munciuta ogni juornu di
Tomu ? ed liaju a sentiri ogni juornu stu duluri ? Jè
mi cuntentu pigghiàrimi Taratu e jiriraìnni a lavurari ^
comu lu voi, lu mulu, lu sceccu, e no furimi mùnciri ogni
juornu „. Lu Signuri arrispunniu: — "Tu 'un ha' chi
lavurari: tu cuntèntati di cliistu chi ti detti , pirchì lì
cosi fòru disposti giusti; e tu ha' a stari soggetta al-
Tomu „.
Si vota la lapa e cci dici: — " Signuri, (dici) jè mi cun-
tentu fari un cantàru di meli ò juornu, basta chi chian-
tànnucci lu chino vu alFuomu, iddu muori ^ „— " No^
cci dissi lu Signuri: tu ha' a fari 'na sputazzata di meli
lu juornu: e chiantannu un chiovu, ha' murìri tu „.
E pecura e lapa si nni jeru cchiù torti ca dritti *.
Roccapalumba *.
' Io mi contento (meglio) di farmi attaccare air aratro e andar-
mene ad arare.
* Jè mi cuntentu, io mi contento (son disposta a) fare un quintale
di miele al giorno , purché quando io pianto il chiodo all' uomo
(pungo Tuomo), egli muoia.
* E se ne andarono mortifìcatissime.
* Raccontata da Antonino Di Chiara.
J
CXXXII.
La Cicala e la Furmioa.
'JVa furmica 'n timpu di 'sta nun facia gàutru ca
jiri caminannu 'ntra un viulu , e jiva ricuglinnu IÌ ci-
viddi di pani e di frummintu ca jèranu 'n terra; e, pu-
viridda , jera pidlata di tutti li cavaddi e l' umini ca
passavanu di ddà.
Tutta a lu rivirsu faciva 'na cicala, ca jera a la giru
di ddà : nun facia gàutni ca cantari tutta la jurnata
senza fari nenti.
Vinni lu 'mmimu, e la cicala nun avinnu chi man-
ciari ij' 'ndi la furmica, e cci dumannà' quarchi cosa
di liianciari. La furmica cci rispunnì'; dici: — " Jè sta
La cicala e la Formloa {Versione letterale).
Una formica in tempo di estate non facea altro che andare
camminando in un viottolo, e andava raccogliendo le briciole
di pane e di frumento che erano in terra ; e , poveretta, era
scalpitata da tutti i cavalli e gli uomini che passavano dì là.
Tutto al rovescio (al contrario) faceva una cicala, ch'era là
presso : non faceva altro che cantare tutta la giornata senza
far nulla.
Venne l'inverno, e la cicala non avendo che mangiare andò
(if) dalla formica, e le domandò qualche cosa da mangiare.
La formica le rispose, diceCndo): Io (jè) questo pochino di
cosa (cibo) che ho (ffaju) la raccolsi a sudore di sangue nel-
l'estate, scalpitata da ^jtti; e ora tu vieni da me, tu che ti di-
410 FIABE E LEGGENDE
tanticchiedda di cosa ca gaju l'arrìcuglivu a suduri di
sangu 'ndi la 'sta, pidiata di tutti; e ora tu, chi ti di-
virtivi a cantari tutta la jurnata, vini ^ndi mia !„ E men-
tri ca cci diciva accussi, cci scava* l'ucchi a la cicala.
La cicala, cumu annurvà*, carrinnu currinnu, ij' 'nd'
'u Signuri , e cci cuntà' tuttu lu passatu. Lu Signuri
cci arrispunnì'; dici: — ** Fici giustu la cicala; pirchì tu
nun vò* travagliari; e a la furmica, ca travaglia notti
e jurnu, cci dugnu lu piaciri, di jìrisi ricuglinnu lu man-
ciari; e quannu è 'rranni, e nun pò caminari cchiù, cci
dugnu l'ali, e si va ricuglinnu lu manciari „.
E pi chissu la cicala è senza ucchi , e la furmica
quannu è 'rranni mitti rali,ma pu' mori,pirchì si soli diri:
Quannu la furmica mitti Tali,
Ghistu è lu signu ca voli muriri.
Pletraperzia \
verlivi a caulare lulUi la ^^ior j;;Iìi I K mentre le diceva così,
cavò gli ocelli alla cicala.
La cicala , come accecò, andò correndo dal Signure , e gli
raccontò tutto il fatto. Il Signore le rispose, dice(ndo): — L^ece
giusto (bene) la cicala, perchè tu non vuoi travagliare (lavo-
rare); e alla formica, che lavora notte e giorno, d') il piacere
(la facoltà) di andarsi raccogliendo (procurando) da mangiare,
e quando è grande (quando invecchia), e non può più cam-
minare, le dò le ali.
E per questo la cicala è senz'occhi, e la formica quando è
(diviene) grande, mette le ali , e si va raccogliendo (procu-
rando) il mangiare; ma poi muore, perchè si suol dire: Quando
la formica mette le ali , questo è segno che (essa) vuol mo-
rire.
* Raccontata da Antonino Tortorici.
LA CICALA E LA FURMICA
411
VARIANTI E RISCONTRI.
E una variante della GGXXX delle mie Fiabe sic, ma la
seconda parte, che dà l'origine della cecità della cicala e delle
ali della formica, e che forse dovrebbe costituire una favo-
letta da sé, è affatto nuova e senza riscontri. Alle versioni da
me notate a p. 198, v. IV delle cennate Fiabe aggiungasi l'a-
bruzzese del De Nino, Usi e Costumi, v. II, p. 46.
Il proverbio finale è nei miei Prov, sic, v. Ili, p. 181.
412
CXXXIII.
La Maruni e la Cira '.
0
'Na vota la eira cci dissi a lu maruni: — " Pirchì si'
accussì duru ? Io ^uru vurria addivintari comu a tia;
com'haju a fari ? „ Rispunni lu maruni: — " Haju «tatù
tantu tempu 'nta li cucini, vicinu a lu focu; e accussì
haju addivintatu duru comu 'na ciaca. Cchiù cci haju
statu, cchiù duru haju addivintatu. „
Allura la eira curriu 'nta 'na cucina, e si iju a mèt-
tiri davanti lu focu cu la spiranza d'addivintari dura;
ma sì ! ddoppu menzu minutu squagghiò e spiriu.
E chistu cci vinni pirchì 'un era cuntenta di lu so
statu.
Palermo \
» Il mattone e la cera.
* Raccontata da Rosario Dottore.
^ .
w-^
.•<'
413
GXXXIV.
Lu Sensiu ^ di V omu.
*Na vota cc'eranu 'n campagna du' cumpari galanto-
minì: unu era attrumintatu ^ e unu stava viglianti. Ghid-
du ch'era viglianti vitti nèsciri 'n apuneddu di lu nasu
di so cumpari. SV apuneddu cci firriava tutta la pir-
suna, e po' si partì' e si misi a svulazzari luntanu lun-
tanu. Dopu un pezzu torna l'apuneddu, e si va a ficca
arre nni lu nasu di lu galantomu attrumintatu.
Chistu po' s' arribiglià, e cci dissi a so cumpari :—
* 0 cumpari, nenti sapiti ? m'haju divirtutu assà', e m'
haju 'nsunnatu ca haju firriatu tanti càmmari e tanti
campagni „.
Lu cumpari viglianti 'un cci detti cunfidenza di 'nzoc-
cu avia vidutu supra d'iddu; ma si pirsuasi ca l' apu-
neddu era lu sènsiu di l'omu, chi va luntanu luntanu.
Cianciana ^
* Sènsiu, senso, qui pensiero.
• Attrumintatu, della parlata, per addurmintatu, addormentato.
' Raccontata da Gaetana Piazza, servetta, e raccolta e pubblicata
dal Comm. Gaetano Di Giovanni , Venticinque Canti e Novelline
pop, sic, n. XXIV; Palermo 1888.
#•
414
cxxxv.
Ltt Vecchiu e la Morti.
Un vicchiaroddu avia un figghiu unicu, malatu, spi-
nm/atu di li modici. Puvireddu! 'un cci putia paci pin-
«annu va sta (li(^hiu cci avia a mòriri. E chianeia a
rhianlu rutlu prijannu o straprijannu alu Signuri p' 'un
cci fari Htti torlu di livàricci stu figghiu, ch'era lu va-
stuni di la so vicchizza:— ** Criscitìcci li jorna ad iddu,
e* livalinìilli a mia, Sigiuun; cà io sugnu un essiri 'nù-
lìli, 0 la lìiò morti 'un fa sconzu a nuddu ! Ah Morti
Morii, 0 arrì(*ògghimi a mia, o 'un mi livari sta gioia
dì llKtflnii !... n K chiancfa o chianeia. A stu puntu cu'
vv\ uccunipuri V la Morii cu la so fàucia 'n raanu, e cci
dici: -• SuiTim ocù; jamuiiìnni l\ Lu vecchiu 'mpatiddiu
0 *\m sappi cclìifi spicoicari la lingua. Quannu potti spi-
Jari parola dissi:- * A cu* vói ? „ — * A tia, ca mi chia-
n^asli, JammOnui! • Lu vecchiu si misi a trimari comu
'm ftwlda, pìusaium ch*avia a mòriri; ma puru si fici
dì cura^ijtìu e eri dissi:—* Mò flgghiu è malatu, no io;
H Iddu» ihmea» t'ha* a pijrghiiiri, cà io sugnu bonu \ ,
K ohlssì su* cldddì cJu chìaiuanu la Morti, e poi si
\\\\\ j4puvo\duuu.,,* Palermo \
YARLVNTI E RISCONTRI^
Vm \i'mK^w di CSaiu^ìm^ ^ La fp^ee^kh ^ ìa MarHy XXI dei
<\éM^^ViMi iii m^ mffHHiè de) Maho. Una Yersione« abruzzese
.--ft».vs.-MN(»i
LU VECCHIU E LA MORTI
415
di Gessopalena è in Finamore, Nov, pop, abruzzesi , nelP Ar-
chivio delle tradizioni pop,, v. V, p. 208. Una letteraria, con
qualche diversità, è in Pio notti: E vecchio e la Morte; una in
Gasalicghio, L'utile col dolce, dee. I, arg. IV: La morte conti-
nuamente ci avvisa della sua venuta; un'altrn. siciliana V. Gangi
Lu lignaloru e la morti.
Ne VKore di recreatione di M. Lodovico Guicciardini pa-
tritio Fiorentino. Nuovamente ristampate e con somma dili-
genza ricorrete (sic) (In Venezia, M.DC.LV), p. 190, si legge:
" Un vecchio, et povero portando dal bosco un fassel di legne
straccho, et infastidito di viver sì miserabile, lo gittò per terra,
chiamando per disperato la morte, la quale subito comparita,
il domandò quel che ei voleva. A cui il vecchio veggendola
tanto horrida, tosto ripentino disse : che tu m' aiuti di gratia
ripor questo fascio in su le spalle „.
Costo, Il FuggUozio, giorn. VII , p. 435 , racconta " D' uno
che brama la morte, e poi gli dispiaceva il morire. ^
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416
CXXXVI.
Marza e la Vecchia.
Gc'era 'na vota *na vecchia. Sta vecchia si vulia ma-
ritari e vulia un beddu picciottu.
Un jornu cci va Marzu , e cci dici : — " Vui v' ali
a maritari ? Si vuliti a mia, stanotti àti a dormiri supra
*i canali, e dumani nni maritamu „. Idda pi la smania
di maritàrisi cci dissi sì.
Eccu ca sta vecchia la sira si nn'acchiana, pi jiri a
dormiri, supra li canali, e dici :
— "Pi stasira comu fazzu fazzu,
Dumani assira e' *u beddu picciottu m'abbrazzu ^ „.
Marzu chi fici però? chiamò ad Aprili, e cci dissi :
— " Aprili, Aprili,
'Mprestami un jornu di li toi gadiri ^
Quantu a sta vecchia la fazzu muriri „,
Aprili cci h 'mpristau, e Marzu fici mòriri a la vec-
chia; e prì chistu si dici :
Marzu
Scórcia la vecchia 'nta lu jazzu.
Montevago '.
' Per questa sera come fò fò (vada come vuole andare; non m'iuì.
porta de' disagi) ; domani sera mi abbraccio (me ne starò abbrac-
ciata) col bel giovane.
' Di II toi gudiri, dei tuoi godimenti.
5 Raccontata da Giuseppa Sparacino, contadina, ragazza a 18 anni
H
417
CXXXVII.
Marzu si flci ^mpristari tri jorna d'Aprili.
'Na vota ce' era 'na vecchia , e comu ritti finiri lu
misi di Marzu, cci sputò e dissi :— " Fora, Marzu cani ! „
Marzu di sta cosa si nn'affisi; dici :— " Ah chistu cc'è ?
Ora cci pensu io „. Si nni va nn' Aprili e cci dici: •—
" Aprili, in' ha' a fari un favuri : m' ha' a 'mpristari
tri jorna, ca mi servinu, quantu fazzu mòriri a sta vec-
chia „; e cci cuntò tuttu lu Mtu. — " Pigghiatilli „, cci
dissi Aprili. Marzu si pigghia ddi tri jorna e si nni va.
La vecchia avia 'napocu di pecuri ; comu vitti lu
primu d' Aprili, 'na bella jurnata veru, si li para da-
vanti, e si li porta, comu dicissimu, a Muntipiddirinu ^
Mentr'era 'nta lu megghiu , spunta e spunta mi gran
nuvulatu; crisci, crisci, lu culu addivintò 'nta un mu-
montu nìuru comu la pici. La vecchia pigghia e si parti
pi turnari a la casa; ma chi ! ^n tempu eh' 'un si dici
cumiiicia a chiòviri e a sdilluviari ca fu un spaventu.
Nun cuntentu di chissu, nivi, grànnuli tirribbiliusi.
'Un passò mancu un quartu ca pecuri e vecchia
morsiru sutta la gran nivi.
E Marzu facònnusi li gran risati dicia :— " E chistu
è lu Marzu cani ! »
Palermo ^
^ Vedi a pag. 202.
' Raccontata da Domenico Ingrassia.
G. PiTRE ~ Fiabe e Leggende, 27
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418 FIABE E LEGGENDE
VARIANTI E RISCONTRI.
Marzo. (Girf/enti)
Una volta una vecchia, col rigore di Marzo , non avea po-
tuto morire; e Marzo n'era dolente; sicché pregò Dio che gli
concedesse un altro giorno: e Marzo fu di 31 giorno. Ma la
vecchia rimase viva, e Marzo si rivolse ad Aprile pregandolo
di tre giorni di rigore e di temporale. Aprile accondiscese: e
i primi tre giorni d' Aprile sono, come la gente sa, rigidissimi.
Vedine una versione italiana nei miei Prov. sic, v. III, p. 40.
Abbiamo di questa leggenduola e della precedente , num.
GXXXVI, parecchie versioni insulari e continentali.
In Sardegna la cosa si attribuisce ai mesi di Gennaio e di
Febbraio , ed i pastori, Tultimo di quel mese , dicono, come
il pastore della leggenda :
Bessidu que ses, Ifeiinarzu,
Qui m' liaias ininatadu,
Qui mi dias haer dadu
Sa morte ad su primu nie;
Non tiiiiu pius a tie,
Qui comò timo a Frearzu.
(cioè: Finalmente, sei terminato , o Gennaio, che mi avevi mi-
nacciato di dar morte [al mio gregge] con la prima neve; non
temo più te, come temo Febbraio). Ed anche :
Bessidu qu' est Bennarzu,
Né arzone, né arau;
Né arzu né arzone,
Mane' unu toppigone.
Al pastore della leggenda però il mese di Gennaio avrebbe
risposto, rivolgendosi al suo fratello Febbraio :
Prestami duas dies,
Qui ti las hap' a torrare
Quando dea oenner innanti.
* v-«V f -v-sr **È!*<
MARZU SI FIGI 'MPRISTARI TRI JORNA d'APRILI 419
(Prestami due giorni , che te li restituirò quando dèi venire
prima [di me] ). Vedi Spano, Proverbj sardi, nuova edizione
(Cagliari 1871), p. 62.
Ortoli, Les contes pop. de V ile de Corse, parte I*, § I, sotto
il titolo •• Il pastore ed il mese di Marzo, ha questa versione:
Un ricco pastore pregò ed ottenne la benignità dei mesi, di
Marzo sopratutto. I mesi gli risparmiarono il gregge; ma egU
inorgoglito del buon successo, finendo il mese di Marzo, ardì
insultarlo e schernirlo. Marzo indispettito andò dal fratello
Aprile e si fece dare tre giorni per punire V ingrato e petu-
lante pastore. Ed ecco addensarsi grandi nuvole, e turbini e
procelle , che in quei tre giorni distrussero pecore e montoni
del malaccorto pastore. (Si ricordi in proposito la fiaba dei
Dodici Mesi),
Per la Calabria, Padula, Il Bruzio, Giornale politico lette-
rario, 2* ediz., voi. I (Napoli, 1878) , p. 337 , racconta : ** Di
un pecoraio , la felice memoria di tata mi raccontava che
avendo detto : Ah ! mulo di Marzo, non ti curo più un corno:
le mie pecore son tutte, e già siamo al trentuno. Marzo si
tenne offeso, uscì di casa e fu da Aprile. Fratello , gli disse,
son venuto a trovarti; siamo di Pasqua, sai? Vuoi fare ad are
buse ? {zàcculu). — Facciamo; mi che si perde, e che si vin-
ce ? — Tu hai, disse Marzo, trenta giorni: giochiamone tre; se
tu perdi, resterai con ventisette, se perdo io te li darò l'anno
venturo. — Son contento, risponde Aprile. Si mette la lippa a
terra; Aprile percuote con la mazza, e non coglie. Marzo, mulo
ch'egli è, percuote, e la Uppa vola a quaranta passi. Hai vinto,
dice Aprile. Ho vinto , dice Marzo , e padrone dei primi tre
giorni del fratello li carica di tanta neve e di tante burrasche,
che il pecoraio, il quale già si tenea sicuro del fatto suo, per-
dette tutte le pecore ;,.
Lievi modificazioni di particolari offre V altra versione ca*
labrese notata dal Dorsa: La Tradizione greco-latina, ecc.
2* ediz., p. 47. ♦
I
I
420 FIABE E LEGGENDE
Neil' Alta Italia il pastore è sostituito da una moria , e la
tradizione bergamasca, secondo A. Tiraboschi, Raccolta di
Prov, bergamaschi, p. 98, riferisce: * Nel tempo, in cui i merli
eran di color bianco , si ebbe un gennaio mitissimo : si era
alla fine del mese, e già si presentivano gli zefiri primaverili.
Una merla ne prese audacia e scherzando disse;
Zenèr, Zeneró,
Te n' incaghe, chp ó scùdit ol me merlòt.
(Gennaic , mio bel Gennaio, te ne incaco, poiché il mio mer-
lotto è già al sicuro).
Gennaio indispettito le rispose :
U gho r ó e du e' impresterò
Bianca tó séret, nigra t' farò.
(Uno ce l'ho, e due lì prenderò ad imprestito; bianca eri, nera
ti farò). Non fu vana minaccia : in quei tre giorni il freddo fu
così rigido , che la merla dovette cercare salvezza nella gola
di un camino, donde uscì nera „,
Dante ricorda questa medesima versione di leggenda nel
Purgatorio, e. XIII, dicendo che Sapia senese
Levò in su Tardità faccia,
Gridando a Dio : « Omai più non ti temo ; »
Come fa il merlo per poca bonaccia;
per cui il Landino ebbe a notare il proverbio volgare messo
in bocca al merlo al venire della primavera : " Non ti curo,
domine, eh' uscito sono dal verno „.
Una variante spagnuola riportata dal Tiraboschi cit., p. 99,
somiglia in parte alla siciliana nostra.
Per altre versioni estere, vedi P. Meyer , Les joiirs d^ em-
pruni, in Romania, v. Ili, p. 294-297, e Prato, Gli ultimi la-
vori del Folk-Lore neo-latino, p. 36; Parigi, 1884.
- r«* f -.-j' .a*^
421
CXXXVIIL
La stìdda dì lu vujàru.
'Na vota ce' era un vujaru , chi stava guardannu
un paru di vuoi ; cci spuntaru 'i latri e ce' ieru a
'rrubbari 'i vuoi. Curriu 'u vujaru e iju a chiamau 1
patruni pi jirieei a livari 1 vuoi. Gomu fu, comu nun
fu, ristaru 'ut' ó cielu , e su' misi : 'u pam d' 'i vuoi
davanti, 'i latri darrieri chi li caceianu; 'u vujareddu
e' 'u bastuiii ehi cci 'nsigna 'a via 6 patruni, e dar-
rieri, 'i patruni d' 'i vuoi. Nossoria ^
VARIANTI E RISCONTRI.
la stidda di lu vujàru {Naso),
Un boaro avea due buoi, che costituivano la sua ricchezza.
Una notte, mentre tutti dormivano, senti rumore alla stalla e
chiamò il servo per andare a vedere che fosse. Il servo Si alzò
e uscì fuori, ma, sonnacchioso com'era, invece di pensare ai
buoi, si sedotte e s'addormentò. Il boaro vedendo che il servo
non ritornava, corse alla stalla e trovò che i ladri gU avevano
rubato i buoi, e se li stavano portando. Allora cominciò a
chiamare aiuto, e si mise ad inseguire i ladri. Alle sue grida
accorsero la moglie, una sua figliuola, e da ultimo il servo.
Ora in ciclo, nella stidda di lu vujaru^ le due prime stelle
a destra sono i buoi, le due seconde, i due ladri, la terza il
padrone, la quarta la moglie con la figlioletta vicina , e 1' ul-
tima il servo.
Vedi Usi e Costumi, v. Ili, p. 7.
* Raccontata da Rosalia Cocimanno, campagnuola, e raccolta dal
signor Mariano La Via-Bonelli.
422
CXXXIX.
Fra Cola \
Fra Gola era un rumìtu , eh' avia 'na grutta supra
'a Giaganta ^ Ora 'na 'ota, n' òn filu di vespri di Giu-
gniettu , mentri 'u càudu cadia a pezzi , vinni i bota
d' 'a grutta 'na pòvra fimmina prena, ch'a malapena
putia strasciniàrisi Tanchi, e cci dissi : — "0 Fra Gola,
m' 'a faciti 'n' opra di carità? Datimi 'na stizzidda
d' acqua, cà mi pari ca muoru!... „ Fra Gola l'acqua
r avia , ma n' avia picca , e 'un vulia scìnniri sina ò
vadduni pri gìnciri 'u 'nziru ^ e pricciò cci arrispusi:
— ** Acqua nu nn* haju „. — " Facitimillu pi li dulura
di la Bedda Matri ! scinnìticci sina ò vadduni ! „ —
* Git sta sorti di càudu? Mancu si murìssivu ddocu ! „
'A pòvra fimmina muriu daveru, e Fra Gola fu cun-
nannatu di stari a menz' aria , 'mmienzu li nìuli e li
timpesti. Modica *.
* I villani (li Modica danno il nome di Fra Cola a una nuvola, che
ha una goffa somiglianza con un frate incappucciato , e che dà in-
dizio di una ruinosissima pioggia. Questa leggenduola è tradotta in
italiano nei miei Usi e Costumi, v. Ili, p. 4(3.
» Montagna di Modica.
' Per riempire la brocca.
* Raccontata da Maria Jacono, servetta, e raccolta dal Guastella.
■ -•l f »,• i*s*i
-r"- ■- -—
SERIE SKST^
CXL.
Fidi mi caccia, no lignu di varca.
Ce' era 'na vota un malatu, un malatu-'nfirmu. Stu
malatu avia 'na frevi ca 'un cci putia passari mai. Li
medici, unu java, 'n àutru vinia, e la malatia sicutava
sempri. 'Na vota va 'n amicu di stu malatu e cci va
a fa 'na vìsita; dici : — Ora , cumpari, nn' aviti fattu
tanti rimèddii : facìtinni 'n àutru, ca speru a Ddiu ca
v' havi a giuvari „. — „ E qual' è , cumpari ? ;, — ** È
'na scagghidda di lignu di la Santa Cruci. Chista si
vugghi, e si nni vivi l'acqua : ca è un'acqua biniditta,
e si nni cuntanu 'spirienzi granni „. — "Gnursì, cumpari.
Ma stu lignu unni si trova ? „ Rispunni 1' amicu : —
" Haju 'ntisu diri ca si trova 'nta li Lochi Santi , a
certi parti luntani dintra terra. Ma cu' cci va ? „ —
*" Ah ! cumpari, si mi vulissivu fari la cantati di jìricci
vui, arrifriscàssivu l'arma di li vostri morti, e livàssivu
di pinari un puvireddu :... „ Chistu pinsò , pinsò , poi
dici : — ** A mia!... Chiddu chi voli Ddiu! Cci vaju „.
42i FIABE E LEfir.ENDE
Lu malata tira lu cascinni, pig^^liìa 'iinporn di pezza
di dudici: — " Giimpari, 'un v' affi;i!iili: cliisii vi ser-
vimi pi lu via^giu... „ Chiddu sì pig^j^hia li dinari, si.li-
cinzia, e si nni va.
Quannu fu fora o sì vitti ddi belli pezza di dudici;
" E cu' ccì havì a jiri pi stu lignu di Santa Cruci? (dici)
Ora vaju a tagghiu 'na sragjjfhia di varca e eci la portu...
tantu pir tantu chi nni sapi iddu ca è lignu di varca ? : „
Couiu di fatti,va a inari,'ncugna 'nta 'na varca e cci leva
'na scagghia; V ammogghia nn' ón pizzuddu di carta
bedda pulita e cci la porta a lu inalatu. (dia avia fattu
passari 'napocu di jorna). Lu malatu suspirò; piggliia
ddu pizzudilu di riliquia e si lu misi a vasari : vasa
clii ti vasa, vasa chi ti vasa. Ddoppu cci lu proj a la
mugghieri e si fa fari V acqua cu stu lignu. Si lu pig-
ghia, e, mancu passàru tri jorna, stetti bonu.
Ddoppu tempu, lu cunipari cci dichiarau tuttu lu
passaggiu: ca cliiddu 'un era Hgnu di la Santa Cruci,
ma lignu di varca. Lu malatu cci rispusi bottu 'ntra
bottu : — ^ Fidi mi caccia, no lignu di varca ! „
Palermo ^
VARIANTI E RISCONTRI.
Un' altra versione siciliana dice die un giorno dovendosi
cacciare un demonio da una creatura, si pose su di essa un
pezzo di legno di barca in forma di croce. Il demonio andò
via dicendo : Fidi mi caccia.
Una versione del tutto simile è fra le Iradizioni popolari
veneziane del Bernoni, p. 5 : Siropo de harcazza la freve de-
scazza,
' Raccontata da Rosa Brusca, cieca.
425
CXLI.
• Pr' un puntu Martinu persi la cappa.
'Na vota s' avia a fari un Cardinali, e cc'era un ciaciar-
dotu chiamatu Martinu. Stu Martinu cci cuncurria.
Ora a 'na dimànnita ^ chi cci fici So Santità e li Cardi-
naia, iddu sgarrau d' un puntu. — " Eh ! Martinu, cci
dissi lu Papa, pr' un puntu pirdisti la cappa !... „
Lu Martinu pi currivu si nni iju fora di Roma, jennu
pridicannu contra la liggi di Ddiu; e facia parrari'a la
Divinità a vogghia sua *. Unnicchì, vidennu la so fau-
sitùtini , la pupulazioni lu pigghiò e lu jiccò *ntra un
puzzu. Palermo '.
VARIANTI E RISCONTRI.
Con questa storiella si spiega ed illustra lo stesso prover-
bio , che altrimenti è spiegato ed illustrato neUa GCXGIU
delle mie Fiabe sic.
Non so a qual personaggio riferiscasi essa; ma, certo, un ac-
cenno a Martino Lutero ed alla sua riforma c'è.
Vedi Prov, sic, v. II, p. 59. z
* Dimànnita^ interrogazione, quesito.
* Intendi che spacciava come legge di Dio, come precetti della
Chiesa, ciò che piaceva a lui.
' Raccontata da Domenico Ingrassia.
■^
+26
CXLII.
Ddiu nni scanza di peju ! dici la crozza di mortai
'Xti volii mi galiintomu iju a firrìari 'na sepuytura,
coiim (licissimu chidda dì li Cappuccini *.
Firria di ccà, fìrria di ddà, cci vannu l'occhi supra 'na
crozza di mortu, eh* avia scritta 'nta la franti: Ddiu
nni pranza di peju ! Dici : — ** Cosa cariasa !... e peju
di crozza di morta clii cci pò essiri?... „ Sta un piz-
zudda : — ** Ora io mi V liù piggliiari sta crozza » dici
e si la pigghiò.
Torna a la casa. Coma la mugghieri vitti dda crozza,
una fu e centu si fici ^ cà lu maritu cci purtava sta
bellu cumprimontu; ma lu maritu era rivirsuliddu , e;
la mugghieri s' appi a zìttiri *.
'Unca lu maritu sta crozza la misi supra un canta-
ranu, e la povira nmgghieri ogni vota chi passava
Tavia a taliari, ca si sintia siccari Tanna ^\ 'Na jurnata,
'un ni putonnu cchiìi, Tafforra e la jetta nna lu focu.
E accussì la crozza iju a fmiri abbruciata.
Avia dunca raggiunì cu' cci scrissi di supra: Ddiu
nni scanza di peju! Palermo ®.
' Dio ci guardi da peggio (che (luesto) ! disse il teschio.
• Fuori Palermo, dalla parte occidentale, è il cimitero detto de' Cap-
puccini, tanto celebrato da I. Pindemonte nei suoi Sepolcri, e va-
riamente descritto e giudicato da A. Dumas, T. Dandolo, M. Les-
SONA e altri. Vedi i miei Spettacoli e Feste, p. 393.
' La moglie a veder quel teschio andò su tutte le furie.
• Ma il marito era un po' bisbetico, e la moglie ebbe a tacere.
^ E la mugghieri , e la moglie tutte le volte che passava (per
quella stanza, sul cui cassettone era posato il teschio), si sentiva morire.
• Raccontata da Agatuzza Messia.
1
t
437
GXLIII.
Finfu lu tempu chi Betta filava.
Sta Betta era 'na fimminedda di nenti: una di
'mmenzu la strata , ma sapia filari megghiu di qua-
lunchi fimmina.
'Na vota sta Betta scuntrò a lu Re Niruni , e cci
dissi : — " Ddiu ^A duna saluti , Maistà ! chi putissivu
campali miir anni ! „ Niruni, ca era un gran tirannu
e sapia ca 'nta lu so regnu 'un lu putianu né sentiri
né vìdiri , cci dissi : — " Comu ! tutti mi odianu e mi
mànnanu gastimi , e tu sula m' addisii saluti ?... „ —
" Maistà, sì ! Io canuscivi a vostru nannu, ed era tintu
assai ; canuscivi a vostru patri , ed era tintuni. Vinì-
stivu vui, e passàstivu e juncìstivu a vostru patri e a
vostru nannu. Si muriti vui, veni 'n àutru cchiù tintu
e cchiù tirannu; pirchì a lu peju nun ce' é fini„. Lu
Niruni a sta Betta 'un cci fici nenti, nni la lassò jiri
pi li fatti soi.
A ssi tempi ce' era Re Salamuni, e sappi sta risposta
di Betta; e la vosi canusciri. Eccu ca la sira Betta cci
iju, e Salamuni cci pigghiò spassi a sintilla parrari. A
la finuta, sapennu ca era l'unica pi filari, cci detti 'na
manna di linu pi filalla la notti. Betta, turnannu a la
casa , filò tutta la nuttata. Lu 'nnumani Niruni la iju
a vìdiri, e vosi lu filatu; e chi fa ? lu fa sténniri supra
lu tirrenu , 'n campagna , e tutta la terra chi stu filu
misurò, cci la detti a Betta pri cumprimentu.
■m
42S
FIABE E LEGGENDE
(!ii stii Unni sua, lietla arriccliiu e 'un filò cchiù, e
'un fa( ia ìinini chi diri: Finfu In inupu chi Betta filava.
Palermo K
■
VAIlIAxXTI E RISCONTRI.
Qiiosla leggenda, che confonde due nomi di re lontanissimi
r uno (la ir altro , abhraccia due motivi. Il primo cfr. con la
CCLXI delle mie Fiabe sic. (riportala in italiano nei miei
Pror, sir,, V. IV, p. 3iG), per la quale vedi pure a p. 448,
voi. IV e Casalicghio, U utile col dolce, cent. Il*, arg. I'.
Il secondo la famosa storiella di Berta, della quale si hanno
versioni in Minucci, note al Maìmuìttile, e. II, st. 6, riportata
dall' Imhmiam, Xovellaja fiorentìtut , "ìt edizione pag. 250 , e
riassunta dal Pauli, Modi di d i re y \). li); in Zv sic a. Ricreazione
de' curiosi j voi. II. p. 10; Dalmkdico, La fratellanza dei po-
poli ìMe tradizioni comuni y I. p.; Pico Luiii di Vassano, Modi
di dire procerbiali, n. !28i, p. 1 iO; D'Ambra, Proverbi italiani,
p. \rl\ ; Faxfani, Vocabolario ddru.^o toccano alla voce Filare,
Nel Giornale degli Eruditi e dei Curiosi, voi. IV, pp. 83-85,
154-15(), :234, 15 Giugno, 15 Luglio, 15 Agosto 1884, sono
varie versioni e citazioni bibliografiche relative a questo pro-
verbio.
' Raccontata da Domenico Ingrassia.
•t
429
CXLIV.
Lu gabbu junci.
'Na vota un parrinù diceva la missa, e comu si vutà'
pi diri : Dominu sapiscu * , vitti ca tutti eranu cu li
corna. " Gesù ! dissi 'nta d' iddu,. tutti cu li corna su'
st' aggenti sta jurnata !» e si nni maraviglia' assai fina
chi trasì' 'nta la saristia.
Va pi nèsciri di la chiesa e chi si trova 'n testa ? un
paru di corna cchiù longhi di tutti Tàutri. E sti corna
cci nasceru pirchì s' avia fattu gabbu di V àutri.
SicuUana K
VARIANTI E RISCONTRI.
Il proverbio significa che il farsi maraviglia o beffe dei difetti
altrui (fàrisi gabba) fa cader subito nei medesimi difetti. Il
prov. corre più comunemente cosi : Lii gabbu junci , la ga-
stima no ; ed un altro proverbio :
Cui si fa gabbu
Cci cadi lu labbru.
^ Dominus vobiscum,
* Raccontata da Giuseppe Attanasio.
/• 'm ■-r*.r««ir*-9ll -Vkvihn«M«^
■-.i.i -■ r fra ■ I ■
430
GXLV.
Soni e canzuni s\C comu lu ventu.
Petra Fudduiii, cu tutti li so' fuddii, era curazzu, e a
lu spissu dava a manciari a quarchi amicu e canu-
scenti so. 'Na jurnata 'ncuutrò un amicu, ca avia un
bellu pezzu ca 'un lu vidia, e lu 'mmitò 'nta 'na taverna.
Fra tantu 'n sacchetta mancu avia un guranu, e pinsò
di cuniminari la siguenti cosa. Chiama a lu tavirnaru
e cci dici : — " Oj haju 'mmitatu a st' amicu, ma 'un
haju, chi si dicissi, un pezzu di tirdinari \ Vi cuntin-
tati, allocu di dinari, di canzuni ? ,^ (Era pueta 'stim-
puraniu, e puisii nn'arruzzulava quantu la rina). Lu ta-
virnaru si nni cuntintò, e cci detti a manciari a iddu e a
Tamicu sò.Finutu di manci iri,Petru Fudduni accuminzò
a fari puisii : una lassa e 'n' atra pigghia , tutti una
cchiù megghiu di 'n' àutra. Lu tavirnaru 'un arristava
sudisfattu, e cci dicia : — " Ghista 'un mi piaci : 'n' àutra
megghiu „. E lu Petru Fudduni a'rruzzularicclnni quan-
tu cchiù nni putia; ma quannu cci scappò la pacenzia,
cunchiudiu cu sti furmati paroli:
— "He manciatu e vivutu a cumprimentu,
Binchì m'aviti fatta piniari,
M'aviti fatta parrari a lu ventu,
E 'un v'aviti vulutu cuntintari.
Io nun haju né picciuli, né argenta ^
E si nn'avissi, nun vi nn' haju a dari „.
* Ma non ho neppure un quattrino, un centesimo.
• Io non ho nò rame, né argento.
<■ A
SONI E GANZUNI SU' GOMU LU VENTU 431
Lu tavirnaru però cunchiudiu cu diri :
— " Soni e canzuni su' comu lu ventu :
Lu tavirnaru voli li dinari ,,
Palermo.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedila in italiano nei miei Frov, sic., v. II, p. 245. Una ver-
sione, probabilmente napolitanesca, dev'essere, se mal non ri-
cordo, in Gasalicghio, Untile col dolce. Su Pietro Fullone vedi
i miei Studi di poesia popolare, p. 109, e il nostro aneddoto
a p. 135 di essi.
■^■i'^1^
••;
432
CXLVI.
Si scanta di lu bicchi-bacchi, e nun si scanta
di lu tira-e-stocca.
'Na vota muriu un signuri, unu dì chisti pezzi grossi^
ca quantu nn'hannu ^ mancu si lu sannu iddi stissi.
Muriu, e li parenti lu ficiru purtari a la chiesa pi fa-
ricci r assèquii. Lu visteru cu li megghiu robbi, e cci
lassaru a li jìdita tutti l'aneddi ch'avia misi. La notti
certi latri si 'mpustaru 'nta la chiesa pi livàricci sti
aneddi. Quannu cci parsi ad iddi, unu nesci zittu zittu,
e va pri jìricci a scippari st' aneddi; tira, tira, 'un si
nni putianu vòniri , cu tuttu ca li jìdita avianu addi-
vintatu sicchi sicchi sculati (ma era, ca li jìdita Pavia
menzi chiusi). Dici : " Ma com'he fari ?... „ Arrispunni
unu di li cumpa|<ni : — " Tira e stocca li jìdita, e frica-
tinni ^ „. Nenti sapennu li latri, ca ddà cc'era lu sari-
stanu ammucciatu chi li sintia (pirchì avia arristatu
di guardia dda nuttata). Lu latru tira, stocca lì jìdita
e scippa l'aneddi, e santi pedi, ajutatimi * !
Ora stu latru di l'aneddi si Ancia sempri davanti li
genti comu unu scantulinu^ e li genti cci cridìanu, e
si pigghiavanu spassi di stu so scantu. 'Na vota cci
» Di quattrini.
' Tira e rompi le dita, e poi infischiatene.
' E si mise a fuggire. — Su questa frase, vedi le mie Fiabe sic,
V. I, p. 185, nota 3.
* Pauroso.
"''^
SI SCANTA DI LA BICCHI-BAGCHI, ECC.
433
cumminaru 'na vuci chi dicia: bicchi-bacchi, comu si fa
a li picciriddi. Lu latru flnciu ca si scantò veni. Lu
saristanu era prisenti; mischinu, 'un ni potti cchiù, e
cci dissi: — "Si scanta di lu bicchi-bacchi , e nun si
scarta di lu tira-e-stocca ! Palermo ^,
. VARIANTI E RISCONTRI.
Altra versione, ma italiana, ce n'è nelVIndice alfabetico di
Proverbiy Aforismi, Motti ecc. di G. Pomar, 1836; alle voci:
Si scanta. Ms. Qq. 149 della Bibl. Comunale di Palermo.
' Raccontata da Giovanni Vàrrica, murifabbro.
Ci^. Prrtó ^- SHaibe # Leggende,
28
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434
GXLVII.
Dintra Maria !... Fora Maria !...
A tempu ca cc'eranu li Turchi 'n Sicilia, quanmi li
fimminì turchi avianu a parturiri, si facìanu purtari la
Madonna dintra p' aviri fatta la grazia di parturiri
prestu ; e dicianu: — '^Dintra Maria di li Cristiani/
Dintra Maria di li Cristiani! „ Quannu poi parturianu,
la vulianu nisciuta fora , pirchì la grazia era fatta e
'un n'avianu cchiù di bisognu. E allura dicianu: — ''Fora
Maria di li Cristiani! Fora Maria di li Cristiani! „
Accussì nni vinni lu muttu: Dintra Maria! e Fora
Maria ! e si dici quannu prima si vulia bèniri a unu e
si cci facìanu cosi granni, macàri troppu; e poi 'un si
pò vidiri cchiù ^ e si sdegna comu la carni grassa.
Palermo *.
^ E poi, e poi si prende in odio.
* Raccontata da Francesca Amato.
^ < : •
435
CXLVIIL
Cu lu viddanu mancu lu diavulu coi potti.
Gc'era 'na vota un viddanu burgisi ^ Stu burgisi avi^
la so terra, e avia li gran chiffàri ^; 'un cc'eranu omini
e tempu chi cci bastava. 'Na jurnata, dispiratu, si misi
a chiamari a lu diavulu. Lu diavulu, pronti ^ si misi a
so cumannu e cci fici stu pattu: ca iddu cci facia di gar-
zuni, ma lu viddanu, finuti li chiflfàri di la staciuni*,
vinennu lu 'mmernu, si nn'avia a jiri tantìcchìa cu iddu
a lu 'nfernu. Lu burgisi pii^sò, pinsò, poi accittò. Eccij,
ca lu diavulu si metti a travagghiari : va di ccà, va di
ddà; carria di la campagna a lu paisi Ugna, fenu, fir-
ramenti, petra, sempri carricatu comu un sceccu. Li
sirvizza , unu nni facia , e 'n àutri centu nni spunta-
vanu ^ : e lu diavulu senza vutari facci a nenti. Quannu
propria propria 'un cc'era cchiù chi fari, lu diavulu cci
arrigurdò la prumissa : e si lu vulia purtari cu iddu.
— ^ Chista eh' è ura di prumissa ? „ cci dissi arrab-
biatu lu viddanu. Comu ! ancora ce' è lu tirrimotu di
lu chiffàri, e tu mi veni a dici ca 'un cc'è cchiù nenti ?! „
E ddocu cci cumincia a diri zoccu s'avia a fari ancora :
cosi ca mancu un annu cci putia abbastari pi finilli.
* Un villano agiato.
* Àvea il gran da fare. — Qui chiffàri, da fare, è un nome plur.
* Pronti o prontu, add., pronto, sollecito.
* Staciuni, s. f., estate.
* Altri cento (servizi) ne venivano fUori.
436 FUBE E LEGGENDE
Lu diavulu spirdau h sàta comu un tappu di màscuhi
e spirìsci mmalidicennu Y ura e lu mumeatu chi cci
vìnni la tintazioni di mittirìsi e' un viddana scartu e
maliziusu*
E pi chissu si soli diri ca cu lu viddanu manca la
diavulu cci polti,
Palermo *.
VAIUANTI E RISGONTRL
Vedi i Prov. sic, li, 419. Una versione ciancìanese fii poe-
tizzata da S. Mamo, Li Cuniiceddi di me nanna, n. I : Lu dior
rubi 'ngannatu da lu viddanu.
^ n diavolo spiritò.
* Raccontata da Agatozza Messia.
*
437
CXLIX.
Cu' la voli cotta e cu' la voli cruda.
Gc'era 'na vota un cummentu, e cc'eranu 'napocu di
monaci. Sti monarci, quannu scinnevanu a rifittòriu, 'un
eranu mai cuntenti: la pasta a cu' cci paria sfatta, a
cu' cci paria 'ngridda ^. — ** Fra Giuvanni, dicia unu: chi-
sta 'un è pasta; chista è codda di scarparu. E pinsà-
ticci a scinniila 'n puntu ^ cà 'un si uni pò cchiù di
manciari pasta sfatta !„ — ** Fra Giuvanni, dicia 'n àutru;
mia chista ch'è manera ! cordi di citarra pi maccarruna !
ca nni scrùscinu 'nta li denti ? E facitìcci darì 'n àtri
du' vugghi 'n'àutra vota ^ ! „.
Sta storia era ogni jornu : e lu poviru cucineri 'un
nni putia cchiù.
'Na jurnata chi fa ? comu la quadàra jisò lu vùgghiu,
Fra Giuvanni pigghia 'na purzioni di pasta, e cci la
cala; ddoppu un pizzuddu , nni pigghia 'n'àutra pur-
zioni, e cci la cala ; ddoppu 'n àtru pizzuddu, pigghia
lu restu, e cci la cala punì; dici: — * Ora videmu comu
finisci... » Quannu cci parsi a iridu, scinni la quadàra,
cci jetta l'acqua frisca, la cula, la conza e la 'mpia^a *,
* Non ben cotta, tosta.
* E pensate a levarla dal fuoco a punto.
> E fatela (la pasta) bollire un poco ancora!
^ Quando parvd a lui (opportuno) , leva dal fuoco la caldaia , vi
versa dell^acqua fi*esoa, la passa nello scotitoio, la condisce e la sco-
della.
FIABE E UEGGCniE
e la fn passar!. Comu li monaci cuihinciaru a manciaiì^ ]
casa di diavulu tutti ! Lu Patri Prìurì si siisi e ordini
àlcnziu. Ma chi '.... cci vosi un pizzuddu e un pizzazza !
pi falli zittirì a tutti '. E ddoou si metti a fari 'na spa-
rata a Fra Giuvannì , ca chista 'un era la manera di |
tratttri li religiui;i, ra 'un eranu armali ca s*aTÌanu a
manriari stu schifiu di pasta. Fra Giavanni 'ntisi, 'ntisì,
quannu rei parsi ji iddu :— " RivirinnÌ3simu,ìo 'un sàcda
corn' Ilo fari cu sta pasta Cu' la voli cotta e cu' la
Toli cruda. Io la calavi a picca a picca, e accussi ognuna
si pi^^hia chidda chi cci piaci ,.
E di ddocu nni vinni lu muttu.
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
n motto corre anche cosi : Cu' la voli eotta, cu' la roti cruda,
Ct^ la voli 'ntra la cìnniri atturrata, e ricliia[nerebl>e ad una
origine od un aneddoto un po' diverso.
' Ci volle un bel [iezw> (deL bello e del buono) a (arli lacere tutti.
* Raccontata da Fià t'raQcesco Pecora, cuoco del Convento de" Mi-
nimi di a. Francesco di Paola in Palermo, e già prima calzolaio.
439
CL.
Capu di Gàddu e Muntipiddirinu,
Miati l'occhi chi vi vidirannu!
'Na vota partiu un bastimentu pi 'n America. A lu
sbuccari di la Lanterna \ si sapi, si pigghia la rutta di
Tramuntana, e si va custiggianu la muntagna diMunti-
piddirinu. 'Nta stu bastimentu ce' eranu dui passag-
geri, chi jàvanu fora regnu pi fari furtuna. Votasi una
dlddi; vicinu a Capu Gaddu:
— ^ Capu di Gaddu e Muntipiddirinu,
Miati rocchi chi vi vidirannu ! ^
A ssi tempi pi jìri 'n America si cci stava misi e
misi ^. Ddoppu tempu, arrivaru, e si misiru a niguziari.
Passati 'napocu d' anni , sti dui palermitani arric-
cheru, e pinsaru di turnarisìnni 'n Palermu. Lu viaggiu
era longu: s' allianavanu cu li carti ^. Joca oj, joca du-
mani, unu d'iddi cuminciò a perdiri; joca e perdi, joca
e perdi ; s'arridduciu senza un guranu, cu li suU robbi
eh' avia di supra. Lu bastimentu era già vicinu a Munti-
* La Lanterna del Molo di Palermo.
* Difatti, il primo a prendere mia rotta diversa dagli altii siciliani
andando in America (New-York), fu Stefano Stabile, capitano della
marina mercantile di Palermo; il quale col suo brigantino nominato
Attivo compi in meno di tre meti il viaggio che fino allora (1840)
s'era sempre fatto in cinque o sei.
^ E si divertivano giocando a carte.
440
FIABE E LEGGENDE
piddirinu; comu si vota e vidi Capu Gaddu, stu pas-
saggeri, cu li làgriini airocchi, dici :
—- * Capu di Gaddu, capu di guai ! „
L'àutru, ca la sacchetta cci cantava, arrispunni :
-— * Muntipiddirinu, alligrari mi fai ^.
E sta cosa arristò pi muttu quannu li nostri marinara
pàrtinu e poi tomanu 'n Palennu.
Palermo ^.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedi questa tradizione in italiano nel v. IV, p. 353 dei miei
Prov, sic, e nelle Nuove Effemeridi sic, serie IH, v. X, p. 315.
I versi proverbiali variano così :
Capu d'Orlannu e Muntipiddirinu,
Cu sa si 'n' àutra vota nni videmu !
^ Raccontata da Giuseppe Carini, nostromo.
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441
GLI.
Tanti nenti ammazzanu un sceccu.
Ce' ^ra 'na vota un viddanu, chi java spissu spissu
a carricari Ugna e* un sciccareddu fora lu paìsi. Stu
scìccareddu era nìcu, ma lu viddanu si crìdeva ca putia
purtari qualunchi pìsu. Lu carricava, e ddoppu carri-
catu juncia 'n àutru fasciu di Ugna e dicia :— *" E
chistu è nenti „ e tanti fasci juncia , tanti voti dicia ;
— '^ E chistu è nenti „.
Ora 'na vota carricò lu poviru sceccu ca facia piata,
e, a lu solitu, ognu fasciu chi cci mittia di supra, dicia:
— '^ E chistu è nenti „. Lu sceccu però 'un potti cchlù
risìstiri, e scunucchiau \
E pi chistu si soli diri ca Tanti nenti ammazzanu
un sceccu,
Palermo *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Vedi i miei Prov, sic, v. II, p. 150; e IV; p. 342.
* Si dinoccolò, od anche, venne meno per debolezza.
• Raccontata da Francesca Amato.
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, 442
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) CLU \
La varca.
'Na vota ce' era un veccliìu, eh' abbitava ceà a Si-
culiana, 'nta 'na easuzza vieìnu a lu Gurfu di Gìalu-
nardu *. Stu veeehiu avia euniglia, gaddini, pii e gad-
du d*Innìa \ Lu puvireddu campava cu li gaddineddi,
li puddasci e li gramuscedda chi vinnia \
*Na vota cadi' malatu e nun potti fari lu menu di
cucìrisi lu brodu. Ammazza' 'na gaddina, la cucì' e
ddoppu chi la cucì' s' assittà' pi mangiari. Livà' di
mangiari, piglia' l'ossa e li jittà' nni lu mari. Di tutti
st'ussicedda la parti di lu pettu rista' a summa: ce' era
'na vavieedda di punenti friseu, e appuppà' a livanti \
Lu veeehiu, a sta vista, seinnì' di la finestra, e piglia'
sta curazzedda d'ossa, nni fiei una eguali di lignu, e
la jittà' a mari. Ghista cu 'u vintareddu ehi minava,
si nni ij'. MaravigUatu di sta cosa, lu veeehiu nni fiei
una echiù granni, cei detti lu versu di dd'ossa, e dac-
cussì nasci' la varca com'è a lu prisenti.
SicuUana \
* Questa e le seguenti tradizioni non si fu in tempo per allogarle
alle debite serie.
* Presso Siculiana.
» Tacchine (piij e tacchini.
* Il poverino aveva delle galline, delle pollastre e de' conigli pie-
colini, che vendeva.
® Livà' fini di mangiare, prese le ossa e le gettò in mare. Di tutti
questi ossicini, la parte (Posso; del petto restò a galla; spirava (cecero)
un venticello fresco di ponente, e (l'osso) s'avviò verso lavante.
® Raccontata da Giuseppe Attanasio.
"^♦•?f **^
443
CLIIL
La Lavannera di S. Giuvanni.
Dici ca a tiempi antichi cc'era 'na lavannera , chi
avia 'na cummari vattiata \ e *na 'ota, comu fa, comu
nun fa, ppi mutivu di 'ntressu, sta lavannera si misi
a 'nciuriari 'a cammari ('u Signari nni nni pozza^can-
sari, cà piccata comu a chissu *un cci nn'è! ^) di latra
piggiànnula e di latra lassànnula. 'A póvra cummari
cci dicia : — " Pinsati ó San Giuvanni ! „ — " Chi San
Giuvanni e San Giuvanni ! „ e 'n sàcciu chi e 'n sàcciu
comu '. — " Viditi ca 'u San Giuvanni è gilusu ! „ — " Chi
gilusu e gilusu !... „ e cci linzia la facci ccu V ugni *.
Duoppu aviri fattu sta bella prisa , si càrrica 'a trù-
scia, e sì nni va ò sciumi ^; ma a malapena accumenza
a bàttiri 'a tila, tuttu 'nsiemi si ferma. L'àutri iavan-
nieri cci dicinu : — " Chi fu ? ch'avistivu ? „ Vannu ppi
taliari, e s'addunanu ch'era morta. Vmninu 1 bicchini,
e nun cci fu viersu di putilla li vari. L'alliazzaru tutta
* Cummari vattiata, comare di vattiu, di battesimo.
* La novellatrice si sente venire la pelle d'oca al solo raccontare
di offese tra comari. Secondo il popolo, una parola ingiuriosa lan-
ciata da comare a comare , da compare a comare , ecc. non è per-
donabile : e S. Giovanni la punisce severamente.
' Letteralmente : E non so che, e non so come. Ma significa che
cominciò a dirle delle parole indecenti, qui molto ingiuriose per San
Giovanni, protettore del comparatico.
* E le lacera con le unghie il viso.
* Si càrrica, si carica il fardello (del bucato) e se ne va al fiume.
M
I
:
444 FIABE E LEGGENDE
di cordi e 'napuocu di pìrsuni si misuru a tiralla; ma
nun la puòttiru tirari, cà paria 'na muntagna. Finar-
menti àppiru a vèiiiri 'i parrini ppi scunciuralla ^, e ac-
cussì sulu si lassau tirari.
Ora ogni notti si nni veni n' ó sciumicieddu , e si
metti a mazziarì 'a tila; quannu canta \\ jaddu , ap-
piccica n'ó tettu d' 'a eresia di S. Giuvanni e sa idda
unni spirisci *.
« Modica *.
VARIANTI E RISCONTRI.
Da riportarsi al ciclo delle leggende di S. Giovanni Battista,
p. 180; pel quale vedi II Comparatico, negli Usi e Costumi^
V. II, p. 255.
^ Finalmente ebbero a venire i pi'eti per esorcizzarla.
* Ora ogni notti, or tutte le notti se ne viene al flumicello, e si
mette a battere la tela, e, quando canta il gallo , s'arrampica f^ap-
piccicaj sul tetto della chiesa di S. Giovanni, e sparisce, non si sa
dove.
> Raccontata daUa lavandaia Antonina, intesa Auriccedda, e rac-
colta dal Guastella.
445
CLIV.
Lu Chiancheri \
'Na vota ce' era un chiancheri. Stu chiancheri avia
tanta vinnita *, pirchì tutti li genti jàvanu nn'iddu p'
accattari.
'Na jurnata cci va a la chianca 'na iBimmina, gravita
grossa ', e tutta piatusa cci dici : — ** Mi la faciti la ca-
ntati : mi la dati tantìcchicf di carni, quantu mi fazzu
tantìcchia di vrodu, cà haju li dulura di supra? * „.
Si vota lu chiancheri cu so mugghieri (comu dicissimu):
— ** Nina, cònzacci lu lettu e la fa' curcari, puviredda ! „
La mugghieri la fa tràsiri, la fa curcari, cci fa un bellu
vrodu cunsumatu, e manna a chiama la mammana pi
assistilla a lu partu.
Ddoppu 'na para d'uri, sta donna figghiau e ilei un
beddu picciliddu. Stu picciliddu lu vattiò lu chiancheri
e so mugghieri ^, e cci misiru lu nnomn di lu chian-
cheri.
Stu picciliddu java criscennu ad ura ed a puntu , e
comu criscia, allocu di chiamari matri a la matri vera,
chiamava matri a la mugghieri di lu chiancheri,
1 n macellaio.
s Questo macellaio area molto spaccio di carne.
* Una donna agli ultimi mesi di gravidanza,
< Li dulura di supra, qui i dolori del parte.
* Questo bambino fpiccilidduj lo battezzò il macellaio • la moglie
di lui.
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446 PUBE E LEGGENDE
'Na jurnata si vota la mairi di lu picciliddu cu so
cumpari e cci dici : — " Pirchì 'un V avvilinamu a tò
mugghieri, e uni maritamu tuttidui? „ Lu cliiancheri
cci dissi di sì; e quannu fu ura di mauciari, coi mi-
nistrò un piattu di pasta a so muggliieri, 'mmilinata.
Povira donna, muriu; e lu chiancheri si maritò cu la
cummari. Arristò lu picciliddu. La mugghieri, ddoppu
f joma, cci dici : — " Lu sai chi facemu ? Livàmunni di
! 'mmenzu puru a lu picciliddu ^; accussì arristamu suli
[ e beddi cujeti „. Lu maiìtu si lassò li vari d'idda, e senza
tantu scrùsciu 'mmilinau puru a lu picciUddu ; e ma7
ritu e mugghieri arristaru suli.
Ma ddoppu jorna, a la mugghieri cci vinni lu rimorsu;
si vota cu lu maritu : — " Ora io mi vogghiu jiri a cun-
fissari di stu gran piccatu, cà 'un mi pò sonnu ^ ,.
Nesci e a lu primu parrinu chi trova s' addinòcchia pi
cunfissàrisi. Lu parrinu, a sentiri sta gran sorti di pic-
catu,— " Ih 1 (cci dici), figghia mia ! cc'è lu San Giu-
vanni pi lu menzu ^, e io 'un vi pozzu assòrviri „.
Sta fimmina si susi, e va uni 'n àutru parrinu; si cun-
fessa, e comu cci cunta lu fattu, ddu parrinu spirdau ,
e nni la mannò senza assuluzioni. 'N àtru parrinu, la
stissa cosa. 'Nsumma cu tanti si cunfissau, tanti nni
la mannàru cu diricci ca chistu era un sarilèggiu, ca
sulu lu Papa la putia assòrviri. Gunfusa, si iju a jit-
tari a li pedi di lu Gardinali *. Lu Gardinali cci dis^:
1 Leviamo di mezzo anche il bambino.
* Cày che (dal rimorso) non pqsso prender sonno.
' Quel prete spiritò (a sentire la grande offésa fatta da questa donna
a S. Giovanni Battista, protettore dei compari).
* Qui allude all^ÀrciTescovo di Palermo, tradizionalmente chiamato
..••
LU GHIANGHERI 44F
— • Figghia, io mancu ti possu assòrviri; ma pi ora fa'
sta pinitenza : ca pi tri jorna ha' a 'cchianari addinuc-
chiuni supra lu Casteddu Supranu ^ „.
Pi ramuri di livàrisi ddu gran piccatu di Tarma, lu
'nnumani matinu si misi a 'cchianari a dinòcchia nudi
la muntagna; e tutta la jurnata 'un fici àutru ch^ ac-
chianari. Li dinòcchia cci chiuvìanu sangu , e d' unni
passava, lassava 'na striscia russa. Arrivannu ddassu-
pra, q'iantu vidi passari un catalettu cu 'na prucissioni
vistuta di niuru, e 'nta lu catalettu, so cummari, la
mugghieri di lu chiancheri. Gomu la vitti cci dissi a
la morta : — " Cummari, mi pirdunati? „ — " No, nun ti
pirdugnu né io, né Ddiu, né S. Giuvanni ! „
Lu 'nnumani cumincia la pinitenza arreri. Li dinòc-
chia cchiù di cchiù cci jittàvanu sangu, e chiancia chi
era 'na piata. Juncennu supra lu Casteddu, vidi ar-
reri lu catalettu cu la morta e la prucissioni vistuta
di russu. — " Cummari, (dici) mi pirdunati ? „ — " No,
nun ti pirdugnu né io, né Ddiu, né S. Giuvanni ! ,
La terza jurnata cci acchianò arreri, e li dinòcchia
'un si putianu guardari di lu tantu chi cci mannavanu
sangu ,; e idda chiancia a chiantu ruttu. Arrivata ddas-
Cardinali, Molti degli Arcivescovi della diocesi di Palermo, infatti,
hanno avuto il cappello cardinalizio.
1 Per tre giorni hai a salire a ginocchi nudi il Castello Soprano.
Casteddu Supranu è il nome volgare della maggiore delle due a-
sprìssime rupi che da levante a mezzogiorno chiudono il comune di Cor-
leone, e sulle quali poggiano due fortezze. Nelle lettere dell'Arcive-
scovo di Palermo, ai tempi di Guglielmo II, Corleone è chiamato
Castello.
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448 FIABE E LEGGENDE
supra vitti la prucissioni tuttu vistuta di biancu. — *Gum-
mari, mi pirdunati ? „ — " Né io, né Ddiu, né S. Giu-
vanni ti pirdunamu „ (ma cu lu fattu poi la pirdunò).
•^j Affritta e scunsulata si nni scinniu di lu Gasteddu
; I i e iju nni lu Cardinali, e cci cuntò tuttu lu passaggiu.
Lu Cardinali cci detti 'n'àutra pinitenza :— " Lu primu
mortu chi mori ^ a lu tò paisi, cci ha' a jiri a guar-
dallu tu, tutta la nuttata, sula „.
Juncennu a lu paisi, la prima iBimmina chi scuntrau
si 'nfurmò : — " Mi sapìssivu diri cu' ha murutu sta-
notti 'nta lu paisi ?*„—** Muriu (comu dicissimu) Don
Pippinu, lu chiancheri „.— " Don Pippinu? ! „ arrispun-
niu sta fimmina, e si 'ntisi 'na fitta di cori. Va, ac-
chiana nna la casa di lu mortu, e cci dici a chiddi chi
lu stavanu arripitannu * : — " Vuliti ca stanotti cci fazzu
tutta la nuttata io a lu mortu ? „ — " 'Unca picchi no ?...,
A menzannotti 'n puntu, si susi ddu mortu di
'mmenzu la càmmara^ e la va a'flferra; dici :-—" Lu vidi,
scilirata, ca pi causa tua mi nni jivu a lu 'nfemu? !...„
La pigghia e Taflfuca.
Idda muriu bottu 'ntra bottu; ma pi IsL pinitenza chi
avia fattu di tutti li so' piccati, si nni iju 'n paraddisu, e
lu chiancheri si nni iju drittu tiratu a lu 'nfernu.
Corleone *.
* La prima persona che morrà.
* Mi sapreste dire chi è morto stanotte in paese?
8 Arripitari, fare il corrotto che im tempo faeeano le prefiche
sopra il morto.
Su questo argomento vedi i miei Usi e Costumi^ v. II, p. 212.
* Raccontata da Marianna Bordonaro, ragazza a 18 anni.
449
CLV.
Birbunazza ! ti la manciasti la pasta
cu li linticchi ?...
Si cunia e s'arricunta ca ce/ era 'na vota 'na nanna
e *na niputi, ca si chiamava Pippina.
Sta nanna filava, e ogni jornu niscia e java a cun-
signari sirvizzu \ 'Na jurnata , prima di nèsciri , cci
dissi a so niputi: — " Pippina, vidi ca io vaju a cunsignu:
tu coci la pasta cu li linticchi, cà comu vegnu nni la
manciamu *^ „.
La nanna nisci'u, e Pippina si misi a còciri sta pasta
cu li linticchi. Quannu fu lesta, la misi di latu, pirchì
so nanna nun vinia ancora. 'Nta la cucina ce' era 'na
finestra, chi spuntava fora, 'nta un jardinu. Trasi un
gattu nìuru, e si mancia la pasta cu li linticchi. 'Nta
stu mentri junci la nanna: — " La cucisti la pasta cu li
linticchi? r, — " Sissignura, nanna; havi un pezzu eh' è
lesta, e haju aspittatu a vassia chi vinia. „ Pippina va
nna la cucina, va pi pigghiari la pasta, e trova la pi-
gnata vacanti :-t-" Mischina mia ! e comu fazzu ora cu
me nanna!... Chi cci cridi ca appi a essiri lu gattu ca
si la manciò ?..... Si figura ca mi la manciai io.... „ La
nanna la chiama; e la niputi, cunfusa. Trasi la nanna
'nta la cucina , e vidennu la pignata vacanti, pigghia
1 Intendi che questa vecchierella andava a consegnare il filato.
* Io vado a consegnare ^ filato); tu cuoci la pasta insieme con le
lenti, che, appena io ritornerò, la mangeremo.
G. PiTRB. — Fiabe e Leggende. 29
ii"*r".r-1hniM
450 FIABE E LEGGENDE
un lignu: tirìtinghi e tiritanghi supra li spaddi di Pip-
pìna ! * dicènnucci: — * Birbunazza ! ti la mandasti la
pasta cu li linticchi ?... ^
Mentri cafuddava e gridava, passa e passa 'na car-
rozza. 'Nta sta carrozza ce* eraSòMaistà;sintennu sti
vuci, — ** Ferma (cci dici a lu cucchieri); subbitu, (cci
dici a lu criatu) va' darreri sta porta unni cci su' sti
battarii, e vidi chi cc'è. , Lu criatu attenta, e 'un senti
àutru: Birbunazza! ti la mandasti la pasta cu li lintio
chi ? E cci porta sta nutizia a lu Re. Ordini di lu Re:
— * Subbitu, fa' gràpiri, e vidi chi cosa è. „ Lu criatu
tuppulia; cci gràpinu la porta, e sta vecchia cci cunta
tuttu lu passaggiu di la pasta cu li linticchi. Comu lu
Re senti sta cosa, si fa pigghiari a dda povira picciot-
ta^ si la metti 'n carrozza cu iddu, e si la porta a pa-
lazzu.
Comu arriva a palazzu, cci fannu im billissimu ba-
gnu, e la vèstinu 'na galantaria. Idda bedda ce' era: cu
st'abbiti, paria 'na Rigginedda; ed era cuntintuna.
Avia passatu 'napocu di tempu: eccu ca 'na jurnata
trasi un criatu nna lu Re : — ** Maistà, ce' è 'na vec-
chia, e voli parrari cu la Signurina ».— * Dumannati cu'
è sta vecchia „ dici lu Re. Risposta di la vecchia:— * Io
sugnu la nanna di Pippina; sìceomu havi assai chi 'un
la viju, haju disidderiu di vidilla. , — • Facìtila tràsiri „,
dici lu Re. E la vecchia trasiu. Pippina, comu la vitti,
cci misi a fari tantu preu; ma la vecchia, allocu d'abbraz-
,«arisilla, la prima cosa chi cci dissi fu: — • Birbunazza!
1 DàlU e dàUi sidle spaUe di Beppina.
BIRBUNAZZA ! TI LA BtANGIASTI LA PASTA ECC. 451
ti la mandasti la pasta culi linticchi ?... „ — ** Vassa si
zitti (cci rispunni Pippina), cà si la senti So Maistà,
eh' havi a diri? „ E la yecchia a ribbricari ^ arreri la stissa
cosa: — ** Birbunazza !... „ Si vota lu Re: — "Pippina, chi
havi tò nanna, ca fa accussì ? „ — "E eh' havi ad aviri,
Maistà ! siceomu è riddutta povira e pazza ", vurria
quarehi eusuzza di dinari. „ — ** Gei sia concessu! Ccà
ce' è stu sacchitedda di munita d'oru: dunaecillu a tò
nanna. „ Idda, comu si vidi ddu saeehiteddu davanti,
si lu 'nfila 'nta lu pettu *, e cci torna a diri:—" Birbu-
nazza ! ti la mandasti la pasta cu li linticchi ?... „ e
si nni iju.
Ddoppu jorna, cci turno arreri, e la prima parola: —
** Birbunazza ! ti la mandasti la pasta cu li linticchi?... „
Lu Re, sintennu ca era senza dinari, cci fici dari ^n àu-
tru saeehiteddu; e la licinziau ; ma idda a lu jirisinni
cci ribbricò la stissa canzuna: — " Birbunazza!... „
Passàru 'n atra pocu di jorna, e cci vinni lu disid-
deriu dì vìdiri arreri a sta niputi. Va, e lu criatu cci
porta la 'mmasciata a lu Re. Lu Re , pi rispettu di
Pippina, la fici tràsiri; Pippina cci fa lu gran preu; id-
da, la prima parola: — ** Birbunazza ! ti la mandasti 1^
pasta cu li linticchi ?... „ Rfspunni lu Re: — *" Pippina,
chi havi tò nanna ca fa accussì ? „ La niputi 'un ni
potti cchiìi, mischina: — * E eh' havi ad aviri, Maistà!
' Ribbricari per riplicari, replicare, tornare a dire.
• Povera e desolata.
• Si ricordi che il seno, è per le donne del popolo il luogo più si-
curo, nel quale esse conservano carte monete, quattrini, carte d'o-
gni genere ed altro. Vedi Usi e Costumi^ v. I, p. 13, n. 1.
r
AÒi FIABE E LEGGENDE
voressiri jittata d* un finistruni , lu cchiù gàutu clii
ce' è. , Si vota lu Re: — ' Gei sia cuncessu I... Olà olà !...
(chiama lì criati) ; pigghiati a sta vecchia, e jiitàtila di
lu finistruni cchiù gàutu chi ce' è. » Lu finistruiii ccliiù
gàutu spuntava supra la fniretta di lu Re. Cornu la
jèttanu, sta vecchia, scuppannu 'n terra, fa un gran
fossu \ Ddoppu jorna , nta stu stisau lucali nasci e
nasci un bellu pedi di tribbotu -.
Passannu 'n atra pocu di joraa , lu Re chiama a
Pippina e cci dici: — *" Pippina, assettati e cercami la
testa 'nantìcchia * „. Pippina s' assetta a lu finistruni
chi spuntava supra la fruretta , chidda stissa unni fu
jittata la nanna, e lu Re si cci appujau la testa di su-
pra. Idda lu misi a pittinari. Mentri cci circava la te-
sta, un còcciu di tribbotu cci metti a satariari di su-
pra a idda *, e cci dici: — " Birbunazza I ti la manciasti
la pasta cu li linticchi ?... „ Idda, sintennu accussi, si fa
*na gran scaccaniata : Ah hachch chuckch .'... ^ Lu
Re, sintennu sta gran risata, si jisa la testa e cci spija:
— " Ciii hai, Pippina, ca ridi accussi ? „ — *" E eh' he
^ Ltt finistruni^ il balcone più alto dava sulla fioretta del Re. Ap-
pena la buttan giù, piombando per ten-a, questa vecchia fa un gran
fosso.
* Dopo giorni in questo stesso sito (fosso) vien fuori una vite. —
Tribbotu o tribboti s. in., vite che fa tre volte {tri voti) Tannò Tuva.
' Siedi, e cercami il capo un poco.
* Un còcciu^ un chicco d'uva (della vite da tre volte) comincia a
saltellare addosso a lei.
* Imitazione della sghignazzata {scaccaniata)^ che riscontriamo tale
e quale in Buonarroti , Giorn. 2, att. 4, se. 27., dove pure sono
altii suoni imitativi.
birbunazza! ti la mangiasti la pasta ecc. 463
'viri, Maistà... ? ca la scupa di me nannu è cchiù bella
di la vostra varva!... (mischina, 'un appi chi scusa pig-
ghiàricci). Rispunni lu Re: — " Ebbeni: 'nta sti jorna
tu m' ha' a fari vìdiri sta scupa. „
Comu difatti, 'n capu a 'na simana, lu Re chiama
a Pippina, e cci dici: — *" Vestiti, ejamu nni tò nannu
pi la scupa. „ La Pippina a sta cosa si misi 'n cun-
fusioni: — "E unni V he purtari a So Maistà!... Io
eh' haju nannu !... „ Ma 'un appi chi fari: s' appi a ve-
stiri , si misi 'n carrozza cu lu Re, e nisciu. Camina,
camina, ^un sapia unni avia a jiri. Passa vòscura, passa
chianuri, e 'un sapia unni jirisi a tèniri. A certu puntu
cci vinni 'na pinsata di scìnniri : e cojnu arrinesci si
cunta. — ** Maistà, (dici), accussì, 'n carrozza , io 'un
viju lu palazzu di me nannu. Lassatimi scìnniri un
pizzuddu, quantu viju uon' è. „ Scinniu e misi a ca-
minari a pedi: e lu Re 'n carrozza. Gammannu cami-
nannu, a cu' va a 'ncontra ? a ddu gattazzu nìuru chi
cci avia manciatu la pasta cu li lin ticchi. Stu gattu cci
dumanna: — " Pippina, e tu comu si' agghiriccà ? „ E
idda, mischina, cci cunta tuttu lu passaggiu. Lu gattu
nn' appi piata , e la vosi ajutari. — " Senti eh' ha' a
fari: lu vidi ddu palazzu ddà luntanu? Ghistu è mio.
Vacci cu lu Re, trasi fina a la càmmara unn' è lu lettu;
trovi un lettu ; ddà cci sugnu io curcatu , ca mi pari
la sula testa cummigghiata cu 'na scufia e li granfuddi'
di fora ^. Comu tra^i, mi vasi la manu: ' Ssabbinidica,
nannu, Vasski cmn^ è ? Poi mi spij: Chi cci 'nsignò lu
medicu ? Io ti rispunnu e ti dicu: 'Nantìcchia di ràdica,
' E gli zampini di fuori (le coperture del letto).
r
• 7" ■
■ ■ *i :
454 FIABE E LEGGENDE
Tu mi fa' tràsiri un criaiu cu la ràdica; io mi la
Ijipphiu, e mi laiizu ^ Accussì tu fa' tràsiri a 'n àutru
criatu cu la scupa , ca è ccliiù bella di la varva di
lu Re. „ E lu gattu spiriu.
Pippina, adduttrinata, acchiana 'n carrozza cu lu Re,
e cci dici a lu gnuri: — " Caccia pi ddu palazz' e
cci lu 'iisignò. Comu arrivami , acchiananu e vamiu
drittu tiralu una la cammara di lu lettu. Lu Re al-
luccutu a vìdiri stu gran palazzu.
Supra lu lettu ce' era curcatu lu gattu cu la so scu-
lìedda, e li granfuddi fora la robba -. — 'Ssabbinidica,
nannu: vassia coni' è V (cci dici Pippina, e cci vasa la
manu). Vassia chi havi eh' è curcatu ? „ — " Sugnu
nialat\i ^.— " K lu modicu chi cci 'nsignò? „ — "" Nan-
tìcchia di ràdica ^. Idda chiama ^ubbitu:--" Olà, olà I
purtàticoi la ràdica a me nannu I , Lu criatu cci porta
la ràdica; la Pippina cci la duna a lu gattu, é lu gat-
tu, ddoppu un pizzuddu, cci vinni lu gran lanzu „.
— ** Olà , olà I dici Pippina; purtati la scupa. „ Lu
criatu trasi cu 'na scupa tutta diamanti e petri pri-
ziusi. Lu Re allucchiu a vìdiri sta scupa, e dissi 'nta
iddu: " Havi raggiuni Pippina, ca la scupa di so nannu
è cchiù bella di la me varva I... .,
Lu gattu, ddoppu jorna muriu, e tutti li ricchizzi di
' Comif trnsi\ apjìcna entrerai mi bacerai la mano (dicendomi): —
Klla mi benedica, nonno. Come sta ? Poi mi domanderai: — Che cosa
Jo prescrisse (nsignò) il medico ? Io ti risponderò e ti dirò: — ^Un po-
chino di radice d'ii>ecacuana. Tu mi farai entrare un ser\itore con
la iiH?cacuana: io la prenderò e darò di stomaco (/<i/icrt/-/= vomitare).
* Fuori la roba» cioè fuori la copertura del letto.
»>ar'-»i«
BIRBUNAZZA ! TI LA MANGIASTI LA PASTA ECC. 455
ddu palazzu cci arristaru a Pippina. Idda cu lu Re si
pigghiò chiddi chi si potti pigghiari, e si nni turno • a
palazzu riali. Ddà, senza perdiri tempu, iBiciru li capi-
tuli, e si maritaru lu Re cu Pippina.
Iddi arristaru filici e cuntenti,
E nuàtri semu ccà senza nenti.
Palermo
Raccontata dalla Qiovannina di Monreale.
>&!'v;
456
CLVI.
'U scarparu *.
'Na vorta ghiera e ghiera *n scarparu. Stu scarpara
avia dui figghif? e 'a mugghiò; se redusgìttu 'n bascia
fortuna, o siccomu 't'ò so paisu nen pudia campò, se
n'andà paìsg' paìsg'. Andava bandiandu pe desperà : —
Cunzhna scarp' ! ma nuddu ghie guaciava.
Stava muirindu de famu , e se cumenzà a girò c"a
Sortu: — " Sortu mia, dum' aiutu ! „.
Ghie spunta 'a Sortu, e ghie dà 'na bursa : — *" Tien
zza sta bursa, e chiù clie ghie dumand', te duna : pan,
vin e tuttu chiù ch'ai de besognu „.
Pigghià, 'a scira, mangia, bevìttu , se 'mbriacà e se
Lo scarparo (Versione letterale).
Una volta c'era e c'era uno scarparo. Questo scarparo avea
due figlie e la moglie : si ridusse in bassa^ fortuna, e siccome
nel suo paese non potea campare (vivere) , se n' andò paesi
paesi. Andava gridando per disperato : Racconciamo (accomo-
diamo) scarpe ! ma nessuno gli affacciava.
Stava morendo di fame e si cominciò a rivolgere alla Sorte:
— Sorte mia, dammi aiuto.
Gli apparve la Sorte e gli diede una borsa : — Tieni qui que-
sta borsa , e quello (ch'in) che le domandi ti dà : pane , vino
e tutto che hai (avi-ai) di bisogno.
La sera pigliò, mangiò , bevve; s'ubbriacò e se ne andò in
' Conservo la gi'afla seguita d'.il mio amico signor M. llk Via-
Bonelli, e vi aggiungo una versione. Le e corsive son mute.
Ivsr**^
■^
'U SCARPARU 457
n'anela 'ta 'n fundé^u. Se durmìttu. 'A iiuoitu 'a funda-
ghiera andà, glnV ddé'và 'a bursa e ghie ne metìttu
'n'àutra.
Coniu se Yesveghiìi 'a mattina, 'u scarparu se 'ntan-
tia; vedìttu ch'avia 'a bursa, ma nen talià se iera chidda
stissa. Partìttu p'und' 'o figghie, alegru e cmitintu, e, isa
ch^ cicca *nfrnntu d'unda stava, cmnmzà a dì : — ** Elii,
mugghiè mia, sima ricch' ! „ E 'a mugghiò de soi fig-
ghìe : — ** Sta vrnindu 'u loccu de vostru padi u ; ura
ghie 'a duna 'na fila, che partìttu p' andò a procure 'a
spisa, e ncn porta nientu „.
Isa che riva nintra, 'u scarparu cumenzà : — ** Ehi,
bursa mia, niescu grai, pan, vin quantu basta ! „ Nen
nescìttu nientu , e 'a mugghiè e 'i figghie 'ji gaddanu
a corp' de gisc',
un fondaco. S' addormentò. La notte la fondacaia andò , gli
levò la borsa e gliene mise un'altra.
Come si risvegliò, la mattina, lo scarparo si tastò; vide che
avea la borsa , ma non guardò s' era quella stessa. Partì per
(andare da) le figlie, allegro e contento, e appena giunse di
fronte (al luogo) devastava, cominciò a dire : — Ehi moglie mia,
siamo ricchi ! E la moglie alle sue figlie : — Sta venendo
lo sciocco di vostro padre ; ora gliela diamo una fila (di ba-
stonate) , che partì per andare a procurare la spesa , e non
porta niente.
Appena che arrivò dentro , lo scarparo cominciò : — Ehi,
borsa mia, esci quattrini, pane, vino quanto basta. Non uscì
niente, e la moglie e le figlie lo pigliarono a colpi di gessi.
Lo scàrparo si prese di nuovo la sporta e sdette (diede per
i paesi): — Racconciamo scarpe ! Nessuno gli affacciava. Si ri-
468 FUBE E LEGGENDE
'U scarparu se campa arriera 'a sporta e sdunà : —
CHmìmu warp' ! Xuddu ghie guacìava. Se gira c"a Sortu.
Gliif cunipanttu una cu 'na mazza e ghie dìssu : —
" Tien zza sia mazza : chiù che ghie dumand' te
duna ,,
E*igghià e se n'andà n' 'a fund^hiera. Como riva d»??.-
— ■ Ehi, mazza mia, niesciu grai, pan, vin quanta ba-
sta , . Mangia , bevìttu e a l' urtenm : — " Elii, mazza
mìa, battu fimmeni, locandiera e tutt' ,. Una che straf...
da fundaghiera, se n'andà o d' 'a so mugghiò nen ghie
se fi vidu echiù.
Nicosia '.
volse alla Sorto. Gii comparve una (donna) con una mazza e
gli disse ;— Tieni (prendi) questa mazza : quello che le dima-
dferaji ti d[ar]à.
Prese e se n'andò dalla fondacaia. Come .arrivò là ; — Ehi,
maitza mia, esci grani (denari), pane, vino quanto basta. Mangiò,
hovve e ali" ultimo: — Elii, mazza mia, batti femmine, locan-
diera e tulli ! Appena che rovinò (quando ebbe fluito di stra-
pazzare la fondacaia) , se ne andò e non si Te' vedere più da
sua moglie.
VARIANTI E RISCONTRI.
È una versione della XXIX delle mie Fiabe sic, ma vi manca
il terzo dono e qualche circostanza. La pubblico per la im- -
portanza del dialetto, del quale non è nessun sa^o nelle mie
Mabe.
n contadino sui 50 anni, e raccolta dal signor
•*'^»:«HMMt
U SCARPARU
459
Per il tipo, aggiungi i seguenti riscontri a quelli notati alle
pp. :2G9-70 del v. I di dette Fiabe : La Via Bonelli, 'U sear-
parittu , siciliana di Nicosia , nell* Archivio delle tradizioni
pop, V. VI, fase. I; Gomparetti, Geppone, n. Vili delle Novel-
line ^ e Giovanni senza paura di Jesi (in parte) , n. XII ; De
Nino, Janne, n. VI delle jPiaòe abruzzesi, e Fin amore, Lu fatte
de lu mattarèlle, n. XXXVII delle Novelle abruzzesi; Neruggi,
La scatola che bastona , n. XXXIV, e II citéchino caca-zecchini,
Ili XLIII, delle Sessanta Novelle montalesi; La fava, n. XXIX
delle mie Novelle tose; Pellizzari, Lu cuntu de lu nanni Orcu,
n. 19 delle Novelle e Canzoni di Maglie; Orioli, Bastuncedu
dirida, n. XXIII de' Contes pop, de Vile de Corse,
4€0
CLVIL
San Binirittu di S. Frareu \
San Frareu si rbilaa. I surdei si partili di Miscina
p' fer sacc e fuoaeh. Cam arrivaen au paunt d' Santa
Hicra, s'inciintraen cu 'na fonina e un maunih, chi ghi
dumanaen ana anavu. — ** A San Frareu », arpunon. —
** Pireo ? , — " P' amazzér tucc i ribiell. „ — " Turnavnu,
eh' in San Frareu gh' è pesg ,. Ma viràin eh' cuoi pas-
sa\^i avant, addàura la fomna arbì u mant e spunzò
la man. Roi virain ch'era l'Argina, s'abbien tucc fece
p' terra, e ghi dumanaen pirdaen.
S. Benedetto di S. Fratello {Versione letterale).
San Fi-atello si ribollò. I soldati si partirono di Messina per
fare sacco e fuoco. Come arrivarono al ponte di Sant'Agata,
s'incontrarono con una donna ed un monaco, che gli (loro) di-
mandarono dove andavano (andassero). — A San Fratello; rispo-
sero.— Perchè ? — Per ammazzare tutti i ribelli. — Tornateveue,
clic in San Fratello v'è pace. — Ma vedendo, die quelli passavano
1 Conservo la «^ralla del Vasi, boncmorito illustratore del suo dia-
letto natale e della storia di quella colonia, che fa parte delle così
dette lotuharde in Sicilia. Parlare a dlumbard per i Sanfratellani,
l)ei Piazzesi ecc. significa parlare nel loro dialetto, come parlare a
ddntin, parlare in siciliano. Vedi , oltre le monografie del Vasi , i
miei Studi di poesia popolare, p. 203. Le ce di sacc (sacco) , tucc
(tutti), fece (faccia) hanno il medesimo suono della e nella voce ciò,
Vh di fuoaeh (fuoco), ma?cnih (monaco) sta di mezzo alla ^ greca ed
al eh tedesco nei pronomi 7nich, dich, sich.
- '■'*»:»*•***■
^-«
SAN BINIRITTU DI SAN FRAREU
461
Gusci San Frareu pi mezz du sa paissaen San Bini-
rittu, chi prihiea l'Argina, ni suffri nudd man.
S. Fratello \
avanti , allora la donna aperse il manto e spinse (alzò) la
mano. Essi, vedendo ch'era la Regina (dei Cieli), si gettarono
tutti con la faccia per terra, e Le dimandarono perdono.
Così San Fratello per mezzo del suo paesano San Benedet-
to, che pregò la Regina, non soffrì nessun male.
VARIANTI E RISCONTRI.
Questa leggenduola, nella quale S. Benedetto il Nero , cit-
tadino e patrono di S. Fratello, libera la sua patria dal ferro
e dal fuoco, è esclusivamente tradizionale in quel comune; e
non ha nessun riscontro nella sua leggenda scritta.
' Raccolta dal Sac. Prof. Luigi Vasi , Vice-Rettore del R. Colle-
gio di Musica in Palermo.
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GLOSSARIO
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GLOSSARIO
^Voci siciliane spiegate secondo il significato che hanno
nel presente volumeJ
à, cuntr. da h la, alla.
A.bbanriiai'i, v. tr., gridare quel
che s' ha da vendere.
-A.bbiari, v. tr., avviare.
-A-bbilutu , add. pari. , avvilito,
confuso.
-A-bbitii, i, 8. m., abito, vestito.
-<\bbrÌHCÌri, v. iutr., far giorno.
A.bhii.scari, v. tr., esser percosso,
picchiato.
A.bilit\iHU, add., che ha abilità.
A.coapii*i, V. tr.^ capire; comp. da
a eapiri. Su questa forma nei verbi
ossèntirij attruvari avvìdiri v. il vo-
lume IV delle mie Fiabe sic, p. 303.
j^ooai*Ì2S25Ìax*i, v. tr., accarezzare.
-A.ooh.ianax'i, v. tr. e intr., salire.
^couddi, avv., a quel modo.
-A-Ocumpàiriri, v. intr., apparire,
comparire.
^coussi, aw., così.
-A.oed.du o oceddu , i , s. m.,
uccello.
wA-ddattari , v. tr., allattare , dar
latte. Il Succiar latte.
-A-ddiimirari, v. intr., ritardare,
indugiare.
-A.ddin.uocliiàx'isi, v. rifl., ingi-
nocchiarsi.
-A-ddivintari, v. intr., diventare,
divenire.
-A-ddu-inari, v. tr., accendere.
-A-dduintiiisoìrisi , v. rifL, ad-
dormentarsL
-A.dduxLà,x*isi, y. rifl., accorgersi.
.Awffaooiai*!, v. intr., affacciarsL
-A.ff arazzi!, i, s. m., dim. di af-
fari, affaruccio , o, semplicemente,
affare.
ingenti, s. f., gente, persone.
.A.gghiàn.n.ara , s. fT , ghianda.
Il Fedi d'agghiànnarit ghiandaia.
-A.ggtiìiT. , (comp. da a jiri, a ire),
avv., verso.
-A^g^liiriooà, avv., da queste parti,
qui.
-A.ggtiiriddà, (= a jiri ddà), aw.,
verso là, colà.
-A^gh-iTOLmari, v. intr., "far giorno.
-A-g^oari o agghicari, v. intr.,
arrivare.
-A-^giao carisi, v.rifl., appollaiar-
si, andare al pollaio.
-A.^graiif ari, v. tr., afferrare, ac-
ciuffare.
.A^gnuui, o 'grillili, s. f., angolo,
cantuccio.
wA-isari, v. tr., alzare. Vedi JiaaH.
.Aita, s. f., età.
Ajeri, avv., ieri.
-Ali va, i, s. f., oliva.
.A.llèstiri e 'llèstiri, v. tr., al-
lestire.
A-llianàrisi, v. rifl., distrarsi.
wAlloou, avv., composto da a locuy
in luogo, in cambio, invece.
wA-Tninirmaliri, v. intr., ammin-
chionire.
'-A-minÌTiixi , lo stesso che dam-
minni, dammene.
-AjM.m.iiooiari , v. tr. , nascon-
dere.
-A-mmuooiuTii, aw., di nascosto,
nascostamente.
-Aj^amuggliiari , v. tr. , avvol-
gere.
-A.XEixxiiixLZÌddari, v. tr., ammuc-
chiare.
•Amniustrari , v. tr., mostrare.
Il — li denti, non voler separé di una
cosa da mangiare.
O. PiTRÈ — Fiabe e Leggende.
30
4CG
GLOSSARIO
-f\.iinai'i, V. iiitr.. iinduro.
-A.iini;ii'i, V. tr. o iiilr., aniioiran'.
^\.iiiLÌri1 l'ti, Jivv., iiKit'iitro. (ItMitro.
brinivi ii;iTÌ, ««clclimiiiai'i,
V. tr., iiiiloviiuiro.
-A.iiiiuiica , avv. , altrimenti. |{ A-
diui(|i]i'.
-A.iiinii'vai'i, V. intr., accecaro.
.^Vnniiia, avv., fino.
-Aiutava, avv., pucanzi.
-£'Vi>pi?55cai'i, V. tr., appcmlt're, at-
tacca n*. !| Pfnlore.
-A.i>pulÌ5C55Ìai'i , V. tr., pulire, ri-
pulir*».
-A.ppunìi'ÌHÌ, V. rifl., opporsi.
-A.pl loi, (S. Lucia), avv.. |m>ì, poscia.
^i*ia, ». f., aria, aere. I| Aia.
-Ai'ic'oUia, i, ri. f.. orecchia.
Gl'ina, i, s. f., anima.] Armi di In
priaforiu, anime del purgatorio, a.
purt^anti.
-^^rrnaluiSTsa, i, s. f., animaluccia,
bestiolina, animale.
An*ancari, (Ragusa), v. intr., an-
dare.
A.ri»ÒKKÌT'i» V. intr., resistere.
A-rrei'i , avv. , di nuovo , nuova-
mente.
A.rTÌoÒ2:<2:h.iri o arrionKJJclii-
l'i.^-si, V rin., rientrare in casa, rin-
casare. ; I Tr., raccogliere.
A-ii'icriarisi, v. rifl., consolarsi,
confortarsi.
A.rrìcliri, v. intr., ridere.
Ari'iiTiinari , v. intr., dimenare,
agitare.
Arrinè.scii'i, v. intr., riuscire, in-
tervenire.
ArrÌHbÌKf;h.ià.rÌRÌ, v. rifl., risve-
gliarsi.
jA.rrivÌROÌri, v. intr., rivivere, ri-
suscitare.
A-rrTispiggiari, (Ragusa), v. ar-
rishigghiariai.
A-rtari, o
A-rtaru, a, s. m., altare.
-A.HSÌT*a, avv., iersera.
A.ssittà.i»isi, V. rifl., sedersi.
Astittari, per aspittari, v. tr.,
^ aspettare, attendere.
àti, avete.
Atorna o a torna, v. torna.
Atria, contr. da àutru, add. e pron.,
altro.
■A-ttintari, v.intr. e tr., origliare,
stare ad ascoltare.
Àutu., add, alto.
A. viri , V. tr. , avere. Pres. haju o
he, hai o hn*^ havi o ha; avemu o a-
vitnu o à,nH o àmnin . aviti o àti o
iVit (Francofonte), hannu o Aanw
(Caltag.). Imp. aveva o ttvia o ava o
limila (Pietraperzia) , aoivi, aria o
arerà o arira , avèvamn o avìamu,
art'raru o arlaru o arìrit, aviattu o
arevanu o avèunu (Ragusa). Pass.
- r ^ i'»r»V nelle
forme: he 'eiri , ho ad avere.
-A.v<>{;Kliia, non fa nulla, non im-
porta. I Nella frase, p. e., Avogghiadi
rirrari, vale : per quanto si cercasse.
A.v\'ld.iri, V. tr., vedere.
B
Uabbu, add., babbeo, sciocco, min»
chione.
J balata, i, a. f, lastra.
Hanna, i, s, f , parte, lato. || Banda
musicale.
lianmi, i, s. m., l'affissar dei nomi
degli sposi , che si fa al municipio
prima delle nozze.
3 bardar i, (Messina), lo stesso che
guardavi, guardare.
J iard-TiiriTi, i, s, m., asino.
'J^bl•ì^soiri, (S. Lucia), v. intr., sve-
gliarsi, levarsi,
Ueinineésiia I ben venga ! benve-
nuto.
Bèniri, per paragoge, bene..
iJid.d.'un.a, add., molto bella; accr.
di bedda.
IBìdiiT., per vìdiri.
Hirlanti, s. m., brillanti.
I3omi, add. buono II avv. , bene II
guarito.
Bottu, i, s. m., botto, colpo. || Bottu
*ntra hottu^ lì per li, subitamente.
Bu.ffu.n.iari, v. tr., corbellare, can-
zonare.
IButtio«d.d.a, i, s. f , dim. di botta
colpicino.
iButtiggliiuni , a , s. m., botti-
glione.
e
C nella forma e' un vale con, pre-
posizione.
Oa» che || ripieno.
Cà, cong., perchè.
Cabbedcla, i, s. f., gabella.
Oafuclclari, v. tr., zombare, tam-
bussare.
Cammarinu, i, s. m., camerino.
Càmmira, o oàmmara i, s. f.»
camera.
j..jr.
■-- »t*r»*»*
GLOSSARIO
467
Oampanaini, a, s. m., campanile.
Canali, i, s. m., tegole.
Oannarozasii, a, s. m., gola.
Cannata, i, s. f, boccale.
Cantarli, a, s. m., quintale, pari
a chilugr. 80.
Canus^sca, i, s. f., cagnolina.
Cappella , s. f. , cappella |( Jirl o
essiri 'n cappella , essere li lì per
venir giustiziato.
Capnociii, i, a, a. m., cappuccio.
Caroài'a, i, s. f., calcara, fornace.
Cavissssa, ii o i, s. f. carezza.
Caii»ated.clii, a, s. m. caratello.
Cai*teclaa, i, s. f. corba.
CaiMiHu, add., e s. m., piccolo, ra-
gazzo.
Cància, i, s. f, cassa.
CaHciolu, a, s. m., cassetto, cas-
sone.
Catina5525u, i, a, s.m., catenaccio.
Cattiva, s. f, vedova.
Catìmiu, s. m., noia, molestia^ bor-
bottamento.
CàTiclu, add., caldo.
Causi, s. m. pi., calzoni.
Ccà o ecani, avv., qui, qua.
Coliiù, avv., più.
Coliiui, avv., più.
Coìtiì, (Ragusa), avv., più.
'Cciii'npr*,i'iri, V. intr., comparire,
apparire.
CciiHHÌ, o 'ccussì, avv., così.
Cliì, cong., perchè.
Cliiamari, v tr., chiamare. .
Cliiànciri, v. intr. e tr., piangere.
Ch-iantari, v. tr., piantare.
Ch.iantu, i, s. m., pianto.
Cliiasisza, i, s. f., piazza pubblica.
Cliistu, add. e pron., questo.
Cliiòviri, V. intr., piovere.
Ciamari, (Ragusa), v. chiamari.
CiànoiiTL, di alcune parlate, pian-
gere.
Ciantu, (Ragusa), v. chiantu.
Ciami, (Ragusa), add. e s. , piano.
Il 'N cianu, nella via,
Cìfaru, 8. m.. Lucifero.
Cileoou, ooiii, s m. , panciotto,
sottoveste.
Cinoiz, agg., cinque.
Cinu.,(Ragusa),per cAinw, add. pieno.
Ciocca, celli, s, f., chioccia.
Ciumi, s. m., fiume.
Ciuncu, add., storpio.
Ciiisoiari, v. tr., soffiare.
Cocclii, v. quarchi.
Cocld.\i, i, 9. m., collo. I Di 'n cod-
du, addosso, vicinissimo.
Corchi, v. quarchi.
Cosa, i, s. f., cosa.
Crapieciusu, add., capriccioso.
Crìatu, i, s. m., servitore.
Crid.iri, v. tr. . credere. Ind. pres.
criju^ cridi, cridi, cridemu ecc. rass.
Crini, cridiati, critti, crìttimu, crid)-
8tipu, crXttiru. Part. pass, crittu.
Crièsia o eresia , ii , s. £ ,
chiesa.
Cristiani! , i, s. m., uomo, e nel
fem., donna. j| Cristiano.
Crivu, a, s. m., crivello.
Cucca, celli, s. f., civetta.
Cucch.iced.cla, (dim. di cucca) s.
f., civettuola.
Cullittina, s. f., ghigliottina.
Cuminèniri, v. intr., convenire.
Cummentu, i, ura, s. m., con-
vento.
Cumin.iggliiairi , v. tr., coprire.
Cummòggliiu , a , s. m. , co-
perchio.
Cun.lìssiunariu, ii, a, s. m.,
confessionile.
Cuntenti, lo stesso che
Cuntentu, add., contento. || Pago.
Custiceclcla i, s. f., dim. di costa,
costicina, costoletta.
Curatilu, i, lo stesso che curatulu,
3. m., castaido, fattore.
Cuomu per comu, avv., come.
»
Daccussì, avv., così.
;i3ari, V. tr. , dare. Indie, pres. (7«-
fnn, duni, duna, dumu, dati, dhnaìin.
mp. dava, davi, dava, dàvamu,dà'
vavu, davànu. Pass, detti o desi, d<t-
8ti , detti o dèai , dèttimu , dàstivu,
^ dèttiru o dèttinu o dèttuHu.
Ddassutta, avv., là sotto.
Dd.ocu, avv., costì, costà.
Ddu, (per chiddu), add., quello.
Dd.u', add., due.
Dduocu, V. ddocu.
Dèssiri, V., essere.
iDicidu per iddu.
X)ijunu, add., digiuno. || S. m.
X)inoeoliiu, a, s.m., ginocchio.
Dunea, cong., vedi 'nca.
I>unni o d.' unni, avv., donde.
Il Da II Dove.
IDunu, i, 0 dònura, s. m., dono.
£
"Éj, contratto da ai, agli, alle. Cosi
nn' é, nei, nelle; dV, dei, delle.
É (S. Lucia), di.
r
WkS
GLOSSARIO
Tallii. ptT p.liM„'«i-r, I-.
I<]lii. lAIi-aiiiiM. {iroii., io.
Kj-swiri, V. inlr., «'ssi-n'. Inlic. pre-i.
Sutfnu *' »*«', mì' f r o fHt o ì-Hti, Me-
tti» Il MJIIIM, Ml'/f, MHMHIf <> HilHU. \\XÌ\Ì.
t-rn ti Jt-rn «» iffi , ^ri , evi u jtiru,
ì-rutHu " jrrainu, ì-t'ucH « J^rncH, e-
l'tfilH O Jì filli U. P.lf».4. /irli, fiiHti, fu,
fnmii i» fuiitmu. ffisririt o f^nfit, fora
Il fi'irvH. Ili alcune {lurlato /■()»•#•.« Sii-
n-lilii', fòi'nonu suremmu.
JE'^ic'oliiii.'i. i. s». f-. soprabito.
F'hkui'Ijì. h. f.. f.iroltà, ])riviie{^iu,
priTo^rativa.
yMiiii«Kliiu, i, si.in.,fainii5lio, stal-
liere.
1*\' HI lincia 1 (Modica), per ftmtiif-
f/hìtty s. f., faiiii|,;lia.
Piataci uni. s. f., faUiifiuiie.
J^^àuoia. i, *«. f., falce.
JHViUHU. aiM., falso.
'ìPi\yiVi'\\\tì\t\i , i , a , H. 111., fazzu-
Ii'tto, p(!//.uola.
Fetida, i, h. f., folla.
JBT'ètLi'i. V. iiitr., puzzare.
'F'iacjcisii'i. V. affarciavi.
l^lt^.ltlii, (Milazzo), V. feiltìa.
yiiiujliiu, i, s. in., figlio.
l<"'ii!:!J:iu. (Ka^^n.saì, v. fiagìn».
P"'il<>c.'cna, i, H. f.. freci-ia.
l-<"'iiu»Ht!Ìfi, i, (Ra^'u.sa^ piT flnfHfvii^
s. f., finestra.
P''iiiÌHtr'Uiii, a. .M. 111., balcone.
Jf iiM'iai'i, V. fm'rinì'i.
Jf ii'i*Lt>lu, a, H. »n.. f«'rraiuolo.
P^ÌHoaUiltTi, i, a, >*. ni., zufolo.
P^òi'^ia, i, s. L, fucina.
ITi'ali, f*. in., fratello.
yi'ì.ii'i, V. ir., frigt^erc.
yuoulaiMi, a, «, ni., focolare.
l»"*!!!,!'!'!, V. iiitr., fuggire.
li^ui'i'iiii'i, V. Ir., girare.
Gf»T55Tini, a, s. in., servo di cam-
pagna. !| Colui che mena la bestie
da aonia o attende al governo di
e.sse.
Grastiiria, i, s. f., imprecazione.
Q-àiitu, (proceduto da a, e, è, ti, 'w)
add., alto.
Griarra, i, s. f., coppo, orcio.
Griucou, 8. m., pollaio.
•Gt-iiuraTiza, s. f., ignoranza.
Grratletta, i, s. f., graticcia.
GrradigKliia, i, s. f., graticola.
Gri'aiilli, add., grande.
Grràpiri. v. tr., aprire.
Gri'àvita. add. fein., incinta.
Cà-rìttn. aiid., diritto.
Gruoeitldatu , a, s. m. , paae a
ciambella.
Gru rami, (preceduto da «w), a, a.
m., grano, pari a contesimi 2 di lira.
Ourpi, !*. f., volpe.
lautn. (Ragufia), v. àntu.
Idclu, i, pròn., egli.
Intra o .iinLtra,avv.e prop.,dentro.
«Tàprii'i, (S. Lucia), v, iffàpiri.
iTàntii, add., alto.
tTènnaru, i, s. m„ genero.
tTiccari, v. jUUin.
Jìnoliii»i, V. tr., riempire.
'«Tinoocliiu, i, a, s. m. ginocchio.
.Tiri, V. intr., andare, ire. lud. pres.,
Pfli/«, rai^ ru, /atiiu ojimu, (Ragusa),
Jiti, canMK.lmp. java ojia, jacijava
o Jira o Ji(tj Jàcamu o jiamM, Jàra-
rit oj)nrn,j<ivami o fianu. Pass. Jivi
o Jint (I U' w ji\ Jicti, ij» o jiu o Jì,
Jainu ojemu ujeinmu, Jìsiini oJlHu,
jerit o Jint o tmi (Galtag.) Purt.
pass. Jittu.
.Tinari, v, tr., alzare.
Jiltari. V. tr., gettiire.
tTù-Ticli'i, V. ir., aggiungere. || Arri-
vare, pervenire.
Junciutu, add. pari., unito.
•TiiHU. avv., giuso, gi£i, abbasso.
Jjapnnii a, s. ra., pecchione.
I^aHHari, v. tr., lasciare, J| Nhu laa-
8ari pi cut'tu , non lasciare un i-
stante.
ILiavTirari, v. tr., lavorare. || Àrara
T^avuri, s. m., seminato.
IjSlzzm, ±1 9. m., laccio.
J^emiTi'ii, i, s. m., catino, concola.
Jjitàiiia (a), avv., in gran numero.
Xiittut iy (Siculiana, Fietraperzia)
per lettili s. m., letto.
T-iuoi» 8. m., fuoco.
INE
IVEaoàrii avv. e cong, anche, pure.
IMacliinlari, v. tr. e intr., mftcchi*
Ilare, almanaccare, &ntasticare.
I
M
1
GLOSSARIO
469
crira, s. f., ed anche adcL, strega,
iarda.
ciHteviTa, s. m., affare, intrigo,
arazzo.
loiiitiiTa, i, s, f.. mangiatoia,
iiiai'u o iiiùnn.ix*a* i, s. f.
idra.
mari, v. tr., mandare.
Ttaoia, i. s. f., mantice.
•iriu, s^- m-, marmo.
•irnira, j^. f-, marmo.
.•i'ùs;kì"'i» i» ^- "^-j bastone,
colili i, i, 9- m., maschio. || Ma-
».
=<ÌTiiir), so no, altrimenti.
;ra5555a. i, s. f, peggiorativo di
ri, niadraccia.
a, i, s. m., mago, stregone,
n'osgl^i^»» i> a, s. m., imbro-
), imbarazzo.
ritiri, V. tr., mettere.
ri55\i, H.ni.,metà. || Mezzo. |l Espe-
nte.
pron., mo. il (Messina) riempitivo,
.1 Iiiàbe bic, V. I, p. CGX, § 5.
ìggiri, (Ragusa), avv., meglio.
ina, i, s. f., mammella.
?caTi%ia, ii, s.f ., mercanzia. |1
§ozio, affare.
;ati, s. f., mela.
ciantièTiii'i, per mantènirii v.
mantenere, sostenere, alimentare.
Tieiissii, cunip. da '« in, men-
, mezzo.
iTiidia, s. f.. invidia.
milinari, v. Ir., avvelenare.
3.ir*è, V.
aii'einiTia, avv., pure, ancora,
ulesLinainenlo.
iiiiria, v. ili in) dia.
ainoai'i, V. tr., mescolare.! |Av-
atare, dare, zombare. || (S. Lucia ,
lazzo), V. intr. e tr., unirsi, aver
fare. |1 Urtare,
mitari, v. tr., invitare,
mu-coa, comp. da 'n in , viicca
:ca. I) Sina 'mmticca , fino alla
:ca.
tniicciari, v. ammucriarì.
nurmu.riàrisj. , v. rifl. , bor-
•ttare.
rmascàrisi, v. rifl., imboscarsi.
(S. Lucia) buscarsi, guadagnarsi.
>cld.u, add., molle, morvido.
>rix*i, V. intr., morire.
>rriri, (Ragusa), v. mòriri.
>rsu, i, a, (Milazzo e S. Lucia),
m., pezzo (fr. morceau).
paj ari, v. tr., attaccare, e dicesi
>i cavalli, dei muli, degli asini.
G. PiTRÈ. — Fiabe e Leggende,
'M!pìnoiri, v. intr., incagliare.
IVIunistari, v. tr., molestare.
MiTinitola, 8. f., piccola moneta
d'argento.
IVIiirLTiari, v. tr., pulire.
M!uTizecl<iii , a. s. m. , mucchio,
monticello.
IVCiartarii, a, s. m., mortaio.
M!ussi2, i, a, s. m., muso || Grifo.
BT
'N"a, per aferesi, una. *
Nanna, i, s. f., nonna, ava. |j Vec-
chia.
'Nantioch-ia, avv., un pochino.
'Napoon, pron. plur. (composto da
'na II una, e pocw), alcuni, molti, un
certo numero.
Nasi, avv., si.
'Nca, cong., adunque, dunque.
'Ncantin^, i, s. f., cantina.
'Nch-ianari (S. Lucia), v. intr. e
tr., salire. V. accfUuuari.
'Noliiìijri, V. tr., chiudere.
'ZNTciÉSnnsu, add., ingegnoso.
'Nougnai'i, V. tr. e intr., avvici-
nare, accostare.
'N"d.i o 'ncìa, prep., da, in.
Nèsciri, V. intr., uscire, Part. pass.
niscitUu, uscito.
'Ntìlari, V. tr., infilare, infilzare.
•Ntìrari, (Galtagirone), v. 'ufilari.
'Nfìna, avv., fino, sino.
'Nga, (Ragusa), v. 'nea.
'JSTgaggliiari, v. tr., incagliare.
•NgraHoiatn , add. part., insudi-
ciato, sudicio.
'JSTguantera, i. s. f., vassoio.
Ni o uni, prep,, in. || Ne.
Niatri, V. nuatri.
Niàntri, v. muttri.
Niou, add., piccolo.
'Nnimali, (S. Lucia), s. m., ani-
male.
Nin (Nos^oria), lo stesso che nun.
Niscìpulu, i, s. m.. Discepolo, uno
degli Apostoli.
Niula, (Modica), per nu(;fiZa,nuvola.
Niuru, add., nero.
Nìvirn, (Ragusa), v. nìuru.
Nna, vedi nni.
'Nna, per aferesi, una.
'Nnapoou, (Galtagirone) , v. ^na-
poeu.
Nni, prep., in. Ecco le preposizioni
articolate che essa forma: nni lu o
nn' 'li , «n' d , nel; nn"o o nni o ni
ÌOt nella; nn' 'i o nni U\ nei« negli,
nelle. || Pron., ne.
31
■ t
470
GLOSSÀRIO
'J^niTnirm, i. ». m. , indovinello,
eni^iiicL.
•K"!!» Il nani, avv., indomani, do-
inuiii.
•iN'ua.iai'i. V. tr., prò varo, e si dice
I j>(>r lo {li il di uhitL
•N'Mt'iTnila, (Francofonte), v.
*N">*<"'i 111 nula, avv., insieme.
•K'h ignari. V. tr., insegnare. i|In-
dirart-, additare.
'Nniiia. 'iiHinu, 'nfina, *iifi-
Ti\i, avv., lino.
'J^Hiiiiiiaccliiat-u, add., sounoc-
chidSn.
•N'HunTiriin.Hi, V. rifl. sognai ».
•Ntti, 'ntra, 'ncla, 'ncii , nna.
Tini. Jivv. e i»rej)., entro, dentro, il
Tra II In.
*JN"tiiina, i. J*. f; antenna.
'!N'tTa^Jat^»T^.Hi, v. rifl., trasalire.
*!N'ii. «Hajriisa), per uh.
Nnati'i. cnnip. da tiui e aufri, noi
altri, niii.
Nndtlii, add. e pron., nessuno.
Niin, Hvv., non.
rN'vsòinirnila, a^-v., insieme.
'K'ssiiiKai k1iì> «• f. , insegna, se-
gna U*.
'Isr«:ÌT't ari, v. tr., indovinare. || Col-
pire, dare nel segno.
'Nzouou, lo stesso che zoecu.
o
<5, sta per » 7ii, al. Nella parlata di
Ragusa <J'6 , del.
OooUii:i, i, s. m., occhio.
Oooiu. (Ragusa), v. occhi u.
Oiri\i, i, 3. m., uomo.
On. , vah; a un , in un , da un ecc. ||
(S. Lucia), un.
Osonnò, (Ragusa), composto da o
ae no.
'Ota. per vota, s. f., volta, fiata.
I*aooaTÌat"u, add. , senza denaro,
spiantato.
I*aclecl<la, i, s. f., padella.
iPagKliialora. i, s. f., pagliaia.
!PagKliÌT iTied.d.n,a,i,(dim. di pag-
ghiuni), s. m., pagliericcio.
!Pavi ari, (Ragusa;, per ^aoari, pagare.
JPalsiZxu. f i, s. m„ palazzo, per lo
più reale.
IPalora, per metatesi, invece di par-
rolch parola.
IPamiieri, s. m., negoziante o ven-
ditore di panni
l'ari nizzn, i, s. m., pannicina
IPiU'àujKiii i>arigKÌu, add.,pario.
Ir*ari":ifc*trai i, s, ti, madrigna.
Ir*ai*ririu, i, s. m., prete. I| Padrina
iPàrtli'i, v. iutr., iiartire. Part. pass.*
paè'titlu.
iPawHtiKÉàii . i» 8- ni. paif saggio, n
Fatto, accaduto, aneddoto.
iPati*ai55«n, i, s. m., accr. di patri»
padraccio.
I*i, i>i>i, pir, pri, prep., per,
I^ioc*a, avv., e add , poco.
iPiccUì, cung. e avv., perchè.
Piotriliddu (Naro), v. pleciriddu.
I-*iooi<.>ttni i, s. m. e add.. giovane.
Ir*iocii'i("ld.u, i, s. e add., Piccolino,
banibin<i.
Ir*icoiuli, s. m. , pi., quattrini, de-
naro. Il Monete di rame.
!Pifi:f2;liiari, v. tr., pigliare.
I'ÌK«iari, (Ragusa), v. pigghiari.
!PÌKJni, s. m., pino. || Pina.
l^iKiiatedcla, i, s. f., pentolina
Ir*ilài'ÌKÌ, V. rifl., pelarsi, strapparsi
i capnlli.
!Piii.'-<ai'i o pin.5sai»i,v.tr.,pensare.
l'in55ÌtlclT255:«u, i, a. m., pennel-
lino fdim. di 'pimeddu, pennello).
IPipilitri, V. mtr., zittire.
!PÌKOÌa5555a, s. f., piscio, urina.
IPittei'ra, i, s, m.^ terrazzo.
Ir*Ì5555u, i, s. m. , pizzo, punta , e-
stremilà.
!PÌ5«5«5iulclii, i, a, s. m., dira, di
pL'zzn, jiozzetlo.
!Poou, avv., poco. || Add., quasi sem-
pre invariabile , poco. || 'Ka pocu o
Hapocu, vedilo.
!Pl>i, prep., per.
I*rèM o pre.iu, s. m. , giubilo. \\
Fari preu, far festa.
!Pri, prep., per.
Priocliì, cong. e avv., perchè.
iPri^iai-i, v. tr., pregare.
P*2»oiTti, o proixtu, add., pronto.
Propria o pròpia, avv., affatto.
Il Propia propia, assolutamente, del
tutto.
IPropi'iu, add., proprio.
!Pij<ld.icin.ii, i, s. m. pulcino.
iPiioi, per 2>oi, avv.. poi, dipoi,
l'urei, s. m. , pulce. Jl lf««ri«/ un
puvr.i 'il testa, mettersi in cuore di
di fare o avere una cosa.
IPurta-Htru, (Ragusa), portaste.
I*uru , avv. e cong. , pure , anche,
altresì.
IPutiai'u, a, s. m., bottegaio, ven-
ditore di frutta.
iPutiri , V. tr. , potere. Indie pres
■ *
GLOSSARIO
471
',ph,putemu oputitnmu (Cal-
titiyponnuo ponu (Francof.^.
?va o putia o putiva , putivi,
putit'a o putia; putèvamu o
piitìavu, putìanu o puteva-
potti, putisti-, pota , pòtti-
ifivu, pòttiru 0 pòttinu.rr^.
zza, possa, pòzzamu, possia-
aru possiate, phzzanuy pos-
Qdiz.pres. purrla o purriasi.
5S. pututu.
cldu , (Ragusa) , v.
tlclix , add. e sost. , pove-
•vero.
i, s, m., pozzo.
lì, add., qualche.
lì, add.. qualche.
ta, i, s. f, calzetta.
R
, add., grande.
f., rena, arena,
ziu , ii , s. m. , ringrazia-
1 , i , s. m. , principe reale
rio.
iTied.cin, ì,a, (dira. dirw6-
. in., piccola sottana.
tecldii, i, a, s. m., (dim.
), sacchetto,
•i, V. tr., salassare.
,11, i, s. m., sandalo,
•ì, V. tr., serbare, conserva-
vare.
tta, i, s. f., salvietta,
ta, i, 9. f-, salva.
, scili , (invece di ciaseu) ,
asco.
V. intr., saltare.
i, a, s. m., salto.
Loari, V. tr., spalancare,
li tu., i, s. m., bandito,
ni, a, s. m., urtone , colpo,
utu, add. part., sbigottito^
ri, V. tr., vendere a prezzo
IO , anche al di sotto del
lari, V. tr„ sbranare.
:nat\a, add., svergognato,
biliari, V. tr., sciogliere,
.ari, V. tr., scambiare,
alìari, v. tr., mettere in so-
Soantàrisi , v. rifl. , aver paura,
impau rirsi.
Scantu, 8. m., paura, timore.
Soappari, v. intr. , scappare. || An-
dare, semplicemente.JI Venire.
Scatinàrisi , v. rifL , lasciarsi li-
bero. Il Avventarsi.
Scliettu, add., scapolo.
Sdiinii., i, s. m., schiena.
Soh-ittu., add., semplice.||Fu»< aehit-
tUy pane asciutto , senza compana-
tico.
SoiiiTiii:*i, V. tr. e intr,, scendere.
Soippari^, V. tr. , spiccare.. || Sradi-
care, sbarbicare, spiantare
'Sciri, di alcune parlate, v. intr., u-
scire.
Soiiimarariz , i , s. m., uno ad-
detto a traghettare od a passare per
le fiumare uomini e cose.
Soiuini,(Ragusa), per^cmmi, s. m.,
fiume.
Sciiirtranat-a, (Ragusa), per afut"
tunatu, sfortunato, sventurato.
Scravagghiti , i , s. m. , scara-
faggio.
Sou.ma, s. f., schiuma.
So\i.mmiggh.iai*i , v. tr. , sco-
prire.
Scurari , v. intr. , imbrunire , far
buio.
Scyirata (A. la), avv., sull'imbru-
nire.
Soùsiri, V. tr., scucire.
Sd.ivaoari, v. tr., riversare.
Sdrivigliàrisi, (Frizzi), v. arri-
sbigghiàrisi.
Sensìbbiri, fCaltagirone) , add.,
sensibile.
Sènsiu., V.
Sènziu , ii , s. m. , senso , intel-
letto.
Setti , add. , sette. || Fari lu setti a
forza , far checchessia per forza,
striderci sopra.
Sfilila, s. m., desiderio.
Sfìrniciàrisi o sfurnioiàri-
si, V. rifl., scervellarsi.
SfiLmiciiasu, add., pernicioso.||Dif-
ficile, inestricabile.
Sfìrrari, v. intr., abbandonarsi a
una passione , capriccio , abitudine
ecc.
SfViggh.iari, v. tr., sfogliare.
Sgag^giatu, add. part., sgabbiato,
mori di gabbia.
Sgroppu, a, 8. m., fuscello.
Si, cong., se.
Sicldiàrisi, v. rifl., seccarsi, infa-
stidirsi.
472
GLOSSARIO
'Siennu o '38exixiu,gerund., ea-
senda
billetta, i, A. f., vaso da notte.
Sina, avv.. fino, sino.
SinKaliai^si, v. rifl., mettersi be-
ne a mente.
Sìpàlan i, 8. f, siepe.
Siti • 8- f- 1 sete. I Siete (dal v. es-
sere).
Sooclii o BO oliif preceduto da km,
vaie qualche cosa, an poco.
Spacut 9- ni„ spago.
Sparas:!^.!!. add., dispari, che non
ha l'eguale.
SparpuKK^ia-tu, add. pari, spar-
pagliato.
Spàrtiri, v. tr., dividere.
Speroiagai, s. m., forasiepe, uc-
cellino noto.
•Spertia. add., esperto, scaltro.
Spignari. v, tr., disincantare, e di-
cesi de' tesori, secondo la credenza
popolare, incantati.
Spijari, V. tr. , sipiegare. || Doman-
dare, interrogare, l' Interprotaro.
Spiroiari . v. intr. pn.ii, . curar.-i,
aver a cuore, importare, j' Aver vo-
Spirìri, V. mtr., sparire.
Sp\iTitai'i, V. intr., sipponro.
Sp-UHsèairi, V. tr., ti.n--..i j. -.•:--
sesso, impoverire, spiantare.
Squaclàri . v. tr. , dare una prima
ebrevo bollitura.
SquaggliiaiT., v. intr., squagliare.
Il Tr., divorare. || Ridurre al nulla. !
•SsignaiT., (S, Lucia), per usfiitfn'f
ri, o "naignari, v. tr., indicare, addi-
tare.
•Ssirì, (Ragusa), v. essivi.
Stapia, (Ragusa), v., stava.
Stari, V. intr., stare. Indie, presente
9tajUt stai o sta , sta , stamu, stati,
atannu. Imp. stava ecc. Pass, stetti
o stèsi, stasti, stetti o sthi, stèttimu
o stèsimu, stàstivu, stèttiru o stH-
iunu o stèsinu.
Strania (A. la), modo avv.,in luo-
go estraneo, in paese straniero.
Strapurtari, per metatesi, tras-
portare.
Strasoinain, v. tr., trascinare.
Strasciniarisi, ( Modica ), per
strascinarisi, v. rifl., trascinarsi.
Stratuni, a, s. m., stradone, gran-
de strada.
Straz asari, v. tr., stracciare.
Strinoiri, v. tr., stringere.
Stu, add., questo.
Stiajari, v. tr., forbire.
Stunari, v. intr, sorprendersi, jjln
grullirc. Ij Stordire. || Stonare.
Su, (Ragusa), v. *i*.
Suoiitati, s. f , società, compagnia.
®ùgglii\i, i, s. m., subbio.
Suprajuri, add., superiore, mag-
giore. "
Supraniari, v. tr., .s )vraneggiare
dominare.
Sùrgiri, (Milazzo, S. Lucia), v. tr..
alzare, sollevare.
Siiira. i, 8. f , la pancia del tonno
o di altri pesci.
Susirisi, V. rifl., alzarsi, levarsi
Susu, aw., su, sopra.
T
Taccia, i, s. f, bulletta.
Tajmari, (Ragusa), per tagghiari,
tagliare.
Taliari, v. tr., guardare. Imp. uO^
o tajà o taiia, guarda.
TaiT., s, m.,antica moneta siciliana,
pari a centesimi 42 di lira.
''.riiiii'iisi, V. rifl., trattenersi
Tinti! , add., cattivo.
n."'ii*.MTÌ, v. tr.. tirare, trarre.
Tii'tlinax'i (tri dinari), antica mo-
neta siciliana, pari a 1 ceni di lira,
qi;;.-i.
Torna, (IS. Luc.in), avv.. di nuovo,
nunvanu'iito. :, Add., altra.
Tivìi'i, »Ra;.'usa/. v. tirari.
Trìdicji. add., tredici. .. L'iaw^W '«
fn'ffif'ì, lasci;iri- in a^:»o.
rJ^iint'ai'i, V. tr., tui-caie.JIutr., fare
al lucco, cuiilarsi.
Tùiniiiiini, i, a, s. m., tomolo,
antica luisina do.rìi aridi, nari a li-
tri 17, 1, 9:ì
TCuppuliari, v. tr., bussare.
Tuttidui, pron. , tutti e due, en-
trambi.
IJ
XJcoliiari, v. tr., adocchiare.
XJmitii, add., umido.
"Crnimira, i, s. t, ombra.
*XJn.. aw., non.
'XJnca, vedi 'wca.
TJnciri, v, tr., ungere.
XJnd.i, (S. Lucia), avv., dove.
TJnza, i, s. £,, onza, antica moneta
siciliana, pari a L. 12,75.
TJomininii, i, (Ragusa), v. omu,
TJortlini, a m., ordine , comandar
mento.
■ j
I
1
\
GLOSSARIO
473
i, s. f., vampa, fiamma.
ed.d.\i, i, a, s. m., dim.
panchetto.
:, s. m., banco,
iji, i, s. f., vicolo,
i, (Ragusa), v.abbanniari.
(S. Lucia) , V. ir. , guar-
>ad.d.i, s. m., scialle.
L,a, s. m., barile.
r. tr., baciare.
., avv., altrimenti.
a (di pani) , s. f., fo-
.ta» i . s. f., bastonata,
col bastone od altro.
ituì, a, s. m., grande pa-
( Ragusa) , s. e add., vec-
lessina), s. t, guerra.
•on., voialtri, voi.
tr., vedere. || 'JStraun vì-
ri,m un attimo. Ind.pres,
vidi, videmu, viditi, vidi'
u. Imp, videva o vtdiva o
ivi , ecc. Pass., vitti o vi-
, vitti o visti, vìttimu, vi-
ridtstu, vìttiru o v)ttinu
Part. pass, vititu, vidutu.
► vèstia, ii, s. f., ani-
3ma.
V. tr., vendere.
ro; preceduta da he (ho),
Ragusa;, vedi vìdiri.
"Vistiaini, s, f,, bestiame.
Vitid.d.U55zn, i, (dim. di viteddu),
s. m., vitellino.
"Vi viri, V. tr. e intr., bere. Paaa.
vippi , vivisti , vippl , vìppitnu, vivì^
stivu, vìppiru o vlppinu ovìppuru o
vìppuHu.
"Vò' o vo'. vuole.
"Vota, i, s. t, volta, fiata.
■Vroooioli, s. m„ broccoli.
"Vrod.li , s. m., brodo.
Vudeddu, a* s. m., budello, in-
testino.
"Vnliri , V. tr, , volere. Ind. pres,
vògghiu, vói o f d', voli o vb*i vulemu
o vòmmu, vuliti o 'tHitit vonnu. Imp.
vuìeva o vulia o 'tdia ecc. Pass, voait
vtdisti o *idi8tit vosi , vòaimu , vuU-
ativu o vidUtu, vòsiru o vòainu.
"Vuòsciu, ('Ragusa»), per vosin*, vo-
stro.
"Vurdinaira v.
"Vurdnnaru . a , s. m. , mulat-
tiere.
"Viirssa, i, s. f., borsa.
z
Za, contr. da zia, zia. Vedi «u.
Zimmili , a, s. m. , sportone, ce-
stone, bargelle.
Zita, i, s. f., sposa, fidanzata.
Zò, pron., ciò, quello.
Zocoix, composto da zo e chi, ciò
che, quello che.
Zu, contr. da ziu, zio , nome che si
dà ad uomini volgari come facchini,
zappatori ecc.
\
FINE.
/
J
i
INDICE
DEL PRESENTE VOLUME.
Dedicatoria pag. v
Afwertenza „ vii
Spiegazione di alcune voci di differente significato
nel presente volume „ xvi
*
SERIE PRIMA..
I.
IL
III.
IV.
V.
VI.
VII.
vili.
IX.
X.
XI.
XII.
xni.
XIV.
XV.
La Rigginedda chi s' avia a mari-
tari „ 1
Lu Gacciaturi (Variante) . . » 6
Lu latru „ 9
Li tri cani „ 15
Li dui palummi 'nfatati ... » 35
Li dui frati fidili „ 45
Donna Poppa e Donna Tura . » 51
La bedda picciotta „ 59
La Riggina superba » 64
Lu Re superbu „ 70
Lu figgiu di Re „ 75
Patri Donn'Antuninu Piscila . „ 84
La picciotta povira ^ 89
L'ocidduzzu „ 92
Fusiddu „ 97
Cicirieddu » 107
476
XVI.
XVII.
INDICE
Pìripicchìu
Sennu, Giudìziu e Gornu.
SERIE SECONDA.
pag. 117
n 11»
xvm.
XIX.
XX.
XXI.
xxn.
xxin.
xxiv.
xxv.
xxvi.
xxvii.
xxvm.
xxix.
XXX.
xxxi.
xxxii.
xxxiii.
XXXIV.
XXXV.
XXXVI.
xxxvn.
xxxvm.
xxxix.
XL.
San Micheli Arcancilu e lu Qfaru , 123
Adamu ed Eva , 1^
Re Salamuni e Sapienza. . . , 127-
Salamuni e Marcorfd .... , 12ft
La Matri Sant' Anna chi vulia jiri a
lu tempiu ^ 133
Pirchì Sant' Anna 'un havi la so fe-
sta ,136
S. Giuseppi e lu pilu di minna . „ 137
S. Giuseppi e li picurara . . , 138
Li tri Re ... • .140
La Bedda Matri e li rosi e xiuri , 142
Li luppini e la Madonna. . . , 145
Gesù Cristu e la Jinestra. . . „ 147
Lu Signuri e lu munnu ... „ 148
L'occhi di li \iddani e lu Signuri. „ 150
Li tri jorna di lu picuraru . . „ 152
Lu mestru scarpau e Sentu Petru „ 153
LuviddanuginirusueluMaistni „ 155
Lu Maistru e li spichi .... „ 158
Lu Maistru e li lapi „ 160
Lu Vènnari ^ 163
L'angunia di Tavaru e S. Petru. „ 164
L'occhiu di lu Signuri e S. Petru „ 166
S. Petru e lu vacili d'argentu . „ 168
- .»*..•.
XLI.
XLII.
XLIII.
XLIV.
XLV.
XLVI.
XLVII.
XLVin.
Lvin. bis
XLIX.
L.
LI.
LII.
LIU.
LIV.
LV.
LVI.
LVII.
LVIII.
LIX.
LX.
LXI.
LXIL
INDICE 477
S. Petru e lu nuciuni .... pag. 170
Lu pignu e lu nuciuni (Var.) . „ 172
Lu pedi di pigni e lu pedi d* agghiàn-
nari (Var,) , ivi
S. Petra l'aprocchi » 173
S. Petru e lu pamnu .... » 178
Lu cumpari di S. Giuvanni e S.
Petra « 180
S. Pietra e so cumpari ... , 183
La sora di S. Petra „ 185
Lu mastru supra tutti li jnastri . „ 186
Mastru Franc^^cu e V ancilu fintu
scarparu . „ 190
S. Pietru e lu scarparu (Far.). , 194
Lu Maistru e lu burgisi ... , 197
L'armali chi pàrranu .... „ 202
Lu tistamentu di lu Signuri . „ 206
Sant'Antria . „ 208
Lu Signuri di Luca „ 215
Turi, dammi 'i dinari (Var.) . » 220
Lu picciriddu divotu .... „ 222
Li dui vurdunara „ 226
h' Ancilu e la Morti « 231
S. Martinu „ 235
La Limpia di Sant*Agàti. . . „ 237
Santa Barbara » 239
S. Galòjaru. „ 241
La vutti di San Giurlannu . . „ 243
S. Giuseppi e lu so divotu . . „ 247
La Bedda Matri di la Cava. . » 252
La Madonna della Rocca ( Var.), » 253
478
Lxm.
LXIV.
LXV.
LXVI.
LXVIL
Lxvin.
LXIX.
LXX
LXXI.
Lxxn.
INDICE
Maria di lu Ponti pag. 255
La Madonna di Gibilmanna . „ 259
La Madonna di Trapani . . , 261
Lu Grucìfìssu di Murriali . . , 262
La Madonna di P Udienza . . , m
La Madonna di la Nivi ... , 263
Maria di lu Munti .... , ivi
La Madonna di Libera-inferni. „ 264
L'ossa di Santa Furtunata . „ ivi
S. Maria della Scala in Messina , 265
La Madonna di Gulfi in Ghiaramonte „ 266
La -SS. Nunziata di Ficarra . „ 267
S. Maria di Gffiù nella Terra di Gasta-
nfa di Naso , ivi
La Madonna della Grazia, della Ga-
stanèa , ivi
S. Maria di Gustonaci in Monte S.
Giuliano .268
Nostra Signora dall'Alto, fuori Polizzi „ 269
S. Maria del popolo in Marsala , 270
La Madonna di Dinnammare in Mes-
sina „ ivi
SERIE TERZA.
'U pisciàru ,.271
Giustizia è morta » 275
Lu sciurtunatu „ 276
Chiddu di rova vugghiuti . . .280
Lu Re e la fìgghia di lu mircanti „ 283
Lu patri chi fìci tistamentu . . „ 286
Cumpari Cricchi e Cumpari Cuoccu „ 289
Firrazzanu e li latri .... „ 293
-i-.j
LXXIII.
LXXIV.
LXXV.
LXXVI.
Lxxvn.
Lxxvm.
LXXIX.
LXXX.
LXXXI.
LXXXII.
Lxxxin.
LXXXIV.
LXXXV.
LXXXVI.
Lxxxvn.
Lxxxvm.
LXXXIX.
xc.
XCI.
xcn.
xeni.
XCIV.
XGV.
XCVI.
INDICE 479
'U Re d' 'i dudici cincati. . . pag. 295
Lu scravagghiu » 297
'1 cucuzzi , 300
Don Libranti e Donna Miliini. „ 304
La viddanedda maritata. . . , 307
Giaramiintanu, cciù! .... „ 308
L'Ecce-Homu ca parrà ... „ 310
Lu Ballafranchisi » 314
'U G'ssèr (Var,) » 316
Giufà e la Giustizia „ 317
Giufà e lu friscalettu .... „ 319
Lu marinaru (Var,) .... , 320
Lu dubbiu di lu viddanu di MènMci „ 321
Lu porcu e lu viddanu ... „ 324
Lu parrinu maliziusu .... „ 325
Lu cavaleri e li tri soru ... „ 327
Li monaci Cappuccini. ... » 330
Lu viddanu eh' 'un vulia zappari. „ 332
Pensu e ripensu „ 333
Lu tignusu, lu rugnusu e lu vavusu „ 334
Tre omini in barchetta ... „ ivi
La varva franca „ 336
Lu monacu e lu fìlu di lu munnu „ 338
SERIE QUARTA.
La Sicilia » 339
Sicilia sciurtunata „ 344
Comu lu Papa Uvau la scuminica a
la CiciUa » 346
Palermu , 348
480
XGvn.
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XGIX.
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GII. •
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CIV.
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GVII.
CVIII.
CIX.
ex.
CXI.
exii.
CXIII.
CXIV.
GXV.
CXVI.
CXVII.
INDICE
Gugghiennu lu Bonu e Gugghiermu
In Malu pag. 350
Lu gran tisoru dì la Zisa. . . , 352
Li tri donni marci - e-bbinni . , 355
La Tavula di Baeli , 356
Lu Passu di lu picuraru ... , 358
La truvatura di Beddumunti . , 360
Munti Scuderi .• . „ 361
La stona di lu Gialanti e di la Gilan-
tissa „ 363
La storia di lu Gialanti Pisci . , 365
Gola Pisci ,368
Gola Pisci (Var.) ,369
Gola Pisci (Var.) ,370
Lu Marinaru e la Sirena dì lu mari
(Var.). . . . ■ ,371
La storia di Don Giuvanni d'Austra , 373
'I cientu Puzzi , 374
L'Ebreu di la Grutta d' 'i Funnacazzi , 376
La Ghiusa di S. Giuvanni. . . , 378
La Ghiesa di Santa Margarita . „ 379
La Grutta di crapa d'oru. . . ,381
SERIE QUINTA.
'U Lupu eh' aramazzau 'a jimenta e 'a
mula „ 383
La Vurpi malantrina .... „ 385
L'Acula e la Cucca „ 387
Lu Riiddu „ 388
L'Acula e lu Riiddu ( Var,) . . n ^^
La Musca e lu Lapuni. ... „ 390
INDICE
481
CXVIII.
CXIX.
CXX.
CXXI.
CXXII.
CXXIIL
CXXIV.
cxxv.
CXXVI.
CXXVII.
CXXVIIL
CXXIX.
GXXX.
GXXXL
CXXXIl.
CXXXUL
GXXXIV.
CXXXV.
CXXXVI.
CXXXVII.
cxxxvm.
CXXXIX.
Lu cunsigliu di li Surgi . . . pag. 391
Lu Surci e lu Gaddu .... « 392
Lu Scravàgghiu e la Fretta. . „ 393
La Prèsela {Var.) „ ivi
Pirchi lu Signuri manna' li pùci ^ 394
Li Purci {Var.) ^ ivi
Li PìiUci (Var,) , 395
Pirchi si chiama Cacamarrùggiu » 396
Pirchi la Taddarita havi la 'friggi di lu
diavulu „ 397
Pirchi lu Sceccu havi la cuda . » 398
Pirchi lu Sceccu havi l'aricchi longhi „ 399
Pirchi lu Sceccu ciara lu plsciu » 400
Li Scecchi (Var.) «401
Pirchi la Scecca sta prena tridici misi „ 403
Pirchi lu Porcu havi la fùncia . „ 404
Lu Sceccu e lu Porcu .... „ 405
L^Apa „ 407
La Pecura e la Lapa „ 408
La Cicala e la Furmica ... „ 409
Lu Maruni e la Gira .... „ 412
Lu Sènsiu di Tomu „ 413
Lu Vecchiu e la Morti .... „ 414
Marzu e la Vecchia ^ 416
Marzu si fici 'mpristari tri jorna di
Aprili » 417
Marzu {Var,) » 418
La stidda di lu vujàru. ... » 421
La stidda di lu vujaru {Var.) . , ivi
Fra Gola 422
A82
INDICE
SERIE SESTA.
CXL. Fidi mi caccia, no lignu di varca, pag. 423
CXLI. Pr' un puntu Martinu persi la cappa „ 425
CXLII. Ddiu nni scanza di peju! dici la crozza
di morti! „ 426
CXLIII. Finii! lu tempu chi Betta filava. „ 427
CXLIV. Lu gabbii junci „ 429
CXLV. Soni e canzuni su* comu lu ventu. „ 430
CXL VI. Si scanta di lu bicchi-bacchi, e nun si
scanta di lu tira-e-stocca . . „ 432
CXLVIL Dintra Maria!... Fora Maria! . „ 434
CXLVIIL Cu lu viddanu mancu lu diavulu cci
potti „ 435
CXLIX. Cu' la voli cotta e cu' la voli cruda „ 437
CL. Capu di Gaddu e Muntipiddirinu. . „ 439
CLL Tanti nenti ammazzanu un sceccu „ 441
CLIL La varca . . , « 442
CLIIL La lavannera di S. Giuvanni . „ 443
CLIV. Lu chiancheri „ 445
CLV. Birbunazza! ti la mandasti la pasta
cu li linticchi ? „ 449
CLVL 'U scarparu „ 456
CLVIL S. Binirittu di S. Frareu ... „ 460
Glossario „ 465
CORREZIONI
aij. XI, lin. 29 leggi : ArcJiiv; — p. 3, L 1, facìanu; — p 12, L 21, saputu;
). 15, L 9, «impagni ; — p. 18, 1. 4, p. 21, II. 16, 18, 21, dè3i;~ p. 24, L 17,
nti; — p. 35, 1. 3, lassòi ; — p. 19, L 9, 'bbuccòi ; •— p. 30, 1. 2, ti ^mmazzu,
3, giurari;— IL 17-18, giorna;— l. 28, Peppi;— p. 35, 1. 12, dogghi; p. 42, 1. 16,
i pedi ; — 1. 21, addivintò ; — p. 49, 1. 10, lì statui ...di ; — p. 59, I. 24, cci;
>. 88, 1. 1, paisi ; — p. 101, 1. 12, eh' havi ; — p. 130, 1. 10, a Marcorfu. Mar-
Fu nn' appi;— p. 132, L 1 , si ;— p. 142 , i. 6, Numero 3 richiama a nota 4;—
43, 1. 7, juornu ; — p. 160, 1. 12, Tòrnacci;— p. 177, L 16, dal;— p. 195, 1, 12,
-p. 341, I, 12, beni di Ddiu ;-p. 373, 1. 24, (Paris, MDCCCLXXXVU).
li rettifichino i numerini delle pp. 16, 173, 235, 256, 286, 287, 288, 300.
n. Di XVI xovEMBt.i: MDO.:.-:;xxvn
FCOTO IL XXV ilì;,:: ::ìj . ._.:xxvìiì.
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